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Studio di farmacogenetica di cisplatino e radioterapia nei pazienti affetti da carcinoma della regione testa-collo

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Academic year: 2021

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Tesi di Dottorato di Ricerca in Fisiopatologia Medica e

Farmacologia

Studio di farmacogenetica di cisplatino e radioterapia nei

pazienti affetti da carcinoma della regione testa-collo

Relatori: Prof. Romano Danesi Prof. Carlo Greco

Candidato: Dr. Francesco Pasqualetti

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INDICE

1. Introduzione

pag 1

2. Farmacogenetica

5

3. Radioterapia e terapie integrate nei carcinomi della

regione testa-collo

7

4. Cetuximab e radioterapia nei tumori della regione testa-collo 15

5. Tossicità del trattamento radio e radio-chemioterapico

17

6. Cisplatino

22

7. Polimorfismi del singolo nucleotide (SNPs)

24

8. SNPs dei determinanti del meccanismo d’azione di

cisplatino e radioterapia

27

9. Razionale e obiettivi dello studio

34

10. Disegno dello studio, criteri di valutazione e follow-up

dei pazienti

36

11. Criteri di inclusione ed esclusione

37

12. Considerazioni statistiche

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13. Risultati

39

14. Conclusioni

47

15. Bibliografia

51

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1. Introduzione

Il carcinoma squamocellulare del distretto testa-collo rappresenta circa il 5-6% di tutte le neoplasie maligne dell’uomo e costituisce più del 90% della patologia oncologica a partenza dalle vie aereo-digestive superiori (Parkin et al. 1988; Vokes et al. 1993). Ogni anno nel mondo vengono diagnosticati circa 500.000 nuovi casi (Kim et al. 2004); il 60% di questi al momento della diagnosi si presenta con malattia localmente avanzata senza metastasi a distanza sincrone.

Il 95% delle neoplasie del distretto testa-collo origina dalle cellule di rivestimento superficiali e appartiene all’istotipo squamocellulare, maggiormente colpito è il sesso maschile con un rapporto che varia da 3:1 a 5:1 a seconda delle regioni considerate. La laringe e il cavo orale sono le sottosedi anatomica più colpite, con un incidenza rispettivamente di 15 e 0,5 nuovi casi ogni anno per 100.000 abitanti. Negli ultimi anni vi è stato un aumento di incidenza nel sesso femminile, probabilmente dovuto all’aumentata abitudine al fumo tra le donne.

Nei pazienti affetti da carcinomi della regione testa-collo la radioterapia da sola ha rappresentato per lungo tempo il trattamento standard non chirurgico della malattia localmente avanzata. Oltre ai tradizionali schemi di frazionamento convenzionale

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sono stati sperimentati frazionamenti accelerati e iperfrazionamenti (come nello studio RTOG 90-03) che hanno portato ad un miglioramento del controllo locale della malattia del 10-15% rispetto allo schema classico (Perez et al. Ed. 2004).

Nelle ultime decadi diversi studi clinici hanno dimostrato che la combinazione radio- chemioterapia è superiore alla sola radioterapia nel trattamento non chirurgico del tumore del distretto testa-collo localmente avanzato (El-Sayed et al. 1996; Munro, 1995; Pignone et al. 2000).

Lo studio NCOG ha randomizzato 104 pazienti con carcinoma del distretto testa-collo localmente avanzato in 2 bracci, sola radioterapia vs trattamento concomitante bleomicina-radioterapia. Nel primo braccio ai pazienti veniva somministrata bleomicina 5 mg per 2 volte/settimana, per una dose totale di 70 mg per 7 settimane più radioterapia (70 Gy totali, 1,8 Gy/die), nel gruppo di controllo la sola radioterapia (70 Gy totali, 1,8 Gy/die). Sebbene la tossicità acuta (in termini di mucosite e tossicità cutanea) fosse peggiore nel braccio combinato, l’associazione della bleomicina consentiva un raddoppiamento del controllo locoregionale e un miglioramento della DFS e dell’OS dal 24% al 43% (Eschwege et al. 1988; Fu et al. 1987; Perez et al. Ed 2004).

Una volta dimostrato in numerose esperienze il vantaggio apportato dalla chemioterapia concomitante sono stati studiati diversi farmaci antiblastici, sia in monochemioterapia (5-FU, cisplatino, bleomicina, metotrexate, mitomicinal, taxani) che in combinazione. Lo studio Cleveland Clinic ha randomizzato 100 pazienti con carcinoma del distretto testa-collo localmente avanzato in 2 bracci: nel primo veniva

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somministrata la sola radioterapia 66-72 Gy (1,8-2 Gy/die) nel secondo venivano aggiunti due cicli di chemioterapia concomitante con CDDP (20 mg/mq/die x 4) e 5-FU in infusione continua (1000 mg/mq/die x 4) durante la prima e la quarta settimana di radioterapia (Adelstein et al. 1997). Anche se non sono state evidenziate differenze statisticamente significative nella OS, la DFS a 3 anni risultava migliore nel secondo braccio (67% vs 52%), così come il controllo locale di malattia (57% vs 35%), per quanto l’associazione della chemioterapia determinasse una notevole tossicità acuta, soprattutto in termini di mucosite e perdita di peso. L’EORTC negli ultimi anni ha completato uno studio in cui 334 pazienti, dopo la chirurgia, venivano randomizzati in 2 bracci: sola radioterapia 2 Gy/die per 66 Gy totali e radioterapia 2 Gy/die per 66 Gy totali più chemioterapia concomitante con CDDP 100 mg/mq i giorni 1, 22, 43 dell’irradiazione. Come prevedibile, anche in questo caso, con l’associazione della chemioterapia la DFS a 3 anni aumentava dal 41% al 59%, ed il tasso di sopravvivenza a 3 anni migliorava, portandosi dal 49% al 65%, sebbene il secondo braccio fosse gravato da un più alto tasso di tossicità acuta, ematologica e mucosa.

2. Farmacogenetica

La farmacogenetica è una disciplina nata con la finalità di identificare le differenze

genetiche interindividuali responsabili dell'ampia variabilità esistente nella risposta ai farmaci (Vessel, 2000). Tale variabilità è in gran parte determinata da fattori ereditari che causano alterazioni nel metabolismo dei farmaci o nell'espressione dei loro

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recettori, influenzando la farmacocinetica e la farmacodinamica. Il termine

farmacogenetica risale al 1959, anno in cui Vogel per primo conferì a questo genere

di indagine la dignità di branca autonoma della farmacologia. In realtà, alcuni anni prima, Motulsky (nel 1957), era già riuscito ad individuare svariate condizioni genetiche associate a reazioni tossiche nei confronti di specifici farmaci o sostanze ambientali. Una conferma all'ipotesi che le differenti risposte ai farmaci fossero dovute all'eterogeneità genotipica caratteristica della specie umana fu data dagli studi condotti alla fine degli anni '70 da Vessel e Page (1968) sui gemelli omozigoti. In questi individui con identico patrimonio genetico non c'erano differenze nel metabolismo dei farmaci, mentre nei gemelli eterozigoti, la variabilità era simile a quella presente nella popolazione generale. La variabilità genetica ha dunque un'importanza fondamentale nella pratica clinica, poiché sembra essere alla base di due principali problemi della terapia farmacologica: il mancato verificarsi dell'effetto farmacologico in alcuni pazienti e la comparsa di gravi e inattesi fenomeni di tossicità in altri (Barale, 2001). Grazie alla farmacogenetica è quindi possibile effettuare un percorso a ritroso per risalire dal genotipo alterato al fenotipo clinico.

La disponibilità di informazioni complete sull'assetto genetico della nostra specie in seguito alla realizzazione del progetto Genoma Umano ha dato ulteriore impulso a questa nuova disciplina che si prefigge di indagare le relazioni tra il polimorfismo dei geni e la comparsa di variazioni fenotipiche, che nel loro insieme influenzano la risposta farmacologica. Pertanto, la farmacogenetica potrebbe guidare la personalizzazione dell’intervento terapeutico mediante l’analisi del DNA e del profilo

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genetico del paziente (Evans e Relling, 1999).

L’oncologia è uno dei principali campi di studio della farmacogenetica. I chemioterapici, infatti, sono stati tradizionalmente oggetto di studi di farmacogenetica per molteplici ragioni: in primo luogo tali farmaci hanno un basso indice terapeutico, molti sono profarmaci, attivati da sistemi enzimatici polimorfi; infine anche gli enzimi coinvolti nella detossificazione di queste sostanze sono contraddistinti da un grado, talvolta spiccato, di variabilità funzionale (Iyer e Ratain, 1998). E' noto da tempo che lo stesso protocollo chemioterapico per la cura di uno stesso istotipo di neoplasia giunta ad uno stesso grado di differenziazione possa determinare un ampio spettro di risposte cliniche, dalla remissione completa alla comparsa di gravi fenomeni tossici (Chabot, 1994; Calabrese, 1996). Attualmente, la dose di farmaco da somministrare viene definita empiricamente in base a parametri come l'altezza e la superficie corporea del paziente, benché ci siano stati tentativi di stabilire dei dosaggi più specifici con il monitoraggio plasmatico e successiva individualizzazione dello schema terapeutico (Gourney, 1996). Sottoponendo i pazienti ad una genotipizzazione dei determinanti implicati nel meccanismo di azione dei farmaci, potrebbe essere invece attuabile un adattamento della terapia alle caratteristiche specifiche del paziente.

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3.

Radioterapia e trattamenti integrati nei tumori del distretto

testa-collo

Negli ultimi anni la radioterapia, sia utilizzata con tecnica a fasci esterni, brachiterapica o intraoperatoria, ha trovato un ruolo di primaria importanza nel trattamento dei tumori della regione testa-collo. Il suo crescente impiego clinico è dovuto alla possibilità di poter garantire un controllo locale paragonabile a quello della chirurgia senza tuttavia le invalidanti e deturpanti sequele che spesso seguono un intervento. La radioterapia esclusiva con finalità curative viene utilizzata in alcune neoplasie quali i tumori del rinofaringe (stadio I e II), della laringe (glottica e sovraglottica in stadio I e II), del cavo orale (T1, T2 limitati, N0, N1), e dell’orofaringe (stadio I, II).

Nei tumori giudicati non operabili fin dalla diagnosi, per estensione o infiltrazione di strutture circostanti, per sede o perché aggredibili solo con una chirurgia particolarmente demolitiva, la radioterapia insieme alla chemioterapia (nella modalità concomitante) può ottenere buoni risultati in termini di controllo locale di malattia. Attualmente, è possibile una guarigione a 5 anni nel 30-50% dei pazienti con l’utilizzo di queste due metodiche. Sono ancora oggetto di studio l’ottimizzazione del timing e la ricerca di nuovi farmaci radiosensibilizzanti.

Gli effetti tossici più frequentemente rilevati durante un trattamento radioterapico vengono divisi in acuti e tardivi in base al tempo di insorgenza dall’inizio del trattamento. Gli affetti acuti possono manifestarsi già durante la radioterapia, quelli

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più frequenti per questo tipo di sede sono la mucosite (di grado variabile da I a IV, vedi Appendice IV), l’eritema cutaneo nella sede di entrata del fascio di radiazioni ionizzanti, l’ageusia, la disgeusia, la disfagia, l’odinofagia, la disfonia. Gli effetti tardivi possono manifestarsi anche alcuni mesi dopo la fine delle applicazioni e includono la xerostomia e le conseguenti carie e avulsioni dentarie, alopecia, fibrosi tissutale, teleangectasie e, meno frequentemente, la mielopatia cervicale.

Negli ultimi anni sono stati numerosi gli aspetti innovativi apportati alla radioterapia a fasci esterni: oggi è infatti possibile conformare il fascio di radiazioni ionizzanti sul volume da irradiare dopo che questo sia stato delimitato in modo tridimensionale. Con l’introduzione delle nuove tecniche di imaging la conformazione rende possibile erogare elevate dosi di energia preservando gli organi critici circostanti (quali il midollo spinale, i nervi ottici ed il chiasma ottico, gli occhi e le parotidi).

Il frazionamento della dose totale in radioterapia è considerato standard quando si rilasciano dosi di 1,8- 2 Gy al giorno, per cinque giorni la settimana, fino al raggiungimento totale della dose di 66-72 Gy.

La malattia tumorale del distretto testa-collo non pretrattata è altamente responsiva ai farmaci chemioterapici; sono state registrate risposte complete alla sola chemioterapia dell’ordine del 20-40% e in circa il 30% dei casi si è ottenuta una risposta patologica completa, consentendo un aumento di sopravvivenza nei pazienti responsivi e una predittività al trattamento radioterapico. I motivi della variabilità delle risposte alla chemioterapia non sono ancora note, tuttavia è stato osservato che la probabilità di un buon esito della chemioterapia è associata alla sottosede di

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malattia e al tipo istologico. Probabilmente anche alcuni fattori legati al genotipo e di conseguenza al background genetico dei singoli pazienti giocano un ruolo determinate nell’attività dei farmaci antitumorali.

L'innovazione tecnologica degli ultimi decenni ha portato all'introduzione della Radioterapia ad Intensità Modulata (IMRT) come tecnica radioterapica di riferimento nel trattamento di diverse neoplasie, e in modo particolare nei tumori della regione testa collo. L'utilizzo della IMRT consente di migliorare l'indice terapeutico erogando una dose più alta al bersaglio risparmiando nello stesso tempo gli organi a rischio circostanti. Alcune distribuzioni di dose che si possono ottenere non sarebbero possibili con la radioterapia convenzionale e sono sempre più numerosi i lavori scientifici che riportano risultati soddisfacenti in termini di controllo locale in pazienti affetti da tumori della regione testa collo associati a un risparmio delle ghiandole salivari maggiori e quindi ad una minor incidenza di xerostomia (Schmitt, 2011). Un'innovazione fondamentale per lo sviluppo della IMRT è stata quella che ha seguito lo sviluppo dell'Inverse Planning all'inizio degli anni '90 (Eklof, 1990), un algoritmo usato per convertire una distribuzione di dose in piccoli volumi multipli. Uno dei vantaggi più importanti che si possono osservare con questo sistema di pianificazione riguarda la possibilità di trattare volumi concavi risparmiando i tessuti sani posti all'interno di questi (ad esempio una lesione paraspinale o una tumore della ragione testa collo).

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4. Cetuximab e radioterapia nei tumori del distretto testa collo

Il trattamento dei tumori della regione testa collo è reso complesso da vari fattori, su tutti la complessa anatomia della regione, l’eterogeneità clinica e le comorbidità spesso associate a queste neoplasie.

Le neoplasie maligne di questo distretto (orofaringe, ipofaringe, laringe e cavità orale) nella maggior parte dei casi appartengono all’istotipo squamoso, hanno le stesse caratteristiche biologiche ma hanno una presentazione clinica e una risposta alla terapia che varia anche in funzione della sede di insorgenza.

Nei pazienti con malattia inoperabile il trattamento radiochemioterapico ha innalzato la sopravvivenza a 3 anni dal 15-20% al 35-50% ( Ang KK, 2005; Garden A, 2004). Due terzi dei pazienti trattati con regimi di radiochemioterapia o radioterapia iperfrazionata tuttavia sono a rischio di sviluppare mucosità di grado severo e una percentuale considerevole di questi necessita del posizionamento di una gastrostomia endoscopica per cutanea (PEG).

Nel 2006 Bonner ha pubblicato i risultati di uno studio multicentrico randomizzato in pazienti con neoplasia del distretto testa collo localmente avanzato utilizzando la radioterapia da sola e in associazione con l’anticorpo monoclinale cetuximab. Il controllo locale di malattia è migliore (e in maniera statisticamente significativa) nei pazienti che hanno ricevuto il trattamento combinato, cosi come la PFS e l’ OS, senza che il vantaggio terapeutico sia gravato da un aumento di incidenza di mucositi di grado severo (Bonner, 2006).

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Il successo di questo trial, che per primo ha evidenziato la sinergia tra le radiazioni ionizzanti e un farmaco target specifico in un tumore solido con uno studio randomizzato di fase III, alimenta l’entusiasmo dei ricercatori nella cura del carcinoma squamoso della regione testa collo. Attualmente sono in corso studi clinici randomizzati per confrontare il trattamento standard (CT) con l’associazione RT-cetuximab. L’associazione cetuximab + radiochemioterapia in pazienti affetti da tumori della regione testa collo è stata valutata con una schedula alternata in uno studio di fase II condotto da Merlano in Italia (Merlano, 2011) dopo che Pfister aveva concluso in un lavoro pubblicato nel 2006 che questa associazione aveva fatto registrare tossicità di grado severo inaccettabili (Pfister, 2006). Con questa schedula gli autori hanno registrato una percentuale di RC del 71% (obiettivo primario dello studio) e un profilo di tossicità accettabile.

5. Tossicità dei trattamento radio e radio-chemioterapico

Il trattamento dei tumori della regione testa collo è particolarmente complesso per la varietà delle sotto-sedi di insorgenza della neoplasia, per la complessità anatomica di questa regione e per la presenza di organi critici nelle vicinanze delle lesioni tumorali, per la richiesta di una preservazione d'organo per consentire ai pazienti curabili una migliore qualità di vita, per le condizioni generali dei pazienti che spesso non presentano un KPS elevato. La scelta del miglior trattamento richiede un approccio multidisciplinare, devono essere coinvolti un otorinolaringoiatra, un radioterapista, un oncologo medico e spesso un medico internista e un medico

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nutrizionista per valutare le condizioni generali del pazienti e monitorarle durante il trattamento e nel periodo successivo.

Due nuove diagnosi su tre riguardano una malattia in uno stadio localmente avanzato e quindi candidabile ad un trattamento locale; negli anni l'ottimizzazione della radioterapia in questo setting di pazienti utilizzando schemi di frazionamento non convenzionali, dose escalation o l'associazione di una chemioterapia ha comportato da un lato un miglioramento del controllo locale di malattia e della sopravvivenza, dall'altro un aumento delle tossicità acute e tardive (Pignon JP, 2000; Bourish J 2006; Nuyts S, 2009).

L'introduzione della radioterapia conformazionale con la possibilità di una pianificazione del trattamento in tre dimensioni ha rappresentato il primo grande passo in avanti in termini di miglioramenti dell'indice terapeutico rispetto alla radioterapia 2D, basata su sole immagini radiografiche. Recentemente l'utilizzo della tecnica IMRT ha consentito un nuovo importante miglioramento della distribuzione della dose, consentendo di erogare una dose maggiore al bersaglio tumorale senza esporre gli organi a rischio a dose superiori alle dosi massime tollarte.Oggi infatti è possibile contornare gli organi critici e inserire nel programma di planning i limiti di dose senza compromettere la copertura del volume tumorale visibile o la malattia microscopica.

Le tossicità più importanti legate ad un trattamento radio o radiochemioterapico a livello della regione testa collo sono una diretta conseguenza dell'esposizione alle radiazioni ionizzanti di determinate strutture o organi di questa regione anatomiaca.

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Una dose media superiore a 26 Gy ricevuta dalle ghiandole salivari maggiori a può compromettere una normale salivazione fino a una franca xerostomia, considerata una delle più serie sequele nei pazienti affetti da carcinoma della regione testa collo. Il danno alle ghiandole salivari si manifesta con una modificazione nel volume, nella forma e nella consistenza di queste e in un diverso Ph della saliva prodotta con un aumento dell'acidità. I pazienti riferiscono in maniera ingravescente dolore a livello del cavo orale, difficoltà di linguaggio, di masticazione o di deglutizione, aumenta anche il rischio di carie dentali o di infezioni. Si può arrivare ad avere una ripercussione sull'introito alimentare portando a un repentino calo ponderale (nel giro di settimane – mesi) che può anche compromettere la vita dei pazienti. Considerando che gli collaterali dei trattamenti radioterapici possono avere una stretta correlazione col volume della ghiandola che viene esposto ad una determinata dose la possibilità di ridurre l'esposizione delle ghiandole salivari maggiori alle radiazioni ionizzanti può prevenire l'insorgenza di queste complicanze. Negli ultimi anni un numero crescente di studi clinici prospettici ha dimostrato un vantaggio dosimetrico e clinico con la radioterapia conformazionale e soprattutto con la IMRT, che rispetto alle altre tecniche sembra aggiungere un ulteriore beneficio per questi pazienti (Braam PM, 2006).

Un altra complicanza che si può registrare con un'elevata incidenza nei pazienti affetti da tumori del distretto testa collo trattati con radio o radiochemioterapia è la disfagia. La patogenesi della disfagia è più complessa di quella della xerostomia e forse non ancora del tutto chiara; la deglutizione infatti è un processo fisiologico che

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coinvolge più di 30 paia di muscoli e 6 nervi cranici (Rosenthal DI, 2006). Negli ultimi anni sembrerebbero essere stati individuate alcune potenziali strutture responsabili di questo evento avverso e le dose critiche in grado di provocarlo. Sia la dose media al muscolo costrittore della faringe che al muscolo costrittore della laringe sembrano infatti essere correlate con l'insorgenza di disfagia se superiori a 50-60 Gy (Feng Fy, 2007; Levendag PC, 2007). Come a chiudere un circolo vizioso nella patogenesi della disfagia sicuramente giocano un ruolo importante l'iposcialia e la xerostomia.

Nel 2010 è stata pubblicata l'esperienza dell'Università del Wisconsin su 57 pazienti affetti da tumore della regione testa collo trattati con radiochemioterapia, IMRT più cisplatino 30 mg/mq/settimanale. A fronte di un controllo locale a 2 anni vicino al 90% le principali tossicità osservate sono state nausea e vomito in 9 pazienti, un caso di neutropenia febbrile, uno di esofagite da candida e un sanguinamento. In totale 12 pazienti, il 21% della casistica, hanno richiesto un ricovero per terapia di supporto. 24 pazienti (42%) hanno sviluppato una mucosite di grado 2 e 29 (51%) di grado 3 (tutti i casi di mucosite si sono risolte in 12 settimane dal termine del trattamento). Nelle settimane di radioterapia il calo ponderale medio è stato di 8,2 Kg (mediamente più del 10% del peso corporeo registrato all'inizio della RT) e in 24 casi è stata registrata una perdita maggiore. L'iposcialia è stata riportata come complicanza tardiva G1 nel 48% dei pazienti e G2 nel 46% (Traynor AM, 2010). A risultati analoghi è giunto il gruppo dell'University of Utah. E' in corso di pubblicazione una revisione di 43 casi consecutivi trattati con IMRT e SIB (simultaneous integrated boost) + chemioterapia

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(cisplatino o cetuximab). Dopo un follow-up medio di 36 mesi il controllo locale, la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da malattia a 1,2 e 5 anni sono stati rispettivamente di 82, 82 e 82%; 73, 65 e 61%; 73, 73 e 73%. 13 (30,2%) pazienti hanno sviluppato una mucosite G3, 3 (6,9%) una dermatite G3, 12 (27,9%) una xerostomia G2, 5 11,6% fibrosi tardiva (Montejo ME, 2011).

In molti pazienti in cui si è registrato un insuccesso dei trattamento radio o radiochemioterapici, con una conseguente prognosi infausta, è stato osservato un elevato livello del recettore per il fattore di crescita epidermoide (5). Come riportato da Bonner l'anticorpo anti-EGFR cetuximab aumenta in maniera statisticamente significativa l'attività delle radiazioni ionizzanti quando utilizzato in modalità concomitante migliorando la sopravvivenza globale e il controllo locale rispetto alla sola radioterapia senza provocare un aumento delle tossicità radioindotte (Bonner 2006). Allo stesso modo quando cetuximab viene associato al cisplatino o al 5FU in uno schema chemioterapico per pazienti affetti da malattia metastatica o recidivante migliora le risposte alla chemioterapia senza peggiorarne la tollerabilità (Vermoken JB, 2008). Questi risultati positivi in termini di controllo di malattia e di safety per i pazienti non sono stati osservati quando cetuximab è stato utilizzato insieme alla radio-chemioterapia. Pfister ha evidenziato in uno studio di fase II un aumento dell'incidenza e della gravità delle tossicità importanti normalmente riportate in letteratura (Pfister, 2006).

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Analogamente a quanto avviene per altre sedi anatomiche la radiosensibilità di una popolazione può variare nei diversi individui che la compongono, ad esempio la dose media di 26 Gy al totale del volume della ghiandola parotide può portare a una serie di condizioni cliniche che variano dalla semplice iposcialia a una franca xerostomia. Diversi fattori, ambientali (fumo di sigaretta, introito smodato di alcool, presenza di importanti comorbidità) e genetici, possono contribuire a questa diversità. Alla ricerca di nuove tecnologie che possano dare un continuo miglioramento dell'indice terapeutico si associa da alcuni anni un ricerca radiobiologica che possa spiegare perchè all'interno di una popolazione di pazienti trattati con la stessa tecnica di radioterapia rispettando constraints predeterminati alcuni individui sviluppano dei danni radioindotti (con conseguenze cliniche anche molto importanti, in alcuni casi anche la morte o la compromissione di una normale qualità di vita) mentre altri non hanno alcun danno dal trattamento cui sono stati sottoposti.

6. Cisplatino

Il cis-diaminodicloroplatino (cisplatino) è un complesso contenente platino bivalente, inorganico e idrosolubile. La scoperta di questa sostanza avvenne ad opera di Rosemberg e collaboratori nel 1965 (Joel e Lee, 2003). Da allora questa molecola è stata ampiamente utilizzata nella terapia antitumorale, ed ancora oggi riveste un ruolo di grande importanza tra i vari chemioterapici.

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essere spiazzati direttamente per reazione con sostanze nucleofile, come i gruppi tiolici; la sostituzione del cloro è probabilmente responsabile della formazione di specie attivate del farmaco, che reagiscono poi con gli acidi nucleici e le proteine. I complessi del platino possono reagire con il DNA, formando legami crociati inter- e intracatena. L’azoto in posizione 7 della guanina è molto reattivo e il platino forma legami crociati tra le guanine adiacenti sullo stesso filamento di DNA; si formano rapidamente anche legami crociati adenina-guanina; la formazione dei legami crociati intercatena è un processo invece più lento e meno significativo. I complessi del DNA con il cisplatino inibiscono la replicazione e la trascrizione del DNA e portano a rotture e ad errori di codificazione (Figura 1).

La specificità del cisplatino rispetto alle varie fasi del ciclo cellulare sembra essere diversa a seconda del tipo di cellula, sebbene gli effetti dovuti alla formazione dei legami crociati siano più marcati durante la fase S (Joel e Lee, 2003).

Le cause della resistenza al cisplatino non sono state ancora del tutto chiarite. È evidente però che esiste una notevole differenza di risposta al trattamento nei pazienti oncologici; solo una percentuale minore di pazienti, infatti, presenta una risposta. I geni implicati nei fenomeni di resistenza al cisplatino sembrano essere quelli coinvolti nella riparazione del DNA, come ad esempio i geni della via di riparazione della escissione del singolo nucleotide (Nucleotide Excision Repair, NER).

L’espressione del gene Excision Repair Cross Complementing group 1 (ERCC1), coinvolto nella riparazione del DNA, è stata correlata in alcuni studi con la resistenza al cisplatino (Rosell et al., 2003). Similmente, i polimorfismi del singolo nucleotide

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(SNPs) del gene XPD, Lys751Lys e Asp312Asp, presenti in buona percentuale nella popolazione, sono correlati ad una modulazione della capacità riparativa del DNA. Per questo motivo sono anch’essi probabilmente coinvolti nella resistenza al cisplatino (Rosell et al., 2000).

Figura 1. Meccanismo d’azione del cisplatino (Pt)

7. Polimorfismi del singolo nucleotide (SNPs)

Si parla di polimorfismo genico quando esistono, nella popolazione normale, geni mutati o variati con una frequenza superiore all’1% (Meyer, 1991). Sebbene il genoma degli individui sia identico per il 99,9% dei casi, la differenza dello 0,1% è capace di dar luogo a qualcosa come 3 milioni di polimorfismi, il più comune del quali è associato alla mutazione di un singolo nucleotide. I polimorfismi del singolo nucleotide (SNPs) consistono in variazioni della sequenza del DNA che coinvolgono una sola base nucleotidica (A, T, C o G) e possono essere presenti sia in regioni codificanti che non codificanti del genoma (Figura 2). Si ritiene che tali mutazioni siano stabili nel corso dell’evoluzione: non si osservano variazioni apprezzabili tra

DNA G Pt citotossicità G DNA G Pt citotossicità G

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generazioni diverse, ciò che rende più semplici gli studi di popolazione. Alcuni SNPs non sembrano dare effetti, altri invece influenzano l’espressione e la funzione delle proteine e risultano in fenotipi che predispongono l’individuo a sviluppare determinate patologie e, come si è cominciato ad intuire dagli anni 50, condizionano la risposta al trattamento farmacologico; sono noti, infatti, polimorfismi per geni che codificano per i meccanismi di trasporto, i bersagli molecolari e gli enzimi che metabolizzano i farmaci.

Figura 2. Polimorfismo del singolo nucleotide (SNP)

La necessità di migliorare l’efficacia e la tollerabilità dei trattamenti farmacologici, attraverso un’appropriata selezione dei pazienti da sottoporre a terapia, conferisce all’analisi degli SNPs un notevole valore nell’ambito della ricerca biomedica; l’identificazione delle relazioni tra genotipo del paziente e risposta ai farmaci potrebbe contribuire all’ottimizzazione del processo terapeutico. In particolare, l’influenza delle caratteristiche genetiche nella risposta al trattamento chemioterapico antineoplastico è un argomento di ricerca di grande interesse, in considerazione del fatto che non è ancora possibile spiegare in termini scientifici le ragioni del successo

SNP: -ATA-CGG-ATT-CGG- -ATA-CT

G-ATT-CGG-Codone

SNP: -ATA-CGG-ATT-CGG- -ATA-CT

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della chemioterapia in alcuni tumori (ad esempio i seminomi testicolari) e gli scoraggianti risultati in altri (come i tumori polmonari).

I prodotti genici possono essere direttamente o indirettamente coinvolti nell’attività dei farmaci antineoplastici. Esempi della diretta correlazione tra prodotto genico, che costituisce il bersaglio farmacologico, e l’agente chemioterapico comprendono a) topoisomerasi, camptotecine e antracicline (Holden, 1997); b) ribonucleotide reduttasi e gemcitabina (Goan et al., 1999) c) timidilato sintetasi e 5-fluorouracile (5-FU). Poiché le modificazioni delle normali attività di tali enzimi possono influenzare la chemiosensibilità e la resistenza ai farmaci, l’espressione dell’enzima-bersaglio nel tumore e la sua caratterizzazione genotipica devono essere considerate nella pianificazione di un trattamento farmacologico, al fine di ottenere la maggiore efficacia possibile. Inoltre la citotossicità della gemcitabina può dipendere dall’equilibrio tra la deossicitidina chinasi (dCK), che attiva il farmaco per fosforilazione, e il complesso 5’-nucleotidasi (5’-NT)-citidinadeaminasi (CDA), che inattiva il chemioterapico per defosforilazione e deaminazione (Danesi et al., 2001); risulta quindi di fondamentale importanza l’analisi di eventuali mutazioni presenti nei geni che codificano per proteine coinvolte a vari livelli nel meccanismo d’azione dei farmaci antineoplastici. Altri possibili determinanti coinvolti nell’efficacia e nella tossicità della chemioterapia possono essere proteine responsabili del trasporto intracellulare degli antitumorali, così come sistemi implicati nella riparazione delle lesioni causate dai citotossici convenzionali a livello del DNA. Ad esempio nello studio di Gurubhagavatula e coll. (2004) è stata dimostrata un’evidente associazione

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di determinati polimorfismi a carico dei geni del sistema NER (XPD e XRCC1) con la sopravvivenza di 103 pazienti affetti da tumore polmonare non a piccole cellule in stadio IIIA-IV trattati con cisplatino.

Nonostante le limitazioni dovute alla incompleta conoscenza della funzione biochimica di molti polimorfismi genici e delle loro interazioni, lo sviluppo di questo tipo di analisi potrebbe pertanto in futuro permettere l’individuazione di marcatori prognostici predittivi nell’ambito del trattamento delle patologie oncologiche.

8. SNPs dei determinanti del meccanismo d’azione di cisplatino e

radioterapia

Il cisplatino è un complesso di coordinazione del platino, con due ligandi amminici e due molecole di cloro in una configurazione planare cis che, dopo la conversione non enzimatica nella forma attiva, ad opera di molecole di acqua, si lega ai siti nucleofili del DNA, come l'N7 e l'O6 della guanina, producendo alterazioni della struttura dell'acido nucleico e inibizione della sua sintesi. In particolare, si formano legami crociati fra i residui di guanina adiacenti nella stessa catena del DNA, che costituiscono la causa principale del suo effetto citotossico (Taylor et al., 1992).

Gli addotti del cisplatino possono essere riparati dal sistema di riparazione del DNA denominato NER, che è un sistema efficace per la correzione di un'ampia varietà di lesioni che provocano una distorsione della doppia elica del DNA e che sono causate sia da agenti fisici che chimici. In particolare, il NER è richiesto per la riparazione dei

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frequenti danni determinati dalle radiazioni UV e le mutazioni nei geni umani che codificano per le proteine di tale sistema sono associate ad almeno tre diverse malattie genetiche: lo Xeroderma pigmentoso, la sindrome di Cockaynie e la Tricotiodistrofia, che hanno a comune una estrema sensibilità dei pazienti alla luce solare. Gli individui affetti da Xeroderma pigmentoso sviluppano tumori cutanei con una incidenza oltre 1000 volte superiore rispetto a quella dei soggetti normali, mentre i pazienti con sindrome di Cockaynie e Tricotiodistrofia presentano gravi segni di invecchiamento precoce.

Il sistema NER comprende proteine con attività di riconoscimento del danno, nonché di taglio, sintesi e legame. Sono stati identificati circa 30 polipeptidi che partecipano a questo sistema, fra cui la proteina ERCC1, che ha un ruolo fondamentale nel processo di incisione del filamento, che costituisce la tappa limitante del processo di riparazione. Come illustrato nella figura 3, le lesioni del DNA provocano una distorsione della doppia elica, riconosciuta da due proteine chiamate XPC e HR23B, mentre il danno specifico è individuato dalla proteina XPA e l'azione del complesso proteico TFIIH, in grado di scindere il filamento del DNA, porta all'apertura localizzata della doppia elica del DNA, che è, a sua volta, stabilizzata dall'azione della proteina RPA. Successivamente, due endonucleasi, XPG e il complesso XPF-ERCC1, incidono il filamento danneggiato nel legame fosfodiesterico a una distanza compresa fra 22 e 24 nucleotidi dall'estremità 5' della lesione e, in seguito all'azione del complesso TFIIH, il frammento contenente la lesione è eliminato; attraverso l'attività di enzimi come la DNA polimerasi avviene la sostituzione del frammento di

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DNA eliminato. Poiché l'effetto citotossico del cisplatino è determinato principalmente dalla formazione di addotti con il DNA, la cui rimozione è mediata dal sistema NER, la funzione della proteina ERCC1 gioca un ruolo fondamentale nella risposta a questa terapia. E' stato infatti osservato, in studi in vitro, che l'attività di ERCC1 è essenziale per la riparazione degli addotti del cisplatino e per la conseguente sensibilità nei confronti di questo chemioterapico (Calvert e Walling, 1998; Adjei et al., 2000). Diverse ricerche hanno recentemente dimostrato che la presenza di un'elevata espressione di ERCC1 in tessuti tumorali ovarici e gastrici è associata a una maggiore resistenza nei confronti di una chemioterapia contenente cisplatino (Kaye, 1998; Adjei, 2000). Similmente Shirota et al. (2001), utilizzando l'analisi dell'espressione genica con Real-Time PCR hanno osservato una correlazione fra i livelli di mRNA di ERCC1 e TS nei tessuti e la risposta alla chemioterapia con oxaliplatino e 5-fluorouracile in 50 pazienti affetti da carcinoma del colon. Infine, un'analisi su 56 pazienti in uno stadio avanzato (IIIb o IV) di NSCLC, trattati con gemcitabina 1250 mg/m2 (giorni 1 e 8) e cisplatino 100 mg/m2

(giorno 1 ogni 3 settimane), ha dimostrato che la sopravvivenza media complessiva è significativamente maggiore nei pazienti con una minore espressione di ERCC1 (Thodmann et al., 1999), mentre Rosell et al. (2004) hanno osservato che in pazienti affetti da NSCLC trattati con cisplatino e gemcitabina l'overespressione di ERCC1 e della subunità RRM1 della ribonucleotide reduttasi è correlata con una minore sopravvivenza.

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livello del codone 118 (esone 4): si tratta di una mutazione silente C-T che converte il codone AAC nel codone AAT; sebbene entrambi codifichino per l’aminoacido asparagina, il secondo è utilizzato meno frequentemente (Yu et al., 1997; Ford et al., 2000). Tale polimorfismo è stato studiato in due linee cellulari di carcinoma ovarico umano ugualmente resistenti al cisplatino ma genotipicamente divergenti; nelle cellule MCAS, con il genotipo TT, l’induzione dell’espressione dell’mRNA di ERCC1, conseguente all’esposizione al cisplatino, risultava sensibilmente ridotta rispetto alle cellule A2780/CP70, omozigoti per l’allele C.

Nella linea cellulare MCAS è stata riscontrata una minore capacità di riparazione delle lesioni al DNA causate dal cisplatino, che veniva però compensata da un incremento dell’attività dei meccanismi citosolici di inattivazione del farmaco (Yu et al., 2000). Nuove informazioni riguardo questa mutazione derivano da un recente studio clinico condotto da Isla e collaboratori nel 2004, nel corso del quale è stata rilevata una correlazione tra la sopravvivenza e il tempo di progressione di 62 pazienti affetti da NSCLC in stadio avanzato, trattati con l’associazione di docetaxel e cisplatino, e il genotipo di ERCC1.

Un altro possibile determinante molecolare della risposta alla chemioterapia con cisplatino è rappresentato dalla proteina XPD, originariamente denominata ERCC2, che agisce come un'elicasi nell'ambito del complesso TFIIH. Recenti studi hanno infatti dimostrato la presenza di diversi polimorfismi di XPD che possono avere un ruolo sia nell'eziopatogenesi che nella risposta chemioterapica di diversi tumori (Spitz et al., 2001, Park et al., 2001). Tre comuni polimorfismi del gene XPD, nei

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codoni 156, 312 e 751, possono infatti essere associati a una diversa capacità del sistema di riparazione del DNA, implicato sia nell'insorgenza delle neoplasie in seguito all'esposizione a diverse sostanze cancerogene, che nella risposta al trattamento con cisplatino (Lunn et al., 2000; Dybdahl et al., 1999). In particolare, il polimorfismo A751C, che determina la sostituzione aminoacidica lisina/glutammina nella sequenza proteica, è stato correlato con la risposta clinica al trattamento chemioterapico (5-fluorouracile-oxaliplatino) in pazienti con cancro del colon-retto in stadio avanzato. Nei soggetti omozigoti Gln/Gln è stata rilevata la sopravvivenza più breve e la più alta frequenza di pazienti che presentavano una malattia in progressione (Park et al., 2001). Nel corso del medesimo studio clinico è stato anche valutato lo SNP G312A che comporta un cambiamento nell’aminoacido codificato da acido aspartico ad asparagina: non sono state dimostrate relazioni statisticamente significative tra tale mutazione e la risposta dei pazienti alla chemioterapia; è stata però confermata l’esistenza di un collegamento tra i due polimorfismi di XPD 715 e 312 già evidenziata da ricerche precedenti (Butkiewicz et al., 2001). Un lavoro recente ha invece individuato un’associazione significativa tra la mutazione Asp312Asn e la sopravvivenza in 103 pazienti affetti da NSCLC in stadi avanzati (IIIA-IV) sottoposti a terapia basata su composti del platino (Gurubhagavatula et al., 2004).

Per quanto riguarda il significato funzionale degli SNPs Lys751Gln e Asp312Asn, Spiz e collaboratori (2001), esaminando la modulazione della capacità di riparazione del DNA in 341 pazienti con tumore polmonare e 360 soggetti sani, hanno messo in

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luce la presenza di un sistema NER più efficiente negli individui omozigoti per i genotipi originari (i.e. Lys/Lys, Asp/Asp) in entrambi i gruppi; altri studi hanno però riportato risultati contrastanti (Lunn et al., 2000; Duell et al., 2000).

Ulteriori ricerche sono quindi necessarie per chiarire il significato biologico dei polimorfismi di ERCC1 e XPD e la loro relazione con la risposta clinica ai trattamenti chemioterapici incentrati su complessi di coordinazione del platino.

I recenti sviluppi in campo genetico e biomolecolare stanno progressivamente cambiando la prospettive anche nel campo della radiobiologia applicata, prospettando nuove vie di studio (Begg, 2001). In particolare alcune novità nel campo dei test predittivi di risposta alle radiazioni ionizzanti (RI) nei tumori e nei tessuti sani potrebbero consentire una maggiore individualizzazione dei trattamenti e portare a più elevati tassi di cura con minimizzazione della tossicità radioindotta. L’insieme dei test oggi disponibili, basati su differenti approcci sperimentali, potrebbe fornire nuove informazioni ai radioterapisti utili nella scelta del trattamento più adeguato per ogni singolo paziente.

I dati relativi allo studio di rare malattie genetiche, la grande variabilità inter-individuale in termini di risposta alle radiazioni ionizzanti e le differenti risposte nello stesso individuo in diversi tessuti trattati con radiazioni ionizzanti pongono come centrale l’ipotesi della radiosensibilità clinica quale fenomeno regolato geneticamente in maniera complessa (Andreassen, 2002). Accettando tale ipotesi, gli studi volti ad approfondire le conoscenze e stabilire le relazioni tra il genoma e gli effetti cellulari prodotti dalle radiazioni costituiscono un valido campo di ricerca e

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potrebbero offrirci strumenti utili dal punto di vista predittivo. Le possibilità sono molteplici; i dati preliminari finora disponibili indicano che l’analisi dell’espressione genica è in grado di fornirci molti risultati, tuttora da interpretare e correlare con i dati clinici. Alcuni studi iniziali nell’ambito della radiosensibilità dei tumori indicano che è possibile stabilire correlazioni significative tra profili specifici di espressione e risposte tumorali (Ghadimi, 2005; Kitahara, 2004).

Jun et al nel 2008 hanno divulgato i risultati di una studio retrospettivo condotto su 45 pazienti affetti da carcinoma squamoso della ragione testa collo e trattati con radiochemioterapia a base di cisplatino. E’ stata valutata, e quindi correlata con la sopravvivenza globale e con la sopravvivenza libera da progressione, l’espressione genica di ERCC1. Le variabili clinico patologiche dei pazienti (età, stadio di malattia, PS) non differivano in maniera statisticamente significativa tra i pazienti, nei pazienti con bassa espressione di ERCC1 è stata registrata una risposta completa ai trattamenti migliore ( 83 vs 52%) rispetto a quelli con elevata espressione di ERCC1, cosi come la sopravvivenza globale e libera da progressione (PFS a 3 anni era infatti 83,3% Vs 49%) ( Jun, 2008). Gli autori concludono il lavoro asserendo che i dati ottenuti non sono stati statisticamente significativi ma potrebbero essere utili alla pianificazione in futuro di studi con una casistica più ampia.

I polimorfismi di ERCC1 mediante lo studio degli SNPs in un setting di 101 pazienti analogo a quelli valutato da Jun sono stati analizzati da Carles (il trattamento del tumori in questo setting prevedeva però una radioterapia esclusiva e gli stadi di malattia erano perciò limitati al I e II). Anche in questo caso le valutazioni genetiche

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sono state eseguite sul pezzo tumorale isolato durante la biopsia diagnostica. Per la prima volta degli autori concludono che una serie di SNPs di XPF/ERCC1, XPG/ERCC5 e XPA sono correlati con la risposta ai trattamenti radioterapici. Il ridotto numero di pazienti valutati necessita comunque di conferme da parte di casistiche più ampie prima che sia possibile intraprendere una decisione terapeutica sulla base di una profilo biologico del tumore da trattare (Carles, 2006).

Figura 3. Meccanismo d’azione del sistema di riparazione del DNA NER

DNA danneggiato

XPC HR23B

XPA TFIIH

Riconoscimento della lesione

Apertura della doppia elica

TFIIH

Incisione del filamento danneggiato ERCC1

Eliminazione della sequenza contenente il danno

DNA polimerasi Neosintesi del DNA XPF XPA XPG RPA RPA DNA danneggiato XPC HR23B XPA TFIIH

Riconoscimento della lesione

Apertura della doppia elica

TFIIH

Incisione del filamento danneggiato ERCC1

Eliminazione della sequenza contenente il danno

DNA polimerasi Neosintesi del DNA XPF XPA XPG

RPA

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9 Razionale e obiettivi dello studio

La medicina oncologica attuale si basa su metodi empirici per la scelta della terapia. E’ stato osservato come soltanto una percentuale di pazienti trattati con l’associazione di radiazioni ionizzanti e farmaci chemioterapici risponda al trattamento mentre una parte consistente sia del tutto insensibile a questi e come vi sia una profonda differenza tra i pazienti anche a livello di tollerabilità dei trattamenti. Studi di farmacogenetica nel trattamento dei tumori polmonari con farmaci quali cisplatino, taxotere e gemcitabina hanno valutato l’espressione genica e la presenza di polimorfismi in relazione alla storia clinica dei pazienti (Rosell et al., 2003; Danesi et al., 2003). I dati ottenuti da questi studi offrono incoraggianti informazioni per quanto riguarda la possibilità di predire la suscettibilità alla terapia e l’insorgenza di eventi avversi nei pazienti oncologici. La dimostrazione della correlazione fra le differenze evidenziabili nella pratica clinica in termini di risposta, sopravvivenza e tollerabilità, nonché lo studio di determinanti molecolari potrebbero pertanto essere utilizzati in futuro per stabilire quale trattamento sia più indicato per ciascun paziente.

In questo studio sono state effettuate analisi delle caratteristiche genotipiche di determinanti molecolari coinvolti nell’attività di cisplatino, radioterapia e cetximab quali gli SNPs di ERCC1, XPD e AKT.

I differenti genotipi sono stati correlati con la storia clinica dei pazienti in termini di risposta al trattamento, tossicità e tempo libero da progressione.

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Obiettivo primario: analizzare i marcatori molecolari di resistenza e di sensibilità a

cisplatino, cetuximab e radiazioni ionizzanti e correlarli con l’attività di questi in rapporto alla storia clinica dei pazienti.

Obiettivi secondari: correlazione dei determinanti molecolari studiati anche con la

sopravvivenza globale, il controllo locale di malattia e la tossicità legate al trattamento.

10. Disegno dello studio, criteri di valutazione e follow-up dei pazienti.

Questo studio, non randomizzato, a singolo braccio di trattamento, aperto, ha previsto l’arruolamento di pazienti con la diagnosi di tumore del distretto testa-collo che siano rientrati nei criteri di inclusione. Le analisi genotipiche sono state effettuate su un unico campione di sangue periferico (circa 5 ml) prelevato al paziente prima, durante o dopo i trattamenti radio-chemioterapico o radioterapico (il sangue necessario alla valutazione genetica è stato prelevato durante un prelievo ematico utile a fini clinici, non ci sono stati prelievi aggiuntivi per i pazienti di questo studio). Mediante tale prelievo sono stati analizzati SNPs di geni coinvolti nell’attività metabolica del cisplatino e nei meccanismi di riparazione del danno cellulare radioindotto.

Il protocollo di studio ha previsto che il paziente abbia eseguito una valutazione clinico-radiologica prima dell’inizio del trattamento radio o radiochemioterapico e

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6-8 settimane dopo il termine di questo. A seguire le visite di follow-up sono state programmate secondo le linee guida dell’Associazione Italiana di Radioterapia (AIRO), ogni 3 mesi per i primi due anni e quindi ogni sei mesi.

I risultati relativi al genotipo sono stati confrontati con la risposta obiettiva al trattamento valutata secondo i criteri RECIST e la tossicità riportata secondo i criteri RTOG .

Solamente i pazienti con malattia misurabile secondo criteri RECIST al momento dello studio sono stati selezionati con l’obiettivo di valutare la risposta al trattamento. Sono stati erogati 66-72 Gy con un frazionamento convenzionale sulla sede tumorale e 50-60 Gy sulle stazioni linfonodali. Per alcuni pazienti il trattamento è stato pianificato ed eseguito con tecnica IMRT e previsto un SIB (simultaneous integrated boost). Il trattamento chemioterapico concomitante, quando indicato, ha previsto la somministrazione di cisplatino 100 mg/mq e.v. i giorni 1, 22, 43 dall’inizio della radioterapia o Cetuximab 400 mg/mq la prima sommnistrazione e a seguire 250 mg/mq settimanale per 8 settimane. Nei pazienti con ridotta funzionalità renale o con altre controindicazioni ad un dosaggio elevato di chemioterapico lo schema di trattamento è stato il seguente: cisplatino 40 mg/mq e.v. con cadenza settimanale durante tutto il periodo della radioterapia.

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11. Criteri di inclusione ed esclusione

I criteri di inclusione:

• Diagnosi istologica di carcinoma squamoso della rinofaringe (stadio I e II); della laringe (glottica e sovraglottica) in stadio I e II; del cavo orale (T1-2-3, N0-1), dell’orofaringe (stadio I, II).

• Età > 18 anni

• Malattia misurabile secondo i criteri RECIST

• ECOG performance status 0-2 (Appendice II)

• Adeguata funzionalità midollare (leucociti ≥ 4000/uL, neutrofili ≥ 2000/uL, piastrine ≥ 100000/uL, emoglobina ≥ 10g/dL), epatica (bilirubinemia ≤ 1.2 mg/dL, transaminasi ≤ 2.5 volte il limite superiore della norma) e renale (creatininemia ≤ 1.5 mg/dL)

I criteri di esclusione:

• Presenza di metastasi sincrone

• Malattia già trattata con radioterapia e/o chemioterapia

• Impossibilità logistica ad aderire al protocollo • Stato di gravidanza

• Ipersensibilitá nota ai farmaci in studio

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del ricercatore) o qualsiasi controindicazione medica al trattamento.

12. Considerazioni statistiche

L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare la correlazione tra la presenza di polimorfismi del singolo nucleotide di alcuni determinanti molecolari con la risposta al trattamento individuale e le tossicità legate ai trattamenti.

Per ogni determinante in studio è stata stabilita la condizione di eterozigosi od omozigosi per i polimorfismi in studio, e tali risultati sono quindi stati messi in relazione ai seguenti parametri: risposta al trattamento, tossicità, sopravvivenza globale e tempo libero da progressione.

Per lo studio delle variabili qualitative sarà utilizzato il test χ² di Pearson, mentre per le variabili parametriche sarà effettuata l’analisi di varianza.

13. Risultati

In questo studio abbiamo valutato un totale di 46 pazienti (37 maschi e 9 femmine) affetti da carcinoma squamoso della regione testa collo trattati con radioterapia esclusiva o in combinazione con cisplatino o cetuximab dal 2005 al 2011 che rispondevano ai criteri di inclusione. Di sotto le caratteristiche cliniche della nostra casistica:

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- Cavo orale 5 pazienti (10,8%) - Ipofaringe 5 pazienti (10,8%) - Laringe 7 pazienti (15,2%) - Orofaringe 18 pazienti (39,1%) - Rinofaringe 10 pazienti (21,7%)

Età media alla diagnosi: 58 aa (range 42-88 aa) Performance status: 0 in 23 1 in 16 2 in 2 non valutato in 4 Stadio di malattia: Early stage: 3 (6,5%) stadio I 6 (10,3%) stadio II Advanced stage: 14 (30,4%) stadio III 19 (41,3%) stadio IV Trattamento effettuato:

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Radiochemioterapia concomitante: 28 pazienti (61%) Radioterapia + Cetuximab: 6 pazienti (13%)

Chemioterapia di induzione(TPF): 15 pazienti

Il follow-up medio dei 46 pazienti valutati è stato di 14,6 mesi (range 2,8-73 mesi), la sopravvivenza media è stata di 28,4 mesi (range 4,1 – 72 mesi). Il tempo medio alla progressione locale è stato di 25 mesi e la mediana di 13 mesi (range 2,8 – 73 mesi).

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(fibroscopia e visita ORL) eseguite circa due mesi dal termine del trattamento ha una correlazione statisticamente significativa con la sopravvivenza globale (p:0.005).

Gli effetti collaterali registrati secondo i criteri RTOG sono stati raggruppati nella tabella seguente: G1 G2 G3 G4 Disfagia 3 5 10 3 Odinofagia 1 3 1 0 Mucosite 4 10 8 2 Xerostomia 0 5 9 1 Leucopenia 0 4 3 1 Neutropenia 1 0 0 0 Piastrinopenia 0 2 0 0 Disgeusia 0 4 1 1 Eritema Cutaneo 1 5 4 2

L'analisi dei polimorfismi dei 46 pazienti valutati è stata eseguita con Real Time

PCR (sonde TaqMan e strumento ABI PRISM Sequence Detection System). I

pazienti sono stati suddivisi in tre gruppi (mutati eterozigoti, mutati omozigoti e wild type) per ognuno dei polimorfismi studiati: ERCC1, XPD312A, AKT3, AKT1.

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catERCC1

Frequenza % % valida % cumulata

Validi mutato 9 19,6 19,6 19,6

wild type 16 34,8 34,8 54,3

eterozigote 21 45,7 45,7 100,0 Totale 46 100,0 100,0

catAKT1

Frequenza % % valida %cumulata

Validi mutato 17 37,0 37,0 37,0

wild type 6 13,0 13,0 50,0

eterozigote 23 50,0 50,0 100,0

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catAKT3

Frequenza % % valida % cumulata

Validi mutato 26 56,5 57,8 57,8

wild type 1 2,2 2,2 60,0

eterozigote 18 39,1 40,0 100,0

Totale 45 97,8 100,0

Mancanti Mancante di sistema 1 2,2

Totale 46 100,0

CatXPDLASP/ASL YS312G

Frequenza % % valida % cumulata

Validi mutato 8 17,4 17,4 17,4

wild type 19 41,3 41,3 58,7

eterozigote 19 41,3 41,3 100,0

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catXPD312A

Frequenza % % valida % cumulata

Validi Mutato 12 26,1 26,7 26,7

wild type 11 23,9 24,4 51,1

Eterozigote 22 47,8 48,9 100,0

Totale 45 97,8 100,0

Mancanti Mancante di sistema 1 2,2

Totale 46 100,0

Lo studio dei polimorfismi di ERCC1, XPD312A, AKT3 e XPDASP/ASL non ha mostrato una correlazione statisticamente significativa con la risposta ai trattamenti radio o radiochemioterapici, con la sopravvivenza libera da malattia o con la sopravvivenza globale. Anche le tossicità riportate non hanno mostrato un incidenza diversa nei tre gruppi.

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Lo studio dei polimorfismi di AKT1 ha evidenziato una differenza statisticamente significativa nella sopravvivenza globale dei pazienti con differente genotipo. Anche per questi polimorfismi non sono state evidenziate differenze statisticamente significative nei pazienti con tossicità o la risposta ai trattamenti. A 3 anni dall’inizio del trattamento radioterapico l’85% dei pazienti con AKT1 mutato in condizione di omozigosi era sopravvivete mentre dei pazienti con eterozigosi solo il 40 % e nessuno con un genotipo wild type.

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Medie e mediane per tempo di sopravvivenza

catAKT1 Mediaa Mediana

Stima Errore std. Intervallo di confidenza 95% Stima Errore std. Limite inferiore Limite superiore

mutato 61,553 5,467 50,837 72,269. .

wild type 11,917 1,235 9,495 14,338 10,907 1,577 eterozigote 36,332 6,570 23,455 49,208 28,055 2,810 Globale 46,559 4,986 36,785 56,332 61,958.

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Medie e mediane per tempo di sopravvivenza

catAKT1 Mediana

Intervallo di confidenza 95%

Limite inferiore Limite superiore

mutato . . wild type 7,816 13,997 eterozigote 22,548 33,562 Globale . . Confronti globali Chi-quadrato df Sig

Log Rank (Mantel-Cox) 7,960 2 ,019

14. Conculsioni

La medicina oncologica non contempla valutazioni genetiche nella scelta delle terapie antitumorali, sia nelle dosi dei farmaci antiblastici che delle radiazioni ionizzanti. Le evidenze emerse negli ultimi anni che diversi profili genetici si associano a una diversa risposta alle radiazioni ionizzanti, sia in termini di controllo della malattia tumorale che di tossicità agli organi sani, non sono ancora state recepite dai Clinici. L’esiguità del numero dei pazienti valutati negli studi pubblicati, le diverse tecniche radioterapiche utilizzate, la disomogeneità delle casistiche e la sensibilità delle risposte ottenute rendono la farmaco e la radiogenetica ancora poco dirimenti per quanto riguarda la possibilità di poterle contemplare per una decisione terapeutica.

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Carles nel 2006 ha valutato i polimorfismi di 101 pazienti affetti da tumore della regione testa collo in uno stadio di malattia I o II (early stage) sottoposti a un trattamento radioterapico. E’ stato valutato il codone 259 di ERCC1 e il codone 46 di ERCC5 come fattori predittivi la risposta al trattamento antitumorale (radioterapia esclusiva). Con una p=0,00005 e una p=0,49 i polimorfismi di queste basi sono stati correlati con la sopravvivenza libera da malattia e con una p altrettanto significativa (0,0089 e 0,0066) alla sopravvivenza. Pur analizzando una casistica importante gli Autori di questo lavoro non sono riusciti a trovare altre correlazioni statisticamente significative per quanto riguardava gli SNPs analizzati e hanno concluso la loro pubblicazione invocando nuovi studi con casistiche più ampie.

Il nostro lavoro si basa sull’analisi del genotipo di 46 pazienti affetti da carcinoma squamoso della regione testa collo trattati con radio o radiochemioterapia divisi in due gruppi sulla base dello stadio di malattia (I e II early stage, III e IV advaced stage). I dati ottenuti confrontando le risposte cliniche, la sopravvivenza e il controllo locale di malattia con i profili genetici determinati dall’analisi degli SNPs non hanno raggiunto una validità statisticamente significativa per quanto riguarda il tempo alla progressione, risposta ai trattamenti e tossicità riportate. Una nuova analisi della casistica quando sarà disponibile un follow-up più lungo dei pazienti trattati ancora sopravviventi e l’inserimento di nuovi casi ci consentirà di poter arrivare a nuove conclusioni. Considerando l’utilizzo di nuove tecniche di radioterapia in grado di poter migliorare l’indice terapeutico nei pazienti affetti da tumore della regione testa collo e quindi di poter migliorare la sopravvivenza e rappresentare un’alternativa

(45)

sempre più importante alla chirurgia e l’introduzione di nuovi regimi di chemioterapia di induzione, una valutazione genetica che ci possa consentire di poter individuare quei pazienti che potrebbero trarre un beneficio maggiore dai trattamenti da quelli che forse non ne avranno affatto e da quelli che potrebbero sviluppare tossicità importanti, ci potrebbe consentire, se non di modificare la scelta terapeutica e le dosi di radioterapia e chemioterapia, di poter iniziare precocemente le terapie di supporto nei casi con più rischio di effetti avversi e magari di poter effettuare i trattamenti in un regime di ricovero.

Collocato nel contesto di una storia clinica dei pazienti affetti da tumori della regione testa collo il dato statisticamente significativo ottenuto con i polimorfismi di Akt1 sulla sopravvivenza potrebbe in un futuro, se confermato da casistiche numericamente superiori, poter aiutare a decidere per il paziente se un trattamento radioterapico possa essere quanto di meglio possiamo offrire o in alternativa, anche se molto più invasiva, proporre un trattamento chirurgico. Lo studio del ruolo di Akt come elemento di radio o chemioresistenza in diversi tumori solidi potrebbe spiegare la diversità delle 3 curve di sopravvivenza dei pazienti con diverso genotipo.

Nei pazienti con tumori localmente avanzati altre informazioni potranno essere utili per poter prescrivere una chemioterapia di induzione alla radioterapia. Lo schema Taxotere, Cisplatino e Fluorouracile infatti in alcuni pazienti non porta a una risposta di malattia e in altri ha delle tossicità inaccetabili. Anche in questo setting potrebbe essere utile poter discriminare prima i responders dai non responders per poter evitare

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una chemioterapia molto impegnativa dal punto di vista della tossicità a pazienti che probabilmente non risponderanno.

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Figura

Figura 1. Meccanismo d’azione del cisplatino (Pt)
Figura 3. Meccanismo d’azione del sistema di riparazione del DNA NER

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