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La necessità di una modulata presenza dei genitori

«Ogni genitore di adolescente ha sperimentato il dolore della perdita di ammirazione e della fiducia incondizionata del figlio, il drastico ridimensionamento della propria immagine nel suo sguardo, nonché l’impari confronto con i nuovi miti dell’adolescenza da cui è stato inesorabilmente scalzato» (Maggiolini - Riva, 2009, 19). Si tratta di quella deidealizzazione dei genitori, tappa necessaria per il processo di separazione-individuazione adolescenziale. Tale perdita (dell’immagine idealizzata dei genitori) si accompagna alla perdita dell’immagine del Sé infantile onnipotente, da cui un intenso dolore mentale (ibidem).

L’adolescente sta costruendo un Sé privato: da qui l’ansia dei genitori di non saper più nulla della vita e dei pensieri del figlio, con reazioni di aumento di controllo; quando, invece, occorre lasciare “spazi privati, mondi segreti inaccessibili allo sguardo dell’adulto” (Maggiolini – Riva, 2009, 130) altrimenti si rischia di ostacolare il compito evolutivo della separazione. Tuttavia occorre sempre una presenza/assenza modulata: tal da far sentire all’adolescente che, pur rispettato nella sua esigenza di autonomia, non si trova solo nel mondo extra-familiare.

I ragazzi in quest’età, per maneggiare meglio i propri conflitti interni tendono ad esteriorizzarli, non riuscendo a risolverli in una dimensione intrapsichica, e coinvolgendo l’ambiente, attraverso proiezioni. Tale modalità rappresenta una risorsa, a patto che non ci sia un eccessivo utilizzo della proiezione che finirebbe per impoverire eccessivamente

l’adolescente, e che ci sia all’esterno un ambiente in grado di sostenere questo processo, senza concorrere ad esacerbare il conflitto che ne deriva.

A questo riguardo Jeammet parla della funzione della famiglia come di uno “spazio psichico allargato”, in grado di accogliere le proiezioni dell’adolescente per “restituirgliele elaborate, sfumate e più tollerabili” (Jeammet, 1999, 25). Tale processo coinvolge sia il padre che la madre, ma è nelle loro differenti risposte e modalità che si strutturerà nell’adolescente, per converso, una maggiore differenziazione delle rappresentazioni interne, che lo salvaguarderà da una pericolosa confusione interna. In altri termini tutta la famiglia funge da contenitore per accogliere gli agiti dell’adolescente, che hanno un loro primo picco nel periodo della pubertà, e mette in atto una pensabilità.

Lo stile educativo più efficace sembra proprio quello dell’esempio, che fornisce un modello genitoriale su cui costruire l’ideale; giacché, soprattutto in adolescenza, sono attive dinamiche identificatorie. La famiglia di oggi, che Pietropolli Charmet (2000, 44) definisce “affettiva”, rispetto alla famiglia “etica” di un tempo, tende all’evitamento della frustrazione, al prolungamento dell’onnipotenza infantile: da cui adolescenti più fragili rispetto alle delusioni narcisistiche e poco capaci di una visione realistica di sé, dei propri limiti e possibilità. «I figli della famiglia affettiva affrontano il burrascoso processo adolescenziale con una modesta esperienza di dolore e frustrazione alle spalle e ciò contribuisce ad innescare quei fenomeni di intolleranza nei confronti del dolore mentale […] e promuove quei comportamenti anestetici che la caratterizzano» (Pietropolli Charmet, 2000, 44).

Negli ultimi vent’anni si è modificato il contratto educativo fra genitori e figli. Vi è stato, cioè, un complessivo trasloco della famiglia dai valori e dai comportamenti che caratterizzavano la famiglia “etica”, moderno-romantica, all’area dei valori e degli stili che costituiscono lo statuto della famiglia “affettiva” post. Ciò significa che i genitori intendono trasmettere amore più che regole e principi astratti, che aspirano a farsi obbedire per amore e non per paura delle sanzioni e che cercano di capire quale sia la vera natura ed indole del figlio, cioè la sua vocazione e il suo talento (Dicono: “Tu devi capire”, invece che, come una volta: “Tu non devi capire, devi obbedire”). Per la coppia genitoriale è prevalente “tirare fuori” piuttosto che “mettere dentro” la mente del figlio rappresentazioni precostituite di ciò che deve essere o apprestarsi a diventare.

Nella famiglia affettiva sono cambiati anche i ruoli dei genitori. Vi è stata una sorta di maternalizzazione del padre che ha abbandonato il “codice virile” e ha contribuito a

interlocutori; e vi è stata una nuova interpretazione del ruolo materno, meno orientata in direzione masochistica rispetto a quella tradizionale. Le madri hanno iniziato ad invitare i figli a rispettare la loro fatica e stanchezza e a porre dei limiti alle loro richieste in funzione delle energie disponibili (Pietropolli Charmet, 2000). Inoltre, la contrazione delle nascite ha trasformato il figlio da valore relativo in valore assoluto, come direbbero gli antropologi. Un figlio, due figli, più che un valore economico, come era in passato, rivestono un valore simbolico elevatissimo. Anche per questo gli adolescenti attuali sono stati bambini precoci, spesso adultizzati o addirittura parentizzati nei confronti dei propri genitori. Sono stati deputati a sostenere e consolare i loro genitori nelle difficoltà esistenziali di questi ultimi.

Tutto ciò ha importanti conseguenze sul dipanarsi dei processi di separazione che caratterizzano l’acme del processo adolescenziale. La prospettiva di contribuire a costruire dei figli “felici” viene perseguito abbassando in modo cospicuo rispetto alla famiglia “etica” il tasso di dolore mentale che la coppia genitoriale pensa si possa somministrare al figlio a scopo educativo (Pietropolli Charmet - Riva, 1994). I figli della famiglia affettiva giungono quindi ad affrontare le burrasche del processo adolescenziale con una scarsa esperienza di frustrazione alle spalle e ciò contribuisce ad innescare quei fenomeni di intolleranza nei confronti del dolore mentale e i comportamenti anestetici che caratterizzano l’adolescenza attuale. Noia e tristezza, caratteristici di adolescenze che potremmo chiamare narcisistiche o depressive, hanno sostituito rabbia e sentimento di colpa che erano promossi dalla relazione edipica. La separazione dal gruppo familiare è più difficile, così come l’apertura al “debutto” di altri legami sociali. I ragazzi si preoccupano più della realtà interna che di quella esterna e sono più competenti a parlare del conflitto interno che di quello sociale e della lotta per il potere: mancano, cioè, di strumenti e competenze per orientarsi e controllare il mondo esterno.

Si sta in famiglia per molti anni, si raggiunge l’autonomia nella famiglia, non dalla famiglia, stretta per l’esiguo numero di figli, sempre più unici, adorati, iperprotetti. Il troppo amore può diventare disamore, un amore tossico che inghiottisce a fin di bene, dove la famiglia, invece di sostenere, e favorire un’autonomia graduale, si sostituisce al ragazzo, che non impara mai la vera autonomia. Da un lato la famiglia richiede al ragazzo di saper fare in fretta molte cose, di saper camminare precocemente, di saper usare un computer, eccellere in uno sport, ma è un’autonomia legata al fare e non all’essere, si inserisce il ragazzo in una socializzazione costante a tutti i costi, dove egli è costantemente connesso, ma mai con se stesso. Da qui le difficoltà del ragazzo che può arrivare a illudersi di negare i propri bisogni, rinunciando al cibo e cadendo nella trappola dell’anoressia, sogno di poter

fare senza, e dichiarazione disperata di non riuscire a essere autonomo. Da qui l’aggrapparsi a mille cose per poter funzionare, dimostrando di non aver interiorizzato una figura buona e protettiva che accudisca, protegga dal di dentro.

Per la famiglia di oggi il compito si fa ancora più difficile: occorre rinegoziare continuamente i ruoli, sapendo trovare una distanza ottimale tra autonomia e coesione, tra accudimento amorevole e indipendenza concessa. Genitori in bilico, acrobati che si sacrificano per il bene dei figli da un lato, e figli che devono imparare a camminare da soli, sapendo che alle spalle c’è sempre una base sicura.

Quel che conta, in ogni caso, è “esser con”: infatti ciò che uccide l’adolescente è il sapere di non essere guardato: il genitore dovrebbe esserci lì dove il figlio è; il figlio adolescente ha bisogno che il genitore sappia dove lui è; poi, certo il genitore dovrà reggere anche la reazione bipolarmente opposta per cui il figlio vorrà anche essere autonomo e fuori dal suo sguardo. Dobbiamo cercare i figli dove sono, in quell’altrove dove si rifugiano per paura di affrontare le frustrazioni e il mistero del mondo reale.

5.1. Saper ascoltare e leggere i vissuti trasgressivi

Negli adolescenti è molto presente un positivo desiderio di comunicare, di narrarsi, di condividere problemi ed interessi comuni; spesso, nell’epoca di internet, è lo spazio virtuale telematico (blog, face book, twitter, ecc.) che diventa un luogo immaginario di incontro e di aggregazione, per mettere insieme frammenti di se stessi, soddisfare il bisogno di acquisire sicurezza e sentirsi, sostenuti nel faticoso processo di strutturazione identitaria (Disanto – Pedata, 2009).

I cambiamenti negli stili di vita, i nuovi modelli familiari, le nuove opportunità offerte dal progresso tecnologico, chiedono una sempre maggiore capacità di lettura e di risposta ai bisogni. Bisogni, peraltro, ulteriormente particolari per ogni singolo adolescente, che, pertanto, è importante venga riconosciuto come individuo con caratteristiche specifiche e con una specifica relazione con l'adulto, con se stesso e con gli altri adolescenti. D'altro canto è sempre più chiara l'importanza che gli adulti che si trovano in un rapporto significativo con i ragazzi stabiliscano una relazione in cui gli adolescenti si sentano valorizzati e possano dunque sviluppare meglio le proprie capacità.

sembrano del tutto saltati due essenziali ordinatori sociali: il sacro (miti delle origini, riti di passaggio, leggende,…) e la legge. Eppure sono operatori transpersonali che permettono di sentirsi esistenti dentro una comunità, sono ordinatori in quanto davano punti di repere. Non c’è più il giudizio morale: ma come si vive senza pre-giudizi? Subentra solo l’azione, senza possibilità di riflessione e di mettere in parola gli stati mentali interni. Inoltre, la velocità di trasformazione del sociale, rende spesso i genitori incompetenti, costringendoli continuamente a ricodificare, per capire le caratteristiche mentali del sociale: in una realtà che è così mobile, dove la mente degli adolescenti si organizza continuamente in nuove modalità comunicative (internet, ecc.). Il nostro modello sociale occidentale, basato sulla tecnologia, sulla produttività e sul profitto, è andato viva via realizzando condizioni che determinano un allungamento nel tempo della condizione adolescenziale. Cosicché, tagliati fuori per cause endopsichiche dal mondo infantile e per cause sociali da quello degli adulti, per gli adolescenti si apre uno spazio alla rivendicazione e ai comportamenti trasgressivi più che in passato, anche per mancanza di spazi e tempi adatti nei quali sia possibile dare ascolto ai loro bisogni.

I genitori di oggi non possono più attingere ad un sapere abituale di una comunità, che indichi il come comportarsi e si trovano spesso smarriti di fronte a codici comportamentali di cui, per l’appunto, non hanno un sapere precedente. E allora oggi, dove il genitore va a incontrare il figlio, dove lo pensa, secondo un modo di essere genitore totalmente nuovo? Tuttavia, giova, a questo punto prima di proseguire, un avvertimento: non si aumenta la competenza genitoriale partendo da un deficit; l’assetto del genitore sufficientemente buono, sarà invece quello di cercare d’imparare da quello che sta accadendo, cercando e ri-cercando, senza avere un sapere precostituito. D’altronde, come genitori, siamo smarriti, in quanto le nuove generazioni non ci permettono di utilizzare i saperi a cui siamo stati formati: la trasformazione degli ultimi trent’anni del sociale ha sbancato tutti i codici fissi. Oggi il genitore non sa dove sia il suo interlocutore, il figlio adolescente, perché questi si chiude in territorialità molto ridotte, per la fatica di reggere un mondo senza codici precostituiti e, paradossalmente, perciò, più minaccioso che mai, perché troppo pseudo-libero. Perciò, lasciamoci animare dalla domanda: “Dove li vai a cercare i figli oggi?”

Non abituati a reggere frustrazioni e difficoltà, molti adolescenti non riescono a

sos-stare in solitudine, concedendosi il tempo di formarsi una identità, restando, in attesa,

creando un spazio buono per l’essere, per riflettere su se stessi, sul mondo, sui significati, senza bisogno necessariamente di fare. L’adolescente di oggi, avendo avuto ridotte, dalla

famiglia “affettiva” ferite e frustrazioni narcisistiche durante l’infanzia, ha un gran bisogno di essere rispecchiato ed ascoltato, quando, in questa fase, si trova ad affrontare ferite narcisistiche. Infatti, negli adolescenti di oggi, “noia e tristezza hanno sostituito rabbia e sentimenti di colpa” (Pietropolli Charmet, 2000, 45) da cui la necessità del gesto trasgressivo sia per sentirsi risvegliati da un Sé anestetizzato, sia come modo per gridare alla coppia genitoriale i propri bisogni. Gli adolescenti trasgressivi «non mentalizzano e non sanno tradurre in pensieri e in parole i propri bisogni, avvertono sensazioni e impulsi che non pensano o non capiscono, e non riescono dunque a dar forma sociale e comunicativa alle proprie esigenze» (Maggiolini – Riva, 2009, 183).

È quindi fondamentale la capacità di ascolto e lettura dei “sintomi”, delle richieste educative degli adolescenti, da parte dei genitori. Occorre avere una profonda empatia con l’adolescente, si riuscirà a prestare attenzione alle esigenze che sono alla base dei comportamenti trasgressivi, riconoscendo la legittimità delle esigenze, anche se i mezzi per realizzarle sono sbagliati (Maggiolini - Riva, 2009, 135).

Ma, per sviluppare empatia e quindi saper ascoltare e leggere i vissuti in modo fecondo, occorre farlo con la mente sufficientemente sgombra da inter-ferenze: ossia da quei vissuti, pensieri e affetti, in gran parte inconsci, che vengono portati dentro alla relazione con l’adolescente e che, invece, riguardano altro. Cerco di spiegarmi meglio. Ci sono delle fantasie inconsce dei genitori sul proprio figlio che costituiscono un elemento di disturbo del suo sviluppo evolutivo e che costringono il bambino o l’adolescente ad un dispendio continuo d’energie nel tentativo di difendersene. Nella mente dei genitori pertanto è come se esistessero due bambini: uno reale e uno ideale che deve appagare i loro sogni e desideri irrealizzati; il figlio è così „usato’ per soddisfare bisogni antichi o per agire conflitti ancora irrisolti: cosicché quanto più l’adolescente reale non corrisponde a quello immaginato, tanto più i bisogni del figlio non saranno corrisposti e il suo sviluppo subirà continue interruzioni. A tal fine, a volte, può essere utile un counseling individuale o familiare, per essere aiutati sia nella gestione del processo sopra descritto (controtrasfert del genitore) sia per comprendere le ragioni nascoste di certi comportamenti trasgressivi.

Spesso, i genitori, come anche altri tipi di educatori, tendono a mantenere l’adolescente in uno stato di dipendenza (peraltro in collusione con i contrapposti desideri, dell’adolescente stesso, di dipendenza e autonomia nel contempo) impedendo che pensi con la sua testa: ma un educatore sarà sufficientemente buono, solo se permetterà la separazione; in questo senso una sana relazione educativa può definirsi come una continua

L’adolescente a volte è vissuto dal genitore e/o dall’educatore (come un insegnante, ad esempio) come un “libro bianco” su cui “scrivere” il proprio „Sé’: è qui attiva la “proiezione narcisistica”, che consiste nel “vedere” nell’adolescente problematiche e peculiarità nate in realtà dai propri stessi conflitti, ricercando nell’altro aspetti del proprio stesso Sé (Pergola, 2010b). Paradigmatiche al riguardo sono due tipologie: l’adolescente percepito come un „modello’, vissuto come compensazione, e l’adolescente (figlio o allievo che sia) vissuto come „capro-espiatorio’. A volte si può arrivare a vivere l’educando come parte di sé per l’eccessivo investimento narcisistico cui si ha bisogno di sottoporlo. In taluni altri casi, dietro il proposito di una “buona educazione”, possono rientrare anche quegli aspetti di invidia che il genitore può provare per la presenza di elementi creativi e vitali che sono mancanti nel proprio universo psichico (Pergola, 2010b).

I ragazzi, infatti, tendono a rappresentare la prevenzione come appannaggio esclusivo del mondo degli adulti. Questo mondo sembra proporre concezioni e modelli di vita preconfezionati a cui non si può che aderire in modo conformistico e quindi favorisce una frattura con il modo di vivere e concepire il mondo dei giovani. Gli adolescenti invece desiderano diventare protagonisti nel lavoro di prevenzione ma anche di lavorare piuttosto che sui singoli comportamenti rischiosi sul significato dell’assunzione del rischio, che viene concepito in modi molto diversi, su un continuum fra l’esperienza che aiuta a crescere. Ora, comprendere questi significati, senza lasciarsi guidare da un sapere precostituito, ma cercando di osservare, essendoci, sapendo perciò ascoltare, può fare la differenza. L’adolescente è vulnerabile ad ogni etichetta menti e cerca rispecchiamenti: «è necessario dunque mantenere un atteggiamento flessibile e aperto, non smettere di cercare con lui nuovi significati ed essere disponibili a riformulare di volta in volta nuove ipotesi, evitando di lasciarsi intrappolare da interpretazioni convenzionali e stereotipate sulla caratteristiche dei „giovani d’oggi’» (Maggiolini – Riva, 2009, 180).

5.2. Adulti traghettatori degli adolescenti

Riconosciuto che l’adolescenza costituisce un “passaggio e crisi fra un passato che non ha storia e un avvenire che si fa storia nel qui-ed-ora di una situazione che può essere accettata o che può essere rifiutata” (Borgna, 1995) si pone ora il dilemma su chi, o cosa, possa configurarsi come facilitatore di questo transito, come ponte per questo passaggio, come traghettatore che aiuti la mente del’adolescente a riuscire a codificare il transito da un

territorio noto ad un territorio ignoto. In quest’impresa, l’adulto traghettatore dovrà, in ogni caso, tener in conto di non avere soluzioni precostituite, ma di poter solo procedere per ipotesi verificabili e condivisibili con il suo interlocutore, l’adolescente, senza la pre-tesa di poter conoscere tutte le variabili che intervengono nella complessità dell’esistere umano e adolescenziale in particolare, e con la disponibilità a cercare un intervento condiviso. Per essere ancor più espliciti, l’invito è a non presumere mai di sapere quale sia il senso che un evento ha per l’altro, altrimenti saremmo deliranti. La relazione educativa, in tal senso, consisterà, ad esempio, ad aiutare l’adolescente a mettere in parola, per quanto possibile, ciò che spinge l’adolescente ad un certo repertorio comportamentale.

Nel momento storico attuale, caratterizzato da pressanti e vorticosi cambiamenti, siamo in presenza di una crescente labilità identitaria, i cui confini si fanno sempre più sfumati, ridefinendosi continuamente, nell’affannosa ricerca di un ubi consistam. Ciò, in un contesto in cui, da una famiglia basata sulle regole, normativa, si è passati a un tipo di famiglia affettiva, dove i ruoli si sono trasformati; il padre distante che dettava legge, dava certezze e metteva netti e rigidi confini nella famiglia, ottenendo potere, ma pagando con la perdita di calore e affetto da parte dei figli. Il patriarca ha lasciato il posto a un padre „mammo’, pronto e disponibile a sostituirsi al ruolo materno, accogliente, permissivo, pur di guadagnarsi l’amore del figlio. Il processo di individuazione-separazione, compito di sviluppo specifico cui viene chiamato l’adolescente, diventa così difficoltoso, vago, mai nettamente definito. Separarsi da qualcosa di vago è più difficile. I genitori non dovrebbero, propriamente, risultare degli amici, nè essere indifferenti, tanto meno opprimenti e neanche nè lassisti: per far crescere i figli in modo sano bisogna combinare il saper essere caldi e affettuosi, con il saper dare regole chiare e conseguenti eventuali punizioni, essendo sempre informati sulle loro amicizie e conoscenze (per fare questo non è necessario pedinarli, è sufficiente, ad esempio, permettere ai loro amici di frequentare casa e chiedere sempre dove vanno e con chi sono).

I ragazzi trasgressivi sono incapaci di mettersi nei panni degli altri, perché sono incapaci di mettersi nei propri panni. Eppure lo sviluppo della capacità di mettersi nei panni degli altri è il vero deterrente alla trasgressione. «L’attitudine del genitore ad interpretare e comprendere le esigenze del figlio, oltre ad essere la migliore guida ad individuare risposte educative, fonda la possibilità per il figlio di interiorizzare tale attitudine e diventare a sua volta capace di capire se stesso e i propri bisogni, simbolizzandoli invece di agirli impulsivamente» (Maggiolini - Riva, 2009, 134). Occorre responsabilizzare, cosa ben

favorendo pertanto, “pur in presenza di un atto trasgressivo, il mantenimento di un’immagine positiva delle proprie potenzialità e delle proprie capacità riparative” (Maggiolini - Riva, 2009, 184).

L’adolescenza è il momento in cui il figlio si interroga con rinnovata enfasi sul gesto che lo ha messo al mondo: perché lo hanno fatto? Come lo hanno fatto? Chi erano i miei genitori allora? Chi era mio padre? E ancora: quando mio padre aveva la mia età, chi era? come era? che tipo di uomo era? Nel periodo adolescenziale il figlio chiede di ri- conoscere chi è suo padre: attraverso questo faticoso tentativo di ricostruire la proto-storia del padre e della madre (dei due soggetti prima della formazione della coppia genitoriale) nello scrivere il proprio “romanzo familiare”, l’adolescente giunge a confrontarsi con il suo

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