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I MAMMIFERI DEL TARDO PLEISTOCENE-OLOCENE ANTICO DELLE GROTTE CARSICHE DEL VERSANTE SUD-OCCIDENTALE DEL MONTE PISANO (PISA, TOSCANA): Revisione sistematica, considerazioni biocronologiche e climatico-ambientali

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

La presente tesi di dottorato di ricerca mira ad effettuare una revisione sistematica delle principali associazioni a mammiferi del Monte Pisano. Esse comprendono quelle delle grotte di Parignana e di Cucigliana e la fauna fossile a macromammiferi della grotta del Leone.

Il Monte Pisano, nel versante sud-occidentale, presenta numerose grotte carsiche esplorate a partire dalla seconda metà dell’ottocento che hanno fornito abbondanti resti fossili di mammiferi continentali datati al Pleistocene superiore.

Le collezioni storiche presentano materiale abbondante e ben conservato che potrebbe senza dubbio rappresentare una delle associazioni a mammiferi di riferimento della Toscana se non fosse che è stato raccolto senza una precisa e accurata registrazione della sua provenienza stratigrafica e delle compagini palinologiche ad esso associate. Inoltre, il bombardamento, durante la seconda guerra mondiale, del Museo di Geologia dell’Università di Pisa, dove era originariamente collocato il materiale, ha comportato un’ulteriore perdita di informazioni.

Dopo un iniziale esame degli studi paleontologici pregressi, lo studio prosegue con la determinazione degli esemplari. La lista delle specie e degli esemplari è riportata in tabelle.

Un volta individuati i principali bioeventi documentati in questi siti, è stata tentata per la prima volta una correlazione biocronologica per le faune del Monte Pisano, fino ad ora poco conosciute, con le altre associazioni a mammiferi della Toscana e del versante tirrenico dell’ Italia centrale.

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Inoltre, integrando i dati raccolti per le tre associazioni in esame con quelli provenienti da altri siti dell’area del Monte Pisano, è stato ricostruito il posizionamento biocronologico relativo di tutte le faune del Monte Pisano nel Pleistocene superiore. Infine, è stato realizzato un catalogo cartaceo per i reperti facenti parte delle collezioni storiche conservate al Museo di Storia Naturale e del Territorio dell’Università di Pisa (grotta di Parignana e grotta di Cucigliana) ed un database elettronico contenente tutto il materiale determinato relativo alle tre associazioni a mammiferi esaminate e le fotografie dei reperti più significativi.

Lo studio paleontologico di quest’area ha quindi come scopo primario quello di contribuire alle conoscenze delle variazioni faunistiche nel Pleistocene superiore e di implementare il quadro biocronologico delle faune note del versante tirrenico dell’Italia centrale, tentando di ricostruire le condizioni climatico-ambientali dell’area del Monte Pisano nel Pleistocene superiore.

Premessa

L’attribuzione tardo pleistocenica della fauna del Monte Pisano non è il risultato di un esatto posizionamento biostratigrafico delle associazioni faunistiche. Essa deriva invece da attente osservazioni biocronologiche, le sole possibili nell’analisi di resti fossili di mammiferi continentali.

Nella maggioranza dei casi, e le faune del Monte Pisano non fanno eccezione, le associazioni fossili a vertebrati non rispondono ai requisiti richiesti per l’applicazione dei normali principi biostratigrafici. Le biozone sono corpi rocciosi che si distinguono da altri corpi rocciosi simili per il loro peculiare contenuto fossilifero. Il soggetto della biostratigrafia è il corpo roccioso. Nel caso delle associazioni di fossili di vertebrati il

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sedimento originariamente inglobante viene privato del suo contenuto fossilifero, in seguito alle operazioni di recupero dei reperti osteologici. Occorre allora spostare l’attenzione dal contenente al contenuto, cioè dal contesto sedimentario o litologico inglobante all’insieme dei residui fossili. L’unico criterio per poter porre le associazioni fossili in rapporto di successione temporale relativo è il grado evolutivo: le associazioni via via più recenti devono contenere elementi faunistici sempre più avanzati. In altre parole, il posizionamento temporale relativo delle associazioni fossili a vertebrati continentali è basato quasi esclusivamente su criteri biocronologici.

Nella biocronologia a mammiferi, l’unità informale basilare è la “Fauna Locale”, corrispondente ad un’associazione di fossili accumulatasi in determinato luogo in un arco di tempo geologicamente breve. Più Faune Locali, raggruppabili per composizione simili o per la presenza di particolari elementi significativi, costituiscono una “Unità Faunistica” che viene designata dal nome della fauna locale più caratteristica. Varie Unità Faunistiche costituiscono le cosiddette Età a Mammiferi.

Le successive Unità Faunistiche non sono separate da limiti, a causa dell’impossibilità di definirli con precisione (Gliozzi et al, 1997). Questa difficoltà deriva da due cause di diverso ordine. In primo luogo le successioni continentali, a differenza delle successioni sedimentarie marine, sono largamente discontinue ed i resti di mammiferi sono concentrati in orizzonti con una distribuzione puntiforme sul territorio. Soltanto in casi eccezionali (es., in associazioni a micromammiferi in depositi di grotta) si vede registrata la transizione tra due associazioni faunistiche in serie stratigrafica (Gliozzi et al, 1997).

In secondo luogo, la U.F., che comprende tutte le specie delle diverse faune locali che tipica essa raggruppa, ha il carattere delle cenozone della biostratigrafia e, come queste, non ha limiti definibili con precisione. I limiti tra successive cenozone, infatti, non sono

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definiti da bioeventi di comparsa/scomparsa, ma sulle diverse associazioni di taxa caratteristici. Allo stesso modo, i bioeventi che caratterizzano successive U.F. si verificano durante la transizione tra una e l’altra e, conseguentemente, la loro calibrazione appare imprecisa (Gliozzi et al, 1997).

Con l’avanzamento delle conoscenze conseguente al ritrovamento di nuove faune a mammiferi, gli intervalli temporali tra le varie Unità Faunistiche saranno quindi destinati a variare, ed al limite diventare più ridotti (Petronio et al, 2005). Ecco perché la strada più percorribile per effettuare correlazioni in studi riguardanti depositi continentali è quella di studiare in modo analitico il contenuto paleobiologico (Petronio et al, 2005).

Anche la successione biocronologica delle Unità Faunistiche va verificata ed integrata, quando possibile, con datazioni radiometriche, dati magnetostratigrafici, stadi isotopici e altre evidenze tempo-diagnostiche che permettano di definirne la posizione stratigrafica.

Nel Plio-Pleistocene, le migrazioni e le scomparse dei macro- e micromammiferi in Italia sono sostanzialmente condizionate dal sollevamento della catena appenninica e dall’alternarsi delle fasi glaciali/interglaciali o stadiali/interstadiali.

In questo intervallo di tempo sono state individuate tre Età a Mammiferi che sono il Villafranchiano, il Galeriano e l’Aureliano.

Il termine Villafranchiano fu introdotto da Pareto nel 1865 in riferimento ad una fauna ritrovata in depositi lacustri nella zona circostante Villafranca d’Asti (Petronio et al., 2005). L’Età a Mammiferi Villafranchiano segna un marcato rinnovamento rispetto alle associazioni a mammiferi precedenti ed è caratterizzata da sette Unità Faunistiche che

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sono l’U.F di Triversa (datata a 3,3 milioni di anni da oggi), Montopoli, St. Vallier, Costa S. Giacomo, Olivola, Tasso, Farneta e Pirro Nord (Gliozzi et al, 1997).

L’Età a Mammiferi Galeriano, prende il nome dalla località di Ponte Galeria, nei pressi di Roma ed è caratterizzata da quattro Unità Faunistiche che sono quelle di Colle Curti, Slivia, Isernia e Fontana Ranuccio (Gliozzi et al, 1997). Anche questa Età a Mammiferi evidenzia un rinnovamento faunistico dovuto alle variazioni climatiche che segnano il passaggio tra Pleistocene inferiore e medio, che ha portato alla predominanza di forme adatte ad ambienti aperti o con scarsa copertura boschiva (Petronio et al., 2005).

L’Età a Mammiferi Aureliano (350.000 – 13.000 anni da oggi) (Gliozzi et al, 1997), prende il nome dalla via Aurelia vista la presenza di ricchi depositi a mammiferi nelle vicinanze ed è caratterizzata da due Unità Faunistiche riferibili rispettivamente all’Aureliano inferiore (Unità Faunistica di Torre in Pietra) e all’Aureliano medio (Unità Faunistica di Vitinia). Recentemente (Petronio et al, 2007), sono state proposte due nuove Unità Faunistiche per l’Aureliano superiore. La prima (Unità Faunistica di Melpignano) è stata definita sulla base della prima segnalazione nella penisola italiana del daino (Dama dama dama) e del cervo (Cervus elaphus elaphus) moderni ed è stata riferita ad un intervallo cronologico compreso tra 100.000 e 70.000 anni da oggi. La seconda (Unità Faunistica di Ingarano) è stata invece definita sulla base della prima segnalazione in Italia del rinoceronte lanoso (Coelodonta antiquitatis), di Mammuthus

primigenius e Marmota primigenia.

Le associazioni a mammiferi dell’Aureliano superiore, che inizia con l’Eemiano e finisce con la fine dell’ultima glaciazione, sono difficili da definire in quanto sono caratterizzate prevalentemente dalla scomparsa dei mammiferi di grande e media taglia presenti precedentemente (Gliozzi et al, 1997).

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In questa Età a Mammiferi si verificano una serie di importanti eventi climatici che, uniti alle differenti condizioni microclimatiche ed ambientali, hanno fortemente influenzato le associazioni faunistiche sia lungo il versante tirrenico che lungo il versante adriatico della penisola. Nell’Aureliano superiore le faune diventano più povere e subiscono in maniera crescente l’impatto antropico (Gliozzi et al, 1997). Da questo quadro generale, si evince come la descrizione delle faune dell’Aureliano superiore, ai fini delle correlazioni, può avere solo valore locale.

L’inizio dello stadio isotopico 5 (sottostadio 5e) (Fig.1), è caratterizzato da un sensibile aumento della temperatura e dell’umidità, che porta all’estendersi di foreste sempreverdi di tipo mediterraneo e a caducifoglie.

Fig.1. Curva degli stadi isotopici dell’ossigeno negli ultimi 200.000 anni (da Bonadonna, non pubblicato.).

A partire dal sottostadio 5d la temperatura inizia a diminuire e, con l’instaurarsi di un clima più oceanico, si assiste a una progressiva riduzione delle foreste. Con il sottostadio 5b, il clima diviene più rigido ed arido e si diffonde una steppa xerofila. I

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sottostadi 5c e 5a sono caratterizzati da espansioni forestali. Con lo stadio isotopico 4 si registra un sensibile rincrudimento climatico segnato dall’inizio dell’ultima glaciazione; durante lo stadio 3, relativamente più temperato e umido del precedente stadio 4, la temperatura si mantiene sempre decisamente inferiore rispetto ai valori attuali (Petronio et al, 2005) .

In generale, nelle faune a mammiferi dell’ Aureliano superiore italiano (a partire dal sottostadio isotopico 5e), si trovano ancora alcuni pachidermi comparsi in unità faunistiche precedenti, come ad esempio l’elefante antico (Elephas antiquus), il rinoceronte delle steppe (Stephanorhinus hemitoechus), il rinoceronte di Merk (Stephanorhinus kirchbergensis) e l’ippopotamo (Hippopotamus amphibius). In questo periodo e nei successivi sono comuni lo stambecco (Capra ibex), il camoscio (Rupicapra rupicapra) e la marmotta (Marmota marmota), a cui si associano il lupo (Canis lupus) e la lince boreale (Lynx lynx). L’unica comparsa che può riferirsi alla fase calda dello stadio isotopico 5 (sottostadio 5e) è quella del daino moderno (Dama dama

dama), diffuso nelle regioni più temperate della penisola italiana (Petronio et al, 2005; Petronio et al, 2007).

Alla fine dello stadio 5 sono riconducibili i ritrovamenti di Mammuthus primigenius e del rinoceronte lanoso (Coelodonta antiquitatis) provenienti dall’Europa del Nord-Est, che testimoniano il forte raffreddamento climatico dello stadio 4.

Oltre a queste specie, sono comuni nell’Aureliano superiore anche i ritrovamenti degli equidi Equus ferus ed Equus hydruntinus, del cinghiale (Sus scrofa), dei bovini Bos

primigenius e Bos priscus, del capriolo (Capreolus capreolus), del cervo nobile moderno (Cervus elaphus elaphus), e degli orsi (Ursus spelaeus e Ursus arctos). Le condizioni climatiche continentali che prevalgono durante gli stadi isotopici 4 e 3 permettono la sopravvivenza anche di altri mammiferi migrati precedentemente dalle

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regioni nordiche europee come il pika, il criceto, la sicista delle betulle e l’arvicola dei balcani, a dimostrazione della presenza di ambienti steppici nelle regioni italiane (Petronio et al, 2005).

Con il passaggio da un clima relativamente temperato (stadio isotopico 3) ad uno più rigido (stadio isotopico 2), si registra la scomparsa dei grandi pachidermi, quali Elephas

antiquus, Stephanorhinus hemitoechus, Stephanorhinus kirchbergensis e Hippopotamus

amphibius, come pure numerosi carnivori, quali l’orso delle caverne (Ursus spelaeus), il leopardo (Panthera pardus) e la iena (Crocuta crocuta).

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