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Gli adolescenti e la trasgressione notturna

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Academic year: 2021

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Gli adolescenti e la trasgressione notturna

Giovanni Tagliaferro

Coordinatore Istituto Prevenzione A.P.R.E.

Abstract

Il vivere la notte come tempo di autorealizzazione rappresenta non solo una parte importante della cultura adolescenziale, ma anche una cassa di risonanza, che consente di leggere in tempo reale i significati, il senso, le espressioni simboliche del legame tra valori, trasgressione, crescita, autodeterminazione. La notte viene vissuta come tempo di rottura rispetto alla quotidianità noiosa del giorno e come spazio importante nello stile di vita dell’adolescente; come uno spazio esistenziale importante di ricerca, spesso fallita, della dimensione di sé, della libertà, dell’autonomia e del protagonismo, che spesso sfocia nell’esibizionismo, che la realtà sociale diurna solitamente non offre loro. La ricerca della trasgressione è il sintomo di un bisogno di significato esistenziale, di scoperta di sé, dei propri limiti e delle proprie potenzialità; perciò gli adulti non possono far finta di niente, riferendosi ai propri pregiudizi e ai propri stereotipi intorno al mondo adolescenziale e affermando che se gli adolescenti vogliono trasgredire lo possono fare tranquillamente di giorno, senza attendere necessariamente la notte.

1. Identikit degli adolescenti di oggi

Per cogliere l’identikit dell’adolescente, ci si avvale di metafore in grado di leggere le figure psichiche, educative, formative e gli stili di vita degli adolescenti contemporanei. Si può dire che si è passati dalla metafora di Narciso a quella di Peter Pan, alla figura dell’invisibilità, (Diamanti, 1999) intesa come una sorta di scotomizzazione/nascondimento della condizione/ insediamento, della condizione/soggettività giovanile entro le pieghe labirintiche e frammentate della società tecno-complessa, per finire con il concetto di “liquidità” teorizzato da Bauman (2002). La metafora di Narciso ha aiutato a comprendere le soggettività giovanili di massa degli anni Ottanta del Novecento (Lasch, 1981); la metafora di Peter Pan servì nel cuore degli anni Novanta, per comprendere i ragazzi che non vogliono crescere e che comunque sono aiutati a non crescere dall’adolescenza protratta, alimentata da un mondo adulto che sbarra le porte dell’ingresso nel mercato del lavoro. La metafora utilizzata da Diamanti, è una modalità di lettura che coglie aspetti rilevanti della soggettività nascosta, della mancanza di

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protagonismo e della forma di immersione dei ragazzi. Essa tenta di cogliere al tempo stesso la parte emersa e quella sommersa del pianeta adolescenziale di un tempo difficile e sconta per intero la scommessa sulla possibilità di leggere oltre la superficie.

Ultima metafora è quella dell’adolescenza liquida (Casoni, 2008). Oggi siamo in un’era di “identità liquida”, sempre più evanescente. Liquida è l’identità personale, liquida è quella sociale. Le ultime generazioni di adolescenti presentano una struttura identitaria, definibile con i termini “patchwork”, “post-moderna” o “liquida”, (Casoni, 2008) facendo riferimento agli effetti che le modificazioni socio-culturali producono sul soggetto e il venir meno di certezze consolidate riguardo alla sfera privata e alla sfera sociale, come ad esempio la provvisorietà della famiglia, segnata da separazioni, divorzi, ricostituzioni, impossibilità di prevedere un percorso formativo - lavorativo stabile e certo e imprevedibilità del proprio futuro economico. “La conseguente frammentazione o fluidificazione dell’identità non possiamo considerarla come patologia, rappresenta invece un adattamento alle mutate esigenze sociali ma, inevitabilmente, espone i nuovi soggetti a nuove forme di disagio” (Casoni, 2008, 35).

Bauman (2002) parla di “adolescenza liquida”. Come sappiamo la liquidità non ha forma se non contenuta: la sua forma è data dal contenitore; così sono alcuni adolescenti contemporanei che non sono contenuti. Winnicott (1974) ci parlava di holding, di accoglienza, di contenimento, inteso come compito materno nelle prime fasi evolutive dello sviluppo. L’accoglienza e il contenimento sono le caratteristiche della funzione materna. Infatti è nel primo rapporto con il corpo materno che si entra in contatto con l’altro, che si esperiscono i piaceri e le frustrazioni della relazione con l’altro diverso da noi. I segnali che ci vengono dall’adolescenza, sia quelli riferiti ad un’accettabile „normalità’ di condotte sia quelli devianti o psicopatologici, ci mostrano una perdita perciò sul registro materno, ma, ancor più, la sete di autorevolezza riguardo al „contenitore’ famiglia, rimanda ad un inadeguata esperienza sul registro paterno (Casoni, 2008). Eppure oggi, più che mai c’è fame di padre, come fame d’aria: la funzione paterna è fondamentale e tuttavia così carente; spesso scomparsa dalla scena familiare, oppure figura omologata sul registro materno (Argentieri, 1999). Anche per questo siamo immersi in una gruppalità sociale da cui gli adolescenti e i giovani stanno cercando di prendere le distanze, mettendo in atto pseudo-soluzioni quali, per esempio, chiusure narcisistiche, sindromi psicosomatiche, antisocialità, tossicomania, anoressia, bulimia, autolesionismo, suicidio: Eppure la funzione paterna è fondamentale per accedere ad un’esistenza libera, autonoma, orientata verso l’avvenire (Pergola, 2010a)

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L’eclissi del padre è totale ed è sicuramente la figura materna ad essere messa in crisi dall’adolescente “liquido” (Casoni, 2008). Madre e figlio soli e in crisi, al di là dell’apparente benessere che li circonda, sono alla ricerca di identità in una realtà che li impoverisce,perché basata sul gioco tra realtà e apparenza: alla scintillante superficie fatta di luci e colori, di consumo facile e di vita quotidiana, svolta in una temporalità fatta solo di presente e di una somma di attimi senza prospettiva, si contrappone una realtà più profonda, fatta di assenza di futuro o di assenza di prospettiva, pur in uno sterminato oceano di abbondanze fittizie e di offerte vitali (Casoni, 2008). Manca un filo di senso tra mille luci e colori elettronici in un infinito spazio permissivo che, ormai, per molti ha il sapore dell’indifferenza e dell’abbandono. I ragazzi di questa nostra epoca appaiono per tanti aspetti più svegli, più pronti di riflessi, messi spesso in condizione di doversela cavare da soli, ma appaiono come indeboliti da forme di iperprotezione. Si tratta di una «iperprotezione» istituzionale, entrata nel senso comune ancor prima di essere diventata sostanza di un’educazione informale e inconsapevole. Tale educazione trova la sua base di appoggio sui mass-media e sul gruppo dei pari.

In mezzo alla grande migrazione culturale e all’incessante trasformazione dei contesti è come se vi fosse negli adolescenti un’introiezione di una sorta di migrazione identitaria continua, (Galimberti, 2008) tipica di una fase storica, in cui è difficile trovare centri di riferimento stabili, o in cui tutto è centro come tutto è policentrico e acentrico. Molti adolescenti non trovano più punti di riferimento se non in un’indefinita libertà individuale vuota, che, data l’età, non può che autorappresentarsi più o meno consapevolmente come corpo. È sotto quest’ultima angolazione che si spiega l’accanimento di molti di loro sul corpo vivo, nel fare e nel farsi male (Rosci, 2003). Tatuaggi, metalli conficcati dappertutto, piercing, droghe pesanti e leggere (dal corpo vivo alla psiche artificializzata) violenza su di sé e sugli altri. Anche la scuola non rappresenta, agli occhi della stragrande maggioranza dei ragazzi, alcuna autorevolezza e non sostituisce né compensa la famiglia dissestata, anzi finisce per essere una sorta di male necessario, che si deve attraversare come un rito adolescenziale (Galimberti, 2008). Essendo inoltre il periodo scolastico coincidente con il momento del massimo conflitto con le figure genitoriali c’è il rifiuto più o meno consapevole della scuola e degli insegnanti, i quali diventano l’espressione della lotta con i genitori e le loro aspirazioni interiorizzate; si genera così ostilità e insieme autosvalutazione e sensi di colpa. Una ragazza barese di 16 anni così riferisce il suo vissuto: «Rimango davanti al televisore fino a mezzanotte e con il "Costanzo

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qualche volta mi addormento, studio un po’, poi esco. Arrivano le mie amiche, Marika e Valentina con lo Scarabeo; andiamo girando in centro, o a Poggiofranco, magari prendiamo un caffè. Dovrei tornare alle nove ma sforo sempre [...] Sono casinista, anche a scuola» (Di Stefano, 2002, ). E' questo l'identikit di una parte degli adolescenti del nostro tempo, che vivono in un mondo sgretolato, confusionario, permissivo. Sono adolescenti incapaci di gestire le perdite, le rinunce e d’intessere relazioni affettive stabili. Dovranno allora cercare il modo di nascondersi o non vivere la sofferenza per il distacco dal mondo infantile idealizzato, rinunciando all’immagine grandiosa di Sé, a quella idealizzata del proprio corpo fantasticato come bisessuale, a quella dei genitori onnipotenti (Pergola, 2010a).

1.1. Gli adolescenti e il nulla

“Cosa succede quando la crisi non è più l’eccezione alla regola, ma essa stessa regola nella nostra società?” (Benasayag-Schmit, 2003, 13). È questo un profondo interrogativo che tutti ci dobbiamo porre nell’osservare la società attuale abitata da adolescenti che naufragano in deserti emozionali, posseduti dall’ospite inquietante, come lo chiamava Nietzsche: il nichilismo (Nietzsche, 1888-1887, 127). “Quello che egli vuole è lo spaesamento. Per questo non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia” (Heidegger, 1955-1956, 337). Chi è preparato a rispondere, a prestare soccorso agli adolescenti? Solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma è la loro stessa vita (Galimberti, 2008, 11).

Le famiglie si allarmano, la scuola non sa cosa fare, le agenzie educative non trovano modalità d’intervento. “Interrogati, gli adolescenti, non sanno descrivere il loro malessere perché ormai hanno raggiunto quell’analfabetismo emotivo che non consente di riconoscere i propri sentimenti e soprattutto di chiamarli per nome” (Galimberti, 2008, 11). Viviamo nel deserto della comunicazione. La famiglia non desta più alcun richiamo e la scuola non suscita alcun interesse, perciò “tutte le parole che alludono alla speranza, le parole che promettono, le parole che vogliono lenire la loro segreta sofferenza, languono intorno a loro come rumore insensato” (Galimberti, 2008, 12). La musica nelle orecchie come placebo, come barriera protettiva per non ascoltare questo urlo silenzioso che lacera, per anestetizzare il dolore o per provare qualche emozione. L’uomo è rivolto alla

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costruzione del senso della propria esistenza e per gli adolescenti, trovandosi nel deserto dell’insensatezza, che l’atmosfera nichilista del nostro tempo diffonde, il disagio non è più psicologico, ma culturale. È allora sulla cultura collettiva che bisogna intervenire e non sul singolo (Galimberti, 2008, 12).

Figli del nulla è l’appellativo nel quale possono riconoscersi intere generazioni di adolescenti, permeati da un abissale senso di vuoto, che alimenta inquietudine, ribellione, angoscia, panico, smarrimento. Esiste un buon motivo per alzarsi dal letto e affrontare una nuova giornata? C’è una ragione del proprio esserci? Qual è il senso della vita? Tali domande rivelano come il problema sia non il senso di vuoto in sé, ma ciò che nel vuoto si evidenzia e con cui dobbiamo fare i conti: esistere. La nostra epoca, crollato il mito dell’onnipotenza, rischia di farsi trascinare in un discorso sulla sicurezza che giustifica la barbarie e l’egoismo e che invita a rompere tutti i legami (Galimberti, 2008).

Quando una società in crisi, per proteggersi e sopravvivere, aderisce massicciamente e in modo irriflesso ad un discorso di tipo paranoico, é la barbarie che bussa alla porta (Benasayag-Schmit, 2003, 127-128). “La nostra epoca sarebbe passata dal mito dell’onnipotenza dell’uomo costruttore della storia ad un altro mito simmetrico e speculare, quello della sua totale impotenza di fronte alla complessità del mondo” (Benasayag-Schmit, 2003, 23). Se Freud ne Il disagio della civiltà poteva affermare che “in mancanza della felicità gli uomini si accontentano di evitare l’infelicità”, oggi sembra che perfino evitare l’infelicità sia un compito troppo arduo. Viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le passioni tristi (1959, 213): l’impotenza e la disgregazione. La fine dell’ideale positivista ha gettato gli uomini nell’incertezza e la crisi si manifesta in una miriade di violenze quotidiane dette, in gergo, attacchi contro i legami (ibidem). Non ci si può stupire, allora, se vediamo gli adolescenti colpiti da una sorta di autismo informatico, tuffati in videogiochi dove diventano vincitori di battaglie virtuali contro il nulla, estraniati dal mondo circostante e dalla scienza che offre tecniche per risolvere problemi, ma lascia nell’ignoranza e nell’oscurità.

L’eclissi della funzione paterna, o forse il tracollo del principio di autorità, apre la strada a varie forme di autoritarismo, perché in una società dove i meccanismi di autorità si sono indeboliti non s’inaugura un’epoca di libertà, ma un periodo di arbitrarietà (Pergola, 2010). Nella relazione genitore-figlio percepita come simmetrica, l’adulto, incapace ormai di contenere le pulsioni e l’ansietà del giovane, si propone come “adulto-venditore”, che utilizza prima la via della seduzione per legittimarsi, poi quella della coercizione (Casoni,

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che per la sua “anteriorità” può farsi garante di una tradizione e assumersi la responsabilità di dare un ordine all’evoluzione, senza bloccarne il cambiamento. Invece, nell’atmosfera esistenziale che si vive, gli adulti appaiono sempre più disorientati e incapaci di offrire un futuro di promesse; gli adolescenti, dal canto loro, percepiscono di essere sotto minaccia e reagiscono tentando di scappare per sottrarsi al disastro. Ma rimanere adolescenti non si può. (Galimberti, 2008, 28-30). Per Benasayag e Schmit (2003) non è più possibile oggi parlare di adolescenza prolungata, perché ognuno si trova nell’impossibilità di vivere la propria adolescenza, dal momento che la società non è più in grado di offrire il contesto protettivo e strutturante che essa esige. Gli operatori sul territorio devono affrontare situazioni tragiche, o a volte comiche, che dipendono dalla mancanza di un contesto familiare strutturante che porta l’adolescente a “farsi il suo Edipo con la polizia” (Galimberti, 2008, 29), spostando la scena nella città o nel quartiere, non trovando nell’ambito familiare un quadro sufficientemente stabile. (Benasayag-Schmit, 2003, 36-37). Senza rendersene conto la nostra società ha prodotto un’ideologia della crisi. “La crisi non è tanto del singolo quanto il riflesso nel singolo della crisi della società”. (Galimberti, 2008, 25-26). Le istituzioni educative agiscono come se non ci fosse alcuna crisi, cercando di superare le difficoltà con buona volontà e servendosi di “ideali patchwork” (Casoni, 2008). Gli educatori pensano soltanto di formare gli adolescenti per fronteggiare un futuro alquanto difficile e minaccioso. Freud sosteneva che “la scuola non deve mai dimenticare di avere a che fare con individui ancora immaturi, ai quali non è lecito negare il diritto di indugiare in determinate fasi, seppur sgradevoli, dello sviluppo. Essa non si deve assumere la prerogativa di inesorabilità propria della vita; non deve essere più che un gioco di vita.” (Freud, 1910, 301-302). “Così la nostra società diviene sempre più dura: ogni sapere deve essere utile, ogni insegnamento deve servire a qualcosa”. (Benasayag-Schmit, 2003, 44). Non ci si può concedere il lusso di imparare cose che non servono né scegliere un mestiere perché piace: si è creata di colpo una tacita gerarchia dei mestieri, per cui la scelta di certe professioni dipende da un fallimento del percorso scolastico e la percezione di gran parte della società è che un infermiere è uno che non era in grado di fare il medico. Pensare appare un lusso pericoloso.

Freud nel suo saggio Al di là del principio del piacere (1970) affermava che chi adotta un comportamento per lui nefasto non lo fa per ignoranza del pericolo, ma al contrario, attraverso questa negatività del comportamento prova un godimento che non ha nulla a che vedere con il piacere, ma che si pone appunto al di là del principio del piacere. In altre parole, non ci si danneggia per ignoranza e dunque non ci si salva per informazione.

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Ecco perché il principio educativo che pone la minaccia in primo piano può provocare paradossalmente un aumento delle vittime, come nel caso di avvertimenti riguardanti la velocità, i pericoli del fumo, il collegamento tra morte e piacere sessuale. All’epoca del mito del progresso si credeva che nessuno si sarebbe consegnato al pericolo con cognizione di causa. Si riteneva che l’informazione avrebbe consentito di accedere gradualmente a quel “regno dei lumi” al quale aspirava Kant (1955). Per noi questo sogno si è infranto e se educhiamo ricorrendo alla minaccia, sollecitiamo la pulsione di morte; tuttavia lo facciamo perché non riteniamo che quella attuale sia un’epoca propizia al desiderio e alla voglia di vita. «Ma è una trappola fatale, perché solo un mondo di desiderio, di pensiero e di creazione è in grado di sviluppare legami e di comporre la vita in modo da produrre qualcosa di diverso dal disastro. La nostra società non fa l’apologia del desiderio, fa piuttosto l’apologia delle voglie, che sono un’ombra impoverita del desiderio, al massimo sono desideri formattati e normalizzati. Come dice Guy Debord in La società dello

spettacolo, se le persone non trovano quel che desiderano, si accontentano di desiderare

quello che trovano» (Benasayag-Schmit, 2003, 63). È per questo che la grande sfida educativa è quella di promuovere spazi e forme di socializzazione animati dal desiderio, pratiche concrete che riescano ad avere la meglio sugli appetiti individualistici e sulle minacce che ne derivano.

Un’ultima questione fondamentale, se si vuole costruire una clinica in grado di aiutare davvero i giovani senza tradirli, è quella dei limiti che la società impone all’individuo. Servendosi delle categorie di Francoise Héritier, Benasayag e Schmit (2003) affermano che la nostra società tende a rendere pensabile (cioè accettabile a livello sociale) tutto ciò che è possibile (comprese quindi la brutalità e la violenza). La determinazione del pensabile e del non-pensabile una volta era regolata dai divieti imposti dal sacro o dal principio di realtà, ad esempio, l’antropofagia e l’incesto; oggi, invece, nella logica del possibile i divieti saltano e i messaggi scientisti inducono gli adolescenti all’abolizione di tanti divieti e limiti, per cui le pratiche pedagogiche e terapeutiche diventano controcorrente, se cercano di stabilire divieti e di risvegliare i giovani dal sogno di onnipotenza. “Purtroppo in questo mondo dove tutto è possibile, non si tratta di evitare la trasgressione, anzi la trasgressione è la regola. Si deve semplicemente evitare di farsi prendere: il corrotto impunito è il nuovo eroe di questi tempi senza fede né legge” (Benasayag-Schmit, 2003, 98). La sola cosa sacra è la merce. E niente e nessuno deve frenare lo sviluppo economico, meno che mai l’educazione.

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1.2. Adolescenti e comportamento a rischio

L’adolescenza rappresenta un “passaggio” cruciale non solo per il giovane, ma anche per l’organizzazione familiare intesa come un’unità; sancisce il passaggio dall’infanzia all'età adulta con i suoi peculiari mutamenti, le sue ambivalenze rispetto alla voglia e alla paura di “appartenere ed individuarsi”. Essa rappresenta, da un lato, l’occasione per sviluppare nuove capacità relazionali e personali, dall’altro un momento di forte vulnerabilità caratterizzato dalla messa in discussione degli equilibri personali. Si configura come un banco di prova per le aspirazioni, le abilità e le competenze che ogni giovane possiede e che risultano essenziali per affrontare le separazioni, le scelte e le sfide che il passaggio al mondo degli adulti comporta. Famiglia, scuola e gruppo dei pari rappresentano gli ambiti con cui un adolescente quotidianamente si rapporta; il suo futuro, il suo „quando sarò grande’, si realizza in parte dentro la famiglia, in parte fuori all’interno della scuola e tra gli amici, spazi in cui ogni adolescente misura se stesso e da cui provengono richieste che deve essere in grado di saper coordinare (Berti-Bombi, 2008).

Non è semplice valutare quanto sia difficile il passaggio all’età adulta perché la maggior parte degli adolescenti affronta e supera positivamente questa fase di transizione. Si può affermare però che i rischi che essa comporta sono più ardui per quegli adolescenti che dispongono di capacità personali e relazionali povere. Se non affrontati nel modo adeguato tali rischi possono determinare l’instaurarsi di stili di vita pericolosi. Oggi molteplici sono i comportamenti adolescenziali problematici o a rischio, che a livello sociale rappresentano una crescente fonte di preoccupazione.

Sono definiti comportamenti a rischio quei comportamenti che mettono in pericolo a breve e a lungo termine la sfera fisica, psicologica e sociale dell’individuo; essi si presentano soprattutto durante l’adolescenza. Alcuni adolescenti mettono in atto comportamenti devianti di trasgressione sociale che possono dar luogo, in futuro, a disagi più gravi; altri, assumendo comportamenti alimentari disfunzionali, utilizzano il corpo come strumento di ribellione, e molto spesso fanno uso d’ecstasy, di spinelli e di alcool per sentirsi in sintonia con il contesto culturale del gruppo di riferimento, per essere “uno di loro” e per “sballarsi un po’”. Strettamente correlato è l’elevato numero di incidenti stradali che vede protagonisti ragazzi che, specie il sabato sera, nel rientrare nelle proprie abitazioni, dopo una lunga serata “immersi” in luoghi affollatissimi, dove con musica assordante consumano bevande super alcoliche insieme a sostanze eccitanti, lasciano lungo

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la strada una vita piena di sogni, aspettative e desideri. Non sempre però gli adolescenti conoscono le sostanze che consumano per sballarsi, per evadere o per trovare un modo alternativo di affrontare e risolvere le difficoltà che incontrano, né quali siano le conseguenze psico-fisiche e legali che ne derivano. “Gli adolescenti, di fronte alla scomparsa o all’indebolimento dei riti di passaggio, sostituiscono la metaforizzazione, con una ricerca dell’emancipazione più individuale, più libera, più solitaria rispetto agli adulti, un’emancipazione sottratta all’organizzazione sociale e, quindi, più pericolosa. Il rischio è il frutto di un’evoluzione della cultura giovanile, è la difesa dell’adolescente.” (Cozzi- Giorgi-Martorelli-Vallaro, 2005, 34)

I comportamenti a rischio adolescenziali possono essere considerati dei modi per provare sensazioni nuove e forti, con la componente relativa alla sfida e alla sperimentazione di sé (www.psyreview.org, 2004). Negli ultimi anni è aumentato considerevolmente lo studio sui comportamenti ad alto rischio degli adolescenti, messi in atto da soli o in gruppo, segnalati perché contengono elementi di auto o etero-distruttività: lanciarsi da un ponte legati ad un elastico; camminare sui cornicioni; attraversare torrenti in piena; guidare a forte velocità; sdraiarsi sulla riga di mezzeria di una strada; sfidarsi a chi si toglie per ultimo da una situazione pericolosa, come dai binari del treno o da uno scatolone in mezzo alla strada; uso di sostanze stupefacenti o alcoliche. Il rischio che questi comportamenti hanno sulla salute può essere immediato, come nel caso della guida pericolosa, prima causa di morte in età adolescenziale, oppure posticipato nel tempo, come nel caso dei disturbi dell’alimentazione, delle condotte sessuali a rischio, del fumo di sigarette, dell’assunzione di droghe e dell’abuso di alcool.

I conflitti e le crisi possono essere considerati una sorta di “patologia latente” che va seguita con attenzione e vigilanza allo scopo di evitare che essa si radichi nei meccanismi profondi di maturazione della personalità (Laufer, 1986). Choquet, Marcelli, Ledoux (1993) sulla stessa linea affermano che l’adolescenza stessa è un rischio, ovvero che non ci sarebbe adolescenza senza assunzione di rischi; un’adolescenza silente, senza nessun colpo di testa, potrebbe anche insospettire. Jack (1989) ha osservato che l’assunzione di rischi e la sperimentazione in genere, durante l’adolescenza, sono considerati comportamenti normali, perché aiutano i ragazzi a raggiungere una sana indipendenza, un’identità stabile e una maggiore maturità. Ciò nonostante, l’assunzione di rischi sembrerebbe essere una delle maggiori cause di mortalità tra gli adolescenti soprattutto quando essi sono vittime di incidenti. Jack (1989) ha evidenziato che anche le gravidanze adolescenziali sono spesso

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negative; gli incidenti sono visti come se capitassero solo agli altri, e ci si sente superiori anche al contagio di malattie come l’AIDS. Sembra che gli eventi negativi reali della vita non riguardino l’adolescente, che potrebbe ritenersi sempre al di sopra di tutto. Purtroppo le cronache e i dati statistici ci mostrano il contrario.

Una serie consistente di studi (Jessor et alii, 1977-1978) ha messo in rilievo che i “comportamenti a rischio” sono tra loro collegati e includono: il consumo di alcol, di tabacco e di droghe, il sesso non protetto, la guida pericolosa. Affermano che i comportamenti problematici non solo sono spesso correlati, ma indicano anche una disposizione a passare da una forma all’altra; i comportamenti a rischio non si presentano in modo isolato, ma si collegano in vere e proprie sindromi, o costellazioni, che comprendono differenti comportamenti (Bonino - Fraczek, 1996). Anche la guida spericolata, così come quella in condizioni psicofisiche alterate, non si presenta come un comportamento isolato, ma è legata ad altri comportamenti a rischio. La metà dei soggetti che guidano pericolosamente, è altamente implicata anche nell’uso di sostanze psicoattive e nelle condotte devianti.

Altri risultati a sostegno della teoria secondo la quale impegnarsi in qualunque comportamento problematico aumenta la disponibilità ad impegnarsi in altri comportamenti simili, sono stati riportati da Gregersen (1994). I dati riguardanti l’uso del tabacco e delle altre sostanze provengono dal “Youth Risk Behavior Survey” effettuato dai “Centers for Desease Control and Prevention”. I risultati mostrano che i fumatori abituali, rispetto ai non fumatori, hanno più probabilità di fare uso di altre sostanze (uso saltuario di cocaina e di altre sostanze illegali, uso contemporaneo di più sostanze, uso abituale di alcol, episodi di ubriacatura).

Ciò posto, occorre sottolineare la necessità di considerare gli aspetti positivi e funzionali del rischio che, per l’adolescente, può corrispondere ad una volontà profonda di rinnovarsi, ad un desiderio di indipendenza e di autonomia oppure all’esplorazione delle proprie capacità e dei propri limiti (Tursz, 1989). “Gli adolescenti agiscono all’interno di un contesto, non in modo causale, ma al fine di raggiungere scopi personalmente significativi. Dunque affermare questo implica la necessità di andare oltre la semplice descrizione di un comportamento, per comprendere quali significati esso assume per chi lo attua”. (Bonino- Cattellino-Ciairano, 2003, 35-36).

Jeammet (1991) evidenzia come la stessa fase adolescenziale potrebbe costituire di per sé un rischio, mettendone in evidenza la dimensione di crisi evolutiva corrispondente ad un’esigenza di cambiamento puberale, psichico e psicosociale. Ciò che caratterizza

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l’adolescenza, statisticamente parlando, è infatti la presenza di alcuni compiti evolutivi specifici, che riguardano l’acquisizione di un’identità sessuale stabile, il riconoscimento del sé corporeo, il distacco dal mondo infantile, la costruzione degli ideali.

I comportamenti a rischio assolvono spesso, a questa età, funzioni ben precise, sebbene siano dannosi dal punto di vista fisico, psichico e sociale; anzi sembrano fornire all’adolescente una via di uscita alle insicurezze e alle incertezze sperimentate in questa fase della vita e per quanto pericolosi per sé e per gli altri, potrebbero essere utili per l’affermazione della propria identità e per la costruzione di relazioni sociali affettive. Molti ragazzi riescono a raggiungere questi scopi attraverso strade adattive, perché senza mettere in pericolo il loro benessere fisico, psicologico e sociale, sono in grado di gestire le ansie e i problemi della discontinuità; altri, invece, realizzano i propri obiettivi solo con comportamenti a rischio (Bonino-Cattellino-Ciairano, 2003, 35-36). A volte per affermare la loro adultità ed autonomia, gli adolescenti ricorrono a condotte sessuali sconvenienti e molto precoci, in opposizione alle norme sociali e/o familiari, perché sentirsi adulto è fare, facendo ciò che fanno i grandi. Alcuni comportamenti, permettono anche l’identificazione con il gruppo dei pari: fumare sigarette, bere, avere rapporti sessuali come fanno i propri amici, permette di sentirsi come loro e facilita l’accettazione nel gruppo. Il gruppo dei coetanei ha, infatti, una funzione molto precisa e fondamentale per lo sviluppo e la crescita individuale; nei coetanei il ragazzo ha modo di riconoscere meglio la propria identità di adolescente, ha una conferma di ciò che egli è per stesso e per gli altri e ha la possibilità di condividere con loro nuove norme e nuove esperienze.

Del resto anche il sistema culturale e sociale sembra dare al concetto di “rischio” significati diversi che in passato. Se un tempo al concetto di rischio erano collegate valutazioni negative ed esso era visto come un “disvalore”, oggi si sta imponendo un modello di derivazione anglosassone che considera il rischio positivamente. Nella pubblicazione “Giovani verso il Duemila”, quarto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia (Buzzi,1997), la diversa percezione del rischio segnala lo spostamento di prospettiva da un orientamento verso traguardi di sicurezza, ad obiettivi nei quali trova spazio il “mettersi in gioco” e il “non accontentarsi”. Molti giovani sembrano essere consapevoli che il saper rischiare faccia parte delle abilità che la società attuale richiede a chi vuole farsi strada nella vita.

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Il concetto di trasgressione è legato all’attrazione per il limite che gli adolescenti hanno. Infatti così si esprime il vocabolario Treccani a riguardo della trasgressione: “L’atto del trasgredire, dell’andare oltre i limiti consentiti; violazione di una norma, di un ordine, di una legge.” (1997, 635). Il Galimberti nel suo Dizionario di Psicologia, alla voce trasgressione, scrive: «M. Foucauld ha sottolineato il carattere ambivalente della trasgressione, perché limite e trasgressione devono l’uno all’altra la densità del loro essere. Non c’è limite al di fuori del gesto che l’attraversa, non c’è gesto se non nell’attraversamento del limite. La trasgressione non sta quindi al limite come il bianco sta al nero, come l’escluso all’incluso, come il permesso al proibito; ciò verso cui la trasgressione s’incatena è il limite che la incatena. La trasgressione è la glorificazione del limite» ( Galimberti, 2007, 1051).

La trasgressione è una caratteristica peculiare dell’adolescenza, “per questo è difficile capire fino a che punto può essere considerata espressione di un desiderio di crescita e di maggiore autonomia e quando è un segnale di disagio individuale, familiare o sociale” (Maggiolini - Riva, 2009, 9). Dunque il comportamento trasgressivo da una parte può rappresentare la via d’accesso al mondo adulto e dall’altra un segnale di difficoltà evolutiva (Pietropolli Charmet - Maggiolini, 2004, 267). Possiamo affermare che un ragazzo per crescere deve mettere in discussione le regole per poterle riorganizzare e farle proprie o rifiutarle del tutto. Alcune ricerche più recenti ( Buzzi- Cavalli - De Lillo, 2002) mostrano la trasversalità delle tendenze attuali trasgressive, “che non coincidono con un’area di rischio evolutivo o di disagio sociale: saper trasgredire e rischiare appare una condizione essenziale per una società più competitiva” ( Pietropolli Charmet - Maggiolini, 2004, 268).

Capire il significato di un comportamento trasgressivo ci aiuta a dare risposte giuste alle esigenze evolutive permettendoci di prevenire il passaggio dalla trasgressività alla delinquenza. In psicologia la trasgressione è considerata un elemento indispensabile alla crescita individuale. Jung parla della “legge del proprio essere” riferendosi a quella spinta interiore che ad un certo punto della vita ci spinge a diventare noi stessi nonostante i conflitti posti dalle circostanze esterne e dalle nostre difficoltà interiori. Fromm a sua volta afferma che la capacità di disobbedienza può essere l’elemento decisivo tra il futuro dell’umanità. Così pure, secondo il paradigma gruppo analitico, alla nascita, ci si trova come immessi in un condominio storicamente e sociologicamente definito: si costituisce così, dentro ogni persona, una sorta di gruppalità, di “condominio interno”; per essere liberi

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di essere e di agire, affrancati dal nomos, dalla legge condominiale, occorre una dose di sana aggressività, quella trasgressione che permette di passare dall’idem (esperienza di sé in quanto proprio condominio originario incarnato) all’ipse (che si costituisce in funzione di nuovi vincoli simbolici con l’Altro) (Napolitani, 2006).

È stato chiesto ad adolescenti cosa s’intende per trasgressione; la risposta più gettonata, per il 59% degli intervistati, è: “andare contro le regole”, insomma fare quello che gli adulti ti dicono di non fare. Qualche esempio? “Bruciare il registro di classe a scuola”, oppure “mettere un video di nascosto e all’insaputa del/la prof. su youtube”. E la

droga? Sì, è considerata una trasgressione, quasi un tabù – dicono. Ma c’è droga e droga .

L’ecstasy e la cocaina sono considerate molto più trasgressive di fumare uno spinello. «Ti

fanno accedere ad un certo tipo di gruppo – sostengono diversi intervistati – e quasi di conseguenza ti escludono da altri. Un conto è farsi le canne, puoi smettere quando vuoi; un

altro è la coca, che ti distrugge il cervello».

(http://www.giornalettismo.com/archives/45103/giovani-trasgressione-piace-troppo/).

Questo sembra un segnale, tutto sommato, positivo, poiché implica consapevolezza. Forse, però, si tratta solo di un istinto primordiale e di auto-consevazione. Piace più l’idea che la concreta pratica di fare sesso con uno sconosciuto. Dulcis in fundo, nella hit parade delle trasgressioni c’è il sempre evergreen: “scrivere sui muri”: essere graffitaro.

Le forme di trasgressione che caratterizzano l’esperienza della notte degli adolescenti sono molto diverse tra i maschi e le femmine, al di là del fatto che in molti casi nelle storie di vita i protagonisti delle stesse descrivono il loro atteggiamento verso le trasgressioni come quello di spettatori e di testimoni, in quanto si limitano a raccontare ciò che di trasgressivo vedono fare agli altri adolescenti. È questo un fatto caratteristico delle ricerche intorno ai comportamenti trasgressivi e/o devianti degli adolescenti, che si verifica per due ordini di motivi. Il primo motivo è la prossimità della grandissima maggioranza degli adolescenti con fenomeni trasgressivi quali il consumo delle droghe: è noto infatti che molti ragazzi conoscono personalmente qualche coetaneo che usa le droghe, e che in certi luoghi il consumo delle droghe è tutt’altro che nascosto. Il secondo motivo è dato dal desiderio di alcuni adolescenti di raccontare le proprie trasgressioni senza esporsi alla stigmatizzazione degli adulti o, più semplicemente, per non abbassare l’immagine di sé

(http://www.giornalettismo.com/archives/45103/giovani-trasgressione-piace-troppo/).

Questo fa sì che alcune volte gli adolescenti raccontino, attribuendoli agli altri, i comportamenti che praticano personalmente.

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Negli adolescenti maschi le trasgressioni della notte si possono riassumere nell’abuso di alcool, nel fumo di qualche spinello, nella guida rischiosa di motociclette e automobili, nell’abbandono all’euforia, nel modo di vestire, nel fare chiasso per strada e, in alcuni casi, nel consumo di acidi, di anfetamine e di droghe pesanti. La motivazione prevalente che viene data per l’uso delle droghe è quella che queste sostanze consentirebbero agli adolescenti che le assumono di superare i loro limiti psicologici e fisici e, quindi, di comportarsi nella discoteca in modo adeguato agli standard comportamentali che la sottocultura sociale della discoteca ritiene normali. Oltre a questo, vi è la constatazione da parte di alcuni che se non si consumano queste sostanze si ha l’impressione di essere tagliati fuori e di non divertirsi come gli altri. Sembra che per questi adolescenti la droga rappresenti una sorta di fusione con le altre persone che condividono con loro l’esperienza della discoteca. Più delle droghe è diffuso l’abuso di sostanze alcoliche. Per tanti di loro tale comportamento è abituale all’interno del loro procedere nella notte. Questo consumo in molti casi non è limitato al momento della discoteca o del pub, ma comincia nel momento della preparazione dell’ingresso nel momento forte del percorso della notte. Ci sono infatti adolescenti che prima di andare in discoteca consumano un numero elevato di birre e giustificano questo loro comportamento con la necessità di raggiungere uno stato adeguato di euforia per vivere con pienezza il clima della discoteca. Anche in questo caso la motivazione all’abuso dell’alcool è costituita dalla necessità di adeguarsi agli standard comportamentali presenti in alcune discoteche. Questo consumo poi prosegue all’interno della discoteca a volte con il consumo di cocktail micidiali, anche se il costo di queste bevande spesso lo limita, oppure induce a uscire nel parcheggio a bere le bevande alcoliche che ci si è portati dietro. La quantità di alcool consumato varia da quella necessaria al sentirsi leggermente euforici alla ubriacatura vera e propria con le conseguenti forme di malessere.

Tra gli atteggiamenti trasgressivi, oltre al consumo di droghe e di alcool, vi sono quelli legati alla sperimentazione di comportamenti rischiosi. Tra questi prevale indubbiamente, anche se limitato a una minoranza, quello della guida rischiosa che da alcuni è segnalato come il risultato dell’alterazione dello stato di coscienza prodotto dalla notte, oltre che come il risultato del consumo di alcool e di droghe. Nella lettura delle storie di vita degli adolescenti che raccontano le esperienze di rischio colpisce l’assenza di qualsiasi forma di paura o di spavento retroattivo e di qualche forma di autocritica o pentimento nei confronti di queste esperienze. Passando dai maschi alle donne, la

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trasgressione della notte si manifesta in forme che si possono definire come più immateriali.

Infatti tra le adolescenti, accanto ai pochi casi di abuso di alcool e al fumo di spinelli, la trasgressione viene indicata nel lasciarsi andare a fare in discoteca delle cose che di giorno non farebbero mai, nella trasgressione delle regole che fa sì che esse si relazionino con persone con cui di giorno non avrebbero mai alcun rapporto, nell’essere protagoniste di colloqui trasgressivi con i loro compagni della notte oppure nel rientro a casa più tardi dell’orario loro richiesto dai genitori. In pratica questo significa che per molte adolescenti la trasgressione si manifesta in un gioco alla cui base vi è una sorta di sfida con se stesse. Per qualche ragazza questa sfida contiene anche la componente sessuale. L’abuso delle sostanze alcoliche è vissuto da alcune ragazze in un modo che sembra avere un carattere di maggior saltuarietà rispetto a quello dei maschi. Anche nel caso delle ragazze questo tipo di abuso sembra essere indotto dall’ambiente della discoteca con i suoi riti e i suoi modelli culturali. Tuttavia, nonostante la saltuarietà, alcune volte questi abusi hanno prodotto nelle loro protagoniste una vera e propria ubriacatura.

Dal confronto delle forme di trasgressione maschili e femminili si rileva che, mentre per i maschi essa è sovente legata al consumo di sostanze esterne euforizzanti, o nell’euforia mortifera del comportamento rischioso; per le ragazze essa è il prodotto di una determinazione interiore che le conduce alla sfida delle convenzioni sociali, che segnano la loro vita diurna, anche se in alcune di esse non è assente l’abuso non abituale di sostanze alcoliche.

3. Il mondo della notte

Quando cala la notte e scende il buio, i codici e le norme del giorno sembrano spengersi, come la luce del giorno. La notte apre una nuova dimensione spazio temporale, dove le regole del giorno vengono sospese (Abbagnano-Fornero, 1996).

La notte fatta di divertimento sembra riuscire a dare un senso di realizzazione in modo diretto e istantaneo, sorpassando le fatiche del giorno e le attese verso un futuro, di cui è sempre più difficile vedere l’orizzonte. Il tempo della notte assicura un’immediata realizzazione personale, che è sempre più difficile assaporare nel giorno e quasi illusoria da avere nel futuro (Csikszentmihhalyi - Schneider, 2002).

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I comportamenti trasgressivi possibili nella notte, possono assumere, nella storia affettiva dell’adolescente sia un significato evolutivo che patologico, in ogni caso un’intenzionalità affettiva spesso diversa da quella che gli attribuiscono gli adulti.

3.1. La notte come contrasto del giorno

Nella notte si sospende l’ordine del giorno, senza negarlo o metterne in discussione l’esistenza. La notte è un “mondo” connotato di mistero e di senso di libertà, proprio perché rompe l’ordine del giorno, creandone uno nuovo: quello della notte. La notte è libera, perché l’individuo essenzialmente gioca e il gioco, come afferma la J. Huizinga, è “un’azione libera” (Huizinga, 1972, 34). Nella notte del week-end si gioca essenzialmente con se stesso, per ricercare una libertà che è autoespressività e autorealizzazione. La notte è un “gioco della libertà”, che si esprime nei gesti superflui, gratuiti, spontanei, disinteressati e, come ogni gioco, impone regole obbligatorie, essenziali per instaurare un mondo, che ha tempi e spazi differenti dall’ordinarietà del giorno. Chi non conosce e non rispetta le regole del gioco, non può giocare (Huizinga,1972, 34) così chi non rispetta e non prende sul serio le regole del gioco della notte, non può viverla. Coloro che percepiscono le regole della notte come infondate e relative (quindi che valgono solo per gioco) spezzano la magia della notte e ne sono esclusi. Solo chi gioca entra nella magia della notte. Solo chi gioca può divertirsi. Solo chi gioca prova un senso di libertà. La notte è tutto questo: un gran gioco, che trascina i partecipanti nella magia, nel mistero, nel divertimento e nella sensazione di libertà.

La notte è lo spazio dove gli adolescenti liberano spontaneamente la propria identità, scartando i condizionamenti sociali, che dominano nel giorno. Nella notte è molto “più facile parlare con la gente” (Huizinga,1972, 34), perché non bisogna nascondere ciò che si è, ma è possibile manifestarsi senza paure e inibizioni, per ciò che ognuno sente di essere. Il gioco che si compie nella notte fa sembrare diverso l’ambiente circostante, con le sue persone, i suoi profumi, i suoi colori, le sue forme. Tutto appare più semplice e maggiormente inebriante.

Nella notte la realtà del giorno cambia forma, perché è l’individuo che “giocando”muta (Huizinga,1972, 36). É una mutazione a livello d’identità, che porta ad adottare nuovi parametri nel percepire e nel valutare ciò che circonda l’individuo. In termini psico-sociali avviene una leggera ”modificazione dello stato di coscienza”, che si

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rende concreta nella modificazione dell’identità o più esattamente nel far emergere nuove parti di sé.

Secondo la teoria di H.Stone & S.Stone, (Stone-Stone, 1999) l’identità è composta da una molteplicità di sé. Una parte dei sé sono rinnegati, perché manca la consapevolezza della loro esistenza; perciò l’individuo riconosce come propria identità solo quei sé primari, nei quali s’identifica. Ad ogni sé primario, corrisponde un sé rinnegato complementare, uguale e contrario (Stone - Stone, 1999.) Entrare nella sfera della notte per l’individuo significa abbandonarsi, non preoccuparsi di difendersi continuamente dagli impegni quotidiani, anzi slacciarsi dal peso dei ruoli interpretati durante il giorno. Nella notte si abbandona la maggior parte dei “meccanismi di difesa”, che la psicologia ha individuato, per mantenere stabile e integra, la propria identità. (Hilgard – Atkinson - Atikinson, 1994). Per H.Stone & S.Stone cadono i propri “sé primari”, perché nella notte non c’è bisogno di proteggere la propria vulnerabilità. (Stone - Stone, 1999.) Nella notte si manifesta la vulnerabilità, perché l’individuo è motivato a spogliarsi dai sé primari, che “indossa” di giorno, per “interpretare” la propria identità. I sé primari sono come delle maschere, che s’indossano per coprire l’identità, per proteggerla, ma contemporaneamente per camuffarne l’autenticità. Nella notte l’individuo desidera gettare le maschere indossate di giorno. Senza maschere l’identità è vulnerabile, ma è più vera (Cheli, 1998). Entrare in contatto con la vulnerabilità, significa entrare in contatto con la propria parte più profonda e autentica, che procura un senso d’armonia con sé stesso e con gli altri (Squillante, 2000). Uno stato di vulnerabilità porta l’individuo ad avere relazioni veramente intime e spontanee, che sono una fonte di benessere psico-fisico e un’occasione di crescita personale nel momento in cui egli prende consapevolezza dell’esistenza dei propri sé rinnegati e correlativamente di parti inedite della propria identità. La notte ha il potere di far scoprire “parti inedite di se stessi”, perché cadono i sé primari, cioè la parte più esterna della propria identità. Caduti i sé primari, cadute le maschere, distrutte le “corazze protettive”, abbandonati i “meccanismi di difesa”, nella notte l’individuo vive un io più autentico, meno condizionato e meno controllato. È un io diverso dall’ordinario, che si traduce in una modificazione dello stato di coscienza. Paradossalmente è nel modificare lo stato di coscienza ordinario, secondo il quale l’individuo valuta e agisce, che si riesce non solo a recuperare la parte più autentica di se stesso, ma anche a realizzarsi. La notte aiuta a smontare la coscienza ordinaria e svela un io “diverso” da quello del giorno; un io che i giovani ricercano sempre di più.

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3.2. La notte come tempo di realizzazione

La notte è una valvola di sfogo o uno spiraglio di libertà dallo stress del giorno. La notte è buia e in questo buio gli adolescenti trovano quello che la luce del giorno nega, cioè la propria spontaneità, legata dai doveri, dell’efficienza, dal controllo sociale. Quanto sono più dure e forti le negazioni e i doveri, dettati dal giorno, tanto più la notte acquista rilevanza, come “cura”dal giorno. La notte cura dagli impegni del giorno, percepiti come doveri (Cravero, 2001). Il dovere è vissuto come qualcosa che s’impone dall’esterno, come obbligo e prestazione, che esclude il piacere. Viceversa, la notte è percepita come piacere e come tale è sganciata dall’etica del dovere. La contrapposizione fra giorno come tempo del dovere e notte come tempo del piacere, assume toni esasperati, quando il dovere non procura più piacere e la ricerca del piacere diventa un imperativo. Quando il giorno è vissuto come tempo insoddisfacente la notte deve compensare e deve realizzare ciò che è rimasto inconcluso durante il giorno e che ha lasciato sentimenti di frustrazione e di ansia.

La notte, si presenta agli occhi dell’individuo come “il tempo” per recuperare, l’autostima e gli spazi di protagonismo, che non sono stati raggiunti di giorno. Il desiderio di volere “recuperare” ad ogni costo di notte il protagonismo, negato di giorno, e la pretesa d’ottenere uno “stato di coscienza modificato”, che faccia stare bene, si compie, anche attraverso l’uso di sostanze stupefacenti (Cravero, 2001). Nello stato di coscienza modificato l’individuo spera di trovare un benessere interiore, non garantito dalla coscienza ordinaria. L’elevato uso o l’abuso di droghe e alcol, documenta la voglia di ricercare, per forza, uno stato si coscienza modificato e di viverlo come fonte di piacere, come “uno stare meglio”. L’aumento dell’uso di droghe nella fascia adolescenziale è testimoniato dalle numerose ricerche, che vengono condotte, su più fronti, per cercare di capire un fenomeno che coinvolge il mondo intero. (Relazione annuale 2003. Evoluzione del fenomeno della droga nell’ Unione Europea e in Norvegia, Osservatorio Europeo delle droghe e delle Tossicodipendenze, 2003). La notte simboleggia il passaggio verso un nuovo stato di coscienza, perché l’individuo si pone al di fuori della realtà; sognando ad occhi aperti si illude di vivere in condizioni migliori e si sente realizzato quando, aiutato dall’uso di sostanze stupefacenti, riesce a fare il proprio “viaggio” nelle notti del sabato sera dove il divertimento è assicurato da alcol e ballo.

È questo un sogno che si preferisce alla realtà e dal quale non si vuole essere svegliati, perché nel sogno si ha “il meglio”, anche se è solo un sogno. Il sogno domina sulla realtà, la notte sul giorno. La notte, o più esattamente “certe notti”, quelle del

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divertimento e del sogno, sono tempo di realizzazione, perché in “certe notti ti senti

padrone di un posto che tanto di giorno non c’è”. La notte di divertimento è tempo di

realizzazione. Si attua nella notte l’affermazione di quel protagonismo di cui l’individuo ha bisogno e che non riesce a far emergere di giorno.

Questa trasformazione del tempo, secondo Cravero, si collega ad una visuale negativa del giorno, concepito come tempo faticoso, che incute paura (Cravero, 2001). Cravero afferma, la notte è tempo di protagonismo, perché “il quotidiano fa paura e vivere è sempre più una fatica” (Cravero, 2001, 73).

Il giorno incute paura, perché è un tempo, deciso dagli altri, che richiede prestazioni ed efficienza. Il giorno è un tempo, che non ha qualità rilevante per la vita umana, se non la sua disponibilità. Il valore del tempo è proporzionale alle cose che si fanno, perciò può essere prezioso o dozzinale, pieno o vuoto, costruttivo o distruttivo. Il tempo della società odierna “esiste solo come prodotto degli eventi che accadono nello spazio. Senza eventi non si avrebbe tempo e sono quindi questi a dare la qualità del tempo” (Pollo, 2000,15). Per gli adolescenti il giorno è tempo d’impegni e di doveri e si divide nella gestione dei “diversi tempi”: c’è il tempo dello studio, il tempo da dedicare agli amici, il tempo per la famiglia, il tempo per fare un lavoro part-time, il tempo di svago; perciò lo sforzo sta nel riuscire a mettere insieme ogni pezzetto di tempo, per fare del giorno un tempo occupato e produttivo, come vuole la società odierna. La fatica del giorno, in una società complessa, è affrontare situazioni ad alto livello di sfida, che richiedono abilità elevate. Ciò comporta nell’adolescente un grande dispendio d’energie, a livello psico-fisico. Secondo Csikszentmihalyi (Csikszentmihhalyi - Schneider, 2002 ) è il livello di sfida in rapporto alle proprie abilità, che determina una dimensione di flow, ovvero un’esperienza ottimale.

Gli adolescenti, immaginano un bel futuro, pur non avendo i presupposti legati allo status ascritto (differenze legate al genere, alla razza, allo status sociale e alle capacità personali) e pur limitandosi a vivere frammenti di un presente (Pollo, 2000), che pietrifica ogni progetto verso il futuro.

3.3. La notte come mercato di morte: le stragi del sabato sera

L’ordine della notte è rappresentato dalla possibilità di attuare alcuni modelli di divertimento, entro i limiti precostituiti, attraverso il processo di socializzazione e in

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cui il divertimento è centrato sulla trasgressione, che si manifesta anche con il consumo di sostanze stupefacenti e d’alcolici, si radica il disordine, che è il rovescio dello stesso ordine; in esso la “trasgressione istituzionalizzata” (Torti, 1997) produce come drammatica conseguenza, il fenomeno delle “stragi del sabato sera”, caratterizzato da frequenti incidenti mortali, che avvengono sulle strade e nei quali sono coinvolti gli adolescenti all’uscita dai locali notturni, in particolare dalle discoteche, dove si balla continuamente fino all’alba e

dove c’è un’eccessiva iperstimolazione sonora e visiva

(http://www.palazzochigi.it,/GovernoInforma/Dossier/discoteche/ relazione.)

Tra le cause più frequenti per gli incidenti stradali, ci sono l’eccesso di velocità, il mancato rispetto delle regole di precedenza, di sorpasso e di distanza di sicurezza, ma anche la distrazione nella guida e, soprattutto, lo stato psico-fisico alterato dall'uso di alcol o di sostanze stupefacenti; infine ci sono cause riferibili allo stato psicofisico stesso, come l’inquinamento acustico e quello visivo. Rapportando i dati degli incidenti stradali delle sole notti di venerdì e di sabato con quelli relativi alle altre notti della settimana, si evince che tali incidenti rappresentano il 43,5% del totale degli incidenti stradali notturni. Analogamente per quanto concerne le vittime mortali delle notti dei soli week-end la percentuale è del 48,4% sul totale di tutte le morti notturne, mentre la percentuale dei feriti è del 46% dello stesso totale. Si può affermare, quindi, che la notte antecedente la giornata festiva è realmente più pericolosa rispetto alle altre notti del resto della settimana (Torti, 1997). È necessario inoltre osservare come gli incidenti con elevato indice di mortalità, sono principalmente dovuti ad un anomalo e alterato stato psico-fisico del conducente, che comporta la perdita del controllo del veicolo e l’impossibilità di evitare lo scontro con le appropriate manovre. Ciò è documentato dai dati statistici, che rilevano un’alta percentuale di violazioni a causa di guida in stato d’ebbrezza o per assunzione di sostanze stupefacenti. Altrettanto significativo è il numero di persone che secondo l’Istituto Superiore della Sanità, ha usufruito del pronto soccorso per patologie legate al consumo di alcol (http://www.palazzochigi.it,/GovernoInforma/Dossier/discoteche/ relazione.).

Per stroncare il fenomeno delle stragi del sabato sera, in Parlamento è stato presentato un Disegno di Legge, detto Giovanardi dal suo presentatore, in cui si introducono nuove norme per le attività dei locali notturni: l’interruzione della musica alle ore 3,00, l’obbligo di attenuare le luci, il divieto di vendere alcolici in discoteca a partire dalle ore 2,00 e in tutte le birrerie o pub, tra le ore 3,00 e le ore 5,00 del mattino.

Nel cuore della notte gli adolescenti trovano il divertimento della serata nell’assistere o nel partecipare in prima persona a corse clandestine. Sono folli corse, in

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moto o in automobile, improvvisate in zone periferiche, dove si possono trovare lunghi tratti di strada poco frequentati. Il fine è schiacciare l’acceleratore del gas al massimo, non rispettare i limiti di velocità e il codice stradale, per sentire l’ebbrezza del rischio e misurarsi con se stessi, con i propri limiti e con le proprie paure. L’alta velocità, che mette a rischio la vita, simboleggia per l’individuo il superamento di ogni limite alla libertà; provoca una scarica d’adrenalina ed è fonte di piacere per il “folle guidatore”. Il gioco diventa più eccitante, quando si scommettono quote di denaro sul vincitore della gara: mentre alcuni corrono, gli spettatori puntano soldi sul possibile vincitore e incuranti del pericolo, urlano e incitano i partecipanti alla gara, ad andare sempre più veloci, per non perdere la quota scommessa.

Alla base di tale attività c’è il desiderio di gareggiare, di superarsi, di annullare ogni regola; c’è solo voglia di divertirsi con un “gioco pericoloso”, senza pensare alle conseguenze, perché quello che conta è l’istante presente, che deve essere forte e intenso. Uno sperimentatore di corse clandestine così si esprime: “Quando si corre non si pensa al futuro, a quello che può accadere, ma solo a correre nel cuore della notte, in strade silenziose, che in quel momento sembrano fuori dal mondo. L’unico rumore che si sente è il rombo delle moto o delle macchine, che per noi non è rumore, ma musica celestiale. Nella notte si cercano emozioni forti e correre fino a sfiorare i 200 chilometri orari è una stupenda emozione. Nella corsa ci sentiamo “vivi, forti, liberi, potenti e sicuri” (Climati, 2002, 70). La corsa è un divertimento, che provoca nel giovane solo forti sensazioni di piacere e non ha fini di lucro o altri vincoli esterni. Si corre, infatti, per motivi personali, come ad esempio “per misurare la potenza delle moto e la capacità di guidarle” (Climati, 2002, 72) ma non per premi o soldi; al massimo “chi arriva ultimo paga una pizza o una cena” (Climati, 2002, 71). Le corse clandestine si collocano come una forma di divertimento estremo, riconducibile secondo Climati, alla mancanza di una “cultura del limite”(Climati, 2002). Gli adolescenti d’oggi vivono in una cultura dove dominano i messaggi emessi in modo contraddittorio da internet, dalla TV, dalla discoteca, dalla musica e dalle riviste. Un messaggio che risalta nella nostra cultura, è la libertà di scelta, che viene intesa come un invito ad avere tutto e fare tutto ciò che si vuole. Oggi, spesso, dietro alla convinzione di avere una libertà di scelta si nasconde la giustificazione verso comportamenti altamente negativi. Correre ad alta velocità, per divertirsi, è una scelta personale e ciò basta a giustificare a se stessi e anche agli altri un comportamento autodistruttivo.

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3.4. I confini della notte

Diversi sono i comportamenti a rischio e le modalità dei gesti di trasgressione: comun denominatore è rintracciare in tale trasgressività un modo di dar voce a tensioni ed intensioni non del tutto consapevoli, «che si traducono in gesti prima di aver assunto forma nella mente del soggetto, collocazione nella sua rete di relazioni interpersonali e significato in rapporto alle sue mete e ai suoi sistemi di valore» (Maggiolini - Riva, 2009).

3.5. Consumo di droghe e di alcool nella notte

Per quanto riguarda l’uso delle droghe, e in particolare di quelle attualmente più consumate, si nota una netta divergenza tra i genitori e gli altri testimoni della notte. Infatti, mentre i genitori pensano che il consumo di droga più diffuso nelle discoteche sia quello degli spinelli, gli addetti ai lavori e le forze dell’ordine dicono che in questi ultimi tempi vi è stato un significativo cambiamento e che le droghe più diffuse sono l’ecstay, lo LSD e gli «acidi» in genere. Ciò è visto come un problema tipicamente adolescenziale (ma di quella adolescenza “lunga” che scivola via fin verso i 30 anni e oltre). Un insegnante così ha scritto a un giornale: «Alla prima ora avevo quattro alunni tutti con la testa appoggiata sul banco, che non riuscivano a stare svegli. Li ho guardati in faccia e ho visto i loro occhi lucidi e rossi. Erano intontiti dalla prima “canna” mattutina. A quindici anni corrono già verso il nulla. “L’alcol ha effetti più devastanti dell’erba” ribatte un adulto. “Pensi che vietando gli spinelli si risolvano tutti i problemi?” – mi dice un altro – ... Gli adulti rimuovono lo sguardo dall’evidenza che hanno sotto gli occhi: l’uso abituale di sostanze stupefacenti da parte di un numero sempre più elevato di ragazzi. La marijuana non fa male, non crea dipendenza e quindi che c’è di male a farne uso?... In questa periferia fuori dal mondo, i ragazzi vengono a scuola la mattina già “fumati” e non sono in grado di imparare nulla».

L’uso di sostanze psicoattive è un fenomeno sociale di ampie proporzioni, che riguarda soprattutto gli adolescenti e i giovani. La caratteristica più importante di tale fenomeno è il progressivo incremento, verificatosi a partire dagli anni Settanta, di forme occasionali e regolari di consumo in questa fascia di età; aspetto che ha prodotto un cambiamento radicale nel modo di concettualizzare il problema droga: inizialmente infatti era considerato come il risultato o la conseguenza di processi psicopatologici e devianti,

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successivamente invece è stato inquadrato nelle problematiche adolescenziali (Ravenna, 1993). L’uso di queste sostanze viene oggi considerato alla stessa stregua di altri comportamenti definibili a rischio, come le esperienze sessuali precoci non protette, i comportamenti aggressivi, la guida pericolosa, ed è in stretta relazione con le linee di sviluppo dell’adolescenza.

È diversa l’età in cui ha inizio l’uso delle varie sostanze psicoattive. L’età a rischio per l’iniziazione all’hashish e alla marijuana è indicata fra i 15 e i 17 anni. Le femmine sono circa un terzo dei consumatori, ma con livelli più bassi dei maschi sia per la quantità sia per la frequenza. Non si riscontrano differenze in base al sesso per l’età in cui si verifica l’iniziazione, mentre se ne rilevano per chi induce alla prima esperienza; che per i ragazzi si tratta di solito di un amico o di amici dello stesso sesso, mentre per le ragazze è quasi sempre il partner (Rosenbaum, 1979). Per l’assunzione di eroina e di altre droghe pesanti gli anni più a rischio sono quelli fra i 18 e i 25. Tra età e uso di droghe illecite c’è una relazione curvilineare: il loro consumo resta in genere estremamente basso e contenuto fino a 14 anni; aumenta poi con il progredire dell’età, fino a raggiungere il culmine nella prima fase dell’età adulta (Nyberg, 1979).

Si sono affermate e diffuse tra gli adolescenti forme di consumo non dipendenti, attuate solo in particolari situazioni e momenti, come il weekend, tali da consentire di mantenere una vita pressoché normale. Per questo motivo tali ragazzi vengono definiti “consumatori”, e non tossicodipendenti. Il consumatore infatti assume una droga in modo saltuario o regolare in dosi moderate, che non determinano fenomeni di dipendenza e non pregiudicano il normale svolgimento della sua vita quotidiana; egli è in grado di mantenere il controllo sull’uso e di interromperlo senza particolari difficoltà. Il tossicodipendente è invece chi, in conseguenza dell’uso frequente, consistente e prolungato di una droga, ha sviluppato un rapporto di dipendenza, caratterizzato dal bisogno di continuare ad usare la sostanza, dall’affievolirsi dei legami sociali e dall’adozione di comportamenti tutti finalizzati a procurarsela (Cancrini, 1980).

Gli effetti delle sostanze d’abuso possono ripercuotersi sullo sviluppo sessuale e successivamente sul comportamento sessuale (Bruni - Maselli, 1985) in quanto nell’adolescenza l’evento biologico centrale è la crisi puberale, cioè il manifestarsi di modificazioni visibili e quantificabili nel corpo del ragazzo e della ragazza, dovute all’avvenuta maturazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi e della concomitante produzione ormonale. Sul comportamento sessuale ogni singola sostanza può agire

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assunzione, e della qualità della sostanza, ma anche per le caratteristiche del consumatore e per l’ambiente in cui si verifica l’assunzione; inoltre gli effetti sono diversi se la sostanza è naturale, raffinata o di sintesi e se è concentrata o pura.

Assumere una droga per via orale comporta processi di assimilazione più lenti e incompleti, per cui gli effetti sono meno intensi ma più prolungati di quelli causati da una somministrazione per via endovenosa (Ravenna, 1993). La variabilità nella reazione a una droga dipende anche dalle caratteristiche psicobiologiche dell’assuntore e quindi dal suo sesso, dall’età, dalla statura, dal peso, dallo stato di salute, dal gruppo etnico di appartenenza.

La personalità dell’assuntore, il suo stato psichico, l’immagine che egli ha della droga e anche la fase di consumo in cui si trova (c’è differenza, infatti, tra la prima o le primissime assunzioni e l’uso consolidato) sono tutti fattori che possono influenzare in modo importante quella che sarà la sua esperienza con la droga.

Esercita una certa influenza anche l’ambiente fisico, in termini di confortevolezza/ostilità, e quello sociale, in cui è determinante la presenza/assenza di altre persone e la qualità delle relazioni. È stato notato, infatti, che l’esperienza con una droga è più soddisfacente se l’ambiente in cui si verifica è percepito dal soggetto come piacevole, rilassante, sicuro, se le persone presenti sono in sintonia e in amicizia con l’assuntore e se le circostanze non impongono al soggetto di affrontare compiti o attività che richiedono vigilanza, concentrazione, efficienza e sobrietà (Ravenna, 1993).

Considerando alcuni dei principali effetti causati dalle diverse sostanze, si può dire che l’oppio e i suoi derivati, cioè la morfina e l’eroina, provocano un ottundimento non solo degli impulsi della fame e del dolore, ma anche dell’aggressività e della sessualità, determinando nel contempo una diminuzione del senso del contegno e dell’autocontrollo. Gli allucinogeni, come ad esempio l’LSD, causano dispercezioni somatiche e sensoriali, che possono dare una sensazione di leggerezza con perdita totale del controllo del proprio corpo e alterazione della percezione temporale e spaziale e del livello di realtà; per questo motivo essi vengono utilizzati prevalentemente per scopi sessuali. Allo stesso modo agiscono i derivati della canapa indiana, che per la loro azione disinibente inducono a comportamenti sessuali promiscui e anticonformisti. Le droghe che stimolano il sistema nervoso centrale, come le amfetamine, la cocaina, il crack, diminuiscono la sensazione di fame e di fatica, aumentano la vigilanza e inducono a un comportamento ipersessuale, che nel tempo, a seguito delle ripetute assunzioni, può trasformarsi in una perdita del desiderio sessuale. L’uso di ecstasy e di droghe sintetiche si associa per lo più alla frequentazione

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