• Non ci sono risultati.

L'uso della elettrochemioterapia nel trattamento dei tumori di testa e collo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'uso della elettrochemioterapia nel trattamento dei tumori di testa e collo"

Copied!
42
0
0

Testo completo

(1)

Scuola di Medicina

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

_____________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

“L’uso della elettrochemioterapia nel trattamento dei tumori di testa e collo”

RELATORE

Chiar.mo Prof. Stefano Sellari Franceschini

CORRELATORE

Dott.ssa Veronica Seccia

__________________________________

CANDIDATO

Sig. Matteo Barucco

_____________________________

(2)

INDICE

INTRODUZIONE

1

1 TUMORI DELLA TESTA E DEL COLLO

2

1.1 Tumori non cutanei della testa e del collo: stadiazione, storia

naturale, diagnosi e trattamento

3

1.2 Tumori cutanei del distretto testa collo: il carcinoma a cellule

squamose

9

2 L’ELETTROCHEMIOTERAPIA NEL TRATTAMENTO

ONCOLOGICO

12

2.1 Elettroporazione come meccanismo di drug delivery

12

2.2 Farmaci citotossici non permeanti: meccanismo di ingresso nel

compartimento intracellulare

14

2.3 La bleomicina nell’ECT

15

2.4 Effetti vascolari del trattamento ECT

17

2.5 L’ECT nella pratica clinica, lo studio ESOPE

18

3 MATERIALI E METODI

20

4 RISULTATI

24

5 DISCUSSIONE

28

6 CONCLUSIONI

35

(3)

1

INTRODUZIONE

Le neoplasie della testa e del collo rappresentano in Italia circa il 5% di tutti i tumori maligni e sono al 5° posto come frequenza, con circa 12000 nuove diagnosi ogni anno. Approssimativamente nei due terzi dei pazienti con neoplasie maligne di testa e collo, la malattia viene diagnosticata in uno stadio avanzato e sono trattati tramite l’integrazione di chirurgia e radioterapia o chemioterapia e radioterapia concomitante1. Nonostante l’adeguatezza dei trattamenti, le recidive locali si riscontrano in un 10-30% dei casi e il trattamento di queste rappresenta un problema tuttora aperto, soprattutto in quei pazienti già sottoposti a procedure chirurgiche particolarmente demolitive o quando già trattati con radioterapia. Per tali pazienti, sfortunatamente ad oggi, non esistono efficaci alternative farmacologiche o radioterapiche e la chirurgia di salvataggio, se effettuabile, nella maggior parte dei casi determina una importante perdita di funzione delle aree anatomiche coinvolte. Alla luce di tali problematiche la ricerca si è concentrata nello sviluppo di nuove terapie per il trattamento dei tumori della testa e del collo, di cui l’elettrochemioterapia (ECT) ne rappresenta un importante esempio2. L’ECT sfrutta l’azione sinergica del fenomeno fisico dell’elettroporazione delle membrane cellulari e della somministrazione di farmaci antineoplastici, come la bleomicina, con il risultato di potenziare notevolmente l’effetto citotossico2,3. Attualmente l’ECT rappresenta una possibilità di trattamento con intento palliativo per le recidive locali e le metastasi del distretto cervico-facciale4. Il seguente lavoro si pone l’obbiettivo di presentare l’esperienza maturata nel trattamento ECT di questa complessa tipologia di patologie, analizzandone risultati, criticità e prospettive future.

(4)

2

1 TUMORI DELLA TESTA E DEL COLLO

I tumori della testa e del collo rappresentato un gruppo di patologie molto eterogeneo sotto diversi punti di vista. All’interno di tale definizione vi rientrano primariamente le neoplasie che insorgono dalle seguenti strutture anatomiche: cavità nasali e seni paranasali, faringe (rinofaringe, orofaringe ed ipofaringe), cavità orale, ghiandole salivari e laringe. Tali neoplasie condividono tra di loro non solo la sede anatomica di partenza, ma anche il comportamento biologico e i principali fattori di rischio: infatti, è stata riconosciuta una stretta correlazione con abitudini voluttuarie come il fumo di sigaretta ed il consumo di alcolici, che in associazione sono presenti nel 75% delle neoplasie della testa e del collo, e che rappresentano un fattore di rischio importante indipendentemente da età della diagnosi e dal sesso5. Altri fattori di rischio condivisi sono l’esposizione a polveri di legno e cuoio in ambiente lavorativo e le infezioni da agenti virali quali Epstein-Barr virus6,7, responsabile di forme di carcinoma del rinofarige prevalentemente nei paesi asiatici e del nord-africa, e il papilloma virus8,9(Human Papilloma Virus - HPV), correlato soprattutto all’insorgenza di neoplasie orofaringee. Poiché molti di questi fattori di rischio sono comuni a neoplasie di altri distretti come esofago e polmone, non è raro il riscontro di neoplasie primitive multidistrettuali, sincrone o metacrone, che dovrebbero, quindi, essere indagate durante gli approfondimenti diagnostici.

Per quanto riguarda i tumori cutanei, essi sono tra le neoplasie in assoluto con la maggior incidenza a livello generale e in particolar modo le neoplasie cutanee non melanocitarie, per i quali si stima un incidenza di 1 milione di nuovi casi all’anno nei USA, e per i quali la regione testa collo rappresenta, in assoluto, la principale sede di insorgenza10,11. Tali neoplasie presentano, unitamente al fototipo cutaneo del soggetto, come principale fattore di rischio l’esposizione ai raggi ultravioletti (UVA e UVB), in grado di causare la formazione di dimeri di pirimidina alle molecole di DNA determinando così l’inizio del processo di trasformazione tumorale12-14.

Nonostante le evidenti differenze in termini eziopatogenetici, l’incidenza dei tumori della testa e del collo, qualunque sia la sede di insorgenza, incrementa con l’aumentare dell’età e in condizioni di immunocompromissione15: entrambe sono,

(5)

3

infatti, situazioni in cui la normale capacità dell’organismo di determinare una sorveglianza immunologica anti-tumorale e la capacità cellulare di riparazioni del danno al DNA risultano compromesse.

Nelle sedi di insorgenza non cutanee, l’istotipo prevalente è rappresentato dal carcinoma spinocellulare (o squamoso) a vario grado di differenzazione, le cui varianti sono riportate nella classificazione WHO del 2005 (carcinoma verrucoso, carcinoma basaloide, carcinoma squamoso papillare, carcinoma squamoso acantolitico, carcinoma adenosquamoso e carcinoma a cellule fusate); gli istotipi meno frequenti sono invece rappresentati da neoplasie maligne di derivazione dall’epitelio delle ghiandole salivari e dai tumori neuroendocrini.

Anche tra le neoplasie a insorgenza cutanea il carcinoma a cellule squamose rappresenta uno dei principali istotipi, numericamente secondo solo al carcinoma basocellulare, per cui ricopre un ruolo importante nella pratica clinica.

Nonostante le indubbie similitudini, le neoplasie che insorgono in differenti sede anatomiche appartenenti al distretto testa collo presentano caratteristiche tali da rendere necessaria una diversa trattazione per quanto concerne gli aspetti diagnostici e terapeutici, che verranno di seguito analizzati.

1.1 Tumori non cutanei della testa e del collo: stadiazione, storia naturale, diagnosi e trattamento

La corretta programmazione dell’iter diagnostico e terapeutico non può prescindere da una approfondita conoscenza della storia naturale di una neoplasia. La storia naturale dei carcinomi squamoso della testa e del collo è caratterizzata da una spiccata crescita locale e dalla diffusione regionale e, negli stadi avanzati, a distanza. Nella maggior parte dei casi tali neoplasie si presentano come le lesioni leucoplasiche ed eritroplasiche a sviluppo superficiale. Naturalmente la presenza di tali alterazioni non rappresenta un criterio diagnostico dirimente in quanto anche lesioni pre-neoplastiche e aree discheratosiche non displasiche possono manifestarsi clinicamente con aree eritroplasiche e/o leucoplasiche, che ovviamente si differenzieranno dalle precedenti

(6)

4

per il loro pattern di crescita non invasivo. Diviene per cui dirimente l’esame istologico della lesione.

I tumori della testa e del collo sono classificati secondo il sistema TNM (UICC/AJCC 7° Edizione), i cui parametri presi in considerazione differiscono in funzione delle sede anatomica interessata. La stadiazione patologica dopo intervento chirurgico, quando effettuato, aggiunge informazioni circa la prognosi ed è importante per la scelta dell’eventuale trattamento post-operatorio. A tal proposito lo studio delle stazioni linfonodali dovrà definire, oltre alle dimensioni, il numero e il livello interessato. Altro parametro linfonodale di estrema importanza in fase stadiativa è la eventuale presenza di infiltrazione capsulare. La stadiazione post-operatoria deve inoltre fornire informazioni riguardo i margini di resezione e la presenza di embolizzazione linfatica, invasione perineurale e infiltrazione vascolare16.

Nella malattia in stadio I e II, il problema clinico principale è il controllo locoregionale di malattia, poiché, a questo stadio, il rischio di metastatizzazione a distanza è molto basso anche se, per le neoplasie rinofaringee e per gli istotipi poco differenziati o indifferenziati, tale evenienza deve essere considerata e indagati anche negli stadi precoci della malattia.

Il rischio di metastasi ai linfonodi dipende dalla sede, in particolar modo dalla più o meno ricca presenza di strutture deputate al drenaggio linfatico, e, in alcuni distretti, aumenta in rapporto allo spessore del tumore primitivo; tale rischio è stato definito soprattutto per le neoplasie del cavo orale (lingua e pavimento)17.

Negli stadi localmente avanzati (stadio III e IV-M0) il problema della metastatizzazione a distanza diventa certamente più rilevante, soprattutto alla luce dei recenti progressi terapeutici riguardo il controllo locoregionale della malattia.

Malgrado le innegabili differenze proprie dei tumori della testa e del collo e le differenti modalità di diffusione in funzione della sede anatomica interessata, la probabilità di riscontrare in fase diagnostica l’interessamento delle stazioni linfonodali è sempre molto elevata; fanno eccezione le neoplasie cordali limitate e le neoplasie dei seni paranasali, caratterizzate da uno scarso drenaggio linfonodale e

(7)

5

quindi da una scarsa diffusione in queste sedi. La classificazione delle stazioni linfonodali tributarie delle varie sedi si basa sulla suddivisione delle stesse in livelli ed è stata, inoltre, recentemente rielaborata per facilitarne l’impego e l’applicazione su immagini radiologiche assiale nell’ambito della pianificazione radioterapica18,19. La probabilità di interessamento dei vari livelli è molto diversa in funzione della sede e dello stadio della neoplasia primitiva. Risulta, inoltre, essenziale ricordare come le strutture linfonodali della testa e del collo risultano spesso coinvolte dall’interessamento metastatico di neoplasie di altri distretti e di cui possono rappresentare la prima modalità di presentazione.

Diagnostica per immagini e strumentale

L’imaging è ormai diventata parte integrante nella diagnosi e nella stadiazione loco-regionale e a distanza delle neoplasie del distretto cervico-facciale. Essa, infatti, ricopre un ruolo complementare rispetto all’esame clinico, bioptico e, a seconda del distretto, alla fibroscopia, permettendo una migliore accuratezza nella valutazione dell’estensione della malattia nei piani profondi, dell’interessamento linfonodale, della ricerca di metastasi a distanza o di tumori concomitanti.

Le metodiche di indagine comunemente impiegate per la definizione della estensione loco-regionale della neoplasia sono la TC (tomografia computerizzata con mdc), la RM (risonanza magnetica con contrasto), l’ecografia del collo e, in casi selezionati, la PET-TC. Qualsiasi sia la metodica utilizzata è essenziale che l’esame venga effettuato rispettando la metodica standard, ossia l’utilizzo di sezioni parallele al palato duro per il massiccio cranio-facciale e parallele al piano cordale per il collo. L’adeguamento a tali standard rende riproducibili gli studi radiologici e permette una migliore valutazione nella successiva fase di follow-up.

La RM è, ad oggi, considerato l’esame di prima scelta nei tumori che insorgono nel cavo orale, orofaringe, rinofaringe. È, anche considerato il gold standard per lo studio dei tumori laringei laddove vi sia il sospetto di invasione della cartilagine tiroidea, dove si avvale di bobine dedicate. Tale metodica presenta il vantaggio di fornire maggiori informazioni sulle caratteristiche intrinseche e sulle dimensioni riali della

(8)

6

massa tumorale, nonché sulla eventuale infiltrazione dei piani muscolari, sulla diffusione perilinfonodale e perineurale e sull’eventuale interessamento della base del cranio. La TC, eseguito con l’iniezione di mezzo di contrasto, si rivela altresì utile nel fornire, ove necessarie, informazioni complementari a quelle fornite dalla RM, come una migliore definizione dell’interessamento osseo della neoplasia e per lo studio della laringe. Inoltre, l’esame TC risulta utile in caso di controindicazione del paziente all’esecuzione dell’esame RM o in paziente poco collaboranti nei quale l’esame RM sarebbe difficilmente effettuabile o poco attendibile per la generazione di artefatti da movimento.

Se le precedenti metodiche rappresentato le più affidabili alternative per lo studio radiografico delle caratteristiche del tumore, lo studio ecografico della testa e del collo è comunque una metodica che riveste un ruolo importate per la valutazione dello stato linfonodale, associando l’analisi morfologica (dimensioni, forma, presenza dell’ilo e spessore della corticale) all’analisi della vascolarizzazione, valutata con il color-doppler. L’ecografia si dimostra, inoltre, molto utile come ausilio a procedure bioptiche impiegate al fine della conferma cito-istologica nei casi sospetti.

Per la stadiazione a distanza, le indagini da effettuare dipenderanno dallo stadio della malattia. Agli stadi iniziali (I e II) e con l’assenza di importanti fattori di rischio si può prendere in considerazione l’esecuzione di uno studio poco approfondito, che, invece, si rivela essenziale per l’inquadramento del pazienti con malattia localmente avanzata (stadio III e IV) e per neoplasie che presentano un elevato rischio di metastatizzazione a distanza, come ad esempio quelle che insorgono a livello di rinofaringe e ipofaringe. In questi casi la stadiazione sistemica può essere effettuata con una TC total body con mdc e scintigrafia ossea o con l’esame PET-TC con fluorodesossiglucosio (FDG).

L’esame PET-TC con-FDG, seppur limitato nella capacità di fornire una definizione morfologica diagnostica e gravata da un elevato rischio di falsi positivi, è utile, oltre che nella malattia metastatica, nello studio delle neoplasie a sede primitiva sconosciuta e nel follow-up, per escludere la presenza di malattia residua dopo chemio-radioterapia.

(9)

7

Scelta e finalità di trattamento

La scelta del trattamento delle neoplasie di testa e collo non può prescindere dalla valutazione dello stadio della malattia e quindi della finalità radicale o palliativa dello stesso.

In generale negli stadi iniziali (cT1 e cT2 selezionati, cN0) dei tumori cervico-facciali si può perseguire l’intento di un trattamento radicale tramite l’ausilio sia della radioterapia che della chirurgia, con risultati sovrapponibili per alcune sottosedi come la laringe glottica. Anche per gli stadi III e IV l’opzione chirurgica resta prevalente, in particolar modo per le forme del cavo orale, tuttavia, negli ultimi anni, sono stati realizzati numerosi studi atti a valutare l’efficacia di un approccio basato sulla associazione di radioterapia e chemioterapia a base di platino.

I migliori risultati sono stati ottenuti con il trattamento radio-chemioterapico concomitante, indipendentemente dal tipo di frazionamento utilizzato, con un vantaggio significativo in termini di controllo loco-regionale della malattia e di sopravvivenza20,21. È comunque evidente che l’uso concomitante di tali metodiche è gravato da una maggiore tossicità acuta e cronica, con effetti collaterali molto rilevanti e frequenti, quale ad esempio episodi di mucosite grave, tali da compromettere la continuità della cura e, quindi, la sua efficacia. Alla luce di tali problematiche, il trattamento radio-chemioterapico concomitante è riservato a pazienti con buon performance status e selezionando attentamente i pazienti con più di 70 anni di età22-24.

Trattamento adiuvante

Il trattamento adiuvante dovrebbe essere intrapreso, dopo il trattamento chirurgico, da tutti i pazienti con malattia ad uno stadio avanzato o in presenza di fattori di rischio di recidiva locale. I fattori di rischio maggiormente riconosciuti per recidiva locale sono l’estensione linfonodale extracapsulare delle localizzazioni linfonodali, l’interessamento linfonodale multiplo e l’evidenza di margini positivi o “close”25 (il

(10)

8

cui valore dimensionale dipende dalla sede interessata, potendo variare da uno a cinque millimetri). Altri fattori di rischio riconosciuti sono lo stadio pT3, pT4, l’infiltrazione perineurale e l’invasione linfo-vascolare26. Il trattamento adiuvante si basa sull’impiego della radioterapia e chemioterapia, anche concomitanti; la scelta della tipologia di trattamento dipende dalle caratteristiche del tumore e del paziente. Il trattamento chemioradioterapico concomitante deve essere considerato il trattamento post-operatorio standard in pazienti operati, con margini positivi e/o estensione linfonodale extracapsulare, e con un buon performance status27 (Livello di evidenza 1++). In questa tipologia di pazienti, infatti, il trattamento chemioradioterapico concomitante ha dimostrato una superiorità rispetto alla sola radioterapia, anche in termini di sopravvivenza globale28. Gli attuali protocolli prevedono l’utilizzo di cisplatino in monoterapia o l’associazione tra cisplatino e 5 fluorouracile, entrambe considerate ugualmente valide, con dose di radioterapia che varia in funzione della sede anatomica coinvolta. Il solo trattamento radioterapico postoperatorio dovrebbe essere riservato a quei pazienti che, per età o performance status, è controindicata la chemioradioterapia. Per essere maggiormente efficace la radioterapia deve essere cominciata entro 6 settimane dal trattamento chirurgico e deve essere eseguita secondo le modalità della radioterapia con intento radicale.

Ritrattamenti con chirurgia, radioterapia e chemio-radioterapia

Nei tumori della testa e del collo non è di raro riscontro l’evidenza di un mancato controllo locale, sotto forma di persistenza della neoplasia primitiva o recidiva, senza metastasi a distanza oppure l’insorgenza di una seconda neoplasia nello stesso distretto. Qualora il paziente non presenti delle controindicazioni può essere proposto un trattamento chirurgico, sia come chirurgia di salvataggio che con intento palliativo. In entrambi i casi il trattamento chirurgico si è dimostrato poco efficace nel garantire un miglioramento della sopravvivenza e del performance status del paziente29. Tale procedura è, inoltre, spesso tecnicamente complicata, in quanto interessa tessuti che di frequente sono stati precedentemente sottoposti a radioterapia o chirurgia. Nei casi in cui la chirurgia di salvataggio non è possibile si può porre

(11)

9

l’indicazione alla re-irradiazione, sia a scopo curativo, in paziente selezionati, che palliativo. Sono state sperimentate diverse modalità di re-irradiazione: schemi con iperfrazionamento, associazioni che chemioterapia e utilizzo di brachiterapia o radioterapia stereotassica. La probabilità di danni tardivi è comunque non trascurabile e sono rappresentati più comunemente da trisma, xerostomia, fibrosi dei tessuti molli e necrosi mucosa; sono stati riportati anche casi di morte per episodi emorragici in assenza di trombocitopenia30. Il ritrattamento con chemioradioterapia, con chemioterapici tradizionali o con farmaci biologici immunoterapici, rappresenta attualmente una opzione sperimentale in quanto non vi sono, ad oggi, studi di dimensioni tali per dimostrare una differenza di sopravvivenza.

1.2 Tumori cutanei del distretto testa collo: il carcinoma a cellule squamose

Il carcinoma cutaneo a cellule squamose è, come detto, la seconda forma più frequente, dopo il carcinoma basocellulare, di neoplasia cutanea e la regione della testa e del collo ne rappresenta la principale sede di insorgenza. Tale neoplasia insorge più di frequente a livello della cute di orecchio, regione frontotemporale e della guancia10,11,14 come lesione maculo papulare eritematosa, che può presentare ulcerazioni e sanguinamento31.

Il carcinoma cutaneo squamoso origina dai cheratinociti dello strato spinoso dell’epidermide. Nella forma più comune il tumore è costituito da cheratinociti atipici con la presenza di figure mitotiche, ipercromia e pleiomorfismo nucleare, che permettono di suddividere questa tipologia di tumori in diversi gradi di differenziazione32.

Storia clinica e diagnosi

La diagnosi del carcinoma squamoso della cute si esegue clinicamente tramite un accurato esame della cute della regione interessata e tramite l’esecuzione di biopsie delle lesioni sospette. In caso di lesioni di piccole dimensioni è possibile effettuare una biopsia escissionale di tutta la lesione con finalità diagnostiche e potenzialmente

(12)

10

terapeutiche; per lesioni di dimensioni maggiori viene prelevata una porzione di tessuto che dovrebbe includere il derma.

Per intraprendere un adeguato iter terapeutico risulta essenziale il ruolo svolto dalla diagnosi precoce, in grado di individuare lesioni agli stadi iniziali o non invasivi, o, qualora la diagnosi venga posta in uno stadio già invasivo, la definizione di fattori prognostici associati ad un maggiore rischio di metastatizzazione a distanza e di recidiva. Tali fattori prognostici vengono divisi secondo parametri clinici e istopatologici quali: dimensione e sede del tumore, regolarità dei bordi, rapidità di crescita, sede di insorgenza precedentemente soggetta a radioterapia o chirurgia, grado di differenziazione, istotipo, profondità di infiltrazione e evidenza di invasione perineurale o vascolare. Secondo questi criteri è possibile distinguere due gruppi di carcinomi squamosi della cute, a basso ed alto rischio di recidiva o metastatizzazione33. Ulteriori indagini radiologiche e istologiche vengono effettuate per la definizione dello stadio della neoplasia, secondo la stadiazione TNM, che prende in considerazione le dimensioni tumorali e il grado di infiltrazione delle strutture ossee adiacenti, la presenza di infiltrazione linfonodale e l’entità della stessa e la presenza di metastasi a distanza34.

Trattamento

Il trattamento del carcinoma squamoso della cute si avvale prevalentemente dell’approccio chirurgico con intento radicale laddove è considerato ottenibile. Le dimensioni dei margini di resezione per ottenere la radicalità variano in funzione della presenza o meno di caratteristiche tumorali associate ad un aumentato rischio di recidiva, stabilite in almeno 6-10 mm per i tumori valutati ad alto rischio e 5 mm per quelli a basso rischio33; il margine profondo, inoltre, deve interessare l’ipoderma a tutto spessore rispettando la fascia, il periostio, il pericondrio a condizione che queste strutture non siano a contatto o invase dal tumore.

Il trattamento linfonodale sistematico dell’N non è raccomandato, ma la valutazione clinica deve essere sempre effettuata nel tempo preoperatorio e se c’è un sospetto clinico o nei casi ad alto rischio deve essere indagata mediante l’esecuzione di esami

(13)

11

ecografici e radiologici; nei casi sospetti, inoltre, può essere eseguita una biopsia linfonodale. La tecnica del linfonodo sentinella può essere adottata nei tumori ad alto rischio nel quadro dei protocolli di valutazione.

In presenza di N positivo viene effettuata la dissezione linfonodale che per le neoplasie a insorgenza nel distretto testa collo riguarda la stazione linfonodale latero cervicale.

Il trattamento curativo dell’interessamento linfonodale è la dissezione completa in cui l’esame istologico deve indicare: il numero totale dei linfonodi esaminati e due fattori importanti per la prognosi: il numero e la dimensione dei linfonodi invasi e la presenza di rotture capsulari. Una irradiazione adiuvante si può discutere in funzione dell’istologia. Se l’invasione è moderata (micrometastasi o macrometastasi unica), senza rottura capsulare, nessun trattamento complementare è proposto; viceversa con evidenza di importante invasione linfonodale è indicata la radioterapia35-37.

Nei pazienti nei quali la chirurgia non è praticabile, per presenza di controindicazioni o rifiuto del paziente, la radioterapia può essere proposta in prima intenzione, ma sempre preceduta da adeguata documentazione istologica della neoplasia37,38.

La chemioterapia sistemica ha un posto limitato a causa della scarsa sensibilità di questa neoplasia ai farmaci chemioterapici39.

(14)

12

2 L’ELETTROCHEMIOTERAPIA NEL TRATTEMENTO ONCOLOGICO

L’elettrochemioterapia (ECT) è una modalità di trattamento oncologico dei tumori solidi40 caratterizzato dall’utilizzo di farmaci citotossici non permeanti o poco permeanti, come bleomicina e cis-platino, veicolati all’interno delle cellule tumorali sfruttando il meccanismo dell’elettroporazione, fenomeno fisico per cui, tramite l’applicazione di campi elettrici, si determina una alterazione della permeabilità della membrana cellulare tale da permettere o incrementare l’ingresso di molecole nel compartimento intracellulare41. Il concetto che sta alla base dell’ECT, cioè l’associazione di chemioterapia ed elettroporazione, è stato sviluppato in Francia presso l’istituto Gustave Roussy nel corso degli anni ’8042,43. La metodica è stata presto trasferita in ambito clinico però la sua standardizzazione risale solamente al 2006 con la pubblicazione dei risultati dello studio europeo ESOPE (European Standard Operating Procedures for Electrochemotherapy) che ha consentito la messa a punto delle procedure operative. Il progetto europeo ha permesso, inoltre, la realizzazione di un generatore di impulsi elettrici per uso clinico (CliniporatorTM) che ha reso la metodica più semplice, sicura e veloce44,45.

L’ECT viene attualmente utilizzata nel trattamento di diversi istotipi tumorali come il melanoma46, il carcinoma mammario47, i tumori cutanei non-melanoma48,49, i sarcomi dei tessuti molli superficiali50 e le neoplasie del distretto cervico-facciale48,49.

2.1 Elettroporazione come meccanismo di drug delivery

La capacità di un campo elettrico di determinare una reversibile e transitoria alterazione della permeabilità della membrana cellulare in vitro è stata ormai dimostrata ampiamente51,52. In particolare, è stato dimostrato come un campo elettrico esterno, ottenuto tramite l’applicazione di un impulso elettrico, sia in grado di alterare il potenziale di membrana delle cellule51,53,54; gli effetti strutturali e biochimici di questa alterazione del potenziale transmembrana esitano nel fenomeno di elettroporazione, come descritto da J. Tessié.

(15)

13

Il fenomeno della elettroporazione cellulare di tessuti animali esposti, in vivo, ad un appropriato impulso elettrico è stato per la prima volta dimostrato nel 199455.

L’elettrochemioterapia rappresenta un meccanismo di veicolazione di farmaci basata sul fenomeno dell’elettroporazione in vivo. In tale approccio l’applicazione di un impulso elettrico rappresenta esclusivamente il mezzo tramite il quale si ottiene l’ingresso del farmaco, in vivo, all’interno delle cellule di un tessuto. La efficienza della veicolazione del farmaco nel comparto citosolico dipende direttamente dal volume di tessuto sottoposto all’impulso elettrico e dall’intensità del campo elettrico generato. Ciò determina che l’intensità del campo elettrico ottenuto deve essere in un range tale da determinare un effetto reversibile e transitorio, infatti se superata una certa soglia di intensità l’alterazione del potenziale elettrico di membrana sarà irreversibile e esiterà in una necrosi cellulare non solo del tessuto neoplastico ma anche di quello sano56.

Come evidenziato, il controllo dei parametri elettrici è essenziale per l’ottenimento dell’effetto atteso, ossia una simultanea permeabilizzazione cellulare e sopravvivenza cellulare, per cui parte della ricerca si è concentrata sulla definizione dei valori di tali parametri e sul tipo di impulso elettrico necessario a generarli. I risultati mostrano come la categoria ottimale di impulsi dovesse essere generata da una fonte di corrente continua, di breve durata, di intensità da poche centinaia di Volt fino a pochi kV e la cui forma è un’onda quadra o a caduta esponenziale57-59.

Gli impulsi a onda quadra si sono dimostrati più efficienti nella generazione di un campo elettrico con valori di intensità e durata tali da ottenere l’effetto voluto. Infatti, dopo che si è generato il campo elettrico, esso deve essere mantenuto costantemente al di sopra del valore soglia per diversi millisecondi affinché si ottenga la permeabilizzazione della membrana. Utilizzando onde a caduta esponenziale per mantenere l’intensità di campo superiore al valore soglia è necessario un campo elettrico iniziale di valori molto più elevati e tali da causare alterazioni irreversibili della membrana rispetto a quanto avverrebbe con l’impego di impulsi a onda quadra, che permettono di generare un campo elettrico di intensità constante solo di poco superiore al valore soglia. Inoltre, con l’utilizzo di generatori di impulsi a onda

(16)

14

quadra, i valori dei parametri elettrici impostati sono mantenuti costanti anche in caso di variazione dei valori di volume e conduttività del campione esposto al campo elettrico60.

Per questi motivi, i generatori di impulsi a onda quadra sono stata impiegati nell’esecuzione di esperimenti in vitro e, in vivo, in tutti i trials preclinici e clinici sin dai primi esperimenti di Mir e colleghi57,58.

Per quanto concerne i valori degli altri parametri dell’impulso elettrico utilizzato, in tutti gli studi in vivo, in accordo con le evidenze dei precedenti studi condotti su campioni in vitro, è stato impiegato un treno di quattro o otto impulsi di 100 μs ad una frequenza di 1Hz. Tali parametri di durata (100 μs) e frequenza si sono dimostrati essere il miglior compromesso per l’ottenimento dell’effetto ricercato a carico della membrana plasmatica; in quanto lungo abbastanza da determinarne la alterazione della permeabilità e tale da garantirne la reversibilità42,43,59,61.

Il diverso numero di impulsi utilizzati (4 o 8) invece non risulta essere un parametro cruciale poiché le alte concentrazioni di bleomicina presenti a livello del tessuto trattato rendono poco significative le differenze di risultati58.

2.2 Farmaci citotossici non permeanti: meccanismo di ingresso nel compartimento intracellulare

La maggior parte dei farmaci citotossici utilizzato nei trattamenti delle patologie neoplastiche hanno come target strutture all’interno del compartimento intracellulare, questo fa sì che per poter svolgere la loro azione devono riuscire a penetrare la membrana plasmatica. Molecole lipofiliche possono facilmente accedere al compartimento citosolico grazie al fenomeno della diffusione attraverso il doppio strato fosfolipidico della membrana43. Le molecole idrofiliche invece necessitano di essere attivamente veicolate all’interno della cellula da trasportatori o da canali specifici. Le molecole che non presentano queste caratteristiche sono definite poco o non permeanti42 e la bleomicina ne rappresenta un perfetto esempio62.

(17)

15

2.3 La bleomicina nell’ECT

La bleomicina è una molecola glicopeptidica dotata di capacità antibiotiche, in grado di legarsi al DNA e determinarne rotture a singolo o doppio filamento, grazie alla sua capacita di generare radicali dell’ossigeno.

L’utilizzo della bleomicina quale farmaco citotossico in diversi protocolli di trattamento oncologico è dovuto a due particolari caratteristiche di questo farmaco. La prima è la elevata citotossicità intrinseca, intesa come capacità di evocare un effetto citotossico quando non ne viene limitata la possibilità di accesso al suo target, il DNA, da parte della membrana plasmatica62; la seconda è il complesso meccanismo di internalizzazione per endocitosi, nelle cellule sane la bleomicina, infatti, interagisce con specifiche proteine di membrana che regolano tale processo63.

Proprio la natura non permeante e il complesso meccanismo di internalizzazione nelle cellule sane rendono la bleomicina un farmaco ottimale per l’utilizzo nel trattamento elettrochemioterapico. È stato dimostrato come il processo di elettroporazione incrementa l’effetto citotossico della bleomicina di diversi ordini di grandezza, tale evidenza è surrogata dalla incapacità della stessa di determinare una riduzione della crescita tumorale qualora essa venga somministrata in assenza dell’impulso elettrico permeabilizzante61. Parallelamente la bleomicina presenta il vantaggio di una ridotta tossicità a livello dei tessuti sani non esposti al campo elettrico.

Altre importanti caratteristiche che rendono la bleomicina un farmaco ideale per il trattamento elettrochemioterapico sono il modo in cui la molecola induce la morte cellulare e la sua natura non immmunosoppressiva. In vivo, alle dosi terapeutiche utilizzate, la bleomicina induce un lento processo di morte cellulare assimilabile alla morte cellulare in fase mitotica che causa in vitro. Di conseguenza non induce la apoptosi cellulare in assenza di risposta infiammatoria, ma, al contrario, determina un lento processo di necrosi cellulare che potrebbe aiutare ad aumentare la risposta immunologica nei confronti delle cellule tumorali64. La bleomicina favorisce, inoltre, questo processo in quanto, non solo non possiede una attività immunosoppressiva65, ma è stato dimostrato che, se somministrata seguendo specifici protocolli terapeutici,

(18)

16

è in grado di stimolare la risposta immunitaria tramite l’incremento dell’attività “tumoricida” dei macrofagi66, la riduzione dell’attività T-soppressiva tumore specifica67 e l’induzione della secrezione di interleuchina-268.

Le bleomicina nel trattamento ECT è stata somministrata sia localmente che a livello sistemico mediante iniezione endovenosa. La scelta della via di somministrazione dipende da alcuni parametri quali la grandezza dei noduli da trattare e il numero degli stessi45. In caso di pochi noduli di piccole dimensioni la bleomicina è stata, infatti, somministrata tramite iniezione intratumorale ottenendo tassi di risposta paragonabili a quelli ottenuti utilizzando una via di somministrazione sistemica. L’iniezione intratumorale permetterebbe, inoltre, di evitare gli effetti tossici a livello sistemico, comunque notevolmente ridotti anche in caso di somministrazione endovenosa di bleomicina poiché pressoché inattiva, alle dosi somministrate, in assenza dell’applicazione dell’impulso elettrico69,70.

Nonostante il profilo di tossicità favorevole, sono state riportate alcune forme di tossicità sia acuta che ritardata che seppur rare non sono di certo trascurabili. Sono stati riportati, infatti, episodi insorti acutamente di reazioni allergiche, ipotensione e innalzamento della temperatura con sintomatologia infiammatoria sistemica lieve. La tossicità ritardata, invece, è caratterizzata da effetti collaterali a livello polmonare, mucoso e cutaneo. A livello polmonare può determinare forme di polmonite interstiziale o nei casi più gravi una fibrosi polmonare con una sintomatologia caratterizzata da tosse, dispnea, rumori secchi in fase inspiratoria, con infiltrati parenchimali evidenziabili all’esame radiologico. La tossicità polmonare è “dose-limitante” con un incidenza aumentata in caso di dosi cumulative di bleomicina superiori a 400 UI, altri fattori predisponenti a tale effetto collaterale sono un’età superiore ai 70 anni, la presenza di patologie polmonari preesistenti o un pregresso trattamento radioterapico a livello polmonare o mediastinico71. La tossicità cutanea si può manifestare con un quadro di segni e sintomi molto vari quali: rash cutaneo, iperpigmentazione, strie, vesciche, ipercheratosi, alopecia transitoria, onicopatia, parestesie e prurito72. È importante sottolineare, però, come tali effetti avversi siano

(19)

17

perlopiù ben tollerati dai pazienti in quanto di grado lieve-moderato e spesso spontaneamente reversibili.

2.4 Effetti vascolari del trattamento ECT

Recenti studi hanno indagato la possibilità di effetti aggiuntivi, oltre all’elettroporazione delle membrane, nei tessuti sottoposti agli stimoli elettrici utilizzati nel trattamento ECT, dimostrando un effetto vascolare sia a breve che a lungo termine a livello del tessuti tumorali e in quelli sani73-75. La risposta a breve termine consta di una vasocostrizione riflessa dovuta a una stimolazione del sistema nervoso simpatico. L’entità di tale reazione è direttamente proporzionale al voltaggio applicato e tende a perdurare maggiormente nel tessuto neoplastico rispetto a quello sano. È stato dimostrato con l’utilizzo di traccianti fluorescenti che, per un periodo di tempo variabile in funzione dei suddetti parametri, il tessuto trattato risulta inaccessibile a molecole presenti nel flusso sanguigno. Questo effetto, che è stato definito “vascular lock”, riduce notevolmente il wash-out del farmaco a livello del tessuto trattato potenziandone notevolmente l’effetto. La differenza di durata dell’effetto vascolare tra il tessuto tumorale e quello sano sarebbe riconducibile alla diversa struttura vascolare del primo, ossia la caotica e irregolare microvascolarizzazione, caratterizzata da capillari fenestrati e dalla assenza di una barriera completa tra il compartimento vascolare e quello interstiziale. Il fenomeno appena descritto ha avuto, per il trattamento ECT, delle importanti ripercussioni, in termini operativi, riguardo il tempo che deve intercorrere tra la somministrazione del farmaco e l’applicazione degli impulsi elettrici64. Infatti, se l’effetto vascolare dovesse verificarsi prima della completa distribuzione del farmaco, diminuirebbe l’accesso dell’antineoplastico a livello del tessuto trattato e quindi l’effetto citotossico. Viceversa, se l’impulso, e quindi l’effetto vascolare, venisse applicato dopo la completa distribuzione del farmaco, ne verrebbe impedito il wash-out e se ne potenzierebbe l’effetto citotossico.

La risposta a lungo termine, invece, è dovuta ad un effetto sinergico del campo elettrico e del farmaco sulle cellule endoteliali dei vasi tumorali, che essendo

(20)

18

metabolicamente molto attive, risentono maggiormente della chemioterapia. Proprio in funzione di questo complesso effetto anti-vascolare, il trattamento ECT si è dimostrato efficace nell’evocare un effetto emostatico particolarmente utile nel limitare il sanguinamento delle metastasi cutanee, effetto che corrisponde ad un miglioramento della qualità della vita dei pazienti76,77.

2.5 L’ECT nella pratica clinica, lo studio ESOPE

L’attuale pratica clinica del trattamento ECT si basa su uno studio clinico prospettico e multicentrico di 61 pazienti, lo studio ESOPE. Tale studio è stato condotto con l’obbiettivo di valutare, tramite l’impiego di un protocollo condiviso tra i diversi centri partecipanti, l’efficacia e la tollerabilità del trattamento ECT nei pazienti con metastasi cutanee. I criteri di inclusione prevedevano parametri quali: dimensione tumorale di diametro inferiore a 3 cm, funzionalità renale e ematologica normale, aspettativa di vita maggiore di 3 mesi, performance status, secondo Karnofsky, maggiore del 70% e un periodo libero da precedenti trattamenti di almeno 2 settimane. I criteri di esclusione, invece, sono stati i seguenti: malattia viscerale sintomatica o rapidamente progressiva, presenza di neuropatia periferica, coagulopatie, aritmie, epilessia, allergia dimostrata a bleomicina o cisplatino, gravidanza e allattamento. I pazienti arruolati sono stati trattati con bleomicina o cisplatino e con l’applicazione di impulsi elettrici tramite il generatore per uso clinico CliniporatorTM (IGEA s.r.l., Carpi). Il farmaco è stato somministrato, a seconda dei casi, per via sistemica, mediante iniezione endovenosa, o per via locale con iniezione intratumorale. Nel primo caso fu stabilito che gli impulsi dovessero essere applicati in una finestra temporale tra gli 8 e i 28 minuti dall’infusione del chemioterapico. Nel caso dei trattamenti che prevedevano una somministrazione locale del farmaco, invece, gli impulsi elettrici sono stati somministrati entro 1-2 minuti dall’iniezione. La risposta al trattamento è stata valutata clinicamente secondo i criteri WHO, a distanza di 60 giorni dal trattamento. La risposta è risultata valutabile solo in 41 dei pazienti trattati. La distribuzione dei 171 noduli tumorali per istotipo è stata: 98 da melanoma, 64 da carcinoma (comprendendo diversi istotipi: squamoso della cute,

(21)

19

cervice uterina, colon e mammella) e 9 da sarcoma. Il tesso di risposta completa è stato ottenuto nel 73,7% dei noduli tumorali trattati, con un tasto di risposte complessive dell’84,8%. Un’ulteriore valutazione dei pazienti è stata eseguita dopo 150 giorni dal trattamento dove si è evidenziato un tasso di risposta locale molto elevato, con i maggiori risultati laddove era stato eseguito un trattamento con bleomicina somministrata per via endovenosa (88,2%)44,78. Lo studio ESOPE, oltre all’analisi circa l’efficacia complessiva del trattamento, ha svolto un ruolo importante nel fornire ulteriori osservazioni che hanno posto le basi per la definizione delle SOP (Standard Operative Procedures) dell’ECT, che rappresentato un riferimento per diversi aspetti operativi quali la selezione dei pazienti, l’individuazione delle controindicazioni relative e assolute al trattamento, la scelta della tipologia di farmaco chemioterapico, il suo dosaggio e la via di somministrazione, il tipo di elettrodo, il tipo di gestione anestesiologica, le procedure di preparazione del paziente e esecuzione del trattamento, la gestione peri e post operatoria. Tali valutazioni sono esitate nella codifica di quattro diverse modalità operative basate sul tipo di anestesia e sulla via di somministrazione del farmaco. Le raccomandazioni sono di eseguire una anestesia locare laddove siano da trattare pochi noduli e di dimensione limitate, nonché quando siano presenti controindicazioni alla sedazione per via delle condizioni generali del paziente. La sedazione profonda, invece, è da preferirsi nei casi in cui i noduli da trattari siano di elevato numero (indicativamente più di 5-7) o in caso di tumori molto estesi o con localizzazione in aree anatomiche sensibili45. Lo studio ESOPE ha anche indagato la tollerabilità del trattamento, con la somministrazione di questionari e tramite la valutazione del dolore secondo la scala VAS. Il trattamento è risultato ben tollerato dai pazienti, con valore medio del dolore riferito dai pazienti di 35 nel postoperatorio e di 20 a quarantotto ore di distanza; a conferma della elevata tollerabilità del trattamento il 93% dei pazienti interrogati ha dichiarato che avrebbe accettato una nuova seduta ove necessario44,78.

(22)

20

3 MATERIALI E METODI

Il seguente studio è stato condotto presso l’U.O. di Otorinolaringoiatria Universitaria I della Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, e i trattamenti ECT in esame sono stati eseguiti a partire dal mese di maggio 2010 fino al Luglio 2017. Sono stati arruolati 16 pazienti (5/11 femmine/maschi; età media=70,7 anni, range=46-96 anni) affetti da neoplasie di testa e collo, sia da recidiva locale di pregressa malattia che da interessamento metastatico da patologia primitiva in altra sede, dopo aver raccolto il consenso informato per l’esecuzione del trattamento ECT con iniezione endovenosa di bleomicina.

I criteri di inclusione impiegati si sono basati su quelli espressi dall’European Standard Operating Procedures of the Electrochemotherapy (ESOPE) e comprendevano la presenza di un nodulo tumorale di dimensioni tali da renderlo suscettibile di trattamento mediante l’applicazione di elettrodi e un performance status secondo Karfnoski maggiore di 6045.

I criteri di esclusione comprendono l’appartenenza alla classe 3 o maggiore della classificazione redatta dalla American Society of Anesthesiologist (ASA), diagnosi di epilessia, metastasi cerebrali, compromissione della funzionalità polmonare, epatica o cardiaca, aspettativa di vita inferiore a 3 mesi, evidenza di infezione attiva, precedenti trattamenti con bleomicina a dosaggio massimo o trattamenti oncologici eseguiti entro le due settimane precedenti al trattamento ECT.

In tutti i pazienti è stata eseguita la diagnosi istologica dei differenti istotipi tumorali, tramite prelievo di campioni bioptici di tessuto e ha mostrato: quindici pazienti affetti da carcinoma a cellule squamose e un paziente con diagnosi di carcinoma duttale infiltrante.

Tutti i pazienti, eccetto uno (caso 13), erano stati sottoposti a un precedente trattamento: dodici pazienti erano stati precedentemente sottoposti a chirurgia e, ad esclusione del paziente 16 che non è stato considerato candidabile a un trattamento radioterapico adiuvante, successivamente hanno ricevuto un trattamento adiuvante

(23)

21

radioterapico e/o chemioterapico; due pazienti avevano effettuato radio-chemioterapia concomitante; un paziente era stato sottoposto a radioterapia esclusiva. In tutti i casi il trattamento elettrochemioterapico è stato proposto con scopo palliativo al fine di ottenere un controllo sulla crescita locale della neoplasia e in alcuni casi per alleviare la sintomatologia associata. In particolare in almeno 5 casi i noduli tumorali presentavano ulcerazioni, causando dolore e facile sanguinamento. In un paziente la lesione, localizzata a livello della cute del mento, aveva presumibilmente causato una fistola comunicante con il pavimento della cavità orale. Lo studio dei pazienti è stato completato tramite l’esecuzione di indagini mirate TC o RM al fine di ottenere una più esaustiva valutazione della malattia prima del trattamento. Per ogni paziente, è stato misurato il diametro maggiore della lesione da trattare. Le caratteristiche cliniche dei pazienti sono mostrate in tabella 1.

Tabella 1 – Dati demografici dei pazienti, caratteristiche cliniche, staging (secondo AJCC-TNM 7th Edition), trattamento e outcome.

Inizi ali dei pazi enti Età/ Sess o Istoti po Tumore Primitiv o Precede nti trattame nti Classifica zione TNM Sta dio Area trattata Diam etro tumor ale massi mo (mm) Num ero di appli cazio ni Risposta locale Outcom e Foll ow-up 1. RL 61/M SCC Neoplasi a primitva occulta della testa e del collo Chirurgi a + RT + CT rT0N1M0 IV Collo 48 2 PR AWD 8 mesi 2. EF 46/F SCC Base lingua RT+CT yT2N0M0 IV Base lingua 32 1 CR (?) NED 3 mesi (poi persa al f-up) 3. SM 52/M SCC Pavimen to della cavità orale RT+CT yT4aN2b M0 IV Pavimen to cavità orale - cute del mento 70 1 NR – Progressi one della malattia DID 45 giorn i 4. EF 82/M SCC Naso Chirurgi a + RT rT1N0M0 IV Fosse nasali - pavimen to del seno mascella re 22 1 CR per 12 mesi; poi recidiva locale, trattata con chirurgia DID 32 mesi 5. CS 52/F IDC Mamme lla Chirurgi a + RT + CT R IV Collo – Torace 110 1 PR AWD 8 mesi 6. EC 69/M SCC Seno Piriform e Chirurgi a + RT + CT rT0N2bM 0 IV Collo - Parotide 35 (paroti de) 30 (collo) 1 CR parotide, PR collo AWD 12 mesi

(24)

22 Inizi ali dei pazi enti Età/ Sess o Istoti po Tumore Primitiv o Precede nti trattame nti Classifica zione TNM Sta dio Area trattata Diam etro tumor ale massi mo (mm) Num ero di appli cazio ni Risposta locale Outcom e Foll ow-up 7. ED 64/F SCC Laringe sovraglo ttica Chirurgi a + RT CT yT4aN2c Mlung IV Collo (livelli II e III) 150 1 PR- Progressi one della malattia DOD 2 mesi 8. BR 55/M SCC Pavimen to della cavità orale Chirurgi a + RT +CT yT4aN2c M0 IV Cute del mento 55 1 PR AWD 12 mesi 9. LP 84/F SCC Cute del naso Chirurgi a + brachiter apia

yT3N2M0 IV Cute del naso 30 1 PR AWD 5 mesi 10. TA 84/F SCC Cute dello scalpo Chirurgi a + RT, ECT nel 2015 T3N0M0 IV Cute della testa 100 1 CR a 6 settimane - Recidiva a 9 settimane AWD 2 mesi 11. RR 86/M SCC Cute della fronte e metastas i sottocut anee della regione temporal e Chirurgi a della neoplasia primitiva + RT regione temporal e T4N0M0 IV Cute – Tessuto sottocut aneo della regione temporal e 33 1 PR – progressi one della malattia DOD 5 mesi 12. TM 67/M SCC Laringe Chirurgi a T0N1M0 IV Collo – Cute peristom ale 60 1 Progressi one della malattia DOD 2 mesi 13. DG

82/M SCC Parotide Nessuno T4bN0M0 IV Parotide – Cute della regione parotide a 40 2 NR DOD 4 mesi 14. FG 96/M SCC Cute dello scalpo Chirurgi a + RT T3N0M0 Cute della testa 110 1 PR- progressi one della malattia AWD 2 mesi 15. BM 62/M SCC Neoplasi a primitiv a occulta e metastas i al collo con infiltrazi one cutanea Chirurgi a + RT + CT + Cetuxim ab TxN3bM0 Metastas i al collo con infiltrazi one cutanea 55 1 PR-progressi one della malattia DOD 7 setti man e 16. BE 89/M SCC Cute della regione temporal e Chirurgi a, non candidab ile a RT T3N0M0 Cute della regione temporal e 75 1 Non valutabile DID (setticem ia da divertico lite) 20 giorn i

Legenda: SCC: carcinoma squamocellulare; IDC: carcinoma duttale infiltrante; RT: radioterapia; CT: chemioterapia; AWD: vivo con malattia; DID: deceduto per malattia intercorrente; PR: risposta parziale; CR: risposta completa; NR: nessuna risposta; NED: nessuna evidenza di malattia; DOD: deceduto per malattia.

(25)

23

Il trattamento è stato eseguito per tutti i pazienti in anestesia generale. È stato impiegato il generatore di impulsi elettrici ad uso clinico CliniporatorTM, utilizzando una configurazione standard di impulsi, ossia un treno di 8 impulsi della durata di 100 μs, ottenendo così un campo elettrico di 1000V/cm. La tipologia di elettrodo scelto per il trattamento è stato per tutti i pazienti, eccetto uno, quella di elettrodi esagonali a lunghezza variabile (Figura 1), in quanto considerati i più efficaci per trattare le lesioni. In un solo caso è stato impiegato l’elettrodo Type 4, elettrodo finger (Figura 2), considerato più utile per il raggiungimento della neoplasia presente a livello della base della lingua.

Tutti i pazienti sono stati trattati con la somministrazione di bleomicina a una dose di 15000UI/m2, per via endovenosa con un tempo di infusione di 1 minuto. L’applicazione degli impulsi è avvenuta dopo un tempo di 8 minuti dalla infusione del chemioterapico, procedendo dai margini della lesione, includendo il margine di sicurezza di un centimetro di tessuto sano perilesionale, fino al centro della stessa. La procedura di elettroporazione si è conclusa in tutti i casi entro i 30 minuti dal termine della infusione della bleomicina. In tutti i pazienti alla fine del trattamento è stata somministrata una terapia analgesica con morfina e ketorolac per 24 ore con elastomero.

Figura 1 – Elettrodo esagonale a lunghezza variabile

(26)

24

4 RISULTATI

In tutti i pazienti trattati non si sono riscontrati eventi avversi o complicanze di grave entità intraoperatorie o nell’immediato postoperatorio. La bleomicina ha dimostrato avere un profilo di tossicità accettabile, in accordo con le conoscenze attuali79. Nelle prime 24/48 ore post intervento, in tutti i casi, la regione sottoposta al trattamento presentava edema di lieve-moderata entità. Per tale motivo in due casi, pazienti 2 e 3, è stata confezionata una tracheostomia prima del trattamento ECT. Il processo di guarigione della ferita ha mostrato nei diversi pazienti un comportamento significativamente eterogeneo, il cui principale determinante è apparso essere la sottosede trattata. In tal senso nelle lesioni localizzate in regioni non in contatto con saliva si è assistito alla formazione di una escara secca; viceversa nelle aree a diretto contatto con la saliva, si è riscontrata la formazione di materiale fibrinoso con successivo lento processo di riepitelizzazione mucosa con tessuto di granulazione. Nella paziente 2 è stato possibile rimuovere la tracheostomia 10 giorni dopo il trattamento, essa ha riferito un iniziale peggioramento della preesistente disfagia con, però, un recupero completo dopo due mesi. La paziente dopo i primi tre mesi è stata persa al follow up per cui non è stato possibile registrare l’andamento della risposta a lungo termine, nonostante durante le iniziali valutazioni post trattamento sembrava aver ottenuto una risposta completa.

In due casi (pazienti 3 e 16) si è assistito, nelle settimane successive al trattamento, allo sviluppo di complicanze che hanno portato al decesso. Il paziente 3 presentava una ampia lesione neoplastica localizzata al pavimento della bocca che aveva eroso la mandibola raggiungendo la superfice cutanea del mento (Figura 3). Il paziente presentava inoltre un trisma muscolare come conseguenza del pregresso trattamento radioterapico, in funzione di ciò e della ampia regione da trattare è stata confezionata una tracheostomia prima della procedura ECT. Nel postoperatorio si è avuta una infezione sia della regione del pavimento della bocca che della cute del mento. Successivamente, in quinta giornata dopo il trattamento è diventata evidente una ulcerazione del pavimento della bocca con edema dei tessuti, per tale motivo si è preferito scegliere di non rimuovere la cannula tracheostomica. In seguito ad un

(27)

25

quotidiano peggioramento delle condizioni cliniche dovuto all’edema locale e alla sovrainfezione batterica della ferita, con incremento del dolore, il paziente è deceduto 45 giorni dopo il trattamento per un quadro di setticemia e cachessia. Il paziente 16 ha sviluppato un quadro di diverticolite complicata poi evolutosi in setticemia e che ha portato al decesso del paziente al ventesimo giorno post trattamento.

Figura 3 – Caso 3, maschio, 52 anni, carcinoma a cellule squamose del pavimento della cavità orale con infiltrazione della cute del mento. A: Immagine pre-trattamento; B: Immagine post-trattamento, si evidenzia l’ecchimosi e l’edema della regione trattata.

Il paziente 7 ha mostrato una risposta parziale delle aree trattate, il tempo di degenza è stato di due settimane, quindi significativamente superiore all’atteso, per via della necessità di una migliore gestione dell’edema e dell’escara presente nelle aree trattate. Poco dopo la procedura nuove lesioni metastatiche sono insorte nelle regioni adiacenti a quelle trattate, di difficile gestione domiciliare per via della forte tendenza al sanguinamento. Il paziente è poi deceduto a 2 mesi di distanza dal trattamento. La paziente 9, affetta da carcinoma squamoso della cute del naso, ha mostrato un lento processo di guarigione della ferita durato almeno quattro mesi. Nonostante la assenza di evidenza di ripresa di malattia, la necrosi dovuta al trattamento ha determinato una perdita di tessuto con esposizione delle porzioni cartilaginee e ossee, fonti di dolore moderato e disagio sociale per la paziente (Figura 4).

(28)

26

Figura 4 – Caso 9, femmina, 84 anni, carcinoma a cellule squamose della cute del naso. A: Post-elettrochemioterapia (ECT) giorno 7; B: Post-ECT giorno 30; C: Post-ECT giorno 60.

In tutti i pazienti è stato programmato uno stretto follow-up che prevedeva una visita clinica settimanale per il primo mese post trattamento e successivamente visite a cadenza mensile. In tutti i casi selezionati il processo di guarigione è stato evidente ma significativamente lento e mai conclusosi prima delle otto settimane. Per tale motivo si è deciso di posticipare a otto settimane la valutazione della risposta obiettiva al trattamento.

Si è ottenuta una risposta clinica completa nel paziente 2 (la cui ultima valutazione è stata eseguita a 12 settimane dal trattamento); nel paziente 6 (a livello della metastasi parotidea superiore); nel paziente 4, che dopo 12 mesi ha sviluppato una recidiva locale trattata con escissione chirurgica; nella paziente 10 (Figura 5), nella quale, in seguito alla valutazione eseguita alla nona settimana si è assistito a una ripresa locale della malattia, considerata non candidabile a ulteriori trattamenti.

Figura 5 – Caso 10, femmina, 84 anni, carcinoma a cellule squamose della cute della testa. A: Pre-elettrochemioterapia (ECT); B: Post-ECT giorno 1; C: Post-ECT giorno 42.

In 8 pazienti si è registrata una risposta parziale (PR) al trattamento, valutata come ferita la cui guarigione completa non si è verificata a 8-10 settimane o in caso di

(29)

27

evidenza di malattia residua con attestata diminuzione volumetrica compresa tra il 25% e il 75%. La paziente 9, valutata inizialmente come risposta parziale, dopo 5 mesi dal trattamento ha ottenuto una risposta completa. In 3 pazienti si è assistito ad una assenza di risposta al trattamento e in un paziente (caso 16) la risposta è stata considerata non valutabile.

In conclusione il nostro studio ha mostrato evidenza di risposta completa al trattamento nel 25% dei casi e una risposta parziale nel 50% dei casi in esame. Inoltre in 9 dei nostri casi si è assistito alla progressione della malattia. Risulta inoltre significativo evidenziare come, in termini di risultati a lungo termine, solo in due pazienti (caso 4 e 9) è stato possibile ottenere una stabile risposta completa nella area trattata, al contrario tutti gli altri pazienti hanno sviluppato una recidiva locale di malattia in un lasso di tempo variabile. Laddove si è riscontrata una risposta parziale o una assenza di risposta al trattamento, è stata proposta l’esecuzione di un seconda seduta di ECT, con la finalità di ottenere un miglior controllo locale della malattia. Un solo paziente (caso 13) ha accettato di eseguire un secondo trattamento a distanza di due mesi dal precedente e anche nel caso del secondo trattamento non si è ottenuta una risposta completa.

(30)

28

5 DISCUSSIONE

La ripresa locale di malattia nelle neoplasie del distretto cervico-facciale rappresenta tuttora un problema aperto. Allo stato attuale, l’utilizzo di trattamenti radioterapici e farmacologici è risultato scarsamente efficace. L’unica alternativa è rappresentata dall’esecuzione di una operazione chirurgica di salvataggio, possibile però solo in pochi casi selezionati e comunque gravata da una notevole perdita di funzione, in grado di inficiare la qualità della vita dei pazienti. Per queste motivazioni lo studio di opzioni terapeutiche alternative in grado di garantire un controllo locale della malattia e una diminuzione della sintomatologia ad essa associata ha rappresentato, e rappresenta tuttora, un ambito di ricerca di grande interesse.

La ECT rappresenta uno strumento terapeutico per il controllo delle lesioni neoplastiche cutanee, sottocutanee e mucose. I vantaggi mostrati da tale tecnica, rispetto ai limitati trattamenti convenzionali, sono indubbiamente molteplici. Primariamente con il trattamento ECT è possibile ottenere un effetto curativo e di riduzione della massa neoplastica, in associazione a questi è anche in grado di determinare un effetto emostatico importante per la gestione clinica delle lesioni. Inoltre, tale metodica permette di somministrare farmaci chemioterapici a, relativamente, bassi dosaggi e in un unico trattamento; permette di operare in regioni anatomiche dove l’esecuzione di radioterapia e chirurgia determinerebbero inevitabilmente una grave e permanente perdita di funzione e fornisce un’alternativa terapeutica in seguito al fallimento dei convenzionali trattamenti chemioterapici, radioterapici e chirurgici. Un ulteriore vantaggio di questa metodica è il potenziale superamento della problematica della resistenza multifarmaco ed è stata inoltre riportata la capacità di ridurre l’insorgenza di lesioni metastatiche quando utilizzata per il trattamento della lesione primitiva80. Di estrema importanza è, oltretutto, la potenziale ripetibilità del trattamento e il fatto che tale procedura necessita, usualmente, di una degenza ospedaliere di breve tempo, con un rapporto costo-beneficio favorevole.

Per una corretta valutazione circa l’efficacia e la validità del trattamento elettrochemioterapico risulta essenziale analizzare alcuni parametri clinici, di cui il

(31)

29

più significativo è il controllo locale della malattia, stimato in termini di risposta oggettiva al trattamento.

Uno dei primi, più importanti, studi venne condotto da Mir e colleghi nel 1998, analizzando i risultati ottenuti dal trattamento ECT con bleomicina in 55 pazienti affetti da lesioni metastatiche di differente origine e istotipo. I risultati di questo studio multicentrico, mostrarono come, in seguito al trattamento ECT, si siano ottenuti tassi di risposta oggettiva (OR) del 85,3% e tassi di risposta completa (CR) del 56,4%81. Tali evidenze vennero in parte confermate dai successivi studi condotti da Allegretti et al e Bloom et al. Il primo coinvolse 14 pazienti affetti da tumori del distretto cervico facciale e i risultati furono sovrapponibili allo studio di Mir, con tassi di risposta oggettiva dell’86% e di risposta completa del 50%82; il secondo riguardò l’analisi del trattamento ECT in 54 pazienti ottenendo tassi una risposta completa del 24% e una risposta oggettiva nel 56,5% dei casi. Lo studio condotto da Bloom e colleghi ebbe, inoltre, la fondamentale importanza di sancire la superiorità del trattamento ECT con Bleomicina rispetto alla sola infusione del chemioterapico: gli autori, infatti, confrontarono i risultati ottenuti in un primo gruppo di pazienti sottoposti esclusivamente alla somministrazione sistemica di bleomicina con quelli ottenuti in un secondo gruppo di pazienti nei quali, alla infusione del chemioterapico, seguì la somministrazione di impulsi elettropermeabilizzanti. I risultati mostrarono una completa inefficacia del trattamento nel primo gruppo di pazienti (CR=0%, PR=1/16) rispetto ai pazienti sottoposti a ECT (CR=24%, OR=56,5%)83. Alla luce del successo dei precedenti studi, alcuni autori proposero di applicare il trattamento ECT con finalità curativa e non esclusivamente come trattamento palliativo. Tra questi, il gruppo di Burian e colleghi studiò l’ECT in pazienti con neoplasia primitiva della lingua allo stadio T1-T2, ottenendo l’83,3% di risposte complete84. I risultati di tali studi, seppur mostrando un’indubbia efficacia del trattamento ECT, erano inficiati da una assenza di standardizzazione di procedure e nella selezione dei pazienti candidabili al trattamento. A tal proposito la pubblicazione, nel 2006, dello studio ESOPE (European Standard Operating Procedures on Electrochemotherapy) ha permesso la definizione degli standard operativi, dei criteri di selezione dei pazienti da candidare al trattamento ECT e di conseguenza una maggior riproducibilità delle

(32)

30

evidenze ottenute negli studi successivi alla pubblicazione dello stesso44,45,78. Lo studio ESOPE, come analizzato da Marty e colleghi, ha, inoltre, fornito ulteriori prove dell’efficacia del trattamento elettrochemioterapico, evidenziando come l’ECT nel trattamento oncologico locale delle lesioni primitive e metastatiche mucocutanee mostri dei tassi di risposta oggettiva tra il 70% e il 90%44. Le recenti esperienze italiane di Gargiulo et al.48 e Mevio et al.85 sembrano confermare gli ottimi risultati evidenziati nei precedenti studi. Nei loro lavori, condotti su pazienti affetti da neoplasie del distretto testa collo, hanno ottenuto dei tassi di risposta oggettiva rispettivamente del 100% e del 75%. Nonostante ciò, le più recenti metanalisi condotte sugli studi riguardanti il trattamento ECT nei tumori della testa e del collo, come ad esempio il lavoro condotto da Lenzi et al. , mostrano come vi sia una estrema eterogeneità di risultati. Tale lavoro, analizzando 16 diversi studi e 200 pazienti ha evidenziato come i tassi di risposta oggettiva varino dallo 0 al 100% e, analogamente, i tassi di risposta completa varino dallo 0 all’83%. Secondo l’autore, nonostante la standardizzazione delle procedure e la pubblicazione di linee guida riguardanti il trattamento ECT, la estrema variabilità dei pazienti e delle patologie candidabili al trattamento elettrochemioterapico rappresenta il principale determinante della eterogeneità dei risultati ottenuti86.

La nostra esperienza, seppur in questo quadro di risultati molto eterogeneo, si pone in termini di risultati in maniera contrastante rispetto agli studi che mostrano una elevata efficacia del trattamento ECT. In termini di controllo locale della malattia i nostri risultato sono stati relativamente poco soddisfacenti, con tassi di risposta completa del 25% e risposta parziale del 50%. Ciò potrebbe essere sicuramente dovuto ad alcune limitazioni nello studio in oggetto quali il ridotto numero di pazienti analizzati, comunque in linea con i precedenti articoli presenti in letteratura, e la variabilità delle sottosedi coinvolte dalla malattia. È, inoltre, importante evidenziare come la gran parte dei pazienti selezionati avesse già ricevuto un trattamento radioterapico: è riconosciuto, infatti, come la precedente esposizione dei tessuti trattati al tipo di radiazioni utilizzate per la radioterapia, determini la formazione di tessuto fibrotico in grado di inficiare la corretta penetrazione degli aghi degli elettrodi e, di conseguenza, la adeguata esposizione dei tessuti al campo elettrico87.

(33)

31

Altri parametri clinici di cui risulta essenziale la valutazione riguardano il processo di guarigione della ferita e la eventuale perdita di sostanza, l’incidenza di effetti collaterali, il profilo di sicurezza del trattamento e l’impatto sulla qualità della vita dei pazienti.

Diversi studi hanno mostrano come nelle ferite avvenga un processo di guarigione per seconda intenzione in grado di sopperire alla perdita di tessuto e di funzione. Tale caratteristica è ampiamente documentata per quanto riguarda le ferite cutanee ma, relativamente alle lesioni mucose, due diversi studi descrivono come il processo di guarigione di tali ferite si discosti da ciò che avviene nelle ferite cutanee. In tali studi, condotti da Burian et al e Landström et al, viene descritto come la guarigione della lesione mucosa sia caratterizzata inizialmente dall’insorgenza di edema locale che perdura per 3-10 giorni. Nei 2-3 giorni successivi al trattamento diventa evidente un margine bianco a contornare la lesione. In un secondo momento, nel contesto della ferita si assiste alla formazione di tessuto necrotico giallo-grigiastro che perdura per 3-5 settimane. Infine a circa 6-9 settimane, e nel caso in cui il trattamento abbia avuto successo, si ottiene la guarigione della ferita84,88.

Nei pazienti da noi studiati, in almeno 3 casi, abbiamo assistito ad una risposta locale al trattamento caratterizzata dallo sviluppo di tale processo necrotico che però non si è risolto con la guarigione della ferita ma bensì è esitato in un’ampia perdita di tessuto con formazione di fistole secondarie. Non è stato, inoltre, possibile individuare parametri che siano in grado di predire tali esiti che, quindi, dovrebbero essere posti all’attenzione dei pazienti quali possibili complicanze.

Relativamente all’insorgenza di effetti collaterali, analizzando i principali studi presenti in letteratura, si evince come il dolore post-operatorio sia uno dei più comuni. Come descritto da Burian e Landström, se non trattato, si assiste ad un incremento dei livelli di dolore percepito dai pazienti che raggiunge l’apice 3-4 settimane dopo il trattamento. Gradualmente, durante il processo di guarigione della lesione, il dolore tende poi a ridursi e a scomparire del tutto, in funzione del successo del trattamento84,88. È importante sottolineare come, però, in tali studi non è stata effettuata una valutazione sistematica del dolore secondo parametri oggettivi, ad

Riferimenti

Documenti correlati

Due nuove diagnosi su tre riguardano una malattia in uno stadio localmente avanzato e quindi candidabile ad un trattamento locale; negli anni l'ottimizzazione

Tassi età specifici di incidenza..

It appears, that the meaning of the term ‘ancillary’ used to be applied, in older judgements such as Portugal vs Council (C-268/94), to both ‘incidental’ provisions and

Platinum based CRT remain the standard in locally advanced disease also in good prognosis pts. RT+CET is an alternative option in platinum

Larynx preservation is currently the only widely accepted setting for patients with resectable LA SCCHN in which IC has consensus value. In LA-NPC CCRT is the treatment of choice; IC

The magnitude of OS benefit of nivo greater in PD-L1 positive Increasing PD-L1 expression did not result in further OS benefit. Nivolumab effective regardless of

 Importanza della qualità di vita nella scelta del trattamento e come obiettivo della terapia8.  Una finestra aperta sulle

Nei pazienti con tumore testa e collo di età superiore a 70 anni può essere raccomandato l’utilizzo della radioterapia in associazione a cetuximab rispetto alla