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La crisi istriana del secondo dopoguerra: dalle opzioni al Cominform (1947-1951)

Orietta Moscarda Oblak*

Il saggio focalizza l’attenzione sulla questione delle opzioni a favore della cittadinanza italia-na previste dal Trattato di pace per la popolazione italiaitalia-na che viveva nei territori annessi al-la Jugosal-lavia. Sulal-la base delle fonti ex jugosal-lave disponibili presso gli archivi croati, il sag-gio propone un approccio diverso rispetto a quello fin qui prodotto dalle storiografie nazionali, vale a dire un’analisi dall’interno del processo decisionale dei vari attori jugoslavi, al fine di esplorarne presupposti, articolazioni, evoluzione e contraddizioni. L’autrice discute la comples-siva politica dei “poteri popolari” nei confronti degli italiani, segnata dalla profonda contrad-dizione fra obiettivi dichiarati e prassi repressiva; analizza l’impatto della crisi del Cominform sul territorio, che prospettò per il regime una nuova emergenza, quando si era da poco conclu-sa quella legata alla definizione del confine con l’Italia. Nei confronti di questi due fenomeni contemporanei, le autorità jugoslave reagirono con misure repressive e una politica di violenza, che determinarono in larga parte il ricorso alle opzioni da parte della popolazione.

Parole chiave: Jugoslavia, Istria, Trattato di pace (1947), Potere popolare, Opzioni, Cominform The Istrian Crisis after World war II: from the time of the Options — optants to Cominform (1947-1951)

This article analyzes the issue of the options for Italian citizenship made available by the Peace Treaty for Italians living in territories annexed to Yugoslavia. Based on former Yugoslav sources now available in  Croatian archives, this article proposes a different interpretation from the one offered by national historiographies. In particular, it offers an analysis from the inside of  the decision-making process of various Yugoslav bodies, in order to explore their assumptions, articulations, evolution and contradictions. The article discusses the overall policy of “popular power” toward the Italian population, which was marked by profound contradictions between stated objectives and repressive practices. It then analyzes the impact of the Cominform crisis on the territory, which brought about a new emergency for the regime, just when the crisis linked to the definition of the border with Italy had terminated. In relation to these two simultaneous phenomena, Yugoslav authorities reacted using repressive measures and introducing a policy of violence, which determined and led to the so-called population options, and to a series of migration waves of optants, exiles or “esuli”.

Key words: Yugoslavia, Istra, Treaty of Peace (1947), Popular power, Options, Kominform

“Italia contemporanea”, agosto 2018, n. 287 ISSN 0392-1077 - ISSNe 2036-4555 Saggio proposto alla redazione il 28 dicembre 2016, accettato per la pubblicazione il 16 aprile 2018.

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La situazione generale in Istria fra il 1947 e il 1951

Nell’arco di un decennio, fra il 1947 e il 1956, circa 200.000-250.000 perso-ne residenti perso-nelle ex province di Pola e di Fiume trasferite alla sovranità jugo-slava in forza del Trattato di pace, optarono per la cittadinanza italiana e si tra-sferirono in Italia1. Tale scelta ha costituito per decenni uno dei principali nodi

del dibattito sull’esodo dei giuliano-dalmati2. Il termine stesso di “optanti” è 1 Per quanto riguarda le stime del più ampio fenomeno dell’esodo dei giuliano-dalmati,

og-getto già di lunghissime controversie, si fa qui in particolare riferimento agli studi di Olinto Mi-leta Mattiuz, Popolazioni dell’Istria, Fiume, Zara e Dalmazia (1850-2002). Ipotesi di quantifi-cazione demografica, Trieste, Ades, 2005, pp. 185-209; Id., Gli spostamenti di popolazione nel territorio annesso alla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale. Tentativo di quantificazio-ne demografica, in Dopoguerra di confiquantificazio-ne = Povojni čas ob melji, Trieste, 2007, pp. 687-704; Id., Materiali esposti presso il Civico museo della cultura istriana, fiumana e dalmata di Trie-ste, 2016. Le stime oscillano fra i 280 e i 300 mila emigrati dai territori passati alla Jugoslavia, dei quali circa 220 mila dall’Istria. A tali stime si rinvia anche per l’articolazione degli esuli per lingua d’uso, provenienza ed origine (famiglie autoctone, immigrati dopo il 1918 e loro discen-denti, ecc.), cfr. pp. 202-203. Cifre più basse, fra le 188.000 e le 250.000 unità, vengono riporta-te da Vladimir Žerjavić, ma riguardano solo il riporta-territorio della Croazia, si vedano: Doseljavanja i iseljavanja s područ ja Istre, Rijeke i Zadra u razdoblju 1910-1971, “Društvena istraživanja”, 1993, n. 4-5, pp. 631-656 e Id., Koliko je osoba iselilo iz područja pripojenih Hrvatskoj i Slove-niji nakon kapitulacije Italije i Drugog svjetskog rata, “Časopis za suvremenu povijest” (Čsp), 1997, br. 1, pp. 147-153. Per la Slovenia, dal 1945 al 1958 le persone che abbandonarono i terri-tori annessi alla repubblica furono 49.132, delle quali 27.810 sono considerate “profughi istria-ni”; 21.322 gli italiani dipendenti di enti e strutture statali, immigrati dopo la prima guerra mondiale che abbandonarono gli altri territori annessi alla Slovenia con il Trattato di pace del 1947, si veda Nevenka Troha, Preselitve v Julijski krajini po drugi svetovni vojni, “Prispevki za novejšo zgodovino”, 2000, n. 1, pp. 256-257.

2 Sul tema del confine orientale nel secondo dopoguerra e in particolare sull’esodo

giuliano-dalmata esiste una vastissima bibliografia, prodotta dalla storiografia internazionale e da quel-le nazionali. In generaquel-le vedi Cristiana Colummi et al., Storia di un esodo. Istria 1945-1956, Irsml, Trieste, 1980; Glenda Sluga, The Problem of Trieste and the Italo-Yugoslav Border, Al-bany, State University of New York Press, 2001; Raoul Pupo, Il lungo esodo: Istria, le perse-cuzioni, le foibe, l’esilio, Milano, Rizzoli Libri, 2005; Marina Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, Bologna, il Mulino, 2008; Rolf Wörsdörfer, Il confine orientale. Italia e Jugosla-via dal 1915 al 1955, Bologna, il Mulino, 2009. Sul versante della memoria si vedano Gloria Nemec, Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio: Grisignana d’Istria 1930-1960, Gorizia, Leg, 1998; Pamela Ballinger, History in Exile. Memory and Identity at the Borders of the Balkans, Princeton, Princeton University Press, 2003; trad. it. La memoria dell’e-silio: esodo e identità al confine dei Balcani, Roma, Il Veltro, 2010; Sabine Rutar, War, Memo-ry, and Nation in the Northeastern Adriatic: A Contribution to Methodology, in Jože Pirjevec, Gorazd Bajc, Borut Klabjan (a cura di), Vojna in mir na Primorskem. Od kapitulacije Italije le-ta 1943 do Londonskega memoranduma lele-ta 1954, Koper, Univerza na Primorskem, 2005, pp. 241-254; Enrico Miletto, Con il mare negli occhi. Storia luoghi e memorie dell’esodo istriano a Torino, Milano, FrancoAngeli, 2005; Marta Verginella, Il confine degli altri. La questione giu-liana e la memoria slovena, Milano, Donzelli, 2008, pp. 117-119. Per la storiografia croata si ve-dano Darko Dukovski, Egzodus talijanskog stanovništva iz Istre 1945-1956, “Čsp”, 2001, br. 3, pp. 633-667; Marino Manin, Voce Egzodus, in M. Bertoša-R. Matijašić (a cura di), Istarska en-ciklopedija, Zagreb, 2005, p. 353; Franko Dota, Zaraćeno poraće. Konfliktni i konkurentski na-rativi o stradanju i iseljavanju Talijana Istre, Zagreb, Srednja Europa, 2010; Marica Karakaš

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stato infatti correntemente utilizzato dalla pubblicistica e storiografia jugosla-ve in luogo di quello di “esuli” o “profughi” adottato injugosla-vece dagli storici italia-ni: e ciò per indicare la volontarietà della scelta alla base del flusso migratorio. Viceversa, le angherie cui i richiedenti l’opzione vennero sottoposti all’atto del-la presentazione delle domande sono state in genere interpretate da parte italia-na quale conferma di uitalia-na volontà persecutoria del regime di Tito contro gli ita-liani manifestatasi nel corso degli anni in forma diversa, ma sempre al fine di pervenire alla distruzione del gruppo nazionale italiano.

Sul piano degli studi, mentre le motivazioni soggettive dell’opzione per la cittadinanza italiana sono state ben esplorate sulla base delle fonti orali non-ché della documentazione prodotta dagli esuli fin dal tempo della loro parten-za, forti interrogativi ha posto invece il comportamento delle autorità locali, difficilmente compatibile con le interpretazioni canoniche dell’esodo elabora-te rispettivamenelabora-te dalla storiografia italiana e da quella jugoslava. Per un verso infatti, i soprusi di cui i residenti di nazionalità italiana furono vittime prima e dopo l’esercizio del diritto di opzione sono state spesso addotte a conferma del-la tesi secondo del-la quale il regime comunista jugosdel-lavo intendesse in tutti i mo-di liberarsi dagli italiani. Per l’altro, il palese tentativo delle autorità mo-di frena-re l’esodo mediante il frena-respingimento di un gran numero di domande di opzione contraddice tale assunto, ma a sua volta si scontra con l’evidenza delle politiche attuate sul territorio dalle autorità medesime, capaci solo di esasperare il risen-timento dei suoi destinatari, rafforzandoli nella determinazione di esodare.

La questione è stata posta fin dal primo studio rigoroso apparso agli ini-zi degli anni Ottanta sul dopoguerra istriano, Storia di un esodo, ma all’epoca l’assenza della documentazione jugoslava non ha permesso di sciogliere i dubbi, che hanno continuato a permeare anche le opere successive3. Oggi finalmente

la situazione è cambiata e le fonti accessibili presso gli archivi della Repubbli-ca di Croazia consentono di porre come oggetto di studio gli organismi del po-tere civile e le strutture organizzative del Partito comunista croato sul territorio istriano. In questo saggio quindi cercheremo di affrontare il problema delle op-zioni con uno sguardo diverso dal passato, analizzando dall’interno gli obietti-vi e le azioni concrete dei rappresentanti dei “poteri popolari”4, nonché il

dibat-Obradov, Emigracija talijanskog stanovništva s hrvatskog područja tijekom Drugog svjetskog rata i poraća, “Radovi za povijesne znanosti HAZU u Zadru”, Zadar, br. 55, 2013, pp. 204-225; Id. Migracije stanovništva na hrvatskom području neposredno prije i nakon završetka Drugo-ga svjetskog rata, “Čsp”, br. 3, Zagreb, 2016, pp. 653-672. Sul versante sloveno si vedano Marta Verginella, L’esodo italiano nella storiografia slovena in Marina Cattaruzza, Marco Dogo, Ra-oul Pupo (a cura di), Esodi: trasferimenti forzati di popolazione nel Novecento europeo, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2000; Katja Hrobat Virloget, Catherine Gousseff, Gustavo Corni (eds.), At Home but Foreigners. Population Transfers in 20th Century Istria, Koper, Univerzitet-na založba AnUniverzitet-nales, 2015.

3 C. Colummi et al., Storia di un esodo. Istria 1945-1956, cit., pp. 87-144.

4 Per i comunisti jugoslavi, il potere o governo del popolo rappresentava un sistema di

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an-tito che si aprì fra i vari livelli decisionali in merito a quanto stava accadendo in Istria5. Al di là delle risposte puntuali ad interrogativi antichi, tale approccio

consente anche di tematizzare, partendo da un caso concreto di grande impatto, la questione più generale della costruzione del socialismo in un territorio misti-lingue e attraversato da vigorosi conflitti nazionali, da parte di un regime come quello di Tito, che dell’internazionalismo aveva fatto uno dei suoi capisaldi ide-ologici. Va da sé, che gli spunti emergenti dal caso istriano andranno poi posti a confronto con quelli relativi ad altre aree dov’erano presenti consistenti mino-ranze non slave6.

Quando parliamo di “crisi istriana” naturalmente ci riferiamo al fenomeno generale costituito dalla scomparsa pressoché totale della componente italia-na da un suo territorio di insediamento storico passato in diversi tempi e forme sotto il controllo jugoslavo, avvenuta fra il 1944 e il 1958. Si tratta di un feno-meno ben noto agli storici, così come possiamo ormai dare per acquisito il suo inserimento sia nell’ambito delle dinamiche migratorie dell’area nord-adriatica nel corso del Novecento che nel contesto degli spostamenti forzati di popola-zione che hanno segnato il secolo scorso nell’Europa centro-orientale7. In

que-che della classe piccolo borghese, tramite gli organi rappresentativi dello stato, i comitati po-polari di liberazione; vedi Orietta Moscarda Oblak Il “potere popolare” in Istria 1945-1953, Rovigno, Centro di ricerche storiche (Crs) — Rovigno, 2016 e la bibliografia ivi contenuta.

5 Il problema è stato tematizzato anche in Mila Orlić, Poteri popolari e migrazioni forzate,

in Guido Crainz, Raoul Pupo, Silvia Salvatici (a cura di), Naufraghi della pace, Roma, Donzel-li, 2008, pp. 25-42, Id., La creazione del potere popolare in Istria (1943-1948), in Lorenzo Ber-tucelli, Mila Orlić (a cura di), Una storia balcanica: fascismo, comunismo e nazionalismo nella Jugoslavia del Novecento, Verona, Ombre Corte, 2008, pp. 123-151 senza però andar oltre nella ricerca. Per un’analisi complessiva del comportamento dei poteri popolari in Istria, vedi O. Mo-scarda Oblak, Il “potere popolare” in Istria, cit. Sul tema specifico dell’epurazione vedi Orietta Moscarda, Roberto Spazzali, L’Istria epurata (1945-1948). Ragionamenti per una ricerca, in M. Cattaruzza, M. Dogo, R. Pupo (a cura di), Esodi: trasferimenti forzati di popolazione nel Nove-cento europeo, cit., pp. 237-252; Roberto Spazzali, Epurazione di frontiera 1945-48: le ambigue sanzioni contro il fascismo nella Venezia Giulia, Gorizia, Leg, 2000.

6 Per gli altri territori jugoslavi vedi ad es. Enike A. Šajti, Mađari u Vojvodini 1918 —

1947, Novi Sad, Forum, 2010, pp. 173-175, 177, 265, 269-271; Marica Karakaš Obradov, Mi-gracije njemačkog stanovništva na hrvatskom i bosansko-hercegovačkom području tijekom Drugog svjetskog rata i poraća, in Enes Omerović (a cura di), Nijemci u Bosni i Hercegovini i Hrvatskoj. Nova istraživanja, Sarajevo, Institut za istoriju u Sarajevu, 2015, pp. 335-357; Id., Migracije stanovništva na hrvatskom području neposredno prije i nakon završetka Drugoga svjetskog rata, cit., pp. 653-672.

7 Per uno sguardo d’insieme sul problema dell’esodo vedi Marina Cattaruzza, Orietta

Mo-scarda, L’esodo istriano nella storiografia e nel dibattito pubblico in Italia, Slovenia e Croa-zia: 1991-2006, “Ventunesimo secolo”, 2008, n. 16, giugno, Rubbettino, Soveria Mannelli, pp. 9-30. Vedi inoltre R. Pupo, Il lungo esodo, cit.; Id., Italian Historiography on the Istrian Exo-dus. Topics and Perspectives, in Katja Hrobat Virloget, Catherine Gousseff, Gustavo Corni (eds.), At Home but Foreigners. Population Transfers in 20th Century Istria, Koper, Univerz-itetna založba Annales, 2015. Sugli spostamenti di popolazione nell’area adriatica vedi Piero Pu-rini, Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975, Udine, Kappa Vu, 2010. Sull’inserimento degli esodi adriatici nel panorama europeo

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sta sede, l’ambito analitico verrà circoscritto ai territori delle province di Pola e di Fiume che vennero annessi alla Jugoslavia con l’entrata in vigore del Trattato di pace il 15 settembre 1947, dopo essere stati sottoposti ad occupazione mili-tare, sempre jugoslava, a partire dal 1 maggio 1945. Rimarranno esclusi la cit-tà di Fiume — che presenta caratteristiche particolari ed il cui studio è appe-na agli inizi — e quella di Pola, in quanto fino al settembre 1947 sottoposta ad amministrazione militare angloamericana, nonché la zona B del mai costituito Territorio libero di Trieste (Tlt), che passò all’amministrazione civile jugoslava solo con il Memorandum di Londra del 19548. Nell’area qui presa in

considera-zione sarà in tal modo possibile esaminare con continuità le dinamiche dei po-teri popolari, senza interruzione fin dall’epoca della loro costituzione, attraver-so le diverse fasi del dopoguerra.

Tale ambito territoriale dunque, che d’ora in poi denomineremo sintetica-mente Istria, vedeva la compresenza di diversi gruppi linguistici — prevalen-temente quello italiano e quello croato — entro i quali a partire dalla secon-da metà dell’Ottocento avevano preso forma movimenti nazionali antagonisti, anche se prima della Grande guerra non si poteva certo parlare di un’integra-le nazionalizzazione della società locaun’integra-le; durante il fascismo l’Istria, come tut-ta la Venezia Giulia, era stut-tatut-ta terra d’elezione della politica di “bonifica etnica” a danno di sloveni e croati, mentre a partire dal 1 maggio 1945 venne occupa-ta dalle truppe jugoslave, per sperimenoccupa-tare di conseguenza la creazione di un regime comunista. Come nel resto dei territori liberati dai tedeschi, dal mag-gio 1945 gli organismi del partito e la polizia segreta (l’Ozna9) condussero in

Istria una drastica resa dei conti contro le truppe naziste e fasciste e i loro fian-vedi M. Cattaruzza, M. Dogo, R. Pupo (a cura di), Esodi: trasferimenti forzati di popolazione nel Novecento europeo, cit.; Marina Cattaruzza, Espulsioni di massa di popolazioni nell’Europa del XX secolo, “Rivista storica italiana”, 2001, vol. 113, pp. 66-85; Id., ‘Last stop expulsion’ — The minority question and forced migration in East-Central Europe: 1918-49, “Nations and Na-tionalism”, 2010, vol. XVI, n. 1, pp. 108-126; Guido Crainz, Raoul Pupo, Silvia Salvatici (a cu-ra di), Naufcu-raghi della pace: il 1945, i profughi e le memorie divise d’Europa, Roma, Donzelli, 2008; Antonio Ferrara, Niccolò Pianciola, L’età delle migrazioni forzate. Esodi e deportazioni in Europa 1853-1953, Bologna, il Mulino, pp. 356-361.

8 Su Fiume vedi comunque, oltre alla copiosa memorialistica, Storia di un esodo, cit.;

Oriet-ta Moscarda, La “giustizia del popolo”: sequestri e confische a Fiume nel secondo dopoguer-ra (1946-1948), “Qualestoria”, Irsml nel Friuli-Venezia Giulia, 1997, n. 1, pp. 209-232; non-ché Amleto Ballarini, Mihael Sobolevski (a cura di), Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947), Roma, 2002 e Marco Abram, Integrating Rijeka into socia-list Yugoslavia: the politics of national identity and the new city’s image (1947-1955), “Na-tionalities Papers. The Journal of Nationalism and Ethnicity”, www.tandfonline.com/doi/fu ll/10.1080/00905992.2017.1339679, che tengono conto di parte della documentazione ex jugosla-va. Sulla zona B vedi, oltre al già cit. K. Hrobat Virloget, C. Gousseff, G. Corni (eds.), At Home but Foreigners, Nevenka Troha, Volitve v Okraju cone B Svobodnega tržaškega ozemlja, “Pri-spevki za novejšo zgodovino”, Inštitut za novejšo zgodovino Ljubljana, 2002, vol. 42, št. 3, pp. 61-74; Raoul Pupo, Eksodus iz cone B Svobodnega tržaškega ozemlja (1945-1958), “Prispevki za novejšo zgodovino”, 2013, vol. 53, št. 1, pp. 173-185.

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cheggiatori, ma anche contro gli avversari del nuovo regime, attuando un’am-pia serie di misure repressive (arresti, deportazioni, liquidazioni, sequestri e confische)10. In termini generali, il vuoto di potere e la situazione di emergenza

che caratterizzarono il primissimo periodo del dopoguerra, determinarono un clima in cui sfumavano i confini tra illegalità e giustizia sommaria11.

La politica della “fratellanza italo-slava” tra integrazione ed epurazione Nel solco di tale crisi parossistica si avviò la costruzione del nuovo potere. Na-turalmente l’impatto fu piuttosto duro su tutta la società locale, che reagì in maniera articolata12. Per quanto riguarda gli italiani, il regime non applicò una 10 In generale sull’Ozna si vedano William Klinger, Il terrore del popolo. Storia dell’Ozna,

la polizia politica di Tito, Trieste, Italo Svevo, 2012; Id., Ozna. Il terrore del popolo. Storia del-la polizia politica di Tito, Trieste, Luglio edit., 2015. Per del-la Croazia vedi Daria Miksić, Arhiv Ozn-e s osvrtom na godinu 1945, in Nada Kisić Kolanović et al., 1945. razdjelnica hrvatske po-vijesti, Zagreb, Hrvatski institut za povijest, 2006, p. 475; Zdenko Radelić, Uloga OZNE u preu-zimanju vlasti u Hrvatskoj 1945, in N. Kisić Kolanović et al., 1945., cit., pp. 97-135; Id., Ozna u Hrvatskoj (1944-1946.): skica temeljnih značajki, in Iskra Iveljić, Stjepan Matković, Žarko Lazarević (a cura di), Iz hrvatske povijesti: Iz hrvaške zgodovine, Ljubljana, Inštitut za novejšo zgodovino, 2012, pp. 59-77; Id., Ozna/Udba: popisi neprijatelja i njihova kategorizacija (1940-ih i 1950-(1940-ih), “ČSP”, br. 1, 2017, pp. 59-99; Zdravko Dizdar et al., Partizanska i komunistička represija i zločini u Hrvatskoj 1944-1946. Dokumenti, Slavonski Brod — Zagreb, Hrvatski in-stitut za povijest, 2005. Per la Slovenia cfr. Roman Leljak, Knoj 1944-1945. Slovenska parti-zanska likvidacijska enota, knj.1, Radenci, 2010; Milko Mikola,  Rdeče nasilje, Celje, Celjska Mohorjeva družba, 2012; Zdenko Čepić, Nevenka troha (a cura di), Represija med 2. svetovno vojno in v povojnem obdobju v Sloveniji in v sosednjih državah, Ljubljana, Inštitut za novejšo zgodovino, 2013; Ljuba Dornik Šubelj, Ozna in prevzem oblasti 1944-1946, Ljubljana, Modri-jan založba, 2013. Per la Serbia vedi BoModri-jan Dimitrijević, Građanski rat u miru. Uloga armije i služba bezbednosti u obračunu sa političkim protivnicima Titovog režima 1944-1954, Beograd, 2008; Michael Portmann, Die kommunistische Revolution in der Vojvodina 1944-1952. Politik, Gesellschaft, Wirthschaft, Kultur, Wien, Osterreichische Akademie der Wissenschaften, 2008.

11 In generale su tale periodo nei territori jugoslavi oltre al già citati M. Portmann, Die

kom-munistische Revolution e N. Kisić Kolanović et al., 1945. razdjelnica hrvatske povijesti, ve-di Jera Vodušek Starič, Kako su komunisti usvojili vlast 1944.-1946., Zagreb, Naklada Pavičić, 2006; trad. Prevzem oblasti, 1944-1946, Ljubljana, 1992; Metka Gombač, Vlast i javnost u Hr-vatskoj 1945.-1952, “Čsp”, br. 3, 2000, pp. 507-514; Srđan Cvetković, Između srpa i čekića. Re-presija u Srbiji 1944-1953, Beograd, 2006; Orietta Moscarda Oblak, Violenza politica e pre-sa del potere in Jugoslavia, in Tommaso Piffer (a cura di), Porzûs. Violenza e resistenza sul confine orientale, Bologna, il Mulino, 2012, pp. 37-47; Zdenko Radelić, The Communist Par-ty of Yugoslavia and the Abolition of the Multi-parPar-ty System: the Case of Croatia, in Gora-na Ognjenović, JasGora-na Jozelić (a cura di), RevolutioGora-nary Totalitarianism, Pragmatic Socialism, Transition, Volume One, Tito’s Yugoslavia, Stories Untold, New York, Palgrave Macmillan, 2016, pp. 13-4; Id., 1945. u Hrvatskoj, “Review of Croatian history”, n. 1, 2016, pp. 9-66.

12 Sul secondo dopoguerra in Istria si vedano D. Dukovski, Rat i mir istarski, cit.;

Ma-rio Mikolić, Istra 1941-1947 godine velikih preokreta, Zagreb, Barbat, 2003; Metka Gombač, Pokrajinski narodnooslobodilački odbor za Slovensko Primorje in Trst 1944-1947, Ljubljana, 2003; Marta Verginella, La campagna istriana nel vortice della rivoluzione, in Trieste tra rico-struzione e ritorno all’Italia (1945-1954), Trieste, 2004; Deborah Rogoznica, Iz kapitalizma v

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politica di persecuzione nazionale a 360° e tantomeno una strategia espulsiva generalizzata, ma continuò a rifarsi alla linea della “fratellanza italo-slava” già adottata dal movimento di liberazione nei territori rivendicati da sloveni e croa-ti, che rappresentava l’estensione ad una minoranza nazionale della più genera-le strategia dell’“unità e fratellanza” tra i popoli jugoslavi e che prevedeva ap-punto la concessione agli italiani dello status di “minoranza nazionale, però coi massimi diritti” secondo la definizione di Edvard Kardelj del 1944, anche in seguito ribadita: “la fratellanza tra italiani e croati, fondata sulla lotta di classe, deve avere il fine di unire il popolo nel desiderio di vivere sotto la stessa ban-diera jugoslava”13.

È ormai acquisito a livello storiografico che la “fratellanza” non fu mero co-strutto propagandistico — come a suo tempo sostenuto dalla pubblicistica ita-liana — ma nemmeno una politica di ecumenica inclusione della minoranza italiana, come affermato in genere dalla storiografia jugoslava14. Piuttosto, fu

una strategia di “integrazione selettiva”, rivolta ad alcune componenti della so-cietà minoritaria ritenute coinvolgibili nel progetto di edificazione della Jugo-slavia comunista15. Erano questi gli “italiani onesti e buoni” (per usare la

ter-minologia dell’epoca), disposti non solo ad accettare la loro nuova condizione minoritaria, ma anche il nuovo modo di declinare la loro identità nazionale, su-bordinandola alle finalità del nuovo stato socialista, nonché pronti a mobilitarsi per l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia16. Si trattava di una minoranza nella

socializem, Gospodarstvo cone B Svobodnega tržaškega ozemlja 1947-1954, Koper, Archivio regionale di Capodistria, 2011.

13 Vedi la Lettera di Kardelj al Cc del Partito comunista sloveno, 19 ottobre 1944, in

Archi-vio del Partito comunista italiano, Fondazione Istituto Gramsci, Fondo Mosca, mf 104, non-ché il Verbale della conferenza dei membri del Partito comunista croato dell’Istria e di Fiu-me, Arsia 18 giugno 1945, alla presenza dei massimi esponenti croati e sloveni, E. Kardelj e V. Bakarić, in Dušan Diminić, Sjećanja, Život za ideje, Labin-Pula-Rijeka, Adamić, 2005, p. 301 e Ezio Giuricin, Luciano Giuricin, La Comunità nazionale italiana. Storia e istituzioni de-gli italiani dell’Istria, Fiume e Dalmazia (1944-2006), Crs-Rovigno, 2009, pp. 99-100. In gene-rale sulla politica nazionale jugoslava cfr. Andrew Baruch Watchel, Making a Nation, Breaking a Nation, Stanford, Stanford University Press, 1998, pp. 128-172; Katarina Spehnjak, Javnost i propaganda: Narodna fronta u politici i kulturi Hrvatske 1945-1952, Zagreb, Hrvatski institut za povijest, 2002; Hilde Katrine Haug, Creating a Socialist Yugoslavia: Tito, Communist Lea-dership and the National Question, I.B. London, Tauris, 2012; Cris Van Gorp, Brotherhood and Unity? The relationship between nationalism and socialism in socialist Yugoslavia, master the-sis, 2012, theses.ubn.ru.nl/handle/123456789/2881.

14 Sulla politica della “fratellanza italo-slava” vedi Nevenka Troha, Politika

slovensko-tali-janskog bratstva. Slovensko-talijanska antifašistička unija u zoni A Julijske krajine u vremenu od oslobođenja do priznanja mirovnog ugovora, Ljubljana, Arhiv Republike Slovenije, 1998; R. Pupo, Il lungo esodo, cit., pp. 197-198.

15 Traggo la formula “integrazione selettiva” da Raoul Pupo, Alcuni problemi di storia

com-parata: L’Alto Adriatico dopo le due guerre mondiali, “Časopis za povijest Zapadne Hrvatske”, Rijeka, 2011-2012, VI i VII, n. 6 i 7, p. 29.

16 Anche su tale complesso nodo rimando a O. Moscarda Oblak, Il “potere popolare” in

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minoranza, dal momento che una disponibilità di tal fatta era largamente pre-sente solo all’interno della classe operaia, i cui nuclei principali erano concen-trati a Fiume, Pola e Rovigno, oltre che in alcuni gruppi di intellettuali antifa-scisti. Tutti gli altri, che per ragioni individuali e/o di classe si opponevano o anche soltanto mostravano tepidezza nei confronti della prospettiva annessioni-sta, venivano considerati “fascisti”, “nazionalisti”, piccolo-borghesi” o “nemici del popolo”, alla stessa stregua di quanti avevano partecipato all’oppressione fa-scista contro gli sloveni e croati durante il ventennio, avevano militato contro il movimento di liberazione e collaborato con i tedeschi. Per quanto dicotomiche, non si trattava di categorie completamente impermeabili: chi durante il fasci-smo aveva svolto funzioni di qualche rilievo poteva essersi già riscattato attra-verso la militanza resistenziale ovvero tentare di farlo alla venticinquesima ora partecipando alla repressione dei dissidenti nei confronti del regime17; viceversa

chi, anche nel corso del tempo, mostrava di non sapersi o volersi conformare ai canoni stabiliti, poteva facilmente rifluire tra i “nemici del popolo” e di conse-guenza venir epurato dal partito e posto ai margini della società.

Se durante la guerra la politica della “fratellanza italo-slava” aveva svolto la funzione primaria di mobilitazione delle masse italiane all’interno del movi-mento di liberazione croato e sloveno, nel primo dopoguerra essa fu innanzi-tutto funzionale all’annessione del territorio alla Jugoslavia18. È

principalmen-te per tale motivo che, almeno in una certa misura, per un paio di anni i nuovi poteri popolari vi rimasero fedeli. Infatti, nel biennio 1945-1947, quando il tra-guardo dell’annessione appariva ancora incerto, la politica jugoslava nei con-fronti degli italiani prevedeva da un lato di guadagnare il favore della clas-se operaia nei territori che a clas-seguito degli accordi di Belgrado del giugno 1945 erano rimasti sotto amministrazione angloamericana (Trieste, Monfalcone, Po-la), dall’altro di garantire una “corretta politica nazionale” da parte delle strut-ture del partito nella Venezia Giulia. Sul primo versante il successo fu netto: per due anni il proletariato giuliano si mobilitò contro il Governo militare alle-ato, rifiutando intransigentemente ogni forma di collaborazione con gli alleati19.

17 Dopo aver fatto parte delle strutture del potere popolare, nel 1949 ad Albona furono arrestati

alcuni cittadini e accusati di “collaborazionismo con l’occupatore” tedesco, vedi il Verbale dell’in-terrogatorio di J.D. e J.M., 14 luglio e 29 ottobre 1949, in Hrvatski Državni Arhiv-Pazin (HdaP), Kotarski Komitet Komunističke Partije Hrvatske (Kk Kph) Labin, b. 20, fasc. Verbali del 1949.

18 Sulla partecipazione degli italiani al movimento di liberazione si vedano Antonio Budicin,

Nemico del popolo: un comunista vittima del comunismo, Edizioni Italo Svevo, Trieste, 1995; Ottavio Paoletich, Riflessioni sulla Resistenza e il dopoguerra in Istria e in particolare a Pola, “Quaderni”, Crs-Rovigno, 2003, vol. XV, pp. 83-119; Paolo Sema, Siamo rimasti soli. I comuni-sti del PCI nell’Istria Occidentale dal 1943 al 1946, Gorizia, Leg, 2004; E. Giuricin, L. Giuri-cin, La Comunità nazionale italiana, cit., pp. 94-100.

19 Si vedano Raoul Pupo, Guerra e dopoguerra al confine orientale d’Italia

(1938-1956), Udi-ne, Del Bianco, 1999; Marco Puppini, Costruire un mondo nuovo. Un secolo di lotte operaie nel Cantiere di Monfalcone, Gorizia, Monfalcone, Centro isontino di documentazione storica e so-ciale “L. Gasparini”, 2008.

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Quando poi il Trattato di pace assegnò Monfalcone all’Italia, alcune miglia-ia di lavoratori monfalconesi preferirono trasferirsi in Jugoslavmiglia-ia per concorrere all’edificazione del socialismo20. Sul secondo versante gli esiti furono più

incer-ti: le percezioni dei comunisti italiani di Fiume e dell’Istria si rivelarono piut-tosto diverse da quelle dei loro compagni sloveni e croati21, ma in ogni modo la

linea della “fratellanza” fu mantenuta e, almeno ufficialmente, la forte pressio-ne sulla popolaziopressio-ne fu condotta contro l’Italia sempre fascista e i suoi sosteni-tori, ma non contro gli italiani in quanto tali.

A costoro infatti era consentito partecipare alla “costruzione del potere po-polare” sulla base del contributo da loro dato alla lotta di liberazione, anche se tale edificazione significava in concreto la distruzione delle basi su cui si fon-dava il tradizionale ruolo di preminenza dalla componente italiana nella socie-tà regionale. Tale ribaltamento di equilibri poteva apparire catastrofico ai ce-ti e gruppi storicamente egemoni, ma non privo di attratce-tive per quance-ti, anche di lingua italiana, erano rimasti alla periferia del potere, specie nelle campa-gne. Tuttavia, l’obiettivo del coinvolgimento degli italiani era reso più arduo dai furori nazionali sloveni e croati che si erano manifestati nelle fasi finali della guerra in Istria, e che agli occhi della popolazione italiana avevano contribui-to a screditare politicamente le strutture del Movimencontribui-to popolare di liberazione (Mpl) jugoslavo. Secondo le parole di Kardelj,

Nella prima ondata della liberazione, ci sono stati casi in cui gli oppressi per tanti anni dal fascismo, quantunque magari ottimi compagni, hanno agito sciovinisticamente verso gli ita-liani. Anche se piccolezze, ma dannose specialmente se si avessero a ripetere22.

Ma anche a guerra finita, non erano mancati abusi di potere e violenze, soprat-tutto da parte della Milizia popolare. Ad esempio, a Dignano e a Valle, durante l’estate c’erano stati due casi di linciaggio pubblico, a Pisino, Gimino, sul Car-so si erano verificati casi altrettanto brutali e arbitrari, come tali definiti dalle fonti jugoslave23. Inoltre, già verso la metà di maggio 1945, nelle relazioni che

le autorità distrettuali inviavano a quelle regionali, è possibile rintracciare alcu-ne spinte volte a stimolare le partenze degli italiani da Buie, Parenzo e Albo-na. Così, in un documento del Comitato popolare (Cp) distrettuale di Parenzo,

20 Cfr. Andrea Bonelli, Fra Stalin e Tito: cominformisti a Fiume 1948-1956, note a cura di

Ce-cotti Franco, Irsml, Trieste, 1994; Andrea Berrini, Noi siamo la classe operaia: i Duemila di Mon-falcone, Milano, Baldini Castoldi Ed., 2004; Alessandro Morena (a cura di), La valigia e l’idea. Memorie di Mario Tonzar, Consorzio culturale del Monfalconese, Ronchi dei Legionari, 2006.

21 D. Diminić, Sjećanja, cit., pp. 311-312.

22 Vedi l’intervento di E. Kardelj che, assieme a V. Bakarić, partecipò alla conferenza dei

mem-bri del Partito comunista croato dell’Istria e di Fiume, 18 giugno 1945 ad Arsia, in D. Diminić, Sjećanja, cit., p. 295 e E. Giuricin, L. Giuricin, La Comunità nazionale italiana, cit., pp. 99-100.

23 Relazione della Sezione amministrativa del Comitato popolare (Cp) regionale, 5 agosto 1945,

in HdaP, f. Oblasni narodni odbor za Istru (Onoi), b. 9, Si trattava di cittadini locali considerati collaboratori del passato regime, ovvero “nemici del popolo”, categoria peraltro amplissima.

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le autorità affermavano che in accordo con l’Ozna “una parte degli Italiani […] è stata mandata in Italia”24.

Teoricamente, posto che il consenso degli italiani era ancora tutto da gua-dagnare, i dirigenti locali e distrettuali erano chiamati “a convincere gli italia-ni sulla loro scelta democratica e nazionale” e soprattutto “a non accentuare, non manifestare apertamente il carattere slavo della regione”, in quelle locali-tà dove vivevano gli italiani25. Tali direttive provenienti dagli organi regionali

del partito trovarono però difficile attuazione nella politica quotidiana, dal mo-mento che ad applicarle erano chiamati i quadri locali. Al riguardo, tornerebbe certamente assai utile uno studio di tipo prosopografico, ma fin d’ora si può di-re che il personale politico che innervò i “poteri popolari”26 era stato reclutato

durante la guerra partigiana in virtù precipuamente della sua capacità di lotta, e ciò che aveva imparato assai bene a fare era: sospettare di tutti ed in partico-lare degli italiani — difficilmente distinguibili dai fascisti — forzare gli incer-ti o metterli in condizioni di non nuocere, “smascherare” il nemico e liquidarlo, politicamente o fisicamente. Insomma, il contrario di una politica di mediazio-ne quale ora gli veniva richiesta. Quadri di ricambio peraltro non ve mediazio-ne erano e del resto, difronte alle nuove battaglie politiche richieste dalla lotta per l’annes-sione e l’edificazione del socialismo, la fedeltà a tutta prova dei dirigenti di pro-venienza partigiana faceva comunque premio sulla loro scarsa attitudine a ge-nerare consenso.

La contraddizione era ben presente ai vertici del partito, consapevoli che nel-la nuova situazione, in cui il potere poponel-lare si faceva portatore delnel-la costruzio-ne di uno stato fondato sulla legalità e sulla democrazia popolare, i “metodi di lavoro alla partigiana”, come le “perquisizioni”, o il “comportamento dittatoria-le” e l’”autoritarismo usato con la popolazione”, non potevano coesistere27. Tali

comportamenti “stalinisti” si collocavano quindi in evidente contrasto con quel tatticismo politico che parte dei dirigenti regionali — come per esempio Dušan Diminić e Ljubo Drndić — invocava al fine di guadagnare l’adesione di vasti strati di popolazione, sia croata, ma soprattutto italiana28. Di fatto però a

preva-24 Probabilmente ci si riferisce a quel segmento di famiglie nobili che lasciarono la città

pri-ma dell’arrivo delle truppe jugoslave, vedi la Relazione del Comitato popolare distrettuale di Pa-renzo, 25 e 31 maggio 1945, in HdaP, f. Onoi, b. 10.

25 D. Diminić, Sjećanja, cit., p. 301.

26 Per un’analisi complessiva dei quadri politici istriani del dopoguerra cfr. O. Moscarda

Oblak, Il “potere popolare” in Istria, cit., pp. 132-134.

27 Tali espressioni compaiono nei rapporti dei dirigenti regionali del partito comunista sin dal

primissimo dopoguerra, per proseguire anche nel 1946-1947; vedi il Verbale della IV conferenza dei segretari dei comitati distrettuali del Partito comunista croato (Pcc) per l’Istria, Arsia 4 feb-braio 1947, in Hrvatski Državni Arhiv Zagreb (HdaZ), f. Oblasni komitet Komunističke Partije Hrvatske za Istru (Ok Kphi), b. 3, e in D. Diminić, Sjećanja, cit., p. 310.

28 Ibid. e Verbale della seduta del Comitato regionale Pcc con i segretari e i presidenti dei

co-mitati popolari distrettuali e cittadini, Arsia, 20 luglio 1945, pp. 9-12, in HdaP, Onoi, b. 46, non-ché I rappresentanti del popolo istriano si riuniscono nello spirito della fratellanza italo-slava

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lere furono gli atteggiamenti dei quadri locali croati più radicali, mentre quelli italiani erano relegati in genere a posizioni subordinate; ed anche dove essi ri-sultavano ben presenti, come in alcune cittadine costiere, le loro istanze veni-vano semplicemente ignorate dagli organi distrettuali, dove invece gli italiani non contavano nulla29. Inoltre, l’attitudine alla semplificazione nell’analisi e

nel-la soluzione dei problemi maturata durante nel-la guerra di liberazione venne ul-teriormente amplificata dalle drastiche mire di carattere economico e sociale adottate anche in Istria nel corso del 1946-1947, che portarono ad un’ulteriore radicalizzazione delle autorità popolari, minando nelle sue fondamenta le pro-spettive di consenso presso i nuclei di popolazione non pregiudizialmente ce-mentati dalla passione nazionale in senso sloveno e croato e suscitando forte disagio anche presso quelle che venivano considerate masse slave.

Procedendo — se pur in estrema sintesi — con ordine, la mobilitazione del-la popodel-lazione locale a sostegno dell’annessione aldel-la Jugosdel-lavia attuata fra il 1945 e il 1947 ebbe nell’immediato due tipi di conseguenze. Per un verso, inne-scò un ampio reclutamento nel partito di comunisti italiani, che aderirono per ragioni ideologiche e di classe, e che vennero immediatamente gettati nella mi-schia. D’altra parte, suscitò una forma di intolleranza nei confronti di qualsiasi critica e condusse le autorità a dividere la società istriana in due netti tronconi, in corrispondenza con l’assioma “chi non è con noi, è contro di noi”30. Pertanto,

obiettivi preferenziali delle campagne intimidatorie divennero tutti quegli ita-liani che esprimevano contrarietà nei confronti dell’annessione, o che si sospet-tava l’avrebbero manifestata, se fossero stati liberi di farlo. Naturalmente, ciò non significava che in linea teorica la legittimità della loro identità italiana ve-nisse negata, ma di fatto l’intero gruppo nazionale si trovò immerso in un cli-ma di sospetto, dal quale i suoi appartenenti potevano liberarsi solo mediante esplicite forme di adesione al regime ed alla sua politica. Al riguardo, una pro-va di fedeltà ben più convincente della mera partecipazione alle manifestazioni ed altre attività politiche promosse sul territorio, poteva venire dal diretto coin-volgimento nell’individuazione e repressione dei connazionali ritenuti infidi31.

e Le riunioni delle Assemblee Distrettuali a Canfanaro, Montona e Lussino, “La Voce del Po-polo”, Fiume, 11 e 29 dicembre 1945.

29 Erano i medesimi dirigenti regionali del partito a distinguere tra i Cp “italiani” ovvero

quel-li di Dignano, Rovigno, Albona e Pisino, e quelquel-li distrettuaquel-li “croati”, che ostacolavano l’attivi-tà di quelli cittadini perché “non nutrivano fiducia nei loro membri”, come ricorda D. Diminić, Sjećanja, cit., p. 311, nonché cfr. il Verbale della Riunione straordinaria per l’arrivo del membro del Cc del Pcc, Savo Zlatić, 11 settembre 1945, in HdaZ, f. Ok Kphi, b. 7, fasc. 1945. Da parte lo-ro i rappresentanti italiani “dicono apertamente che hanno paura dei comitati distrettuali” a pre-valenza croata: vedi il Verbale della seduta del Comitato regionale Pcc con i segretari e i presiden-ti dei comitapresiden-ti popolari distrettuali e cittadini, Arsia, 20 luglio 1945, pp. 9-12, in loc. cit. a nota 28.

30 Traggo l’assioma dalle relazioni che l’Ozna inviava ai dirigenti regionali del partito durante

il 1945, riportate anche in O. Moscarda Oblak, Il “potere popolare” in Istria, cit.

31 Su direttiva di un dirigente regionale, dal comitato di partito di Rovigno, per esempio, tra

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comu-Poi si entrò in una nuova fase. Conseguito l’obiettivo dell’annessione, cadde-ro anche molte delle cautele tattiche che in qualche modo il regime aveva cer-cato di rispettare, mentre prioritaria divenne l’accelerazione del processo di tra-sformazione della società in senso socialista. Esemplare, per quanto riguarda la politica delle alleanze, è il caso dei rapporti fra le autorità e la Chiesa locale.

In una prima fase infatti, in cambio dell’appoggio prestato da mons. Božo Milanović e dal clero istriano croato alle rivendicazioni territoriali jugoslave anche in sede di Conferenza della pace, la Chiesa locale riuscì ad ottenere al-cune agevolazioni altrove impensabili, come la restituzione della sede del Se-minario di Pisino, l’istituzione di una società ecclesiastica istriana e la stampa di un giornale religioso32. Dopo il conseguimento dell’annessione però, si

giun-se rapidamente alla resa dei conti. Nei confronti di diversi sacerdoti croati che nel corso del 1946-1947 avevano esternato il loro anticomunismo, furono com-pilati materiali accusatori da parte dell’Ozna sulle loro presunte attività antipo-polari e ne seguirono intimidazioni, arresti, processi montati ed anche liquida-zioni fisiche33.

Il clima mutò pure all’interno del partito. A partire dal 1946-1947 venne av-viata una vasta opera di epurazione dei quadri locali, che vide l’espulsione di numerosi comunisti italiani, che avevano aderito per motivazioni ideologiche e di classe, e l’allontanamento di elementi definiti “fascisti” e “nemici”, “oppor-tunisti” e “nemici della classe operaia”34. Infatti, l’enorme sviluppo del

recluta-mento nel periodo 1945-1946 era stato strettamente funzionale alle aspre bat-taglie politiche per l’annessione del territorio alla Jugoslavia, ma aveva portato all’interno molte persone che nel 1947 si ritrovarono in contrasto con la sua li-nea classista su cui dopo l’annessione il partito cominciò ad insistere. Questi cambiamenti erano in linea con i comportamenti del partito nel resto del paese, nisti italiani, che a più riprese avevano criticato le modalità con cui i nuovi dirigenti locali ave-vano attuato la linea politica economica, vedi il Verbale del Comitato cittadino del Pcc di Rovi-gno, 29 aprile 1947, p. 1, in HdaZ, f. Ok Kphi, b. 9.

32 Furono i dirigenti comunisti istriani Dušan Diminić e Ivan Motika, che con il

benesta-re del Cc Pcc, si benesta-recarono a Trieste, dove operava mons. Božo Milanović e raggiunsero con lui un accordo: il sacerdote decise perciò di ritornare in Istria e di appoggiare le nuove autorità per l’unione dell’Istria alla Jugoslavia; vedi le memorie di Božo Milanović, Moje uspomene (1900-1976), Pazin, 1976 e D. Diminić, Sjećanja, cit., p. 169.

33 Rapporto sul clero compilato dalla II sezione dell’Ozna per l’Istria e inviato al

Comita-to regionale del PC della Venezia Giulia per l’Istria, 4 dicembre 1945, in HdaZ, f. Ok Kphi, b. 7, fasc. 1945; Mate Žmak-Matešić, Krvava krizma, Lanišće 1947, Lanišće, 1997; Sergio Galimber-ti, Santin, testimonianze dell’archivio privato, Trieste, 1996.

34 Furono espulsi 398 membri su un totale di 7.200 iscritti al Pcc, mentre a livello nazionale

circa 4.500 su 57.000; cfr. Branislav Vojnović (a cura di), Zapisnici Politburoa Centralnog Ko-miteta Komunističke Partije Hrvatske 1945-1948, sv. 1, Zagreb, Hrvatski Državni Arhiv, 2005, Verbale del 1 agosto 1947, pp. 384-385. Il Comitato regionale dell’Istria avrebbe primeggia-to a livello croaprimeggia-to, superando anche l’organizzazione di partiprimeggia-to della Dalmazia, che registra-va 351 espulsioni, vedi Berislav Jandrić, Hrregistra-vatska pod crvenom zvijezdom. Komunistička parti-ja Hrvatske 1945-1952, Zagreb, Srednparti-ja Europa, 2005, p. 107.

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le cui misure si concretizzavano in continue restrizioni e abusi nei confronti dei contadini, degli artigiani e dei commercianti35.

In campo economico la nuova spinta rivoluzionaria suscitò contraccolpi si-gnificativi. La tolleranza verso le forme residue di iniziativa privata si esau-rì e a farne le spese — posto che l’imprenditoria di maggiori dimensioni era già stata da tempo liquidata — furono principalmente commercianti, artigiani e contadini. Le prime due categorie vedevano una netta prevalenza di italiani, specie nei centri urbani, e ciò contribuì senz’altro a rafforzare la loro avversio-ne avversio-nei confronti delle autorità. Nelle campagavversio-ne la situazioavversio-ne era più articolata: non si trattava qui soltanto di una questione di proporzioni inverse fra i grup-pi nazionali, anche se storicamente gli insediamenti rurali erano maggioritaria-mente slavi, perché in realtà i confini tra mondo italiano e mondo slavo erano assolutamente porosi, il bilinguismo dialettale diffusissimo, le mescolanze con-tinue, gli stessi costrutti identitari fluttuanti e sottoposti a ripetuti processi di negoziazione36.

La storiografia ha già ben descritto, seguendo il filo delle memorie, i fenome-ni di destrutturazione cui andarono incontro le comufenome-nità italiane dell’entroterra istriano fino alla loro completa implosione37, ma la documentazione ora

disponi-bile evidenzia come le reazioni negative alle pratiche di “comunismo di guerra” — quali la fissazione di bassi prezzi per gli ammassi, la crescita della tassazio-ne, la regolazione della distribuzione dei generi alimentari e l’imposizione del la-voro “volontario” — provocarono un peggioramento generalizzato dei rapporti fra popolazione ed autorità nelle aree rurali, innescando una spirale fortemen-te destabilizzanfortemen-te. Ad esempio, di fronfortemen-te alla riluttanza degli agricoltori a confe-rire i prodotti all’ammasso, o al loro rifiuto alla “mobilitazione della forza lavo-ro”, i quadri dirigenti locali risposero con arroganza e durezza, fino all’adozione di comportamenti violenti38. Lungi dal risolvere la situazione, ciò condusse in

al-cune zone ad aperte espressioni di malcontento da parte di quegli stessi ceti con-tadini che sino allora avevano appoggiato il potere jugoslavo.

35 Vedi Marijan Maticka, Agrarna reforma i kolonizacija u Hrvatskoj 1945-1948, Zagreb,

1990; Id., Hrvatsko seljaštvo i politika kolektivizacije (1945-1953), Spomenica Ljube Bobana: 1933-1994, Zagreb, 1996, pp. 336-367.

36 Su tali problematiche si vedano Vanni D’Alessio, Il cuore conteso: il nazionalismo in una

comunità multietnica: l’Istria asburgica, Napoli, 2003; Darko Dukovski, Istra: kratka povijest dugog trajanja, Pula, 2004; Mila Orlić, Il dopoguerra istriano nella prospettiva dell’indifferen-za nazionale, paper presentato a Cantieri di Storia 2017.

37 Vedi Gloria Nemec, Un paese perfetto: storia e memorie di una comunità in esilio:

Grisi-gnana d’Istria 1930-1960, Gorizia, Leg, 1998.

38 Nel distretto di Pinguente, per esempio, per contrastare l’astensione dalle elezioni

ammini-strative le autorità ricorsero ad aperte minacce e pestaggi, tali da provocare la morte di un con-tadino, nonché all’uso della forza per costringere la metà degli abitanti (7.000 persone) del di-stretto a prestare la propria manodopera nella costruzione della ferrovia Lupogliano-Stallie, vedi i Verbali del Comitato distrettuale del Pcc di Pinguente, 3, 15, 20, 29 gennaio 1951, in HdaP, f. Kk Kph Buzet, b. 2, fasc. Burò Comitato distrettuale Pcc Pinguente/Verbali 1948-1952.

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In particolare i narodnjaci — cioè i contadini agiati, depositari del patriot-tismo croato — erano stati gli alleati principali dei comunisti nel movimen-to di liberazione istriano, poiché ne condividevano l’obiettivo della liberazio-ne nazionale dall’occupatore italiano. Alcuni di loro furono anche accolti liberazio-nel partito comunista durante la guerra, nonostante la loro appartenenza di clas-se, e nel dopoguerra furono inclusi nei nuovi organismi politici e amministra-tivi di base del potere jugoslavo, i Comitati popolari di liberazione, proprio per l’influenza da loro tradizionalmente esercitata sulla popolazione contadi-na. Nel corso del 1946-1947, essi entrarono progressivamente in conflitto con i dirigenti popolari, man mano che il nuovo potere manifestò la sua volon-tà di rimodellare la socievolon-tà, con le misure economiche (ammassi obbligatori) e la persecuzione religiosa39. Nonostante che durante la guerra avessero

ma-terialmente sostenuto il Mpl e nell’immediato dopoguerra fossero stati i pro-motori delle prime cooperative agricole, alle quali avevano consegnato le loro proprietà (come nel caso di Vazmoslav Zenzerović — Šjor, contadino agiato di Prodol)40, i narodnjaci si ritrovarono isolati e progressivamente

allontana-ti dalle strutture del potere e venne loro impedito di entrare nelle cooperaallontana-tive con la motivazione che erano dei “reazionari”41. Lo stato quindi perse il

lo-ro appoggio e lo stesso accadde per altre componenti che avevano militato nel Fronte di liberazione, come parte dei contadini, intellettuali non comunisti, basso clero, in poche parole gran parte della locale élite croata e nuclei consi-stenti delle stesse “masse popolari”.

Se dunque l’impatto della transizione al socialismo risultò traumatico per larga parte della società locale, gli italiani lamentavano anche il moltiplicarsi di atteggiamenti di intolleranza nei loro confronti, nonché l’assunzione da parte della autorità di una serie di provvedimenti che avrebbe rapidamente condotto alla cancellazione della fisionomia bilingue fino allora tollerata del territorio42.

Nel contesto quindi segnato da una diffusa tensione fra popolazione istriana e poteri popolari che andava oltre le appartenenze nazionali, i limiti intrinse-ci della linea della “fratellanza”, vale a dire la sua forte selettività, cumulati al-le sue modalità concrete di applicazione — che quella seal-lettività tendevano ad esasperare fino in alcuni casi a negare i fondamenti stessi della politica d’inclu-sione degli italiani — concorsero a generalizzare e rafforzare l’antagonismo fra

39 Vedi quanto riportato in Danilo Cerovac, Prvoborci Istre, Buzet, 2009, p. 68.

40 Alcuni dei narodnjaci che nel dopoguerra entrarono nelle strutture popolari sono citati in

D. Diminić, Sjećanja, cit., p. 182.

41 Verbale della IV conferenza dei segretari dei comitati distrettuali del Pcc per l’Istria, Arsia

4 febbraio 1947, p. 8, in HdaZ, f. Ok Kphi, b. 3.

42 Nel corso del 1949 furono adottati una serie di interventi che avrebbero condotto alla

tra-sformazione dei toponimi italiani e alla scomparsa della pariteticità della lingua italiana dalla vita civile; vedi al riguardo il Piano di lavoro della Sezione generale per il mese di ottobre 1949, p. 1 e il Piano di lavoro della Direzione Generale per ottobre 1949, p. 3 in HdaZ, f. Direkcija Volosko / Direzione di Volosca, b. 2.

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le istituzioni e le organizzazioni del regime da un lato, e buona parte del grup-po nazionale italiano dall’altro.

Il processo peraltro non si era ancora concluso, anche se esistevano già alcuni segnali di possibili esiti traumatici. Da tempo in corso era il fenome-no delle fughe clandestine in Italia, che però riguardava solo una percen-tuale limitata di persone, in genere soggetti che ritenevano di essere finiti, per le più varie ragioni, nel mirino degli apparati di sicurezza43. D’altra

par-te, l’esodo pressoché totale da Pola avvenuto fin dall’inverno 1946-1947 of-friva un modello di riferimento concreto a comunità radicalizzate nel rifiu-to del nuovo ordine instaurarifiu-tosi in Istria44. La situazione comunque sarebbe

andata di lì a poco fuori controllo per la concomitanza di due eventi: la cri-si del Cominform e l’apertura delle procedure di opzione per la cittadinan-za italiana.

La crisi del Cominform in Istria e le sue ripercussioni

Con l’entrata in vigore del Trattato di pace sembrava legittimo pensare che in Istria l’epoca dell’emergenza fosse prossima a concludersi. Sul piano istituzio-nale la normalizzazione si manifestò con lo scioglimento dei massimi organi politici e amministrativi regionali e il loro accentramento gestionale a livello di Cc Pcc e di Presidenza del Sabor (parlamento) croato45. Inoltre nel 1949,

l’I-stria croata (esclusa ovviamente la zona B del Tlt) fu inclusa in un nuovo con-testo politico ed economico di riferimento, molto più vasto, costituito dalla Re-gione di Fiume e del Gorski Kotar46. Già dall’autunno 1947 sul suolo istriano

furono progressivamente introdotte tutte le leggi jugoslave, rispettivamente re-pubblicane e federali, ma il segnale evidente della nuova omologazione politi-ca e nazionale fu, alla fine del 1948, la creazione di un organo federale ad hoc, il Ministero per i territori neo liberati (Ministarstvo za novooslobodjene kraje-ve, che venne a sostituire l’Amministrazione militare jugoslava, la quale aveva gestito i territori dal 1945 al 1947. L’incarico di coordinare e gestire il proces-so di inclusione economica, politica e culturale di tutti i “neoterritori” alla

Ju-43 Vedi al riguardo, oltre alla memorialistica, le stime sull’andamento dell’esodo nel corso

de-gli anni, in O. Moscarda Oblak, Il ”potere popolare” in Istria, cit., pp. 341-354.

44 All’interno dell’ampia bibliografia vedi almeno Liliana Ferrari, L’esodo da Pola, in Storia

di un esodo, cit.; Roberto Spazzali, “Pola non vive più”. L’esodo da Pola del febbraio-marzo 1947, “Qualestoria”, Irsml FVG, anno XXXVIII, 2010, n. 2.

45 Vedi la Decisione n. 9056/47, “Bollettino Ufficiale del Cp regionale dell’Istria e del Cp

cit-tadino di Fiume ”, n. 20-21, 1 novembre 1947 e la Comunicazione del Dipartimento per la co-struzione del potere popolare al Cp cittadino di Rovigno, Zagabria 31 dicembre 1947, in HdaP, f. Gradski narodni odbor Rovinj (GnoR), b. 1, fasc. 1948.

46 Nel 1953 si arrivò a una nuova ristrutturazione amministrativa; per il periodo

preceden-te vedi B. Vojnović, Zapisnici Politburoa Centralnog Komipreceden-teta Komunističke Partije Hrvatske 1945-1948, cit., p. 528.

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goslavia venne portato a termine nel giro di pochi anni e nel 1951 il Ministero cessò di esistere47.

Contemporaneamente però, maturò una nuova emergenza, di natura politi-ca, innescata dall’espulsione del Partito comunista jugoslavo (Pcj) dal Comin-form48. Il provvedimento si innestava come esito finale di una serie di attriti e

incomprensioni maturati tra Stalin e Tito già nel corso della guerra e attinen-ti nella sostanza il progetto, colattinen-tivato dal gruppo dirigente di Belgrado, di tra-sformare la Jugoslavia in una media potenza relativamente autonoma dall’Urss nell’area danubiana e balcanica49. La volontà del gruppo dirigente stretto

at-torno a Tito di resistere ad ogni costo alle pressioni di Stalin portò a una nuo-va ondata di epurazioni in tutto il paese, dove le vittime furono individuate nei quadri dello stesso partito comunista compresi, in Istria, gli stessi compagni e collaboratori che avevano appoggiato l’annessione alla Jugoslavia e il nuovo po-tere popolare50. L’ondata di repressione che si sviluppò ovunque fu tale che

sol-tanto una logica totalitaria poteva permettere che fosse distrutta una parte consi-stente e capace dello stesso gruppo dirigente comunista. Alle critiche sovietiche i comunisti jugoslavi risposero instaurando un processo difensivo di stalinizza-zione degli organi di controllo sulla società intera, dove la repressione del dis-senso interno e l’impermeabilizzazione delle frontiere tutelarono il potere di Tito. Tra il 1948 e il 1952 in tutta la società jugoslava e quindi anche in Istria ancora una volta, come già nell’immediato dopoguerra, assai sottile divenne il confine tra legalità e illegalità, e la ragion di stato giustificò qualsiasi mezzo.

Man mano che l’attività politica dei cominformisti, e probabilmente anche quella di spionaggio, assumevano un carattere organizzato, con forme che an-davano dalla diffusione di materiali a sostegno del Cominform, alla

creazio-47 Vi erano compresi, oltre a gran parte dell’odierna Istria croata (in alcuni campi operò

an-che per la zona B del Tlt), Fiume, Zara, nonché i distretti di Tolmino, Sezana, Idria, Ilirska Bi-strica, Gorica nell’odierna Slovenia. Vedi il fascicolo Regolamento sull’organizzazione della Di-rezione generale 1949, in HDAZ, f. Direkcija Volosko, b. 1, e il Regolamento sull’istituzione della Direzione Generale per i territori neo liberati, “Službeni list FNRJ”, n. 17/49. La Direzione fu sciolta il 15 novembre 1951, su proposta del governo croato, mentre la sua attività cessò defi-nitivamente nel dicembre 1951.

48 Sullo scontro Mosca-Belgrado vedi Ivo Banac, With Stalin against Tito: Cominformist

splits in Yugoslav Comunism, New York, 1988; Gojko Nikoliš, Zapisi pod pritiskom, Beograd, Niro, 1988; Jože Pirjevec, Il gran rifiuto. Guerra fredda e calda tra Tito, Stalin e l’Occidente, Trieste, Stampa Triestina, 1990; Leonid Gibiansky, Mosca-Belgrado, uno scisma da ripensare. Il conflitto sovietico-jugoslavo del 1948: cause, modalità, conseguenze, “Ventunesimo secolo”, 2002, n. 1, Soveria Mannelli, Rubbettino, pp. 45-59; Elena Aga-Rossi, Togliatti e Stalin: il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Bologna, il Mulino, Nuova edizione 2007; Maurizio Zuccari, Il dito sulla piaga: Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, Milano, Mursia, 2008; Patrick Karlsen, Frontiera rossa. Il Pci, il confine orientale e il contesto interna-zionale 1941-1955, Gorizia, LEG, 2010;

49 Jeronim Perović, The Tito-Stalin Split: A Reassesment in Light of New Evidence, “Journal

of Cold War Studies”, 2007, vol. 9, n. 2, Spring, pp. 32-63.

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ne di gruppi collegati con membri dei paesi cominformisti, i dirigenti jugoslavi alzarono il livello dello scontro, ritenendo fosse in gioco non solo l’autonomia del partito, ma la stessa sovranità nazionale. Il pericolo per il monolitismo del partito, sommato al timore di atti eversivi su larga scala, se non di una vera e propria invasione da parte dell’Urss e/o dei suoi satelliti, portò a un’escalation dell’attività repressiva, mentre a tutti i livelli il partito impose una chiara presa di distanza dalla Risoluzione.

In Istria i primi arresti di cominformisti su larga scala furono avviati nella primavera del 1949 e dopo la seconda risoluzione del Cominform nel novem-bre 1949. In una prima fase a venir colpiti furono i cominformisti conclamati, che avevano avuto modo di esprimere la loro solidarietà a Stalin piuttosto che a Tito. Fu questo per esempio il caso della maggioranza degli immigrati politi-ci italiani (soprattutto i monfalconesi51), venuti in Jugoslavia a “costruire il

so-cialismo” e che non avevano fatto mistero della loro fedeltà all’Urss, come per esempio i membri del comitato pro Cominform di Pola e Rovigno52. In seguito

però l’accusa di cominformismo fu estesa ad ogni tipo di dissidenti, a tutti co-loro i quali esprimevano una posizione critica nei confronti delle autorità, o si dimostravano inadempienti alle misure economiche e politiche, come la politi-ca degli ammassi, o delle cooperative agricole. L’accusa fu estesa anche ad teggiamenti considerati “piccolo-borghesi”, come la dedizione all’alcool, le at-tività illegali, le pratiche e le usanze religiose: tutti questi comportamenti, che fino allora erano stati tollerati, furono considerati caratteristiche esteriori dei seguaci del Cominform, tali da imporre l’allontanamento dal partito53.

All’interno di un processo di progressiva radicalizzazione, furono poi arre-stati anche, a scopo preventivo, tutti i cominformisti o presunti tali che all’i-nizio della crisi avevano semplicemente mostrato dei dubbi nei confronti della linea del partito o si erano limitati a non esprimersi: tramite procedimenti am-ministrativi, costoro furono inviati al lavoro coatto nelle cave di bauxite ne, nelle miniere carbonifere di Arsia, alla costruzione della ferrovia istria-na Lupogliano-Stallie (Lupoglav-Štalije), a Fužine e Skrad nel Gorski kotar, ma anche alla “rieducazione ideologica” nei campi di lavoro forzato compre-so quello, terribile, di Goli Otok54. Avvallata dall’organo regionale del partito e

51 Vedi la bibliografia alla nota 20.

52 A Rovigno si formò un gruppo composto da vecchi esponenti locali del Pci, che aveva

l’in-tento di allacciare contatti con i cominformisti di Trieste, guidati da Vittorio Vidali; vedi Lucia-no Giuricin, La memoria di Goli Otok-Isola Calva, Crs-RovigLucia-no, 2007, p. 33.

53 Cfr. B. Jandrić, Hrvatska pod crvenom zvijezdom, cit., pp. 270-276.

54 Sul tema dell’Isola Calva-Goli Otok, tra la numerosa bibliografia, vedi Ligio Zanini,

Mar-tin Muma, Edit, Fiume, 1990; David Tasić, Leševi s Golog, Ljubljana, Karantanija, 1990; Giaco-mo Scotti, Goli Otok, ritorno all’Isola Calva, Lint, Trieste, 1991 (II edizione nel 1997); Miho-vil Horvat, Goli Otok: stratište duha, Zagreb, Orion Stella, 1996; Ante Zemljar, Pakao nade, Zagreb, 1997, tradotto in italiano L’inferno della speranza, Salerno, Multimedia Edizioni, 2002; Vilim Lončarić, Bando, sagni glavu, Zagreb, 1997; Eva Grlić, Sjećanja, Zagreb, Durieux, 1997; Josip Ercegović Miloš, Šest godina u paklu Gologa Otoka. Sjećanja, Rijeka, 2002; Ivan Kosić,

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in sintonia con i sistemi usati nel resto del paese, la polizia, l’esercito e i servi-zi segreti accentuarono la repressione in tutto il territorio, ricorrendo a metodi sempre più brutali, a strumenti repressivi tipici dello stalinismo (i campi con-centramento) e al rafforzamento della vigilanza lungo tutto il confine occiden-tale55. Nel marzo 1950 infine, il comitato regionale dispose che tutti i

presun-ti cominformispresun-ti, indipendentemente dal loro atteggiamento, dovessero essere considerati “sospetti” e controllati, mentre le relative informazioni andavano in-viate sulla base di rapporti scritti giornalieri, seguiti da relazioni riassuntive a distanza di dieci giorni56. I comitati di partito, che operavano in stretto

contat-to con la polizia segreta, diventarono un servizio d’informazioni che svolgeva attività di controllo capillare, in quanto ogni membro era tenuto a riferire, con autodichiarazioni, la condotta e gli argomenti delle conversazioni avute con i compagni e con qualsiasi altra persona: in tal modo si creò un sistema di sorve-glianza continua di tutti su tutti57.

A essere colpite dalla repressione furono naturalmente tutte le componenti nazionali residenti sul territorio, ma fu quella italiana a subire le conseguenze più gravi. Da studi recenti risulta che il gruppo nazionale minoritario maggior-mente provato in Croazia fu quello italiano, con ben 2.022 persone arresta-te dal 1949 al 1952 (599 nel 1949, 324 nel 1950, 710 nel 1951 e 389 nel 1952)58.

Anche fra i cominformisti condannati al “lavoro socialmente utile” di Goli Otok, il gruppo nazionale minoritario più numeroso fu quello italiano, con 68 persone (37 nel 1949, 13 di cui 1 donna nel 1950, 7 nel 1951, 11 nel 1952), che superò il numero dei condannati montenegrini che vivevano in Croazia (61)59.

In tal modo, se fino al 1948 lo Stato jugoslavo aveva potuto disporre in Istria di un nucleo di classe dirigente italiana fedele alla causa del regime, dopo la crisi del Cominform questo venne praticamente distrutto dalla violenta epurazione60.

Mentre dunque gli italiani “onesti e buoni” venivano condotti sulla soglia dell’estinzione, nella repressione anticominformista furono coinvolti, indi-Goli Otok: najveći Titov konclogor, Adamic, Rijeka, 2003; A. Berrini, Noi siamo la classe ope-raia, cit.; L. Giuricin, La memoria di Goli Otok, cit.

55 Lettera dell’Udba (l’ex Ozna) di Arsia al Cc Pcc, 17 ottobre 1949, in HdaP, f. Kk Kph

La-bin, b. 19.

56 Verbale della riunione del Plenum del Com. distr. Pcc di Albona, 6 febbraio 1951, in HdaP,

f. Kk Kph Labin, b. 34, fasc. Protocollo, n. 1-200, 1951.

57 Un intero fascicolo è riservato alle dichiarazioni di comunisti-informatori dell’Udba,

rila-sciate dal dicembre 1949 al dicembre 1950: vedi in HdaP, f. Kk Kph Pazin, b.11, fasc. Dichiara-zioni riservate 1948-1952, DeposiDichiara-zioni fatte all’Udba di Pisino.

58 Non è chiaro se in questi dati siano compresi anche i monfalconesi arrestati nel 1948, vedi

B. Jandrić, Hrvatska pod crvenom zvijezdom, cit., p. 259.

59 B. Jandrić, Hrvatska pod crvenom zvijezdom, cit., vedi le tabelle 99 e 100 sulla struttura

nazionale e delle donne condannate.

60 Cfr. Orietta Moscarda Oblak, La comunità nazionale italiana in Istria e a Fiume dal 1945

al 1991, “Storia urbana”, 2003, n. 103, pp. 47-65; L. Giuricin, La memoria di Goli Otok-Isola Calva, Crs-Rovigno, 2007; E. e L. Giuricin, La Comunità nazionale italiana, cit.

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pendentemente dalla nazionalità, quegli stessi gruppi sociali (artigiani, con-tadini, operai) che avevano costituito l’ossatura del Mpl e del nuovo stato ju-goslavo. L’escalation della stalinizzazione del sistema si manifestò infatti con particolare vigore nel campo della politica degli ammassi e della collet-tivizzazione delle campagne61: ma ciò ebbe effetti deleteri su quel consenso

che negli anni precedenti il Mpl si era saputo guadagnare combinando mo-tivazioni nazionali e sociali. Accadde così, che nei villaggi del centro dell’I-stria tutti i contadini si rifiutarono di eseguire ciò che veniva loro imposto e non mancarono aperti insulti contro le autorità locali, considerate peggiori di quelle fasciste, perché “loro avevano almeno pietà nei confronti del popolo, mentre oggi il potere non ha nessuna pietà nei confronti del povero popolo!”, oppure “Si dice che non c’è più il fascismo, invece quello di oggi è fascismo e non quello di prima!”, o ancora “Nemmeno se viene tutta la Milizia del di-stretto di Pisino, non andrò alla ferrovia Lupogliano-Stallie, né mi prelevere-te da casa”62.

Ciò nonostante, all’inizio del 1951 — in pieno svolgimento delle “seconde” opzioni, di cui diremo in seguito — i dirigenti regionali diedero precise dispo-sizioni di passare a una linea ancora più dura, che prevedeva la “caccia” a tut-ti i cominformistut-ti e la loro emarginazione sociale e culturale: vale a dire l’e-spulsione da tutte le strutture di carattere culturale e sportivo, il ritiro di tutte le tessere del Fronte popolare, di partito, ecc.63. Furono allora costituite vere e

proprie squadre di picchiatori, che a Rovigno, a Fiume, nel Pinguentino e nel Buiese (zona B) vennero usate prima contro i cominformisti più irriducibili, poi per domare altri dissidenti, o presunti tali. Ma a pestaggi furono sottoposte an-che persone an-che si rifiutarono di consegnare i prodotti agricoli all’ammasso, o quelle ritenute agitatori a favore delle opzioni, oppure coloro i quali si dimo-strarono restii a offrire i loro contributi ai prestiti nazionali, o recarsi a votare durante le elezioni. La repressione toccò quindi tutti i livelli del partito e del-le istituzioni, da queldel-le centrali fino aldel-le celludel-le di base, ma del-le dimensioni real-mente assunte dalle epurazioni rimasero a lungo sconosciute, né mai si seppe il numero degli arrestati. Tutte le informazioni in merito restarono confinate nella cerchia dei massimi dirigenti64.

61 Cfr. Stefano Bianchini, Tito, Stalin e i contadini, Unicopli, Milano, 1988, pp. 169-170;

Ka-tarina Spehnjak, Seljački otpor politici obveznog otkupa u Hrvatskoj-1949, “Čsp”, 1995, br. 2, pp. 37-38; Marko Fuček, Narodna omladina Hrvatske u kampanji kolektivizacije poljoprivrede 1949. godine, “Čsp”, 2011, br. 2, pp. 501-520. Per la situazione istriana, vedi in HdaP, f. Kk Kph Labin, b. 31, fasc. 5, 1950.

62 Deposizione all’Udba di due membri del partito di Gherdosella (Grdoselo); Pisino, 15

giu-gno, 21 agosto, 12 dicembre 1950, in loc.cit. a nota 57.

63 Verbale del Burò del Comitato distrettuale del Pcc di Albona, 6 febbraio 1951, in HdaP, f.

Kk Kph Labin, b. 34.

64 Vedi Orietta Moscarda Oblak, Le memorie contrapposte di Goli Otok — Isola Calva,

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