• Non ci sono risultati.

Applicazione di un sistema combinato piante-lombrichi per la biorimediazione di un suolo inquinato

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Applicazione di un sistema combinato piante-lombrichi per la biorimediazione di un suolo inquinato"

Copied!
238
0
0

Testo completo

(1)

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

TESI DI LAUREA IN SCIENZE BIOLOGICHE

Applicazione di un

sistema combinato piante-lombrichi

per la biorimediazione di un suolo inquinato

Relatori:

Dott. Grazia MASCIANDARO Dott. Cristina MACCI

Candidato: Guido MASOTTI

(2)
(3)
(4)
(5)

Ringraziamenti

Un sincero e sentito ringraziamento alla Dott.ssa Grazia Masciandaro e al Dott. Brunello Ceccanti per la loro disponibilità, per avermi indirizzato nella scelta dell’argomento di tesi, per avermi guidato durante lo svolgimento delle fasi sperimentali del lavoro e per l’aiuto che mi hanno dato nella stesura.

Ringrazio il Dott. Guido Vigna Guidi, responsabile dell’Istituto per lo Studio degli Ecosistemi del C.N.R di Pisa, per avermi ospitato preso i laboratori di tale centro.

Ringrazio anche il Comune di San Giuliano Terme (Pisa), e la Dott.ssa Elena Fantoni in particolare, che hanno reso possibile questo lavoro di sperimentazione.

Un grazie enorme alle Dott.sse Cristina Macci, Serena Doni, Eleonora Peruzzi e Cinzia Trassinelli, che tanto mi hanno seguito ed insegnato in tutto questo lungo periodo passato nei laboratori del CNR. Senza di loro questo lavoro non sarebbe stato possibile.

Un ringraziamento speciale anche alla Dott.ssa Agata Manca, con cui ho condotto gran parte della sperimentazione (senza la sua collaborazione e la sua inesauribile energia sarebbe stata dura), all’Ale (grafica d’elite), che tanto mi ha aiutato nella cura grafica della tesi e a tutte le persone che mi sono state d’aiuto.

Un grazie anche a Sandra, Davide, Natalia, Alessio, Giada e a tutti quanti hanno reso così piacevole e stimolante questo periodo passato al CNR.

Un ringraziamento veramente speciale va anche a Giusi che, con pazienza e fiducia, mi ha sempre sostenuto durante tutti questi anni di università.

Ringrazio anche tutte le amiche e gli amici, i compagni di corso e tutti coloro (Davis M., Waits T. et mltss. altri), con cui ho trascorso questi pochi lustri di studi - e non solo - a Pisa. Anni belli ed intensi.

Un grazie di cuore infine ai miei genitori, a mia sorella Angela e ai miei familiari, che sempre hanno avuto fiducia in me e mi sono stati vicini durante gli studi.

(6)
(7)

Riassunto

Il presente lavoro di tesi é stato svolto nell’ambito di un progetto di collaborazione tra CNR-ISE Pisa e Comune di S.Giuliano Terme (Pisa) per la realizzazione di un intervento di bonifica di un’area contaminata da idrocarburi e metalli pesanti mediante un sistema di bioremediation combinato piante-lombrichi (Eisenia foetida) e sostanza organica (letame animale).

Il sito da decontaminare (l’area “Ex-Ecosider”), situato in località Madonna dell’Acqua nel comune di San Giuliano Terme, era un terreno precedentemente utilizzato come discarica di materiale lapideo, elettrico, ferroso e plastico, con contaminazione del suolo anche da parte di oli combustibili e solventi.

Il lavoro di tesi ha previsto la realizzazione di una sperimentazione preliminare, della durata di 6 mesi, realizzata in mesocosmi (vasi) dislocati in situ, al fine di studiare separatamente l’influenza, singola e combinata, dei diversi fattori responsabili del processo di disinquinamento. In tali mesocosmi è stato posto come terreno un campione rappresentativo del substrato da disinquinare, proveniente dall’area da bonificare; terreno che, insieme al letame impiegato, è stato sottoposto in via preliminare a caratterizzazione chimica, fisica e biologica.

Nei vasi il terreno è stato sottoposto a tre trattamenti: a) terreno tal quale (T)

b) terreno + letame (M)

c) terreno + letame + lombrichi (ML)

Per ogni trattamento sono state utilizzate tre specie vegetali: due a portamento arboreo: Populus nigra, var.italica (Pioppo cipressino), Paulownia tomentosa

(Paulonia), e una a portamento arbustivo: Cytisus scoparius (Ginestra dei carbonai).

Le piante sono state selezionate per la loro rapida crescita, per la loro idoneità a svilupparsi nel substrato disponibile e per l’adattabilità alle condizioni climatiche locali.

Durante il corso della sperimentazione, ad intervalli regolari di tempo, si è proceduto alla:

a) valutazione del livello di inquinamento mediante la determinazione di idrocarburi totali e metalli pesanti (dopo 6 mesi);

(8)

b) determinazione di parametri chimici, fisico-chimici e biochimici, utili per lo studio dei processi metabolici coinvolti nelle fasi di decontaminazione (ogni 3 mesi).

Tutte le specie vegetali utilizzate si sono dimostrate capaci di crescere adeguatamente su tale substrato inquinato e di attivare i cicli biogeochimici dei principali elementi (C,N,P), migliorando le condizioni del sistema suolo.

Tale attivazione è stata particolarmente evidente nei trattamenti che hanno previsto l’utilizzo del letame (trattamenti M) e soprattutto in quelli dove sono stati impiegati letame e lombrichi (trattamenti ML); questo fatto è riscontrabile in particolare per la paulownia: specie vegetale in cui é stata massima l’influenza positiva dei due trattamenti. Tra le specie vegetali, quella che ha dimostrato il peggiore adattamento al substrato ed alle condizioni di sperimentazione, è stato il pioppo, come dimostrano i parametri relativi alle condizioni del suolo. Il comportamento differente di questa specie, caratterizzata da un’elevata richiesta idrica, potrebbe essere dovuto ad una maggior sofferenza in seguito alla scarsità di acqua che si è verificata durante il periodo estivo; scarsità cui la pianta non ha potuto far fronte attraverso lo sviluppo radicale verso gli strati profondi, dal momento che si trovava piantumata in mesocosmi.

Tra le specie vegetali impiegate, pioppo e paulonia si sono dimostrate le più efficienti nell’abbattimento dei metalli pesanti (Pb,Cr,Cd,Zn,Cu,Ni); metalli che all’inizio della sperimentazione, ad eccezione del Cr, superavano il limite per uso civile (uso A) stabilito dal D.Lgs. 4/2008. Tali contaminanti inorganici al termine della sperimentazione sono risultati tutti ridotti, anche molto significativamente. Anche l’impiego di letame e lombrichi si é dimostrato particolarmente efficace nello stimolare la fitoestrazione, nel caso di tutte e tre le specie vegetali, consentendo in molti casi (Ni,Cu e Cd) di scendere al di sotto dei limiti di legge uso A.

Gli idrocarburi totali hanno presentato una netta tendenza alla diminuzione in tutte e tre le specie vegetali, ma in maniera molto più marcata nei trattamenti che hanno previsto l’impiego di letame e lombrichi, organismi particolarmente efficaci nel determinare direttamente e indirettamente una riduzione del livello di idrocarburi, sia creando le condizioni ottimali per l’attività dei microrganismi del suolo e per la degradazione di questi contaminanti, sia mediante l’azione degli enzimi presenti nel

(9)

loro tratto intestinale. La loro attività ha favorito la riduzione degli idrocarburi al di sotto del limite di legge per uso industriale (uso B) stabilito dal D.Lgs. 4/2008.

La riduzione di inquinamento e la ripresa della capacità agronomico-funzionale del suolo è stata confermata anche dall’aumento dell’indice di germinazione in tutte le prove considerate, ad ulteriore conferma dell’efficacia dell’intervento di bioremediation da noi adottato su mesoscala.

Pertanto il sistema combinato piante-microrganismi-lombrichi, secondo la sperimentazione messa in atto su scala pilota in mesocosmi, ha dimostrato la propria efficacia nell’abbattimento degli inquinanti organici ed inorganici e nel miglioramento delle proprietà biochimico-funzionali del suolo. Questo sistema risulta quindi applicabile su scala reale per la biorimediazione di vaste superfici di terreno e quindi anche del sito inquinato di nostro interesse.

(10)
(11)

Abstract

This work is a part of a project carried on by CNR-ISE Pisa in collaboration with S.Giuliano Terme (Pisa) Municipality. Aim of the project was to test and apply bioremediation techniques to a heavy metal and hydrocarbon contaminated site (Madonna dell’Acqua). The bioremediation system studied included the use of plants, earthworms and organic matter.

The contaminated site is a former dump used for different kinds of waste such as plastic, electric and iron material, tyrell, oil and fuel.

To evaluate the singular and combined effect of the factors (plants, earthworms and organic matter), used during the six months experimentation in mesocosms, the contaminated material was treated in three different ways:

• soil (T);

• soil + manure: mixture (M);

• soil + manure + earthworms (ML).

Three different species were used for each treatment: two trees (Populus nigra,

var.italica and Paulownia tomentosa) and a bush (Cytisus scoparius).

During the experimentation, we proceeded to:

• Evaluate the pollution level, with the determination of total petroleum hydrocarbons (TPH) and heavy metals (Pb,Zn,Ni,Cu,Cr,Cd).

• Determine physic, chemical and biochemical parameters related to metabolic processes involved in the decontamination.

All the 3 species studied were able to grow in the polluted soil and to activate biochemical cycles of the main elements (C,N,P), improving soil system conditions. This activation was particularly remarkable in the mixture (M) and mixture-earthworm (ML) treatments.

Populus nigra, var.italica and Paulownia tomentosa were the more efficient

species in the reduction of heavy metals (Pb,Cr,Cd,Zn,Cu,Ni) and the use of manure and earthworms was particularly efficient in stimulating the decontamination of pollutants (both hydrocarbons and heavy metals).

(12)

The experimentation demonstrated the effectiveness of the plant-microorganisms-earthworms system of bioremediation for the site of Madonna dell’Acqua. Heavy metal and hydrocarbon content was reduced and the biochemical functionality of the soil was improved.

(13)

INDICE

INTRODUZIONE... 15

1. LA PROBLEMATICA DELL’INQUINAMENTO... 17

1.1. Inquinamento del suolo... 17

1.2. I metalli pesanti ... 22 1.3. Gli idrocarburi... 34 1.4. Aspetti normativi ... 39 2. TECNICHE DI BONIFICA... 41 2.1. La bioremediation ... 45 2.2. I microrganismi... 51 2.3. I lombrichi... 57 2.4. La phytoremediation ... 68 OBIETTIVI... 83 SCHEMA DI LAVORO... 87

1. CARATTERIZZAZIONE DEL CAMPIONE... 89

2. SCELTA DELLE SPECIE VEGETALI... 90

3. ALLESTIMENTO DEI MESOCOSMI... 91

4. ANALISI PERIODICHE... 92

MATERIALI E METODI ... 95

1. MATERIALI UTILIZZATI... 97

1.1. Caratterizzazione iniziale di campione, letame e miscela ... 97

1.2. Paulownia tomentosa... 100

1.3. Populus nigra, var italica (Pioppo cipressino)... 101

1.4. Cytisus scoparius (Ginestra dei carbonai) ... 102

2. METODOLOGIE ANALITICHE... 105

2.1. Estratti impiegati nelle analisi... 105

2.2. Metodologie chimiche ... 106

2.3. Metodologie biochimiche ... 111

2.4. Analisi statistica dei dati... 117

RISULTATI E DISCUSSIONE ... 119

1. PARAMETRI CHIMICO-FISICI... 121

1.1. pH... 121

1.2. Conducibilità elettrica... 124

1.3. Azoto ammoniacale ... 126

1.4. Nitrati... 128

1.5. Azoto totale ... 130

(14)

1.7. Rapporto C/N ... 138

1.8. Carbonio estraibile totale, acidi fulvici e acidi umici ... 142

1.9. Carbonio idrosolubile ... 148 1.10. Fosforo totale ... 150 1.11. Fosforo assimilabile... 151 2. PARAMETRI BIOLOGICI... 154 2.1. Fosfatasi... 155 2.2. ß-glucosidasi ... 159 2.3. Deidrogenasi ... 163 2.4. Ureasi ... 166 2.5. Proteasi ... 168 2.6. Indice di germinazione ... 171

3. CONTAMINANTI ORGANICI ED INORGANICI... 173

3.1. Metalli pesanti totali... 173

3.2. Metalli pesanti nei tessuti vegetali... 179

3.3. Metalli pesanti assimilabili... 183

3.4. Idrocarburi totali... 185

4. ANALISI STATISTICA... 188

5. RISULTATI IN SINTESI... 191

5.1. Caratteristiche del suolo... 191

5.2. Abbattimento dei contaminanti... 195

CONCLUSIONI ... 197

APPENDICE... 201

1. RISULTATI DELLA SPERIMENTAZIONE... 203

1.1. Parametri chimico-fisici ... 203

1.2. Parametri biologici... 206

1.3. Contaminanti organici ed inorganici ... 207

2. MATRICI DI CORRELAZIONE... 211

3. ANOVA... 213

3.1. Parametri chimico-fisici ... 213

3.2. Parametri biologici... 217

3.3. Contaminanti organici ed inorganici ... 219

(15)
(16)
(17)

1. La problematica dell’inquinamento

Negli ultimi anni, presso l’opinione pubblica, è aumentata la percezione del grave problema rappresentato dall’inquinamento ambientale. Un inquinamento, sempre più grave e diffuso, determinato dalle attività umane, cresciute in maniera esponenziale negli ultimi decenni, con conseguente sfruttamento delle risorse rinnovabili e non rinnovabili del pianeta e con l’impatto sempre meno sostenibile dell’inquinamento a tutti i livelli (aria, acqua e suolo).

Le molteplici attività dell’uomo infatti, alterano l’ambiente e gli ecosistemi naturali, mettendone a dura prova le capacità omeostatiche di risposta alle modificazioni, ed alterando in maniera sempre meno reversibile equilibri che il sistema aveva stabilito nel corso dei secoli. L’idea che la natura non abbia limiti, che sia possibile manipolarla e sfruttarla senza vincoli, si scontra ormai con la realtà.

1.1. Inquinamento del suolo

Tra i vari sistemi ambientali coinvolti in questo massivo inquinamento, il suolo è sicuramente tra i più interessati. Le attività industriali, i trasporti e le conseguenti infrastrutture, l’agricoltura intensiva, l’urbanizzazione sempre più spinta e il grave problema dello smaltimento dei rifiuti prodotti dalle attività antropiche, hanno prodotto un sempre maggiore inquinamento del suolo, che ha interessato aree sempre più vaste. L’inquinamento del suolo è particolarmente grave dato che quest’ultimo costituisce un bene limitato ed un anello fondamentale della catena alimentare (Riffaldi et al., 1991).

L’estensione del fenomeno a livello europeo fu messa bene in evidenza dalle indagini effettuate da diversi gruppi di ricerca alla fine degli anni ’90; indagini da cui è emerso che i siti potenzialmente contaminati erano alcune centinaia di migliaia, mentre quelli sicuramente contaminati erano almeno diverse decine di migliaia ("Contaminated Sites" predisposto dall’ETC Soil nel 1998). Le indagini analitiche condotte su molti siti industriali (attivi e dismessi), su aree interessate da sversamenti ed incidenti rilevanti e su aree soggette a smaltimenti abusivi di rifiuti, hanno evidenziato come questi siti e queste aree rilevino una compromissione della qualità del suolo e degli ecosistemi ad esso legati. Una compromissione tale da impedire,

(18)

totalmente o parzialmente, la normale funzionalità che il suolo stesso dovrebbe svolgere, sia a livello chimico-nutrizionale che biochimico-funzionale.

L’inquinamento del suolo da parte di sostanze più o meno persistenti con caratteristiche di tossicità e mutagenicità, può inoltre rappresentare una fonte di grave pericolo per la salute umana e per gli organismi viventi in generale; sia direttamente (per contatto diretto), sia per il potenziale inquinamento di acque di falda sottostanti.

Migrazione degli inquinanti nel suolo

Gli inquinanti rilasciati nel suolo vanno incontro a una serie di fenomeni di migrazione, trasformazione e ripartizione tra le varie fasi del suolo stesso (gassosa, liquida e solida); fenomeni che determinano sia l’estensione spaziale e temporale della contaminazione, sia la possibilità che i contaminanti vengano in contatto con l’uomo e con gli altri organismi viventi. La comprensione di tali fenomeni è di essenziale importanza al fine di avere un quadro più completo della distribuzione degli inquinanti e una valutazione più corretta del rischio ambientale che deriva dalla loro presenza.

I fenomeni di trasporto e trasformazione (il “fato” degli inquinanti) sono in genere complessi e dipendono sia dalle proprietà chimico-fisiche delle sostanze coinvolte nell’inquinamento, sia dalle caratteristiche geologiche, idro-geologiche ed ecologiche del sito.

La situazione è particolarmente complicata quando gli inquinanti sono costituiti da miscele complesse e poco idrosolubili, come i prodotti petroliferi, che, insieme all’acqua e agli altri componenti del suolo, costituiscono un sistema a molte fasi e molte componenti. Per comprendere la complessità del problema, basti pensare che in una benzina possono essere identificati un centinaio di composti diversi, aventi ognuno caratteristiche chimiche e fisiche specifiche.

Quando il contaminante in fase liquida penetra nel sottosuolo tende a drenare negli strati sottostanti, spiazzando l’aria e l’acqua interstiziale, ed è soggetto ad una serie di fenomeni concomitanti: evaporazione e diffusione in fase di vapore, solubilizzazione in acqua, diffusione ed adsorbimento nella matrice solida del suolo e degradazione microbica.

(19)

Tali fattori determinano così l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, dei sedimenti, delle acque superficiali e profonde e dell’atmosfera con sostanze chimiche pericolose e tossiche (Ronchi, 2002; Bonomo et al., 2005).

La migrazione degli inquinanti è regolata da due tipi di fenomeni concomitanti (Davini et al., 2001):

• macroscopici: processi regolati dalle leggi della dinamica dei fluidi, quali scorrimento, percolazione, adesione al terreno e capillarità;

• microscopici: fenomeni governati dagli equilibri termodinamici, come diffusione, ripartizione tra le fasi, dissoluzione, precipitazione, evaporazione, condensazione, adsorbimento, desorbimento e reazioni chimiche.

In figura vengono mostrate, in forma schematica, le principali vie di migrazione percorribili da un inquinante idrocarburico una volta sversato sulla superficie del suolo (Grillo, 2001).

Figura 1.1 Rappresentazione schematica delle principali vie di migrazione di un prodotto petrolifero rilasciato dal suolo (da Grillo, 2001).

(20)

In generale, le sostanze inquinanti possono: a) diffondersi dal luogo del rilascio muovendosi in superficie con l’acqua piovana, disciolte in essa o trascinate insieme ai detriti; b) liberarsi nell’atmosfera, per volatilizzazione diretta o portate dal vento con la polvere; c) ritrovarsi nel sottosuolo, dilavate dall’acqua piovana o, se in forma fluida, percolando direttamente verso il basso; d) contaminare la falda acquifera, per dilavamento e percolazione.

Gli inquinanti del suolo

I contaminanti del suolo possono essere divisi in due gruppi:

A. Inquinanti inorganici: tra di essi assumono una importanza predominante i metalli pesanti, sia per la loro diffusione che per la loro persistenza e tossicità.

Trattandosi infatti di elementi chimici semplici, non sono soggetti ad alcun processo di decomposizione, come la metabolizzazione microbica capace di degradare altri composti; permangono quindi nel suolo fino a che non vengono trasportati da qualche meccanismo chimico, fisico o biologico in un altro comparto ambientale.

L’inquinamento da metalli pesanti nel suolo è un aspetto importante da considerare per la salute umana, per gli effetti tossici sulle piante, per gli effetti negativi a lungo termine sulla fertilità dei suoli e per il rischio di contaminazione delle falde acquifere sottostanti.

B. Inquinanti organici: sono dati da un gran numero di sostanze diverse.

• Alcune sono il prodotto della raffinazione del petrolio come benzine, oli, gasolio, catrami.

• Altre sono il prodotto della combustione incompleta degli idrocarburi, come

gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA).

• Altre ancora sono prodotti di sintesi come pesticidi, diserbanti, coloranti, solventi; molti contengono cloro, per cui vengono definiti composti organoclorurati.

Alcune di queste sostanze, in condizioni opportune, possono andare incontro a degradazione microbica, fino a composti più semplici e meno tossici. Altre sostanze organiche inquinanti (denominati POP), sono invece difficilmente degradabili e sono, fra i composti organici di sintesi, quelli più pericolosi per l'ambiente e per la salute

(21)

I POP (“persistent organic pollutants”), infatti, sono caratterizzati da:

• tossicità: si tratta di sostanze che per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea possono provocare patologie acute o croniche fino alla morte dell'organismo;

• persistenza: essendo resistenti alla degradazione nell'ambiente naturale, permangono in ambiente per periodi molto lunghi, e tendono ad accumularsi;

• bioaccumulabilità: essendo liposolubili si concentrano nei tessuti adiposi ed in altri tessuti animali trasferendosi da un organismo all'altro lungo la catena alimentare, raggiungendo ad ogni passaggio concentrazioni maggiori, fino a giungere all'uomo.

Le più note fra queste sostanze sono il DDT e i PCB (Bifenili Policlorurati); i PCB persistono nell'ambiente per anni e possono bioaccumularsi fino a 70000 volte. I problemi connessi a queste sostanze sono sia di natura ambientale che sanitaria. Il loro rilascio determina un'alterazione dell'aria, del suolo e delle falde acquifere in cui questi composti organici si accumulano per lunghissimi periodi a seguito della loro persistenza.

(22)

1.2. I metalli pesanti

CARATTERISTICHE

Con il termine “metalli pesanti” si considerano, di solito, tutti quegli elementi metallici che presentano alcune caratteristiche (Riffardi e Levi-Minzi, 1989):

• hanno una densità superiore a 4,5–5 g/cm3 e generalmente un numero

atomico superiore a 30;

• presentano diversi stati di ossidazione (elementi metallici di transizione), in funzione del pH;

• hanno idrossidi con bassa solubilità;

• mostrano una grande attitudine a formare complessi; • hanno una elevata affinità per i solfuri;

• hanno comportamento ionico (di solito sono dei cationi).

Possono essere definiti metalli pesanti, da un punto di vista chimico e/o in base a conoscenze bio-ecologiche, elementi come piombo, cadmio, mercurio, cromo, nichel, ferro, manganese, rame, zinco, cobalto; anche non metalli quali alluminio, molibdeno, selenio, boro, vanadio e arsenico sono considerati metalli pesanti per origine e meccanismo di azione.

Sovente si preferisce parlare di “metalli in traccia” per indicare complessivamente tutti quei metalli che rivestono un importante significato biologico, ma che possono indurre disturbi cronici nell’uomo e in altri organismi, nei quali sono presenti normalmente in concentrazioni molto basse.

LE FONTI E LA CONTAMINAZIONE AMBIENTALE

La presenza dei metalli pesanti, che alterano la qualità dell’ambiente, è riconducibile a fonti sia naturali, quali il substrato pedogenetico, sia antropiche, quali le attività industriali, civili e agricole.

I metalli originati dal substrato pedogenetico si possono definire inquinanti

geochimici, ma i fenomeni di contaminazione del suolo, attribuibili al materiale

originario e in grado di produrre danni biologici, sono di norma limitati ad aree ristrette.

(23)

La diffusione dei metalli pesanti nell’ambiente è quindi legata in massima parte all’attività antropica. Il problema dei metalli pesanti è accentuato dal fatto che molti processi produttivi ne richiedono la presenza e parallelamente aumentano la possibilità di una loro dispersione nell’ambiente. Le fonderie, le industrie elettrogalvaniche, i processi di fotoincisione, di vulcanizzazione ed in genere tutti quei processi che utilizzano l’elettrolisi sono fra le maggiori fonti di metalli pesanti quali Cu, Ni, Zn, Pb, Cr, Cd e Hg (Sequi, 1989).

Pb e Cd si liberano prevalentemente nei processi di combustione dei carburanti e dei lubrificanti, mentre il processo di usura dei pneumatici libera soprattutto Cd e Zn. Tali metalli raggiungono il suolo attraverso la deposizione atmosferica secca (con polveri e pulviscolo) ed umida (con le precipitazioni).

I più direttamente esposti a questa eventuale contaminazione sono i terreni

agrari in genere. L’agricoltura intensiva, con i tentativi di migliorare i raccolti, ha

comportato un utilizzo sempre crescente di fertilizzanti e pesticidi che contengono questi elementi come impurezze, rendendo così l’attività agricola stessa fonte di contaminazione per i terreni. È stato calcolato infatti, che più del 10% dei fungicidi e degli insetticidi tradizionalmente utilizzati apportano Cu, Hg, Mn, Pb e Zn (Sequi, 1989). Infine gli stessi concimi chimici possono essere la causa di inquinamento dato che, talora, contengono metalli pesanti (Co, Cr, Cu, Mn, Mo, Ni, Pb e Zn) derivanti sia dalle materie prime, che dai processi industriali; fra questi i perfosfati risultano particolarmente indiziati per il loro possibile apporto di Cd e di Pb. Ulteriori apporti al terreno agrario provengono dall’utilizzo di residui di varia natura, ad esempio le biomasse di riciclo (come fanghi e compost) che, oltre ad elementi di fertilità, contengono anche questi elementi metallici, spesso in quantità superiori alla normale dotazione dei terreni agrari, raggiungendo facilmente quella soglia di valori oltre la quale vengono compromesse la fertilità del suolo e la catena alimentare. Spesso il metallo pesante presente in concentrazioni maggiori risulta lo Zn, seguito da Cu, Pb, Cr, e Ni.

(24)

ECOTOSSICOLOGIA

Da un punto di vista ecotossicologico, i metalli pesanti possono essere classificati in tre gruppi:

• Metalli dall’importante ruolo fisiologico, definiti essenziali per piante e animali, poiché fanno parte di strutture essenziali come gli enzimi (Zn, Cu); pur essendo essenziali ad un corretto sviluppo e sopravvivenza, ad alte concentrazioni possono essere però tossici.

• Metalli chimicamente simili ad un elemento essenziale.

• Metalli che non hanno un’azione fisiologica conosciuta e che non sono soggetti a regolazione metabolica da parte degli organismi.

Ad elevate concentrazioni intracellulari, i metalli possono essere la causa di danni alla membrana cellulare e al DNA con effetti genotossici per la cellula, possono modificare la specificità enzimatica e le funzioni cellulari. La tossicità dei metalli è dovuta alle interazioni che i medesimi stabiliscono con componenti cellulari essenziali mediante legami ionici e/o covalenti e che determinano una alterazione delle attività metaboliche cellulari (Bruins et al, 2000).

Tabella 1.1 Effetto dei metalli pesanti sui processi metabolici delle piante.

Metalli pesanti Processi biochimici colpiti

Ag, Au, Cd, Cu, Hg, F, I, U Variazione di permeabilità delle membrane cellulari

Hg Inibizione della sintesi proteica

Ag, Hg, Pb, Cd, As(III), Tl Formazione di complessi con gruppi sulfidrilici

Maggioranza dei metalli pesanti Affinità con il gruppo fosfato e gruppi ATP e ADP

Tl, Pb, Cd Inibizione di enzimi

Cd, Pb Respirazione

Cd, Pb, Hg, Tl, As Traspirazione

(25)

I METALLI PESANTI NEL SUOLO

Contrariamente ai composti organici, i metalli non possono essere

metabolizzati. La bonifica di suoli contaminati con metalli consiste quindi

primariamente nel modificare la mobilità dei contaminanti metallici per ottenere un suolo che presenti livelli accettabili nel contenuto di metalli.

La mobilità dei metalli dipende da una serie di fattori, ovvero: • dal tipo e dalla natura del suolo;

• dalla concentrazione del contaminante di interesse;

• dalla concentrazione e dal tipo di ioni che possono essere competitivi; • dai leganti complessati, sia organici che inorganici,

• dal pH e dallo stato di ossidazione.

In genere, è difficile prevedere il comportamento dei metalli in un determinato tipo di suolo (McLean e Bledsoe, 1992). Lo studio del comportamento nel suolo dei metalli pesanti che vi pervengono è reso estremamente complesso dal fatto che essi non permangono nella forma in cui sono stati introdotti, ma seguono il destino dei corrispondenti ioni di origine geochimica già presenti nel suolo. Destino che è, ovviamente, diverso per ogni elemento in relazione alle sue proprietà chimico-fisiche.

Orientativamente, i metalli si possono trovare nel suolo nelle seguenti forme: • come parte integrante dei reticoli cristallini;

• come impurezza interstrato;

• come precipitati semplici o complessi; • come ioni inorganici semplici o complessi; • come complessi organici solubili o insolubili;

• addensanti come cationi di scambio sulle superfici attive dei colloidi minerali e organici;

• infine possono far parte di varie e complesse combinazioni delle associazioni di cui sopra.

(26)

L’ASSORBIMENTO DA PARTE DELLE PIANTE

Le radici delle piante, mediante l’energia derivante dalla respirazione, assimilano ioni metallici come tali o come chelati. Nel terreno nulla è statico e si modificano quindi in continuazione anche gli equilibri che regolano l’assimilabilità degli ioni metallici. Difatti l’insolubilità dei precipitati metallici contrasta la stabilità degli ioni e dei complessi metallici solubili stabili in ambiente acido (rame, zinco, manganese); i precipitati insolubili di metalli allo stato di massima ossidazione vengono solubilizzati se si instaurano condizioni di ambiente riducente (tipici esempi il ferro e il manganese).

Da quanto è stato detto risulta evidente che la valutazione della pericolosità dei metalli pesanti presenti nel suolo o che ad essi pervengono, costituisce un problema di grande attualità, ma anche di difficile soluzione (Izza et al., 1994).

L’assorbimento da parte delle piante oltre i limiti di tolleranza è, il più delle volte, conseguenza di: apporti di microelementi al suolo dovuti a correzioni incontrollate di una carenza, acque di scarico di particolari industrie, inquinamento atmosferico.

Anche l’acidità del suolo, provocando una più rapida alterazione dei minerali e consentendo quindi una maggiore mobilità degli elementi liberati, può dar luogo ad un eccessivo assorbimento di microelementi (ferro, rame, manganese, zinco, boro e molibdeno) da parte dei vegetali.

L’effetto tossico di un microelemento varia da pianta a pianta. Specie diverse mostrano sensibilità diversa per la stessa quantità di microelemento e la stessa specie sensibilità diversa in relazione al proprio stadio di sviluppo (Sequi, 1989). Così come il grado di tossicità di un microelemento può variare per fenomeni di antagonismi (la tossicità dello zinco, del manganese, del rame e del boro viene attenuata dalla presenza di sali di calcio), anche il suo effetto può essere esaltato per sinergismo (sinergia delle coppie ferro-rame e molibdeno-boro).

(27)

CADMIO

Il cadmio (Cd) è un metallo nocivo per qualsiasi essere vivente, con sperimentato potere cancerogeno. Ad ogni modo, le concentrazioni di Cd che normalmente si trovano nell’ambiente non sono causa di tossicità acuta. Il maggior rischio per la salute umana è rappresentato dall’accumulo cronico nei reni, dove esso può causare delle disfunzioni (Fassett, 1980).

Raramente si trova come composto puro, di solito si trova sotto forma di CdS e CdCO3. Molto ricche di Cd sono le miniere di piombo, zinco, e ferro. Esso è ritrovato come coprodotto quando questi minerali sono processati.

Fonti di inquinamento sono gli inceneritori, le operazioni di placcatura, i depositi

di spazzatura, il fumo di sigaretta, le industrie chimiche, petrolchimiche e siderurgiche, i rifiuti urbani, la combustione del carbonio, i settori della galvanoplastica, delle vernici e dei coloranti (Alloway, 1995).

La concentrazione di cadmio nel suolo è funzione delle caratteristiche dei materiali originari e dell’utilizzo di sostanze contenenti metalli pesanti utilizzate per la difesa antiparassitaria o per la fertilizzazione (concimi fosfatici, fanghi di depurazione, pesticidi). In generale, il suolo contiene quantità < 1 mg/kg, eccetto i suoli contaminati da sorgenti discrete o sviluppati originariamente su materiali con contenuti alti di Cd. Il contenuto medio di Cd riportato dalla maggior parte degli esami analitici dei livelli di background di metalli nei suoli è compreso nel range di 0,06-1,1 mg/kg (Kabata-Pendias e Pendias, 1992).

Il Cd si trova normalmente concentrato nell’orizzonte superficiale; ciò è dovuto alla combinazione di vari fattori: è la zona con il più alto contenuto di sostanza organica e i metalli possono essere trattenuti in questo orizzonte dopo applicazioni di fertilizzanti e concimi contenenti Cd, o dopo le deposizioni secche o umide provenienti dall’atmosfera. Comunque, diversamente da Cu e Pb, il Cd (insieme a Zn e Ni) ha una tendenza a penetrare lungo il profilo, sebbene l’estensione e la percentuale dipendono da vari fattori del suolo (Kabata-Pendias e Pendias, 1992).

(28)

CROMO

Il cromo (Cr) è uno dei metalli meno comuni sulla crosta terrestre e si trova solo come composto. Il più comune è il minerale cromite (FeCr2O4). Metallo molto tossico per piante e animali, è cancerogeno per l’uomo se l’esposizione a tale elemento è intensa.

Quanto alle fonti di inquinamento, la sua presenza in atmosfera è imputabile ad impianti di cromatura; viene inoltre utilizzato nelle fotocopiatrici fotomeccaniche, nelle vernici come pigmento e nell'industria del petrolio come anticorrosivo. E’ presente nelle concerie, nelle cartiere, nelle tintorie e nella lavorazione di acciaio e di metalli vari. In particolare il contenuto di cromo può essere molto elevato in alcuni sottoprodotti dell’industria conciaria utilizzati per la produzione di concimi organici.

La concentrazione di cromo nel suolo è riconducibile: ai naturali processi di degradazione dei substrati geologici (da cui i suoli stessi traggono origine), all’attività vulcanica e agli incendi di foreste; in parte è funzione dell’utilizzo sul suolo di sostanze contenenti metalli pesanti utilizzate per la difesa antiparassitaria o per la fertilizzazione.

Le concentrazioni di Cr in forma disponibile per le piante sono estremamente basse nella maggior parte dei suoli, e questa carenza di solubilità rispecchia le basse concentrazioni dell’elemento nelle piante. Concentrazioni delle piante mostrano una piccola relazione con il contenuto totale del Cr nel suolo; le concentrazioni di background nelle piante sono dell’ordine di 0,23 mg/kg, ed in generale le concentrazioni sono più basse di 1 mg/kg nel suolo (Bowen, 1979).

(29)

FERRO

Il ferro (Fe) è uno dei metalli più abbondanti nella crosta terrestre; viene prodotto in grandi quantità negli altiforni per riduzione di suoi minerali (ossidi di ferro) con carbone. Il ferro è un microelemento catalitico indispensabile alla vita dei vegetali perché entra nella costituzione di vari enzimi e perché regola numerosi processi biochimici come la sintesi della clorofilla, la fotosintesi e la respirazione cellulare.

Il Fe è uno dei maggiori componenti della gran parte dei suoli. Nel terreno il ferro è contenuto normalmente in quantità soddisfacente nella forma di ione ferrico (Fe3+), ma per essere assimilato ed utilizzato dalla pianta deve essere ridotto nella forma ferrosa (Fe 2+), anche per effetto delle secrezioni radicali. Non è quindi certamente la mancanza di ferro a provocare fenomeni di carenza, quanto quella di forme assimilabili per la vegetazione. Il pH del terreno ha un ruolo assai importante nella disponibilità del ferro. Nei terreni caratterizzati da pH elevato, con un alto contenuto in calcare, non si ha la riduzione dello ione ferrico a ferroso, determinando il mancato assorbimento dell'elemento per insolubilizzazione. Altre cause di Fe-carenza sono da ascriversi a fenomeni di antagonismo da parte dei cationi bivalenti (Ca, Mg, Zn e Cu) che competono nella formazione di complessi, e alla presenza eccessiva di ioni fosfato che provocano l’insolubilizzazione del ferro (Allen, 1989).

MANGANESE

Il manganese (Mn) è un elemento largamente rappresentato in ecosistemi naturali; è estratto in grande quantità e trova importanti applicazioni in molti prodotti industriali. Esso ha origine litogena ed è tra i meno tossici sia per gli animali che per le piante (per queste ultime diviene tossico solamente su suoli acidi). Fonti secondarie possono essere la presenza di fonderie, la combustione di carbone o petrolio, gli inceneritori e l’uso di fertilizzanti.

Tale elemento svolge un ruolo essenziale nella vita dei microrganismi, delle piante e degli animali. Il contenuto di Mn nel suolo riflette la composizione del substrato pedogenetico. Nei suoli il Mn si trova comunemente come ossido. Gli ossidi di manganese variano nella loro solubilità e ciò può implicare una relazione con la loro capacità di fornire Mn alle radici delle piante. L’assorbimento di Mn da parte delle piante è funzione della concentrazione di questo elemento in forma ionica (Smith, 1995)

(30)

NICHEL

In natura il nichel (Ni) è uno degli elementi più abbondanti: è due volte più abbondante del rame. Come gli altri metalli in traccia anche il nichel è tossico per le piante e gli animali in concentrazioni superiori ai livelli medi di esposizione.

Le sorgenti naturali di emissione di Ni sono dovute all’attività vulcanica, agli incendi, allo spry marino. Più dell’80% delle emissioni di Ni sono però di origine

antropogenica: la maggiore sorgente di questo metallo è legata a combustibili e

residui di olii; altre fonti sono date dalla placcatura e dalle batterie.

Il livello naturale di nichel nei suoli in alcune aree è particolarmente elevato, raggiungendo valori di gran lunga superiori a quelli previsti dalla Direttiva 86/278/CEE. La concentrazione di nichel nel suolo è funzione delle caratteristiche dei materiali originari (riconducibili a naturali processi di degradazione dei substrati geologici) e dell’utilizzo, per la difesa antiparassitaria o per la fertilizzazione, di sostanze contenenti metalli pesanti. La concentrazione media di Ni nel suolo è intorno ai 20 mg/kg. In diversi suoli il Ni, come il Fe e il Mn, può essere accumulato nell’orizzonte B come ossido, mentre in altri il Ni si può accumulare nella lettiera e nell’humus (McGrath, 1995). Questo accumulo in superficie comporta effetti deleteri sull’attività microbica, sulla germinazione dei semi e sulla crescita delle piante nell’area (Hutchinson, 1981).

Inoltre, la solubilità del Ni aumenta a pH bassi. Le concentrazioni di Ni nelle piante e nel suolo variano generalmente tra circa 0,1-5 mg/kg (Hutchinson, 1981). La concentrazione di Ni nelle piante riflette la concentrazione dell’elemento nel suolo, sebbene la relazione è più direttamente collegata alla concentrazione di ioni di Ni solubili.

(31)

PIOMBO

Il piombo (Pb) è un metallo tossico sia per le piante che per gli animali. Le sue emissioni sono dovute principalmente al traffico veicolare; altre fonti sono le fonderie, le miniere e la combustione di carbone. La concentrazione di piombo nel suolo è riconducibile in parte a naturali processi di degradazione dei substrati geologici, da cui i suoli stessi traggono origine. Fonte primaria di arricchimento della preesistente dotazione è però l’attività antropica con l’apporto di sostanze per la difesa antiparassitaria e per la fertilizzazione con concimi, fanghi e compost; ma anche attraverso processi di fallout atmosferico.

Quando il Pb è rilasciato nell’ambiente esso ha un lungo tempo di residenza rispetto agli altri inquinanti. Il Pb e le sue componenti tendono ad accumularsi nei suoli e nei sedimenti dove, a causa principalmente della loro bassa solubilità e indipendenza dalla degradazione microbica, rimarranno per molto tempo biodisponibili (Davies, 1995).

Il Pb è presente in suoli non contaminati a concentrazioni < 20 mg/kg ma concentrazioni molto più alte sono state rilevate in molte aree come conseguenza di emissioni antropogeniche. Tale elemento si accumula naturalmente sull’orizzonte superficiale del suolo, mentre si assiste alla perdita di Pb per lisciviazione. La maggior parte dei metalli pesanti, incluso il Pb, rimane in una forma insolubile o stabile nello strato superficiale dopo l’applicazione di fanghi.

Solo una parte del Pb totale è disponibile per la pianta. C’è una relazione positiva tra la concentrazione di Pb nel suolo e quello nella pianta. Diversi parametri del suolo influenzano l’assorbimento di Pb. Tale elemento può influenzare le attività microbiche nel suolo e in tal modo ridurre la produttività del suolo. Per esempio il Pb potrebbe inibire la mineralizzazione dell’azoto e la nitrificazione (Davies, 1995).

(32)

RAME

Il rame (Cu) è uno dei più importanti ed essenziali elementi per piante e animali. Relativamente scarso nella litosfera (70 mg/kg), si trova, come ione idrato, solo lo ione rameico Cu2+. Nei suoli è presente in concentrazioni intorno ai 30 mg/kg. Tale elemento è associato con la sostanza organica nel suolo, con gli ossidi di ferro e di manganese, con i silicati e con altri minerali.

I composti rameosi esistono solo come composti insolubili o, in soluzione acquosa, come complessi. Fonti di inquinamento sono i tubi per l'acqua, gli utensili da cucina di rame o ramati, la presenza di industrie del ferro e dell’acciaio, la combustione del carbone e i rifiuti urbani.

Il rame è scarsamente tossico per l’uomo e per gli animali, mentre può risultare tossico anche a concentrazioni basse per le piante. Fonti atmosferiche di Cu al suolo sono riconducibili alla pioggia e alle deposizioni secche dovute alle emissioni industriali di Cu.

La concentrazione di rame nel suolo è funzione del tipo di suolo, delle caratteristiche dei materiali originari e dell’utilizzo di sostanze contenenti metalli pesanti; sostanze utilizzate per la difesa antiparassitaria (in particolare contro gli insetti e funghi infestanti le piante), o per la fertilizzazione, soprattutto con reflui zootecnici. In particolare l’elevato contenuto di rame nelle deiezioni zootecniche è dovuto all’utilizzo di integratori e additivi alimentari che contengono questo elemento. Le concentrazioni più elevate di rame sono tipiche di molti suoli utilizzati per la viticoltura. In particolar modo, le concentrazioni di Cu nelle piante sono comprese in un range che va da 5 a 20 mg/kg, e che può essere esteso fino a 30 mg/kg. Infine, il rame è un elemento relativamente immobile nelle piante.

(33)

ZINCO

Lo zinco (Zn) è un elemento non nocivo né per animali né per piante. Le fonti

principali di emissioni sono il traffico veicolare, le fonderie, gli inceneritori, la

combustione del carbone, la preparazione di vernici e gomma, i fertilizzanti e i pesticidi.

Il comune range per la concentrazione totale di Zn nei suoli è 10-300 mg/kg con una media di 50 mg/kg. La concentrazione di zinco nel suolo è riconducibile in parte a naturali processi di degradazione dei substrati geologici, da cui i suoli stessi traggono origine, in parte è funzione dell’utilizzo di sostanze per la difesa antiparassitaria o per la fertilizzazione. In particolare, l’elevato contenuto di zinco nelle deiezioni zootecniche è dovuto all’utilizzo di integratori e additivi alimentari che contengono questo elemento. L’importanza relativa delle differenti sorgenti di input di Zn al suolo (Kiekens, 1995) diminuiscono secondo tale ordine:

letame (70%) > fall-out atmosferico (25%) > fertilizzanti minerali (4,5%) > compost (0,3%) > fanghi (0,2%).

La forma ionica Zn2+ sembra essere la forma predominante in cui è assorbito

dalle radici delle piante, ma anche lo Zn idratato, diversi altri complessi e lo Zn organico chelato possono essere assorbiti (Kabata-Pendias e Pendias, 1992).

Principalmente i fattori che influiscono sulla disponibilità dello Zn nei suoli sono: il pH, la sostanza organica, l’attività microbica e l’umidità. Altri fattori che giocano un ruolo importante sono anche le condizioni climatiche e le interazioni tra Zn e altri micro-macronutrienti a livello del suolo e della pianta. Insieme con Cu, Ni e Cr, lo Zn è fitotossico: eccessive concentrazioni di suddetto metallo in traccia comportano effetti dannosi alle colture e alla fertilità del suolo.

Lo Zn può essere considerato, insieme con il Cd, un metallo mobile e biodisponibile; può quindi essere accumulato nelle colture, entrare nella catena alimentare e raggiungere l’uomo.

(34)

1.3. Gli idrocarburi

COMPOSIZIONE

Gli idrocarburi sono un insieme piuttosto eterogeneo di circa un migliaio di molecole organiche, naturali e di sintesi, composte essenzialmente da carbonio ed idrogeno, anche se possono includere eteroatomi come ossigeno, azoto, zolfo, metalli o alogeni (Farnè, 2005).

Tali sostanze, in funzione della loro struttura, sono suddivise in (Davini et al., 2001):

a) Idrocarburi alifatici, sono una classe di sostanze organiche lineari, ramificate o cicliche, sature o insature, composte da carbonio ed idrogeno (nel caso dei derivati alogenati sono presenti alogeni). Sono molecole a basso o medio peso molecolare e tendono a trovarsi allo stato gassoso o liquido, in funzione della tensione di vapore e del punto di ebollizione che hanno. Comprendono alcani, alcheni, alchini e dieni.

b) Idrocarburi aromatici: sono una classe piuttosto eterogenea di molecole organiche, naturali e di sintesi, costituite da uno a sette anelli aromatici condensati. Sono sostanze presenti in natura allo stato liquido e solido e sono caratterizzate dall’avere una ridotta solubilità ed un’elevata tensione di vapore; possono avere reazioni di sostituzione con composti alogenati e presentare gruppi alchilici laterali. A questa classe appartengono gli idrocarburi monoaromatici, i BTEXS (Benzene, Toluene, Etilbenzene, Xileni, Stirene), e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA);

c) Idrocarburi eteroatomici: sono particolari molecole che contengono uno o più atomi diversi da carbonio, idrogeno e alogeni. In funzione dell’eteroatomo presente sono distinti in tre sottoclassi. Ne fanno parte i Furani, le Purine, le Pirimidine e gli idrocarburi Zolfo-derivati;

d) Asfalteni e metallorganici: sono un gruppo di sostanze organiche ad elevato peso molecolare ed altamente idrofobiche, che possono avere legate a sé metalli di transizione. Sono composti che sono presenti allo stato solido e sono suddivisi in Asfalteni e Porfirine.

(35)

CARATTERISITICHE CHIMICO-FISICHE

Le caratteristiche chimico-fisiche degli idrocarburi non sono la semplice sommatoria delle singole proprietà delle molecole che li compongono. In linea generale, per classi omogenee di composti, è possibile individuare andamenti regolari delle loro proprietà chimico-fisiche.

Sono composti altamente infiammabili con forti rischi di incendio, i cui vapori, più pesanti dell’aria, creano sovente miscele esplosive.

Gli idrocarburi a basso o medio peso molecolare e tendono a trovarsi allo stato gassoso o liquido, mentre quelli a medio-alto e alto peso molecolare sono solidi (amorfi o cristallini).

Con il crescere del numero degli atomi di carbonio si osserva un aumento della densità, dell’adesione alle matrici solide, delle temperature di fusione e di ebollizione, del carattere idrofobico, del tempo di emivita e del flash point; mentre si ha una contemporanea diminuzione della tensione di vapore, della mobilità, del coefficiente di diffusione in aria, della solubilità in acqua e della campana di esplosività. Ad esempio gli alcani con più di dieci atomi di carbonio tendono ad essere poco mobili nel sottosuolo ed a parità di peso molecolare i corrispettivi idrocarburi aromatici tendono ad essere più solubili in acqua.

Infine, le sostanze che presentano eteroatomi capaci di creare legami di coordinazione (ad esempio ossigeno, azoto e zolfo), risultano molto più mobili e solubili in acqua.

VIE DI MIGRAZIONE

Gli idrocarburi sono sostanze immiscibili con l’acqua e per questo vengono detti

NAPLs: Non-Aqueous Phase Liquids. Il loro comportamento nel suolo insaturo e

nella falda dipende, oltre che dai parametri chimico-fisici precedentemente descritti, dalla loro densità. La maggior parte dei prodotti petroliferi (benzine, carburanti avio, cherosene e gasolio da autotrazione) sono meno densi dell’acqua, e sono chiamati per questo LNAPLs: Light Non-Aqueous Phase Liquids; mentre i restanti (oli combustibili ed asfalteni ad esempio) sono detti DNAPLs: Dense Non-Aqueous

(36)

Quando sono rilasciati nel suolo, i NAPLs si muovono verso il basso attraverso i pori della zona insatura, restando in parte adesi alle particelle del suolo (saturazione residua). Proseguendo nella loro migrazione, essi arrivano nella zona satura e, in vicinanza della frangia capillare, i LNAPLs si espandono orizzontalmente, con una minima penetrazione al di sotto del livello di falda, e vengono trascinati da essa lungo la direzione di deflusso di falda. I DNAPLs invece penetrano nella falda sino a raggiungere lo strato impermeabile che la delimita (Kremesec, 2005).

Data la loro scarsa solubilità in acqua, essi si trovano negli ambienti acquatici essenzialmente nei sedimenti e questo comporta che vengano immobilizzati ed accumulati; vanno così a costituire una riserva inquinante che, tramite un continuo e lento rilascio, determina una cronica presenza di idrocarburi pesanti nelle acque superficiali e del sottosuolo.

Nel tempo la composizione della fase idrocarburica cambia continuamente: ogni specie chimica si ripartisce infatti tra le fasi del sistema (acquosa, oleosa, di vapore, solida), secondo coefficienti di partizione dettati da leggi termodinamiche e muovendosi tra esse. Il contatto con la falda e l’accumulo per infiltrazione degli inquinanti causano una lenta e continua dissoluzione di alcuni costituenti chimici della massa idrocarburica nell’acqua; i costituenti volatili possono muoversi nella fase gassosa interstiziale e quindi liberarsi nell’atmosfera, mentre gli idrocarburi trattenuti dal suolo tendono ad accumularsi.

A causa di questo complesso insieme di processi chimico-fisici, nel tempo i NAPLs si arricchiscono di componenti meno solubili e volatili, cioè delle frazioni più pesanti, che risultano più difficili da trattare.

TOSSICITÀ

Nella valutazione di un fenomeno di inquinamento da prodotti petroliferi non si può seguire la sorte di ogni singolo componente e perciò, oltre a ricercare il dato complessivo dato dagli “Idrocarburi Totali” o TPH (Total Petroleum Hydrocarbons), ci si concentra su un certo numero di contaminanti indicatori, che risultano rappresentativi delle proprietà chimico-fisico-tossicologiche delle varie classi idrocarburiche.

(37)

lubrificanti, vengono usati gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici); mentre nel caso in cui i contaminanti siano di peso intermedio come per i gasoli, sono considerati sia i BTEXS sia gli IPA. Tra i contaminanti indicatori vengono presi in considerazione anche gli additivi non idrocarburici presenti nei prodotti petroliferi come derivati alchilici del piombo e il Metil-Ter-Butil-Etere (MTBE), presenti nelle benzine con funzione antidetonante.

Per tali sostanze rappresentative vi sono, in letteratura, innumerevoli studi di tossicità, sia di tipo acuto, sia di tipo cronico. In linea generale è possibile definire andamenti regolari delle loro proprietà tossicologiche.

• Le sostanze a basso peso molecolare, con una minor idrofobicità e bassa

tensione di vapore, tendono a trovarsi allo stato gassoso e quindi i maggiori rischi sono a carico dell’apparato respiratorio dove manifestano effetti di elevata tossicità acuta sulle mucose (ustioni chimiche). Inoltre hanno effetti anestetici ma, normalmente, non hanno nè azione mutagena, nè effetti cancerogeni.

• Le sostanze a medio-alto peso molecolare hanno un’elevata idrofobicità e

tensione di vapore e sono allo stato liquido o solido, per cui le principali vie di somministrazione sono per ingestione e per contatto dermico. Tali sostanze inducono sia effetti acuti che cronici sulle zone colpite e, per le sostanze aromatiche (sia mono che policicliche), si ha la certezza di una loro azione mutagena, carcinogena e genotossica.

BIODISPONIBILITÀ

Un fattore di cruciale importanza nei processi di biorisanamento è la biodisponibilità dell’inquinante. Dal momento che gli idrocarburi sono scarsamente solubili in acqua e sono prontamente adsorbiti dalle particelle della matrice solida, presentano una ridotta mobilità, e quindi biodisponibilità per la degradazione a carico della comunità microbica (Irvine, 1998).

La biodisponibilità degli idrocarburi viene influenzata da (Farnè, 2003):

• fenomeni di chelazione: diversi composti inorganici ed organici sono in

(38)

• fenomeni di adsorbimento, desorbimento e partizione: una matrice che

presenta un’elevata quantità di materiale organico (principalmente sostanze umiche), ha alte capacità adsorbenti, soprattutto per i composti idrofobici; questi composti partiscono preferenzialmente nella fase organica e vengono rilasciati con più difficoltà;

• altri fattori: tra essi abbiamo la forza ionica (un suo aumento riduce l’entità del desorbimento e quindi solubilità dell’inquinante), il potenziale redox (la sua diminuzione può causare la dissoluzione degli ossidi di ferro e di manganese, inducendo il rilascio dei contaminanti ed aumentando la mobilità all’interno della matrice) e l’ossigeno disciolto (gli ossidi di ferro e di manganese in seguito alla loro precipitazione, adsorbono la sostanza organica, immobilizzando il contaminante).

Alcuni microrganismi hanno la capacità di rendere maggiormente biodisponibili i composti organici a bassa solubilità in acqua, producendo biosurfattanti. L’uso di tensioattivi infatti può favorire il rilascio degli idrocarburi pesanti dal terreno, sia perché essi riducono la tensione superficiale all’interfaccia suolo-inquinante, sia perché i contaminanti si ripartiscono con il tensioattivo stesso, aumentandone così la biodisponibilità.

(39)

1.4. Aspetti normativi

La normativa italiana che regola la bonifica dei siti inquinati è la quarta parte del decreto legislativo n.152 emanato il 3 Aprile 2006, recante “Norme in materia ambientale”, noto come Testo Unico Ambientale, ed entrato in vigore dal 29 aprile del 2006. Il decreto in questione è stato di recente modificato, in maniera non sostanziale, dal D.Lgs. 4/2008.

Nell’art. 178 del D.Lgs. 152/2006 viene definita la finalità “…La gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse ed è disciplinata dalla quarta parte di questo decreto al fine di assicurare protezione ambientale, controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti pericolosi. I rifiuti devono essere recuperati e smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente, e in particolare senza determinare rischi all’acqua, aria, suolo, fauna e flora, causare odori e rumori, danneggiare il paesaggio ed i siti interessati”.

Quanto ai limiti di legge relativi ai contaminanti organici ed inorganici rilevati nel corso della nostra sperimentazione, il D.Lgs. 152/2006 (tab. 1 dell’allegato 5, alla parte quarta), relativamente ai siti da bonificare stabilisce i limiti indicati in tabella. Le modifiche apportate dal D.Lgs. 4/2008 non hanno interessato tali limiti.

Tabella 1.2 Concentrazioni limite di metalli pesanti e idrocarburi nel suolo come stabilito dal D.lgs. 152/2006, tabella 1 dell’allegato 5 alla parte quarta, modificato dal D.Lgs. 4/2008.

Uso A

(siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale)

mg/kg

Uso B

(siti ad uso commerciale o industriale) mg/kg Zinco 150 1500 Rame 120 600 Piombo 100 1000 Cadmio 2 15 Nichel 120 500 Cromo 150 800 Idrocarburi totali 60 1000

(40)
(41)

2. Tecniche di bonifica

Fino agli inizi degli anni ’80, la percezione della contaminazione dell’ambiente e del territorio nei paesi maggiormente industrializzati era generalmente associata agli incidenti, con conseguenze spesso catastrofiche per la salute e per l’ambiente. La risposta politica che ne derivò fu rivolta ad ottenere il massimo controllo dei rischi. Secondo tale approccio, la contaminazione doveva essere rimossa totalmente o completamente confinata. Sulla base di tali esigenze gli anni ‘70 e ‘80 hanno visto nelle operazioni di decontaminazione un massiccio uso di metodi chimici, basati sull’utilizzo di solventi e di altre sostanze di sintesi.

La fine degli anni ’80 e poi gli anni ’90 sono stati caratterizzati dalla presa di coscienza collettiva di quanto la qualità dell’ambiente fosse realmente peggiorata. Oggigiorno i siti contaminati, il cui numero nei paesi più industrializzati è cresciuto esponenzialmente nell’ultimo decennio, non sono più percepiti in termini di pochi e severi incidenti, ma piuttosto come un problema infrastrutturale e produttivo di grande intensità ed importanza; un problema molto più diffuso di quanto si potesse inizialmente stimare.

La diffusione sempre maggiore del problema e la sua percezione presso l’opinione pubblica, ha reso necessaria la ricerca di metodologie, sicure ed a costi contenuti, per il disinquinamento e il recupero dei siti contaminati. In questa ottica lo scopo di ogni strategia di decontaminazione dovrebbe essere quello di ripristinare, nel sito trattato, livelli di qualità compatibili con la sopravvivenza di esseri viventi, rispondendo nel frattempo a principi di economicità, facile applicabilità e bassi o nulli rischi d’impatto ambientale. In altre parole la tecnica di bonifica adottata dovrebbe essere in grado non solo di assicurare la rimozione dei contaminanti e di impedire la loro diffusione nell’ambiente circostante, ma dovrebbe anche ripristinare le normali condizioni chimico-fisiche e funzionali del suolo nel sito sottoposto a bonifica.

(42)

CLASSIFICAZIONE DELLE TECNICHE DI BONIFICA

Le tecnologie disponibili per la conduzione di bonifiche di siti contaminati sono diverse. Purtroppo la più diffusa rimane ancora il conferimento in discarica: una tecnica che, sebbene costituisca a volte l’unica alternativa praticabile, non risolve il problema, ma si limita a trasferirlo nello spazio e nel tempo. Tale approccio è non solo costoso, ma comporta anche la perdita del suolo.

Più interessanti sono invece le strategie di risanamento che si ripropongono di rimuovere l’inquinante, ma che consentono anche una riutilizzazione del suolo. Strategie distinguibili fondamentalmente in due tipologie: strategie di tipo

ingegneristico, basate principalmente su metodologie chimiche, fisiche e termiche e

strategie biologiche, cioè che si avvalgono di agenti biologici per la decontaminazione (Bollag e Bollag, 1995).

¾ I trattamenti chimici comprendono tipicamente reazioni redox che trasformano

gli inquinanti in composti meno tossici o meno mobili.

¾ I trattamenti fisici si basano su sistemi in grado di separare i contaminanti dalla

matrice solida o liquida e di ottenerli in forma concentrata, destinandoli poi a un trattamento finale.

¾ I trattamenti termici possono indurre la separazione dell’inquinante mediante

desorbimento/volatilizzazione, oppure causarne la distruzione per pirolisi; o ancora provocarne l’immobilizzazione mediante fusione della matrice solida nella quale si trovano.

¾ I trattamenti biologici, comunemente chiamati tecnologie di bioremediation, utilizzano i microrganismi in particolare e gli organismi viventi in generale (piante, organismi della pedofauna) per degradare i contaminanti presenti nei suoli, nei sedimenti o nelle acque. I contaminanti organici, che rappresentano per i microrganismi una fonte di nutrimento, vengono generalmente degradati ad anidride carbonica e acqua (in condizioni aerobie). L’impiego di metodi biologici si sta diffondendo grazie anche all’efficacia da essi dimostrata e ai costi notevolmente inferiori rispetto ai tradizionali metodi di bonifica.

(43)

Figura 2.1 Tecniche di bonifica

I processi d bonifica possono essere applicati:

• in situ: cioè direttamente sul luogo della contaminazione;

• ex situ: cioè dopo avere effettuato l’escavazione del suolo o del sedimento contaminato. A loro volta i trattamenti ex situ vengono definiti: on site se effettuati sul luogo dell’escavazione, off site se è necessario ricorrere a impianti localizzati altrove (ad esempio bioreattori).

Le tecnologie di bonifica possono poi essere raggruppate in tre classi, ottenute tenendo conto del tipo di azione esercitata sui contaminanti:

• separazione e concentrazione: l’inquinante viene separato dal suolo o dalla fase liquida, concentrato e inviato a un trattamento finale;

• trasformazione: l’inquinante viene convertito mediante reazioni chimiche o biologiche in un prodotto meno pericoloso o innocuo;

• immobilizzazione/inertizzazione: la mobilità dell’inquinante viene ridotta o mediante la formazione di prodotti molto poco solubili o per inglobamento in una matrice che ne impedisce fisicamente il movimento.

(44)

Tabella 2.1 Principali tecnologie di bonifica di siti inquinati

Tecniche termiche

Desorbimento termico (in situ,ex situ) Incenerimento (ex situ)

Pirolisi (ex situ)

Soil vapor extraction termally enhanced (in situ) Steam extraction enhanced (in situ)

Vetrification (in situ)

Tecniche chimiche e chimico-fisiche

Chemical flushing (in situ) Dealogenazione chimica (ex situ) Lavaggio con solvente (ex situ) Ossidazione catalitica

Ossidazione chimica (in situ, ex situ) Permeable chemical treatment wall (in situ) Chemical reduction (in situ)

Soil steam injection (in situ) Soil vapor extraction (in situ) Soil washing

Supercritical water oxidation Tecnica elettrocinetica (in situ)

Trattamento meccano-chimico (ex situ) Trattamento su carbone attivo (ex situ) UV oxidation

Tecniche di Bioremediation

Bioventing (BV) e Biosparging (BS) (in situ) Natural attenuation (NA)

Compostaggio Biopile (ex situ) Bioreattori (ex situ) Landfarming (ex situ) Phytoremediation (in situ) Rotating biological contactoers Slurry bioremediation

(45)

2.1. La bioremediation

Le tecnologie di bonifica biologiche sono chiamate anche col nome di biorisanamento o bioremediation e sfruttano le capacità degradative dei microrganismi indigeni o esogeni, per detossificare, degradare e rimuovere i contaminanti ambientali (Farnè, 2003).

Si tratta di strategie volte al recupero di ambienti inquinati, ed in particolare di suoli e acque contaminate. L’Accademia Americana di Microbiologia, definisce la bioremediation: “the use of living organisms to reduce or eliminate environmental

hazard resulting from accumulation of toxic chemicals and other hazardous wastes”

(Adriano et al., 1999). Tale definizione, piuttosto ampia, fa riferimento all’uso nel risanamento ambientale di organismi viventi in genere, al fine di abbattere o eliminare sostanze potenzialmente pericolose; comprese quelle sostanze, normalmente non tossiche, che possono diventarlo in concentrazioni eccessive.

In queste tecniche biologiche un ruolo centrale è svolto dai microrganismi, grazie alla loro naturale versatilità metabolica e alla loro capacità di trasformare numerose sostanze, anche quelle normalmente definibili xenobiotiche, cioè del tutto estranee al complesso metabolico ed enzimatico di ogni organismo vivente. I microrganismi possono potenzialmente detossificare numerosi ambienti inquinati, utilizzando sostanze organiche inquinanti come fonte di energia e di nutrienti; e quindi determinando la loro decomposizione in composti più semplici fino a CO2 e acqua.

Nelle tecniche di disinquinamento biologiche, oltre ai microrganismi, sono usati anche organismi della pedofauna (lombrichi in particolare) e le specie vegetali (phytoremediation).

I principali protagonisti dei processi biologici, sono le proteine enzimatiche, che hanno un ruolo fondamentale nella bioremediation; alcuni esempi della loro applicabilità e possibile efficacia sono ampliamente riportati in letteratura (Nannipieri e Bollag, 1991 ).

(46)

CLASSIFICAZIONE DELLE TECNICHE BIOLOGICHE

Le metodologie biologiche più diffuse sono (Farnè, 2005; Smith e Hinchee, 1993; Nyer, 1996; USEPA, 1998; Robertiello e Carrera, 2005):

A. Bioventing (BV) e biosparging (BS): sono tecnologie di biorisanamento in situ

simili tra loro, in cui si stimola la degradazione microbica autoctona fornendo: ossigeno atmosferico, mediante lance infisse nel suolo (BV) e nella falda (BS), e i nutrienti minerali, attraverso idonei dispersori detti sparger. Sono tecnologie che si caratterizzano per i bassi costi ed il modesto impatto ambientale e sono particolarmente efficaci in suoli contaminati da idrocarburi di origine petrolifera.

B. Natural attenuation (NA): è una metodologia in situ che si basa sulla riduzione

della contaminazione per opera dei processi chimici, fisici e biologici che avvengono nell’ambiente (biodegradazione, dispersione, diluizione, adsorbimento, volatilizzazione, distruzione chimica, stabilizzazione). Tale approccio necessita di un accurato monitoraggio dei parametri chimico-fisico-biologici che sono alla base della decontaminazione del sito.

C. Landfarming: tecnologia on site che consiste nel disporre su una superficie non

permeabile uno strato inferiore al metro di materiale contaminato, assicurando nel tempo il mantenimento delle migliori condizioni per la degradazione microbica; e questo attraverso il rivoltamento del suolo e l’aggiunta di nutrienti minerali.

D. Biopile: tecnologia on site che prevede la formazione di cumuli, opportunamente

impermeabilizzati, di suolo inquinato a cui sono addizionati nutrienti e ammendanti, che ne migliorano lavorabilità e traspirazione. Inoltre, viene estratta l’aria presente per rimuovere i contaminanti più volatili e per richiamare aria nel cumulo, stimolando il processo di biodegradazione. Vengono anche installati sistemi di raccolta dei vapori e del percolato, per il loro successivo trattamento.

E. Bioreattori: è una metodica ex situ in cui il materiale da trattare viene trasferito

in un reattore, in cui si ha un sistema a tre fasi (solida, liquida, gassosa) sottoposto a continua miscelazione. I reattori sono essenzialmente di tipo slurry o a tamburo rotante. Questa tecnologia risulta costosa, ma consente maggiori possibilità di successo e tempi minori rispetto agli altri approcci biologici perché vi è un maggiore contatto tra flora microbica ed inquinante ed anche un accurato controllo (e la

(47)

bioreattori inoltre si possono inoculare microrganismi, o loro consorzi, selezionati per le loro peculiari caratteristiche biodegradative sui composti recalcitranti e persistenti; microrganismi provenienti dalle matrici contaminate (bioaugmentation).

F. Phytoremediation: è una metodologia in situ, relativamente recente e poco

costosa, che utilizza le piante superiori, ed i microrganismi ad esse associate, per bonificare siti contaminati da metalli pesanti, sostanze radioattive e inquinanti organici. Tale tecnica sfrutta più processi concomitanti: fitoestrazione ed accumulo nelle foglie, fitodegradazione e microdegradazione nella rizosfera, fitovolatilizzazione dalle foglie, fitostabilizzazione nella rizosfera per effetto di sostanze secrete che riducono la biodisponibilità e rizofiltrazione da parte dell’apparato radicale delle acque superficiali e di falda (Petruzzeli et al., 2005).

G. Mycoremediation: tecnologia ex situ che prevede l’utilizzo di funghi per la

degradazione di sostanze organiche recalcitranti xenobiotiche: idrocarburi mono e poliaromatici, fenoli clorurati, ammino, nitro e azoaromatici. Tale tecnica si applica per elevati e storici inquinamenti, dopo aver preventivamente adottato tecnologie non biologiche; oppure direttamente come bioaugmentation, in associazione ad altre metodologie biologiche (landfarming, biopile, bioreattori).

H. Compostaggio: consiste nella disposizione del terreno da trattare in cumuli o in

Figura

Figura 1.1 Rappresentazione schematica delle principali vie di migrazione   di un prodotto petrolifero rilasciato dal suolo (da Grillo, 2001)
Tabella 1.1 Effetto dei metalli pesanti sui processi metabolici delle piante.
Tabella 2.2 Costi unitari delle principali tecnologie di bonifica (Fonte: DOD EPA, 1997; Farne, 2005)  TECNOLOGIA DI
Figura 2.2 Immagine di batteri al microscopio.  BIODEGRADAZIONE DI COMPOSTI XENOBIOTICI
+7

Riferimenti

Documenti correlati

1)Confronto fra substrati di coltivazione in cultivar di rosa allevate in fuori suolo; 2) confronto varietale di Lisianthus allevato in fuori suolo al fine di ottenere

Le quantità di IPA residuate nel terreno di coltura confermano la maggior capacità di assorbimento del cardo mariano rispetto alla cicoria selvatica, tuttavia, entrambe

TUTTO QUELLO CHE SERVE PER MUOVERSI, CAMMINARE, STUDIARE, RESPIRARE, INSOMMA PER FARE TUTTO QUELLO CHE FACCIAMO. SERVONO ANCHE A FARCI

Il consumatore di lusso non vive in un mondo parallelo: i social network fanno parte anche della sua sfera d’azione, e i dati delle ricerche di mercato presenti in questa tesi ne

Il Centro promuove, costruisce e partecipa alla realizzazione di progetti di salvaguardia della biodiversità sul territorio, fornendo materiale vegetale da usare

Viene proposto un sistema di valutazione della sostenibilità delle pratiche di gestione dell’agroecosistema basato sui lombrichi, bioindicatori rappresentativi della biodiversità

Le schede che corredano questa pubblicazione sono frutto dei ritrovamenti incidentali di specie vegetali alloctone durante l’attività di monitoraggio biologico di alcuni fiumi

Dopo un periodo di decrescita, negli ultimi 4 anni la CIP media per la tossicità nei confronti dei lombrichi in Toscana è cresciuta attestandosi intorno a CIP=1,9.. Le