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Attività fisica adattata: analisi e confronto dell'attività motoria svolta in ambiente acquatico e terrestre

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione 3 1 Il processo di invecchiamento 5 1.1 Caratteristiche dell’invecchiamento 6 1.1.2 Omeostasi nell’invecchiamento 7 1.1.3 La nutrizione 9 1.1.4 Modificazioni fisiche 11 1.2 Invecchiamento ed apparati 13 1.2.1 Apparato tegumentario 13

1.2.2 Gli organi di senso: l’occhio 14

1.2.3 Gli organi di senso: l’orecchio 15

1.2.4 Gli organi di senso: il tatto 16

1.2.5 Apparato locomotore 16

1.2.6 Apparato scheletrico 19

1.2.7 Apparato cardiocircolatorio 22

1.2.8 Apparato respiratorio 23

1.2.9 Sistema Nervoso Centrale 26

2 Attività fisica nella popolazione anziana 32

2.1 Classificazione 32

2.2 Tipologie di invecchiamento 35

2.3 Tipologie di attività fisica 35

2.4 I benefici dell’attività fisica 37

2.5 F.I.T.T. (Frequenza-Intensità-Tempo-Tipo) 38

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3 Attività fisica adattata 41

3.1 Definizione 41

3.2 Tipologie di attività fisica adattata 43

3.3 Prevenzione delle cadute 44

4 Attività fisica adattata e acqua 46

4.1 Le caratteristiche dell’acqua 46

4.1.1 Le resistenze all’avanzamento 47

4.2 Effetti dell’acqua sull’organismo 47

4.2.1 Apparato locomotore 47

4.2.2 Apparato cardiocircolatorio 49

4.2.3 Apparato respiratorio 49

5 Analisi e confronto dell’attività motoria nei due ambienti 51

5.1 Studio del campione 52

5.2 Test di valutazione 52

5.3 Studio dell’attività svolta a terra dal gruppo A e dal gruppo B 59 5.4 Studio dell’attività svolta in acqua dal gruppo B 81

6 Sintesi dei risultati 91

7 Conclusioni 100

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INTRODUZIONE

Nel mio elaborato di tesi ho scelto questo argomento poiché, lavorando in impianti di tipo natatorio, l’attività in ambiente acquatico mi è particolarmente a cuore.

Ho avuto l’opportunità di seguire per vari anni sia corsi di nuoto con bambini e adulti, che l’attività fisica adattata alla popolazione anziana, incrementando così la mia passione. Da circa due anni mi sono affacciata anche all’attività terrestre rivolta alla medesima popolazione. Da qui nasce la mia idea di far sì che la componente acquatica e quella terrestre potessero completarsi l’un l’altra.

L’invecchiamento è un processo inevitabile, multifattoriale e può essere definito come una difficoltà di adattamento progressivo all’ambiente circostante. È descritto come un’involuzione organica, un declino, ma anche come una trasformazione, una riorganizzazione funzionale che è possibile prevenire. Esso subisce l’influenza di alcuni fattori, come l’inattività fisica, ma, attraverso l’utilizzo di adeguati stimoli fisici, mentali e sociali, tale processo può rallentare. Pertanto l’attività fisica adattata rappresenta un’importante forma di prevenzione per vivere in maniera migliore il processo dell’invecchiamento. Ho voluto misurare quali e quanti miglioramenti si possono ottenere praticandola con regolarità. La proposta dell’esercizio fisico in un contesto sociale adatto ed in un luogo confortevole aiutano da un punto di vista mentale a mantenere alta la motivazione.

Un altro obiettivo dell’esercizio fisico è quello di rappresentare come fattore determinante per il mantenimento delle condizioni di salute in coloro che sono affetti da malattie. Inoltre, per i diversamente abili o più generalmente per persone in età avanzata, è indispensabile al fine di contrastare la sedentarietà e favorire la cultura del movimento.

Nel mio elaborato di tesi, ho scelto un gruppo costituito da 30 soggetti, di età compresa tra 61 e 74 anni, aventi sindrome da ipomobilità, e li ho suddivisi in due gruppi.

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Il gruppo campione (gruppo A) ha svolto attività fisica adattata a terra, della durata di 1 ora per ciascuna seduta, con una frequenza di 2 volte a settimana, il lunedì ed il giovedì dalle 9:00 alle 10:00, per un periodo totale pari a 6 mesi.

Il gruppo di controllo (gruppo B) ha effettuato la stessa attività del gruppo A, ma con la differenza di diversificazione di attività fisica adattata in acqua, con una frequenza di 2 volte a settimana, il martedì ed il venerdì dalle 11:00 alle 12:00, per un periodo totale pari a 6 mesi. Le attività sono state svolte a partire dal mese di Settembre 2019 e sono terminate a febbraio 2020.

L’obiettivo del mio elaborato di tesi è quello di analizzare e valutare gli effetti dell’attività fisica adattata proposta in ambito terrestre in modo esclusivo rispetto a quella integrata dall’attività in acqua. Al termine del periodo di sperimentazione saranno valutati i risultati ottenuti dai test motori effettuati, nei quali ci si aspetterebbe un’offerta motoria più completa in quella integrata dall’attività in acqua.

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IL PROCESSO DI INVECCHIAMENTO

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un notevole sviluppo delle scienze applicate all'invecchiamento umano. Grazie ai progressi segnalati in campo medico, economico e sociale, la terza età, un tempo percepita come periodo di disabilità e decadimento fisico, è ormai per molti diventata una fase di continuata produttività, indipendenza e buona salute.

Oggi assistiamo ad una trasformazione globale della struttura demografica della nostra società, perché, se all’inizio del 1900 i soggetti over 65 rappresentavano solo l’1% della popolazione, nel 1990 essi erano già il 10%.

Nel 2030 la OMS stima che questa percentuale salirà ancora di più fino ad arrivare ad occupare i 2/3 di tutti i soggetti viventi. La percentuale di soggetti over 80 è destinata a salire in modo esponenziale e questo significa che la durata della vita media è aumentata, anche se in modo diverso tra uomo e donna.

Donna = 84.6

Uomo = 79. 4

Il nostro Paese ha un primato a livello europeo: è il paese con il più alto indice di vecchiaia.

Di conseguenza, se aumentano i soggetti anziani, aumenterà in maniera esponenziale anche il numero di patologie croniche che i soggetti hanno. Da tenere di conto che spesso le patologie croniche non sono mai singole, ma spesso sono concomitanti: un soggetto anziano può avere l’artrosi, può presentare una riduzione della funzione uditiva o visiva, può avere malattie cardiovascolari o di origine ischemica, oltre che malattie neurovegetative.

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1.1 CARATTERISTICHE DELL’INVECCHIAMENTO

Le principali caratteristiche dell’invecchiamento sono dovute a:

1. Aumento della mortalità con l’avanzare dell’età:

I parametri più utilizzati nello studio dell’invecchiamento di popolazione riguardano l’età media, la quale rappresenta l’età alla quale il 50% di una data popolazione è ancora viva; e l’età massima, la quale rappresenta l’età (massima) fino alla quale può sopravvivere l’individuo di una data specie.

2. Variazione età-dipendente della composizione biochimica dei tessuti: Le variazioni biochimiche principali comprendono le alterazioni della massa magra, della massa grassa e della massa ossea totale. A livello cellulare sono descritti numerosi marcatori di invecchiamento, come le lipofuscine, e come l’aumento di legami crociati tra molecole della matrice extracellulare (collagene). Sono presenti anche variazioni di età associate alla sintesi di determinate proteine e di altre macromolecole (DNA, lipidi) in seguito a fenomeni di ossidazione e glicazione.

3. Progressivo calo delle funzioni fisiologiche

4. Ridotta capacità di rispondere in maniera adattativa agli stimoli ambientali: durante l’invecchiamento il soggetto perde la capacità di mantenimento dell’omeostasi, per cui, ad esempio, un organismo anziano risponde in modo non adeguato sul piano adattativo alle escursioni termiche (troppo caldo o troppo freddo), all’esercizio fisico o alla malnutrizione.

5. Aumentata suscettibilità e vulnerabilità alle malattie:

l’incidenza e la mortalità per molte patologie aumentano con l’avanzare dell’età (patologie cardiache: aumento del 92% rispetto a soggetti più giovani).

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1.1.2 OMEOSTASI NELL’INVECCHIAMENTO

La principale conseguenza dell’invecchiamento è la riduzione delle capacità di omeostasi dell’organismo, il quale rende l’anziano particolarmente vulnerabile ad eventi stressanti, come ad esempio condizioni patologiche anche di lieve entità, variazioni marcate della temperatura ambientale ecc.

La minore capacità omeostatica può essere ricondotta principalmente a due fattori:

1. riduzione delle riserve funzionali dei vari organi, sistemi ed apparati a causa dell’invecchiamento di per sé (invecchiamento intrinseco), dell’ambiente in cui l’individuo ha vissuto e dallo stile di vita (invecchiamento estrinseco);

2. minore efficienza dei grandi Sistemi di integrazione (sistema nervoso, endocrino, immunitario) a cui compete il ruolo di coordinare la risposta omeostatica.

Dell’insufficienza delle riserve funzionali sono responsabili le modificazioni strutturali e quindi funzionali alle quali vanno incontro con l’età i tessuti ed i diversi

organi, sistemi e apparati.

Dell’instabilità dei meccanismi omeostatici è invece responsabile il progressivo disequilibrio che si verifica a carico dei cosiddetti sistemi di integrazione. Ma l’invecchiamento riduce le capacità omeostatiche dell’organismo anche perché rende meno efficaci i meccanismi di difesa.

ESEMPI DI ALTERAZIONI

1. Recettori beta adrenergici: essi appaiono alterati in quanto, pur non essendo diminuiti numericamente, viene meno la loro stimolabilità. Di conseguenza, nel soggetto anziano i farmaci che agiscono su questi recettori possono avere un effetto variabile da soggetto a soggetto in rapporto al numero ancora stimolabile.

2. Regolazione della pressione arteriosa: nel soggetto anziano i meccanismi di regolazione della pressione arteriosa sono alterati e le modificazioni riguardano soprattutto:

a) compliance vascolare: con l’avanzare dell’età la parete vasale subisce modificazioni fisiologiche rappresentate da ispessimento della tonaca intima e media, causate da un aumento della componente connettivale;

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b) compliance cardiaca: nel soggetto anziano essa appare alterata a causa delle modificazioni a cui va incontro la parete ventricolare, nella quale si riduce il volume

della massa muscolare e aumenta la componente connettivale;

c) sensibilità barocettoriale: nell’anziano si osserva una riduzione della sensibilità dei barocettori situati nella biforcazione carotidea. In conseguenza di tale alterazione, i barocettori diventano poco responsivi agli stimoli provenienti dalla periferia, per cui l’adattabilità alle modificazioni pressorie non è ottimale.

3. Regolazione dei fluidi e dei sali: il mantenimento dell’omeostasi dei fluidi corporei richiede una specifica regolazione dell’apporto idrico ed elettrolitico. In tale regolazione sono essenziali alcuni fattori ormonali: renina, aldosterone, ADH, ormone e peptide natriuretico. Intorno ai 70 anni di età, la portata plasmatica renale è ridotta del 50% e la filtrazione glomerulare del 40-50%: così anche l’attività tubulare sarà ridotta ed il tempo necessario per correggere gli squilibri idro-elettrolitici è maggiore. Nell’anziano la produzione di renina è ridotta e quindi anche la capacità di conservazione renale di sodio diminuisce, per cui anche la regolazione della volemia e della pressione arteriosa risulta compromessa. Si riduce inoltre la secrezione di aldosterone, con conseguente compromissione dell’omeostasi idro-elettrolitica. L’ormone antidiuretico controlla l’osmolarità dei liquidi extracellulari e, poiché il 95% della pressione osmotica è data dalla concentrazione degli ioni sodio, controlla anche la concentrazione extracellulare del sodio. Nell’anziano la secrezione di ADH è aumentata in seguito ad un innalzamento della soglia di stimolazione dell’ormone e ad un’alterazione della risposta all’ipovolemia e all’iperosmolarità. L’ormone natriuretico e il peptide natriuretico sono sostanze prodotte rispettivamente a livello ipotalamico e a livello atriale. Entrambi hanno effetti sulla natiuresi, diuresi, sulla muscolatura liscia e inibiscono la secrezione di renina e aldosterone. La loro produzione nell’anziano è aumentata e pertanto si possono avere condizioni di iposodemia che possono aggravarsi con un ridotto apporto di sodio nella dieta. Si avrà quindi una ridotta capacità di regolare le variazioni della volemia e della osmolarità, perciò è importante controllare lo stato di idratazione e la concentrazione dei sali attraverso il dosaggio degli elettroliti e il controllo dell’ematocrito.

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4. Regolazione della temperatura corporea: l’alterazione dei meccanismi di termoregolazione nell’anziano è determinata da molteplici fattori: a) riduzione della termogenesi muscolare(la massa magra si riduce e aumenta la massa grassa, inoltre chi fa una scarsa attività fisica avrà una ridotta produzione di calore da parte del muscolo);

b) riduzione della capacità del brivido;

c) riduzione della termogenesi glucidica(la termogenesi prodotta dalla glicolisi è ridotta del 50% e poiché questa avviene soprattutto a livello muscolare, la riduzione è causata prevalentemente dall’inattività);

d) riduzione della capacità di vasocostrizione(la risposta al freddo è meno efficace perché si ha la ridotta percezione dell’abbassamento della temperatura e la diminuita risposta dei capillari cutanei all’azione dei termorecettori periferici); e) riduzione della capacità di vasodilatazione e sudorazione: (la capacità di adattamento al caldo è alterata e soprattutto a causa della riduzione della capacità di vasodilatazione capillare cutanea e della riduzione della capacità di sudorazione).

1.1.3 LA NUTRIZIONE

L’invecchiamento non comporta necessariamente uno squilibrio dei principi nutrizionali, tuttavia spesso gli anziani sono soggetti a fenomeni di malnutrizione. Al mantenimento di uno stato nutrizionale normale concorrono diversi fattori:

1. Fattori fisici: il soggetto anziano presenta spesso una riduzione della vista, del gusto e dell’olfatto.

2. Fattori socio-economici: l’anziano che vive da solo spesso non è in grado di provvedere all’acquisto e alla preparazione degli alimenti, tuttavia tra gli anziani che vivono nella propria abitazione si riscontra una maggiore percentuale normo-ipernutriti rispetto ai soggetti istituzionalizzati.

3. Fattori psicologici: l’esistenza stati depressivi o deficit cognitivi(demenze), può interferire notevolmente con la capacità del soggetto anziano di provvedere ad una alimentazione sufficiente e varia.

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4. Fattori patologici: la frequente presenza di patologie multiple può favorire l’insorgenza di stati malnutrizionali, sia per il concorrere delle varie patologie sia per l’assunzione di numerosi farmaci, che possono determinare irritazione della mucosa gastrica o ulcere, determinando una marcata riduzione dell’appetito o alterazioni dei processi digestivi. Una condizione che interferisce con l’assunzione degli alimenti è rappresentata dall’edentulia parziale o totale; l’alterata masticazione dei cibi ne comporta frequenti problemi digestivi soprattutto a livello gastrico. L’edentulia inoltre induce spesso una nutrizione a base di alimenti semiliquidi e poveri di fibre per cui si hanno spesso problemi di stipsi.

5. Fattori nutrienti: negli anziani il metabolismo non subisce importanti modificazioni. Quando tuttavia insorgono problemi metabolici, questi più frequentemente interessano il metabolismo delle proteine e dei sali minerali. Si deve tener presente che l’anziano ha un dispendio energetico minore ed un fabbisogno proteico inferiore a quello di un giovane, anche se nell’anziano prevale la fase catabolica su quella anabolica del metabolismo.

Nel soggetto anziano il metabolismo proteico è ridotto in relazione alla fisiologica diminuzione della massa magra a favore della massa grassa. Questo dipende principalmente da fattori di carattere ormonale e dal grado di attività fisica: il livello degli ormoni ad attività anabolizzante (come il testosterone) si riduce con l’età e la riduzione di attività fisica accentua lo stato di ipotrofia della massa muscolare e ne riduce il metabolismo e la produzione di calore. Per ciò che riguarda il metabolismo dei sali minerali, coloro che hanno un maggior impatto con le funzioni metaboliche

sono il calcio, il ferro e lo zinco.

Da tenere di conto che l’anziano ha un metabolismo del calcio negativo, per cui tende ad impoverirsi di calcio: spesso si tende a ridurre l’apporto alimentare di sali di calcio (latte e derivati); tale situazione è aggravata da una frequente carenza di vitamina.

Nelle donne, inoltre, la perdita degli estrogeni in seguito alla menopausa determina un aumento di attività degli osteoclasti che inducono fenomeni di riassorbimento osseo. L’attività degli osteoclasti è regolata dall’ormone paratiroideo la cui attività è a sua volta frenata dagli estrogeni. In tal modo si verifica un eccesso di riassorbimento osseo,

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responsabile in larga misura del metabolismo osteo-calcico negativo, che si trova alla base dell’osteoporosi.

Fisiologicamente nelle persone anziane la quantità di ferro non è ridotta, bensì bassi livelli di questo(sideremia, ferritina ) dipendono da un ridotto apporto di ferro con la dieta (in corso di malnutrizione), da malassorbimento( patologie gastro-intestinali) oppure da perdite croniche (emorroidi, ernia iatale, ulcera peptica).Infine, lo zinco è un elemento importante per l’organismo, infatti una situazione carenziale deprime fortemente alcune funzioni dell’immunità come la fagocitosi, l’attività dei macrofagi e quella dei polimorfonucleati. Lo zinco è spesso ridotto nei soggetti anziani per condizioni di malnutrizione.

Cause di malnutrizione nelle persone anziane:

1. Fattori sociali (isolamento, fattori economici)

2. Fattori fisici (deficit visivi, riduzione del gusto, dell’odore, ipodipsia)

3. Fattori fisiopatologici (ridotta motilità, disordini sistematici)

4. Fattori psicologici (depressione, demenza)

5. Fattori vari (anoressia, uso di farmaci)

1.1.4 MODIFICAZIONI FISICHE

Le principali modificazioni che si notano durante il processo di invecchiamento sono quelle di tipo fisico, ovvero:

1. Statura: la statura tende a ridursi in modo variabile dopo un lieve incremento che interviene intorno ai 40 anni, ma la riduzione appare più marcata dopo i 50 anni. Le principali cause di tale fenomeno sono retribuibili ad atteggiamenti viziati ed a modificazioni vertebrali (le vertebre si riducono in altezza a causa del rallentamento fisiologico del turnover osseo dei corpi vertebrali); si ha la riduzione degli spazi articolari a carico soprattutto delle grandi articolazioni (ginocchio) e dei dischi intervertebrali, i quali si riducono per la perdita di acqua e per la progressiva degenerazione del nucleo polposo.

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La riduzione dei dischi intervertebrali è il fattore maggiormente responsabile della riduzione della statura delle persone anziane associata al cedimento della volta plantare del piede.

2. Peso corporeo: il peso corporeo tende a ridursi nelle persone anziane. Negli uomini si osserva un incremento fino all’età di 50 anni cui fa seguito un calo ponderale progressivo che si accentua dopo i 70 anni. Nelle donne il peso tende ad aumentare fino ai 60 anni e successivamente a ridursi. L’incremento post-menopausale è determinato principalmente dalla marcata riduzione degli ormoni sessuali che determina un forte rallentamento del catabolismo generale. Anche la ridotta attività fisica e l’incrementato dell’apporto calorico sono responsabili dell’aumento di peso. 3. Composizione corporea: nell’anziano il rapporto massa magra/massa grassa si modifica a favore della massa grassa, la quale aumenta mediamente del 30 %. Il tessuto adiposo aumenta prevalentemente a livello addominale negli uomini e a livello dei fianchi nelle donne. Visceri e ossa tendono a ridursi di peso.

La causa più importante di tali modificazioni è di natura ormonale. Nella donna la perdita di estrogeni ovarici e degli androgeni surrenalici ha effetti metabolici più marcati rispetto agli uomini in seguito alla diminuzione degli androgeni testicolari e surrenalici. Nella donna il calo ormonale induce anche un deficit quantitativo di tessuto

osseo che clinicamente si manifesta come osteoporosi.

A livello della composizione di acqua e sali, negli anziani si osserva una riduzione del volume dei liquidi intracellulari ed una diminuzione della quota di potassio scambiabile. Il volume dei liquidi extracellulari rimane, invece, immodificato o si riduce di poco, mentre il volume plasmatico tende ad aumentare. L’acqua connettivale non subisce modificazioni. Nell’anziano quindi l’acqua intracellulare e quella extracellulare interstiziale tendono a ridursi a vantaggio del volume plasmatico. Pertanto il mantenimento dell’omeostasi idro-elettrolitica può più facilmente risultare compromessa.

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1.2 INVECCHIAMENTO ED APPARATI

1.2.1 APPARATO TEGUMENTARIO

Con l’avanzare dell’età la cute ed i suoi annessi (terminazioni nervose, ghiandole, peli ed unghie) vanno incontro ad importanti modificazioni strutturali, morfologiche e funzionali come risultato dell’invecchiamento intrinseco, associato ulteriormente all’esposizione dei raggi solari (fotoinvecchiamento).

CONSEGUENZE PRINCIPALI

1. L’epidermide si assottiglia in seguito ad una diminuzione nell’attività delle cellule germinali, rendendo gli anziani molto più esposti alle lesioni e alle infezioni cutanee.

2. Diminuzione delle cellule dendritiche sull’epidermide: il numero delle cellule di Langherans diminuisce di circa il 50% rispetto ai massimi livelli (circa a 21 anni). Questa diminuzione può condizionare la sensibilità del sistema immunitario ed inoltre favorisce i danni e le infezioni cutanee.

3. La produzione di vitamina D3 diminuisce di circa il 75%. Questo può condizionare l’assorbimento di calcio e fosfato, aumentando la debolezza muscolare e diminuendo la resistenza ossea

4. L’attività dei melanociti si riduce e la pelle diventa più chiara. Con minor melanina nella cute, gli anziani diventano più sensibili all’esposizione solare e più a rischio di scottature.

5. Diminuisce l’attività delle ghiandole e la cute appare secca e spesso desquama a causa della diminuzione del sebo. Anche le ghiandole sudoripare sono meno attive, e con una respirazione danneggiata, gli anziani non riescono ad abbassare la temperatura corporea con la stessa velocità dei giovani. Per questo motivo con temperature ambientali molto alte, gli over 65 sono a rischio di shock termico.

6. Diminuzione dell’apporto vascolare al derma. Poiché il flusso sanguigno diminuisce, la cute diventa fredda e si ha la stimolazione dei termorecettori; questo può dare una sensazione di freddo anche in una stanza calda. In ogni caso, con la

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riduzione della circolazione e della sudorazione gli anziani hanno una ridotta dispersione di calore rispetto ai giovani. Ne deriva che un’esposizione a alte temperature (es. in una sauna) può causare un aumento di temperatura corporea troppo elevato e quindi pericoloso.

7. I follicoli piliferi cessano di funzionare o producono peli più sottili, che con il minor contenuto di melanina, appaiono grigi o bianchi: viene meno il meccanismo del brivido.

8. Il derma si assottiglia e diminuisce il contenuto di fibre elastiche e la cute perciò diventa più debole e meno resistente: si formano così rughe e grinze. Questi effetti sono più pronunciati nelle zone del corpo maggiormente esposte al sole;

9. La guarigione delle ferite è relativamente lenta, e vi possono essere infezioni ricorrenti. La riparazione cutanea procede molto più velocemente nei giovani (la guarigione di una piccola ferita non infetta può impiegare da tre a quattro settimane, in un giovane, mentre in un anziano può durare da sei a otto settimane).

1.2.2 GLI ORGANI DI SENSO: L’OCCHIO

La principale conseguenza dell’invecchiamento dell’organo della vista è la presbiopia, ovvero la ridotta capacità di accomodazione nella visione da vicino a causa di una perdita di elasticità del cristallino data dalla degenerazione della sua componente proteica. Sul piano patologico la cataratta (perdita di trasparenza del cristallino), è l’evento più comune e grave che compare con l’avanzare dell’età, in quanto porta verso la cecità, a meno che non si intervenga chirurgicamente. Si ritiene che al suo determinismo concorra in misura prevalente il danno ossidativo indotto dall’esposizione della lente alla luce ultravioletta.

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MODIFICAZIONI FUNZIONALI

1. Presbiopia

2. Riduzione riflesso pupillare e quindi della tolleranza alla luce e di adattamento al buio

3. Riduzione del campo visivo

4. Comparsa del fenomeno delle “mosche volanti”, di nebbiosità e scintillii

5. Riduzione capacità discriminatorie dei colori

6. Sensazione di corpo estraneo ed occhio secco

7. Riduzione capacità di percepire il contrasto

1.2.3 GLI ORGANI DI SENSO: L’ORECCHIO

L’espressione dell’invecchiamento a carico della funzione uditiva riguarda la presbiacusia, la cosiddetta perdita dell’udito.

Il deficit uditivo fisiologico è in media del 5% a 60 anni e del 25% a 80 anni. I fattori responsabili delle modificazioni che subisce l’orecchio con l’invecchiamento sono dovute da fattori genetici (circa il 50% della presbiacusia sarebbe geneticamente determinato), dall’esposizione cronica durante l’attività lavorativa a sorgenti particolarmente rumorose, dal tipo di alimentazione (soprattutto per quanto riguarda l’abuso di sostanze tossiche come l’alcool), dall’aver subito patologie dell’orecchio medio ed interno (otiti ricorrenti infettive, batteriche o virali), e dall’assunzione di farmaci ototossici.

MODIFICAZIONI FUNZIONALI

1. Riduzione della percezione e della localizzazione dei suoni

2. Alterazione della sensibilità ai toni per le alte frequenze

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4. Insicurezza ed instabilità nei movimenti al buio 5. Tinnito

1.2.4 GLI ORGANI DI SENSO: IL TATTO

La sensibilità tattile è ridotta specialmente a livello del pollice e dell’indice con una conseguente riduzione della funzione prensile delle dita. Anche la sensibilità nocicettiva è ridotta a causa dell’innalzamento della soglia di percezione del dolore. Pertanto le reazioni riflesse a stimoli dolorifici sono fortemente rallentate.

1.2.5 APPARATO LOCOMOTORE

L’invecchiamento del muscolo scheletrico è caratterizzato da una progressiva diminuzione della massa muscolare, la quale viene definita sarcopenia. Essa comporta una diminuzione della forza muscolare e determina inoltre una riduzione della capacità di mantenimento dell’equilibrio associato all’aumento del rischio di cadute e di fratture.

MODIFICAZIONI ANATOMO-STRUTTURALI

Molti studi hanno messo in evidenza le principali modificazioni a carico del muscolo scheletrico, ovvero: la riduzione del numero e delle dimensioni delle miofibrille, la riduzione del diametro e delle capacità contrattili delle fibre di tipo II rispetto alle fibre di tipo I, riduzione dei mitocondri, riduzione delle proteine contrattili, con maggior prevalenza delle isoforme lente della miosina; pompaggio più lento degli ioni calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico; riduzione del 50% degli enzimi che forniscono energia(tale modificazione enzimatica raggiunge il 70% quando l’anziano è allettato e può essere efficacemente contrastata da una adeguata attività fisica)

Il deficit di enzimi (catalizzatori delle reazioni biochimiche) della glicolisi riduce la capacità di produzione di energia da parte della glicolisi e induce un accumulo di metaboliti non catabolizzati, quale l’acido lattico, con conseguenti dolori muscolari e crampi.

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Nell’anziano si verifica una modificazione della composizione corporea, con incremento della componente grassa e diminuzione di quella magra da ricondurre principalmente al calo della muscolatura scheletrica. Parallelamente all’atrofia muscolare si verifica un aumento del tessuto connettivo e di quello adiposo all’interno del muscolo. La sarcopenia è determinata principalmente da una diminuzione del numero di fibre muscolari, di tipo II, anche se è stata documentata un contemporanea riduzione delle dimensioni di quelle residue.

Altro elemento che caratterizza la sarcopenia è la perdita di miofilamenti: la loro disorganizzazione, nonché l’accumulo di pigmenti di lipofuscine, porta ad una riduzione del tono muscolare e della forza in tutte le sue espressioni (velocità, potenza).

All’interno della letteratura sono state proposte varie teorie sull’origine della sarcopenia, e soprattutto si ritiene che tale origine non sia dovuta esclusivamente dalla perdita muscolare. La teoria che gode maggior consenso è quella che chiama in causa la degenerazione dei motoneuroni spinali (diminuzione del 50% rispetto al giovane nel midollo sacrale). Un altro meccanismo che può contribuire alla sarcopenia è il declino età-dipendente dei livelli ormonali, come gli androgeni, gli estrogeni, gli ormoni della crescita (GH, IGF) e l’insulina, importanti per il mantenimento della massa muscolare.

Da quanto detto appare evidente che la sarcopenia determina un importante riduzione della funzionalità muscolare con conseguente aumento del rischio di disabilità. In una ricerca, le donne con sarcopenia marcata avevano una prevalenza di disabilità di tre volte e mezzo superiore rispetto a quelle con minor perdita di massa muscolare, mentre negli uomini con sarcopenia la prevalenza era quattro volte superiore. I soggetti sarcopenici avevano inoltre più spesso una storia di cadute.

CONSEGUENZE EXTRA-MUSCOLARI DELLA SARCOPENIA

1. Composizione corporea: il metabolismo basale diminuisce con l’età, anche se il declino non è lineare in quanto subisce una progressiva accelerazione dopo i 40 anni negli uomini ed i 50 nelle donne. Tale comportamento è stato attribuito principalmente alla modificazione della composizione corporea con l’età ed in particolare alla sarcopenia. Esso è però dovuto anche ad altri fattori, come ad esempio la riduzione

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dell’attività metabolica della massa magra. Nel corso dell’invecchiamento la spesa energetica totale si riduce sia per la diminuzione del metabolismo basale che per la riduzione del livello di attività fisica. Il fatto che alla riduzione della massa muscolare si accompagni un aumento della massa grassa, è sicuramente dovuto anche alla non riduzione contemporanea dell’apporto calorico con la dieta. Ne consegue quindi un bilancio energetico positivo, direttamente responsabile dell’aumento del tessuto adiposo con l’età, in particolare di quello addominale (obesità androide) che è associato ad un’aumentata morbilità e mortalità cardiovascolare.

2. Tessuto osseo: il carico meccanico esercitato dall’attività fisica sull’osso attraverso la contrazione muscolare è un fattore fondamentale nel condizionarne l’attività metabolica. La diminuzione della massa muscolare sarebbe una delle cause della osteopenia (primo stadio di osteoporosi) da invecchiamento (dopo i 70 anni per entrambe i sessi). Il fatto che la massa ossea sia maggiore nei soggetti fisicamente attivi rispetto ai coetanei sedentari supporta tale ipotesi. In un recente studio condotto su uomini anziani la sarcopenia è stata correlata positivamente con la riduzione della massa ossea e con l’assottigliamento della zona corticale.

3. Tolleranza glucidica: il fattore responsabile della riduzione della capacità di utilizzazione del glucosio da parte delle cellule è dato da una condizione di insulino- resistenza, conseguente ad un aumento del tessuto adiposo a livello addominale ed allo stile di vita sedentario. Quindi il ruolo della sarcopenia è verosimilmente piuttosto modesto.

4. Termoregolazione: la diminuzione della massa muscolare nell’anziano si ripercuote in misura significativa sulla capacità dell’organismo di adattarsi alle variazioni della temperatura, ovvero sulla termoregolazione. La sarcopenia dell’anziano comporta una variazione delle proprietà fisiche del corpo umano con aumento del calore specifico, cioè dell’entità dell’aumento di temperatura corporea in rapporto ad un innalzamento di quella ambientale. La diminuzione con l’età del contenuto corporeo di acqua, localizzata principalmente a livello della massa magra, determina inoltre una diminuzione del volume plasmatico, a cui consegue una minore capacità di aumentare la gittata cardiaca quando, in rapporto ad un’elevata temperatura, si realizza una

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vasodilatazione cutanea che richiede un maggior afflusso di sangue. Per tale motivo l’anziano ha una ridotta capacità di disperdere calore a livello cutaneo.

1.2.6 APPARATO SCHELETRICO

L’osso, in rapporto alle funzioni finalizzate al movimento, presenta caratteristiche strutturali solo apparentemente contrastanti tra di loro: rigidità e forza da un lato, elasticità e leggerezza dall’altro. La rigidità, assicurata dai cristalli di idrossiapatite che rafforzano la struttura a triplice elica del collageno di tipo I, protegge l’osso dall’azione deformante esercitata dalle sollecitazioni connesse al movimento, così come dai traumi di natura compressiva, torsionale e curvativa. L’elasticità, riconducibile alla componente collagenica dell’osso, gli consente di assorbire, neutralizzandola, l’energia che si libera durante l’applicazione di una forza che tende a deformarlo (ad esempio la contrazione muscolare). Relativamente alle altre due proprietà dell’osso, quelle di forza e leggerezza, esse sono garantite, nelle ossa lunghe, dalla particolare conformazione tubulare dei segmenti scheletrici. E’ alla cavità centrale diafisaria che accoglie il midollo osseo che si deve la leggerezza.

A partire dalla quinta decade, seppure con modalità e velocità differenti nei due sessi, tali proprietà strutturali vanno incontro a modificazioni che si traducono in una prevalenza sempre maggiore dell’attività di riassorbimento su quella di neoformazione, a cui corrisponde una progressiva perdita di osso sulla superficie trabecolare, endocorticale ed intracorticale. In particolare, nelle ossa a prevalente componente trabecolare ciò comporta un assottigliamento graduale delle trabecole, sino alla loro eventuale perforazione.

FATTORI DETERMINANTI L’INVECCHIAMENTO DELL’OSSO

A determinare l’entità della perdita della massa ossea con l’età concorrono sia l’invecchiamento intrinseco che numerosi fattori ambientali. Diversamente da quanto avviene per numerosi altri tessuti, le modalità di invecchiamento dell’osso sono profondamente diverse nei due sessi, dato il ruolo centrale che gli ormoni estrogeni rivestono nel suo trofismo. Nell’anziano l’entità della massa ossea è però condizionata

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non solo dalla perdita età-dipendente, ma anche dal picco di massa ossea raggiunto dal soggetto. Alla perdita della di massa ossea associata all’età partecipano inoltre numerosi altri fattori, attivi in entrambi i sessi:

1. Riduzione dell’attività osteoblastica;

2. Ridotto assorbimento intestinale del calcio;

3. Ridotta secrezione del metabolita attivo della vit.D3 da parte del rene senile

4. Ridotta produzione cutanea di vitamina D, con aumento della secrezione di paratormone (PTH) secondaria al progressivo declino della calcemia;

5. Ridotta stimolazione meccanica, conseguenza della perdita con l’età della massa muscolare

EFFETTI DELL’INVECCHIAMENTO SUL RACHIDE

Vista l’importanza e la peculiarità anatomica e funzionale della struttura corporea, da sottolineare sono le alterazioni del rachide. Si assiste ad una marcata riduzione della densità ossea (più precoce nella donna postmenopausale, dato che le vertebre sono costituite principalmente da osso trabecolare, avendo così un alto rischio di frattura o microfratture vertebrali), ad eventuali deformità ossee che possono tradursi in un aggravamento di una scoliosi pregressa, od in un dorso curvo con scompenso posturale, con conseguente maggior rischio di rachialgia e di alterazioni dell’equilibrio. A carico del nucleo si riduce il contenuto acquoso e diminuisce lo spessore, con conseguente abbassamento della statura e un avvicinamento intervertebrale con maggior rischio di artrosi interapofisaria (lombalgia cronica senza discoartrosi).

Queste alterazioni comportano una riduzione della flessibilità del rachide che può spesso tradursi in una disabilità motoria, impedendo così anche movimenti quotidiani (girarsi per fare retromarcia, flettersi in avanti per mettere le scarpe).

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INVECCHIAMENTO E CARTILAGINE ARTICOLARE

Fra le strutture anatomiche che costituiscono l’articolazione, la componente cartilaginea è quella che maggiormente subisce l’invecchiamento ed è soprattutto al suo invecchiamento che sono da ricondurre le modificazioni alle quali va incontro con l’età l’articolazione nel suo complesso.

La cartilagine articolare è una struttura non vascolarizzata che trae i nutrienti necessari a sostenere le proprie funzioni metaboliche dal fluido sinoviale e dagli spazi subcondriali. L’unità funzionale è data dal condrocita immerso in una densa matrice glicoproteica costituita da proteoglicani e collagene principalmente di tipo II (i collagene di tipo IX e XI sono meno presenti, ma sono fondamentali per l’organizzazione strutturale e per la stabilità meccanica del collageno di tipo II).Con l’avanzare dell’età la cartilagine osteoarticolare va incontro ad un complesso di modificazioni proprie dell’invecchiamento, come la diminuzione del contenuto acquoso, il cambiamento della composizione dei glicosaminoglicani, e l’ aumento della concentrazione dei monomeri di proteoglicani, i quali presentano dimensioni ridotte. La conseguenza di tali modificazioni è una diminuita resistenza in età avanzata della cartilagine articolare alle sollecitazioni tensive.

INVECCHIAMENTO E TENDINI

Con l’invecchiamento si assiste ad una progressiva perdita dell’elasticità tendinea, legata ad alterazioni delle fibre collagene, che ne costituiscono l’elemento fondamentale, e dell’elastina, la quale si riduce e viene progressivamente sostituita dalla pseudoelastina. Si verifica anche un’alterazione della sostanza fondamentale anista (SFA), con incremento della rigidità e della fragilità tendinea (con una maggiore suscettibilità alla rottura) accompagnate da una perdita di flessibilità a livello dell’unità muscolo-tendinea.

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1.2.7 APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO

L’apparato cardiaco presenta importanti modificazioni strutturali e funzionali nel corso dell’invecchiamento. Come spesso avviene in gerontologia è difficile stabilire in che misura queste modificazioni costituiscano l’espressione del fisiologico processo di senescenza e quanto invece dell’azione di fattori estrinseci, quali ad esempio alimentazione, attività fisica, oppure di patologie quali l’ipertensione arteriosa e la cardiopatia ischemica, la cui prevalenza aumenta essenzialmente con l’età, senza necessariamente dare manifestazioni clinica di per sé. In generale, gli aspetti anatomo-funzionali che caratterizzano il cuore senile sono stati complessivamente paragonati a quelli che si riscontrano nei soggetti ipertesi.

Dati autoptici dimostrano come oltre il 60% dei soggetti che hanno superato i 65 anni presentano patologie coronariche; con l’aumentare dell’età, prevalentemente per il progressivo incremento dei valori pressori sistolici, aumentano gli spessori parietali del ventricolo sinistro e la massa ventricolare sinistra. La riduzione dell’elasticità arteriosa è il fattore maggiormente responsabile dell’aumento della pressione arteriosa sistolica.

CUORE SENILE: ASPETTI FUNZIONALI

A livello del miocardio, dobbiamo valutare se il soggetto anziano si trova a riposo o sotto sforzo. In condizione di riposo di solito si hanno prestazioni funzionali non significativamente diverse; sotto sforzo invece è possibile notare che si ha la stessa gittata cardiaca ma è presente una diminuzione della riserva funzionale, della FC massima (diminuzione FC intrinseca, diminuzione tono vagale a riposo, diminuzione risposta beta-adrenergica), ed un aumento della gittata sistemica data dall’aumento del volume telediastolico.

Per ciò che riguarda il tessuto di conduzione, un cuore senile presenterà una diminuzione della frequenza intrinseca del nodo del seno, un aumento della sensibilità al calcio ed a tutte le condizioni che tendono ad indurre aumento di calcio intracellulare.

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SISTEMA VASCOLARE

L’invecchiamento delle arterie avviene secondo due modalità distinte: in quelle a prevalente componente elastica (es. aorta), oltre ad un progressivo aumento dello spessore della parete si accompagna un proporzionale aumento del calibro vasale; viceversa, nelle arterie a prevalente componente muscolare (es. iliaca esterna, femorali), l’aumento dello spessore è maggiore di quanto non sia quello del calibro, con conseguente diminuzione del calibro interno. Anche il microcircolo va incontro ad una progressiva fibrosclerosi con intensità individuale assai variabile. La componente arteriolare, ricca di fenomeni di scleroialonosi, presenta tortuosità di decorso, irregolarità di calibro e significativa riduzione del lume. Si riduce il numero e la densità dei capillari in diversi tessuti ed i vasi rimanenti divengono tortuosi, rigidi ed irregolari per calibro, con abnorme pervietà e dilatazione delle anastomosi.

1.2.8 APPARATO RESPIRATORIO

L’invecchiamento comporta importanti modificazioni sia a livello strutturale che funzionale, anche se è difficile poter discriminare in che misura tali modificazioni siano conseguenza dell’invecchiamento intrinseco e quanto invece di fattori estrinseci, di natura comportamentale, ambientale e patologica. In particolare lo stile di vita (sedentarietà), l’esposizione ad inquinanti ambientali, le infezioni respiratorie subite, ma ancor più l’abitudine al fumo (compreso quello “passivo”), soprattutto nei soggetti più suscettibili. In questo periodo storico la valutazione delle modalità di invecchiamento effettuata mediante il confronto fra generazioni (studi trasversali), deve però anche tener conto della diversa incidenza e decorso delle infezioni respiratorie fra prima e dopo l’avvento degli antibiotici, nonché dell’aumento della statura media della popolazione negli ultimi decenni a cui ha fatto seguito una modificazione di alcuni parametri respiratori ( la capacità vitale è infatti in parte dipendente da questo parametro).Quindi le indicazioni più attendibili sul come e quanto l’età modifichi l’apparato respiratorio derivano da pochi studi longitudinali.

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MODIFICAZIONI ANATOMO—FISIOLOGICHE

Nonostante con l’invecchiamento si assista ad una progressiva atrofia della muscolatura scheletrica, l’uso costante dei muscoli respiratori tende a ridurre l’entità di questo processo. Comunque si verificano modificazioni a carico di tutte le componenti:

 Aumento del diametro antero-posteriore della gabbia toracica con riduzione degli spazi intercostali per accentuazione della cifosi dorsale e degenerazione dei dischi intervertebrali e dei corpi vertebrali;

 Aumento della rigidità della gabbia toracica legata ad un aumento della componente inorganica delle coste, sterno, colonna; irrigidimento fino all’anchilosi delle articolazioni intorno alle quali ruotano le coste; perdita di elasticità di quest’ultime a causa della riduzione della massa muscolare e fibrosi dei muscoli respiratori con atrofia dei muscoli respiratori accessori;

 Maggiore rigidità causata dall’accentuazione della cifosi dorsale, riduzione degli spazi intercostali, calcificazioni delle cartilagini costali, ridotta mobilità fino all’anchilosi delle articolazioni costo-vertebrali e costosternali, minore efficacia muscoli respiratori;

 Perdita o alterazione delle fibre elastiche polmonari;

 Riduzione della forza e della resistenza dei muscoli respiratori come dimostrato dalla riduzione della pressione massima inspiratoria misurata a livello della bocca (in media del 35% nel sesso maschile fra 20 e 75 anni) e dalla riduzione della pressione massima transdiaframmatica (fino anche il 25%);

 Aumento del lavoro necessario alla modificazione toracica (cifosi e debolezza della parete addominale specie nel sesso femminile affetto da osteoporosi);

 Perdita del tessuto cartilagineo con predisposizione al collassamento durante l’espirazione forzata;

 A livello tracheo-bronchiale si assiste ad una progressiva sostituzione di tessuto elastico polmonare con tessuto fibro-connettivale che portano ad una progressivo aumento delle dimensioni dei dotti alveolari e dei bronchioli

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respiratori a spese degli alveoli circostanti con una riduzione della superficie alveolare;

 Riduzione progressiva degli alveoli e dei capillari polmonari e di conseguenza anche della riserva respiratoria polmonare (senza significative ripercussioni funzionali nell’anziano sano);

 Ispessimento delle pareti vasali con riduzione di calibro e aumento di pressione;

 Riduzione della capacità vitale (correlata alla statura) specie nei soggetti molto anziani;

 Alterazione della clearance(pulizia)mucociliare per riduzione delle ghiandole muco-secernenti;

 La progressiva perdita di elasticità porta all’aumento della compliance polmonare con aumento del volume residuo e riduzione del volume di riserva espiratorio (capacità funzionale residua cui va sottratto il volume residuo). L’aumento del volume residuo riflette un’espansione dello spazio alveolare. Questo comporta un ritardo nelle variazioni della composizione dei gas in risposta ad aumenti di ventilazione con conseguente rallentamento dell’aumento della pressione di O2 alveolare durante l’esercizio fisico.

Intorno ai 65 anni si ha una riduzione della capacità vitale di almeno un quarto con una maggior riduzione di ventilazione soprattutto nei segmenti polmonari basali, gli stessi nei quali si distribuisce un’ampia frazione del flusso ematico polmonare, sempre per motivi idrostatici. L’aumento del volume toracico porta inoltre ad una diminuzione dell’efficienza meccanica dei muscoli toracici. Infine, l’aumento della rigidità della gabbia toracica e la riduzione delle forze elastiche di ritorno causano la riduzione della VEMS e della capacità vitale forzata.

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1.2.9 SISTEMA NERVOSO CENTRALE

Con l’invecchiamento il cervello va incontro ad atrofia conseguente alla riduzione del numero di neuroni e dei contatti sinaptici. Anche in età avanzata il cervello mantiene comunque quelle caratteristiche di plasticità che permettono, dietro opportuna stimolazione, di garantire una buona efficienza funzionale. La memoria rappresenta solitamente la funzione cognitiva maggiormente compromessa. Le modalità di espressione dell’invecchiamento cerebrale hanno un estrema variabilità interindividuale. L’elevata variabilità rende difficile definire un modello di normalità nell’invecchiamento cerebrale, aspetto che si riflette nella difficoltà di individuare precocemente quadri di patologia del sistema nervoso centrale nell’individuo molto anziano. Importante comunque sottolineare come, anche in età avanzata, il mantenimento di relazioni sociali e di un’attività fisica ed intellettuale costante possono rallentare la perdita di funzioni grazie alla plasticità delle strutture nervose. Con l’invecchiamento si ha una riduzione progressiva del numero di neuroni che comporta una riduzione della secrezione dei neurotrasmettitori. I neuroni accumulano lipofuscine e cellule gliali ed una parte di esse muore provocando una diminuzione del 10-20% del tessuto cerebrale tra i 20 e i 90 anni di età.

Sono ridotte le concentrazioni di noradrenalina (fino al 40%), di acetilcolina (si associa spesso alla malattia Alzheimer e ad alcune forme di tremore) e di GABA (principale neurotrasmettitore ad azione inibitoria; la sua riduzione sembra essere causa della ridotta capacità di integrazione degli stimoli che si rileva nell’anziano).

A livello degli organi di senso, sono ridotti il numero dei recettori tattili, con conseguente degenerazione delle fibre nervose relative, e la sensibilità dei recettori per il caldo e per il freddo. Importante ricordare che gli organi propriocettivi all’interno ed intorno alle articolazioni tendono a degenerare, con perdita parziale della capacità di individuare i piccoli spostamenti degli arti.

Risultano diminuite la velocità di risposta ai segnali (spesso anche per uso di sedativi, disturbi ormonali o carenze nutrizionali), la capacità di elaborare le informazioni e di portare a termine operazioni come la codificazione, la comparazione e la selezione.

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Tutto ciò è in parte legato alla morte di neuroni e di dendriti di interconnessione, a modificazioni enzimatiche, recettoriali e neuro-ormonali.

MODIFICAZIONI ANATOMO-STRUTTURALI

Dal punto di vista macroscopico, il cervello senile è caratterizzato da un minor peso dell’organo in conseguenza di un decremento di circa 2-3 grammi all’anno dopo i 60 anni, da solchi e ventricoli più ampi e da un minore volume degli emisferi, con una diminuzione di circa il 3.5% per decade negli uomini e del 2% nelle donne. Tale fisiologica atrofia, che coinvolge inizialmente la sostanza grigia, si estende più tardivamente alla sostanza bianca. Tipico è anche il progressivo ispessimento fibrotico delle meningi con deposizione focale di sali di calcio. La morte neuronale età correlata costituisce la tappa finale di una sequenza di eventi degenerativi che comportano la semplificazione dell’albero dendritico, la rarefazione dei contatti sinaptici, la progressiva diminuzione del volume cellulare, fino alla morte neuronale. L’invecchiamento però non interessa in egual misura tutte le aree cerebrali: studi istologici e radiologici hanno dimostrato un maggior interessamento della corteccia pre-frontale, frontale e temporale, dell’ippocampo e di alcune formazioni sottocorticali. Il cervello è in grado di compensare per lungo tempo gli effetti del depauperamento neuronale, infatti nonostante la relativa precocità di comparsa delle alterazioni morfo-funzionali età-correlate, le manifestazioni fenomenologiche compaiono di solito tardivamente, tranne in deficienza senile ed Alzheimer. Tutto questo grazie a due importanti meccanismi di compenso: la plasticità e la ridondanza. La plasticità è intesa come la capacità di accrescere, dietro opportuna stimolazione, l’arborizzazione dendritica per mantenere attivi i diversi circuiti neuronali. La

plasticità è primariamente espressa dalle spine dendritiche.

La ridondanza è la disponibilità, per alcune funzioni, di circuiti neuronali accessori che possono sostituire quello principale quando esso sia irrimediabilmente alterato.

Sul piano microscopico, il cervello senile è caratterizzato da una serie di reperti morfologici espressione di processi involutivi che coinvolgono sia la componente cellulare che extracellulare. Molti neuroni encefalici tendono ad accumulare una quantità abnorme di depositi intracellulari, costituiti da lipofuscine e da accumuli di

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neurofibrille aggrovigliate fra loro. I grovigli di neurofibrille (gliali) sono ammassi di filamenti proteici che formano matasse dense all’interno del corpo cellulare e dell’assone, alterando il flusso citoplasmatico assonale e rallentando, fino a bloccare, l’arrivo di nuove proteine dalle regioni perinucleari verso le strutture dendritiche e assonali, con conseguente sofferenza della cellula nervosa.

Le placche sono accumuli extracellulari di proteine fibrillari, circondati da assoni e dendriti anormali. Sia le placche che i grovigli neurofibrillari contengono depositi formati da diversi peptidi, principalmente due forme della proteina amiloide β, che compaiono specialmente in alcune regioni encefaliche quali l’ippocampo, e che quindi sono associate ad alterazioni dei meccanismi della memoria a breve termine. Alcune prove indicano che la loro comparsa è collegata fisiologicamente all’invecchiamento dell’encefalo, tuttavia quando sono presenti in eccesso sembrano essere associati a patologie.

Un altro elemento che caratterizza il cervello senile è l’espansione degli spazi perivascolari con formazione di lacune presenti a livello della sostanza bianca sottocorticale e dei nuclei della base.

ASPETTI FENOMENOLOGICI

 Funzioni motorie: con l’avanzare dell’età si assiste ad una marcata modificazione delle capacità motorie che si manifesta con una maggiore difficoltà al mantenimento dell’equilibrio ed ad una ridotta fluidità dei movimenti. Per quanto riguarda il mantenimento dell’equilibrio statico, esso richiede l’integrità delle afferenze sensoriali, della capacità di esecuzione degli atti motori e dell’integrazione centrale di queste componenti. L’alterazione dei sistemi propriocettivi, in particolare quelli tibiotarsici e delle afferenze vestibolari e visive, fa sì che l’anziano, temendo di cadere, assuma una postura a base allargata con gli arti leggermente flessi, allo scopo di mantenere una più ampia area di appoggio. Alla deambulazione il soggetto mostra una riduzione della lunghezza del passo e della velocità di movimento, cui si associa una ridotta pendolarità delle braccia ed una tendenza a strisciare i piedi, anche dovuto allo schiacciamento della volta plantare. Sono questi i segni di un

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alterato pattern dinamico, legato alla difficoltà di riassumere una posizione di equilibrio alla fine di ogni singolo atto motorio che può portare ad un vero e proprio arresto improvviso della marcia con un’incapacità momentanea di staccare i piedi dal suolo. Anche la coordinazione motoria per la componente che fa riferimento al sistema extrapiramidale può deteriorarsi, cosicché l’anziano può assumere l’andatura festinante (riduzione delle oscillazioni delle braccia, diminuzione della lunghezza del passo). Nella marcia festinante il soggetto tende a tenere il busto in avanti e ad accelerare la marcia come se inseguisse il proprio baricentro.

 Ritmo Sonno Veglia: l’invecchiamento cerebrale è anche responsabile delle modificazioni del ciclo sonno-veglia alle quali consegue un riposo più frammentato e di minore durata rispetto al giovane. Fisiologicamente il sonno è caratterizzato dal susseguirsi di 5-6 cicli, ciascuno dei quali è composto di quattro fasi (fasi 3 e 4 caratterizzate all’EEG da onde lente che corrispondono alla fase di sonno profondo) e si conclude con una fase REM (sonno paradosso), in cui compaiono movimenti oculari rapidi e ipotonia muscolare. L’invecchiamento delle strutture preposte alla regolazione del sonno è responsabile della riduzioni della fase del sonno profondo ad onde lente e dell’aumento della durata di quelle caratterizzate da onde ad elevata frequenza, in cui è più facile il risveglio, anche per stimoli di lieve entità. Ciò spiega la frammentazione del sonno dovuto ai frequenti risvegli e la riduzione della sua qualità che fa sì che molti anziani si lamentino di alzarsi poco riposati. In realtà, a peggiorare ulteriormente la qualità del sonno nell’anziano, contribuiscono la frequente presenza di alterazioni nell’attività respiratoria notturna, con improvvisi stati di apnea, attività motorie abnormi (ad esempio la sindrome delle gambe senza riposo), nicturia, nonché numerosi stati patologici.

 Funzioni cognitive: le modificazioni delle funzioni cognitive con l’età sono fortemente influenzate, oltre che dall’invecchiamento, da una molteplicità di fattori ambientali. La perdita della memoria è sicuramente il disturbo più facilmente osservabile negli anziani ed è anche quello di cui più frequentemente si lamentano. A riguardo della memoria a lungo termine (dati già appresi e immagazzinati che richiedono l’integrità del meccanismo di

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richiamo), di solito conservata, è presente una certa difficoltà al recupero di informazioni che non vengono periodicamente rievocate. La memoria a breve termine (apprendimento di una nuova nozione, ad esempio il nome di una persona, che prevede l’attivazione dei meccanismi di codificazione e ripetizione) è invece progressivamente più compromessa e quanto viene appreso viene immediatamente o rapidamente dimenticato. Sembra che l’intelligenza tenda a mantenersi inalterata fino ad età molto avanzata tranne che per le attività che necessitano di una rapida elaborazione di informazione e di astrazione, da ricondurre ad un rallentamento dei processi di integrazione centrale oltre che alle minori capacità motorie e percettive.

SINDROMI EXTRAPIRAMIDALI

Per sindromi extrapiramidali si intende essenzialmente il Morbo di Parkinson caratterizzato da ipocinesia/bradicinesia (riduzione/rallentamento dei movimenti), tremore e rigidità ed i parkinsonismi, nei quali la rigidità è spesso di minore intensità ed il tremore è assente o molto lieve. Il Morbo di Parkinson è la malattia più comune a carico del sistema extrapiramidale ed è secondario ad una degenerazione del sistema nigro-striatale (sostanza nigra, putamen e lobo caudato) che si serve di due neurotrasmettitori, la dopamina e l’acetilcolina. Questo sistema è connesso al globo pallido e al talamo, i quali hanno influenze dirette sulle attività motorie che originano dalla corteccia. L’ipocinesia insorge lentamente assieme a movimenti involontari, prevalentemente a livello degli arti, del tronco e della muscolatura facciale; il tremore si manifesta a riposo con frequenza di 3-5 cicli al secondo, ed è assente o ridotto durante un’azione; la rigidità è prevalente a carico degli arti, del tronco e della muscolatura facciale, ed interessa in maggior misura i muscoli flessori determinando la tipica postura distonica in flessione del soggetto. Spesso è associato a demenza (50-60% dei casi).

Il soggetto parkinsoniano deve essere seguito con molta attenzione per i rischi connessi all’attività motoria. Infatti, spesso, incorre in episodi sincopali e di ipotensione ortostatica; inciampa facilmente per la tipologia del movimento con difficoltà a

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prendere l’avvio e ad alzare i piedi; la rigidità, la flessione del tronco ed i movimenti involontari contribuiscono a ridurre l’equilibrio (già compromesso dalla malattia e dalla postura del capo) e quindi li rende più sottoposti alle cadute.

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2 ATTIVITA’ FISICA NELLA POPOLAZIONE ANZIANA

2.1 CLASSIFICAZIONE ANZIANI

I soggetti anziani costituiscono uno spicchio molto ampio della popolazione totale in Italia. Nel corso degli anni infatti, è aumentata l’aspettativa di vita grazie al benessere, alle attività svolte, grazie a studi in campo medico ed all’attività sportiva, e di conseguenza è stata modificata anche la classificazione di questi soggetti:

 Soggetto Anziano = 65 - 75 anni - prima età anziana

 Soggetto Molto anziano = 75 - 85 anni (con varie disabilità fisiche) - seconda età anziana

 Soggetto Longevo = > 85 anni (condizione di malattia quasi sempre presente) –terza età anziana

Oltre ad una suddivisione di tipo anagrafico, è opportuno fare un’ulteriore classificazione dei soggetti anziani, costituita dalla qualità fisica e funzionale del movimento.

Suddividiamo quindi in soggetti fisicamente dipendenti, fisicamente fragili, fisicamente indipendenti ed in forma( elite).

OBIETTIVI PER I DIVERSI LIVELLI DI ANZIANI

FISICAMENTE DIPENDENTI

 Allenamento delle abilità di base della vita quotidiana;

 Allenamento dei movimenti segmentari (tonificazioni- mobilità);

 Allenamento della coordinazione delle mani, della locomozione e respirazione;

 Indicazioni per esercizi autonomi. MODALITA’ DI ALLENAMENTO

 Allenamento in circuito;

 Corsi collettivi di educazione motoria con l’ausilio di sedia;

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FISICAMENTE FRAGILI

 Allenamento delle abilità strumentali della vita quotidiana;

 Allenamento di abilità di gestione della vita in casa e per la relazione;

 Allenamento della forza e/o resistenza muscolare segmentaria;

 Allenamento della mobilità articolare;

 Allenamento della coordinazione dell’arto superiore, della locomozione e respirazione;

 Allenamento dell’equilibrio;

 Indicazioni per esercitazioni autonome. MODALITA’ DI ALLENAMENTO

 Allenamento in circuito;

 Corsi collettivi di educazione motoria;

 Corsi collettivi di educazione motoria con l’ausilio di sedia;

 Esercitazioni individuali;

 Esercitazioni individuali autonome.

FISICAMENTE INDIPENDENTI

 Allenamento della resistenza aerobica;

 Allenamento della forza e della resistenza muscolare;

 Allenamento della mobilità articolare;

 Allenamento della coordinazione e dell’equilibrio;

 Apprendimento e pratica di attività motorie specifiche (ginnastica in acqua, ballo, thai chi, yoga, potenziamento con pesi, adattamento ludico di giochi sportivi);

 Apprendimento e pratica di discipline sportive in forma ludica (nuoto, ciclismo, tennis, podismo, escursionismo alpino, golf);

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MODALITA’ DI ALLENAMENTO

 Allenamento prolungato;

 Allenamento in circuito;

 Attività ricreative;

 Corsi collettivi di educazione motoria;

 Allenamento individuale;

 Corsi collettivi di tecniche specifiche

FISICAMENTE IN FORMA (ELITE)

 Allenamento della resistenza aerobica;

 Allenamento della forza resistente;

 Allenamento della mobilità articolare;

 Apprendimento e pratica di attività motorie specifiche (ginnastica in acqua, ballo, thai chi, yoga, potenziamento con pesi, adattamento ludico di giochi sportivi);

 Apprendimento e pratica di discipline sportive in forma ludica e/o in forma competitiva (nuoto, ciclismo, tennis, podismo, escursionismo alpino, golf).

MODALITA’ DI ALLENAMENTO  Allenamento prolungato;  Allenamento in circuito;  Interval training;  Competizioni;  Attività ricreative;  Allenamento individuale;

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2.2 TIPOLOGIE DI INVECCHIAMENTO

Possiamo distinguere ulteriori forme di invecchiamento:

1) Invecchiamento associato a malattia, che oggi riguarda la quasi totalità dei soggetti anziani;

2) Invecchiamento usuale, riscontrato nei soggetti over 65 con assenza di patologie;

3) Invecchiamento di successo, in cui il soggetto over 65 non presenta malattie ed ha una cardiofitness respiratoria generale simile a quella che il soggetto aveva in età adulta (si ha una risposta in termini di fitness buona). Il raggiungimento di questa tipologia di invecchiamento è ottenibile attraverso la continuità della pratica sportiva.

L’importanza dell’attività fisica nella terza età

L'attività fisica è un elemento chiave nel raggiungimento degli obiettivi della strategia di invecchiamento sano e attivo per la sua capacità di preservare l'indipendenza funzionale in età avanzata e di mantenere una buona qualità di vita. L’esercizio fisico aiuta ad invecchiare meglio sia fisicamente che psicologicamente, controlla l’ipertensione arteriosa ed il profilo lipidico, in particolare i livelli di colesterolo, contribuisce a prevenire o ritardare l'insorgenza di patologie croniche connesse all'invecchiamento, riduce il rischio delle conseguenze da osteoporosi e di traumi da caduta. Sono ormai numerose le evidenze scientifiche che avvalorano l'importanza della pratica di una regolare attività fisica anche nella fascia di popolazione anziana per i suoi effetti positivi sui vari fattori psicologici e sulla qualità della vita in generale.

2.3 TIPOLOGIE DI ATTIVITA’ FISICA

La strategia dell’Oms 2016-2025 raccomanda livelli di attività fisica differenziati per fascia d’età. Nell’adulto dopo i 65 anni valgono le medesime indicazioni dell’adulto fra i 18 e i 64 anni. Ad esse si aggiunge quella della pratica dell’esercizio per l’equilibrio, almeno 3 volte la settimana, soprattutto per coloro che hanno una mobilità scarsa, in modo da prevenire le cadute. Gli adulti di questa fascia di età che non possono seguire totalmente il livello previsto raccomandato di attività fisica, a causa

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delle loro condizioni di salute, dovrebbero adottare uno stile di vita attivo adeguato alle loro capacità e condizioni. Per questa fascia di età più avanzata, è comprovato che svolgere attività fisica aiuti ad invecchiare bene: aumenta la resistenza dell’organismo, rallenta la fisiologica involuzione dell’apparato musco-scheletrico e cardiovascolare e ne traggono giovamento anche le capacità psico-intellettuali.

Caratteristiche del programma di attività

Secondo le Linee guida American College of Sport Medicine e American Heart

Association, il programma di attività deve prevedere un impegno graduale ad incremento costante, deve mantenere proposte varie e stimolanti, personalizzare gli esercizi e fornire qualche consiglio sull’alimentazione da fare prima-durante-dopo l’attività.

Attività di allenamento alla forza:

 Frequenza: almeno 2 sedute settimanali;

 Intensità: moderata;

 Modalità allenamento: uso dei principali distretti muscolari per lavorare come sovraccarico sul proprio peso (8-12 ripetizioni).

Attività di allenamento alla flessibilità (stretching statico o dinamico cauto e non balistico) ed alla propriocettività:

 Frequenza: almeno 2 sedute settimanali;

 Intensità: moderata;

Attività di allenamento all’equilibrio (balance):

 Posture che incrementino progressivamente la difficoltà nel mantenimento all’equilibrio;

 Movimenti dinamici che tendano a spostare il baricentro;

 Sollecitazione dei gruppi muscolari postulare (equilibrio talloni/punte)

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2.4 I BENEFICI DELL’ATTIVITA’ FISICA

La mobilizzazione completa di tutte le articolazioni ed il potenziamento della muscolatura attraverso l’attività fisica regolare mette in azione numerosissimi meccanismi biologici che interagiscono con organi ed apparati.

Nello specifico, i benefici di un costante esercizio fisico sulla salute degli anziani saranno:

 Minore accumulo di grasso totale ed addominale;

 Muscolatura più resistente all’affaticamento;

 Minore stress cardiovascolare e metabolico;

 Abbassamento della pressione arteriosa, della colesterolemia e della trigliceridemia;

 Ridotto rischio di patologie coronariche;

 Controllo del diabete di tipo II;

 Miglioramento dei disturbi vascolari periferici;

 Efficienza cardio respiratoria;

 Aumento della motilità intestinale;

 Benessere psicologico (minor rischio di depressione e ansia);

 Rendimento cognitivo superiore (migliora la capacità di attenzione e la memoria).

Il risultato sarà quindi un miglioramento della salute cardiovascolare e muscolare, ed una riduzione del rischio di malattie croniche, depressione, e declino cognitivo.

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