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Responsabilità Sociale d’Impresa: performance e costo del debito. Un'indagine empirica basata sul giudizio di rating attribuito da Standard Ethics.

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Corso di Laurea magistrale

in Amministrazione, Finanza e Controllo

Tesi di Laurea

Responsabilità Sociale d'Impresa:

performance e costo del debito.

Un'indagine empirica basata sul giudizio

di rating attribuito da Standard Ethics.

Relatore

Prof.ssa Gloria Gardenal

Laureanda

Elisa Zannin

Matricola 816373

Anno Accademico

2012 / 2013

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Ai miei genitori. A Francesca.

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Introduzione

CAPITOLO 1

RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA

1.1 Storia ed ideologia della Responsabilità Sociale d’Impresa 1.1.1 Contesto evolutivo

1.1.2 Rilevanza degli Stakeholder

1.1.3 Copresenza di finalità economiche e finalità etiche 1.2 Il concetto di Corporate Social Responsibility

1.2.1 Definizioni istituzionali 1.2.2 Definizioni in letteratura 1.2.3 Contributi empirici

CAPITOLO 2

PERFORMANCE SOCIALE D’IMPRESA

2.1 Corporate Social Responsibility e Performance finanziaria 2.1.1 Costi e benefici

2.1.2 La difficoltà di misurazione dei benefici 2.1.3 Creare valore per l’impresa

2.2 Responsabilità Sociale d’Impresa e rischio 2.2.1 La relazione col costo del debito

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2.3 Misurare la Responsabilità Sociale d’Impresa 2.3.1 Il rating etico

2.3.2 Modalità di attribuzione del rating etico 2.3.3 Attendibilità e confrontabilità dei rating etici

2.3.4 Un esempio: il rating attribuito dall’Agenzia Standard Ethics

CAPITOLO 3

PERFORMANCE SOCIALE, PERFORMANCE ECONOMICA E COSTO DEL DEBITO

3.1 L’analisi effettuata

3.2 La definizione del campione

3.3 Il metodo 3.3.1 Le variabili dipendenti 3.3.2 Le variabili indipendenti 3.3.3 Le variabili di controllo 3.4 Il modello empirico 3.5 I risultati empirici Conclusioni Bibliografia Sitografia

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Introduzione

Il termine Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI o nella sua versione inglese Corporate Social Responsibility – CSR) viene generalmente utilizzato per indicare l’impegno che le imprese assumono nella realizzazione della propria strategia aziendale, a perseguire fini etici oltre che economici.

È un argomento sul quale si è molto discusso negli ultimi anni a seguito, in particolare, della crescita d’importanza che le attività delle imprese hanno avuto non solo nei confronti di quegli interlocutori che dipendono strettamente dalla sua attività come lavoratori e consumatori, ma anche, più in generale, verso la società nel suo complesso. Il rapporto fra impresa e comunità col passare del tempo è diventato più critico, e la percezione dell’attualità del cambiamento ha mosso sempre più intellettuali, istituzioni, società pubblica ed imprese stesse, ad occuparsi della sua tutela.

A svolgere un ruolo di primaria importanza nell’aumento di attenzione rivolta al tema che si verifica intorno agli anni ‘80: la globalizzazione. Se prima di allora ci si era già resi conto che le imprese non potevano occuparsi solamente della massimizzazione dei loro profitti, con la crescita del valore attribuito a concetti quali quello di benessere o tempo libero, dal momento che con la propria attività esse coinvolgevano sempre di più lo stile di vita delle persone e delle loro famiglie; è con la globalizzazione che diventa evidente a tutti il fatto che se le imprese non si assumono anche responsabilità di tipo sociale ed ambientale, oltre che economiche, si deteriorerebbe talmente il rapporto che esse hanno con la comunità tutta, da determinare la fine per sé stesse.

La diversa percezione del tempo e dello spazio che la globalizzazione ha concesso, hanno consentito il progresso e hanno fatto emergere le problematiche, che fanno diventare la Responsabilità Sociale d’Impresa, un argomento quanto mai attuale e di cui è necessario parlare e confrontarsi. L’intensificarsi degli scambi economici e delle relazioni transfrontaliere e la conseguente integrazione fra popoli diversi, hanno determinato l’emergere di nuove culture e valori, il cambiamento di quelli esistenti, e l’inevitabile mutamento delle aspettative sociali di ciascuno.

In relazione a questi cambiamenti le imprese hanno acquisito nuovo potere e forza politica nei confronti di un sempre più numeroso numero di interlocutori; sono organizzazioni sempre più influenti ed in relazione a questo deve essere maggiore anche la responsabilità che esse hanno nei confronti della comunità.

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Le imprese per creare valore, e soprattutto valore economico, dipendono dalla legittimazione e dal consenso di un sempre maggior numero di soggetti. I consumatori acquistano tendenzialmente anche, e sempre di più, in base ai propri valori morali, etici e talvolta religiosi o politici; proliferano i fondi di investimento responsabile; le associazioni ambientaliste si preoccupano della tutela ecologica dall’inquinamento, dallo sfruttamento delle risorse; i lavoratori richiedono tutele maggiori per potersi garantire un buon stile di vita. Se le imprese non tenessero conto di queste molteplici esigenze, probabilmente si vedrebbero rapidamente ridurre i profitti fino a non riuscire a sostenere economicamente l’attività produttiva: si vedrebbero ridurre i ricavi di vendita; concedere credito più difficilmente; sommergere da costi insostenibili relativi alla “cattiva pubblicità” e alla necessità di ricompensare i danni ambientali provocati; ridurre l’efficienza produttiva dei lavoratori e potenzialmente aumentare l’assenteismo ed il turnover.

La legge vigente nei diversi Paesi si preoccupa di dettare i limiti minimi perché le imprese debbano obbligatoriamente assumersi delle responsabilità sociali ed ambientali nei confronti della società, ma non basta. La Responsabilità Sociale d’Impresa non è questo, o meglio non è solo questo. Il rispetto delle norme è un’ovvia conseguenza dell’agire responsabile, ma quando si parla di Corporate Social Responsibility, oggi, si fa riferimento alle politiche ed alle attività che le imprese mettono in atto volontariamente, al di là di quanto imposto dalla legge, per creare quanto più possibile benessere e sviluppo, attuale e futuro, alla comunità.

Dottrina ed Istituzioni si sono da molto tempo occupati di Responsabilità Sociale d’Impresa: si sono preoccupati di darne una definizione; si sono occupati di identificare e di misurare la performance sociale che un’impresa ottiene assumendo comportamenti di RSI; hanno cercato gli strumenti opportuni a poter gestire in modo costante e continuo la CSR all’interno dell’attività d’impresa e quali possono essere gli strumenti ed i canali migliori per poterne dare adeguata pubblicità; si sono dedicati alla ricerca di correlazioni fra performance sociali ed economiche.

Se ne stanno occupando ora, promuovendone e favorendone lo sviluppo. Il presente lavoro, incentrato su questa tematica, è strutturato come segue.

In una prima parte viene esposto il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa e la sua sempre maggiore rilevanza nel contesto competitivo attuale: l’evoluzione, le definizioni istituzionali e in dottrina, la nascita dei contributi empirici.

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In una seconda parte viene analizzato il rapporto intercorrente tra performance sociale d’impresa e performance economico-finanziaria. Lo scopo è quello di esporre l’importanza che riveste il fatto che vi sia conciliazione tra i due tipi di performance, perché l’impresa crei valore, in un equilibrio tendente alla massimizzazione degli interessi in gioco dei diversi stakeholder. Non sempre le imprese socialmente responsabili sono anche le imprese che ottengono performance finanziarie migliori. I rischi, così come i benefici ottenibili dall’essere eticamente responsabili, sono numerosi; ed è necessario monitorarli costantemente. Tra le diverse metodologie di misurazione della CSP, viene rivolta l’attenzione al rating etico, e nel particolare al

rating attribuito dall’Agenzia Standard Ethics1. Se le imprese giudicate socialmente responsabili, e quindi in possesso di un giudizio di rating positivo, ottengono anche una

performance finanziaria migliore delle aziende meno attente alla problematica della RSI

(i benefici superano i costi), allora gli stakeholder - e nello specifico le banche che erogano il credito – dovrebbero poi riconoscere questo valore e la durabilità di queste aziende.

La performance economica delle imprese maggiormente socialmente responsabili è migliore? Il costo del debito è correlato al giudizio di rating etico (utilizzato come misura della RSI) attribuito all’impresa?

Lo scopo dell’ultimo capitolo è quello di verificare con un’indagine empirica se vi è correlazione tra il rating etico, attribuito dall’Agenzia Standard Ethics ad un campione di società (27 società non finanziarie componenti l’indice italiano FTSE-MIB) e la loro

performance economica; e se si ha una conseguente relazione fra rating etico attribuito

alle società ed il costo del debito per le stesse. Se esiste o meno un “premio etico” riconosciuto alle imprese più virtuose, esso si tradurrà, in ipotesi semplificata, in un minor costo del debito.

                                                                                                               

1 Standard Ethics è un’agenzia di rating etico indipendente. Nasce nel 2001 (precedentemente c’era

Standard Ethics Aei) con l’obiettivo di promuovere la concezione di sostenibilità e corporate governance stabiliti da ONU, OCSE e UE, attraverso l’attribuzione di giudizi standard che facciano proprio riferimento ai principi, indicazioni e valori enunciati dalle Organizzazioni Internazionali enunciate.

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CAPITOLO 1

RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA

1.1 Storia ed ideologia della Responsabilità Sociale d’Impresa

Un argomento del quale negli ultimi anni si è discusso molto è quello relativo alla Responsabilità Sociale d’Impresa, manifestazione della volontà delle aziende di gestire nel miglior modo possibile, al loro interno e nella zona di attività, problemi di carattere sociale ed etico.

Se a dire di Gallino: “si definisce irresponsabile un’impresa che al di là degli elementari obblighi di legge suppone di non dover rispondere ad alcuna autorità pubblica e privata, né all’opinione pubblica, in merito alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle sue attività2”, allora potremmo definire come socialmente responsabile l’impresa che, al di là degli obblighi stabiliti per legge, decide autonomamente di operare in modo etico andando oltre, in modo positivo, a quanto imposto.

In passato, gli obiettivi di solidarietà sono stati messi da parte perché ritenuti inconciliabili con il fine primo di ogni impresa, ossia creare profitto; ora, essi rivestono un’importanza cruciale nel complesso di valori che ispirano la sua attività.

Le motivazioni di fondo e la natura dell’attenzione che viene rivolta oggi alla Corporate Social Responsibility, vedremo potrebbero riguardare la migliore o diversa percezione circa la complessità del rapporto tra l’impresa ed i suoi interlocutori interni ed esterni, o potrebbero semplicemente riguardare la maggior consapevolezza del deterioramento che questo rapporto potrebbe subire se quest’attenzione non le venisse rivolta; deterioramento determinato da fattori oggettivi quali l’inquinamento o la disuguaglianza sociale, e da fattori soggettivi quali il mancato impegno personale a sviluppare comportamenti equi e solidali3.

                                                                                                               

2 L. Gallino, “L’impresa irresponsabile”, 2005.

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1.1.1 Contesto evolutivo

L’evoluzione della Responsabilità Sociale delle imprese, e quindi della capacità e della legittimazione delle stesse ad assumersi responsabilità nell’ambito di problematiche di tipo ambientale piuttosto che umano etc., è sorprendente. E’ sorprendente innanzitutto l’evoluzione che ha coinvolto il sistema economico, e nello specifico l’impresa, dall’inizio del secolo scorso ad oggi4.

Prima degli anni ’20 l’azienda che dominava i mercati era un’impresa domestica-patrimoniale, il cui obiettivo esclusivo era quello di creare, attraverso i processi produttivi, il guadagno necessario a mantenere o accrescere il patrimonio del proprietario. Il concetto di Corporate Social Responsibility non si era ancora sviluppato in ambito imprenditoriale e la dottrina non ne discuteva.

È a partire dagli anni ’20 che negli Stati Uniti, a seguito della crescita dimensionale delle corporations, si inizia a riconoscere l’importanza che un manager svolga il proprio operato nell’interesse di una molteplicità di interlocutori sociali e non solo nell’interesse degli azionisti.

Il lasso di tempo che va dagli anni ’30 agli anni ’60, è un periodo ricco di eventi rilevanti, economico-finanziari e non. In questo periodo si assiste allo sconvolgimento dell’economia mondiale e alle ripercussioni devastanti, per tutto il decennio seguente, della Grande Depressione del ’29. Disoccupazione e povertà diffusa avevano indotto gli Stati, ad adottare politiche protezionistiche stringenti a favore della chiusura delle economie nazionali, e ad intervenire in modo diretto nella vita economica dei propri Paesi. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, aveva acutizzato la crisi, aggiungendo disorganizzazione e caos ad una situazione già precaria; in quegli anni non si sentiva più parlare5 di Responsabilità Sociale d’Impresa.

È con la forte ripresa degli anni ’50 (boom economico) che si riaccende il dibattito sul tema, sia in ambito accademico che manageriale. L’economia, dopo un’iniziale graduale ripresa, cresceva in modo sbalorditivo, il reddito nazionale aumentava un po’ ovunque, diminuiva la disoccupazione e salivano i consumi, iniziano ad acquisire valore: benessere e tempo libero. In Italia si assiste al “miracolo economico”. In questo periodo è protagonista l’impresa capitalistica, orientata all’ottimizzazione della remunerazione                                                                                                                

4 A. Matacena, “Responsabilità sociale delle imprese e accountability: alcune glosse”, 2008. 5 In dottrina se ne continuava ad occupare una ristretta minoranza.  

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del capitale di rischio e del capitale investito, con l’unico obiettivo di massimizzare il profitto. Lo Stato interveniva in misura rilevante nell’economia, provvedendo al buon funzionamento del mercato e alla diffusione del benessere collettivo. In questo contesto, il governo nazionale imponeva, con le norme che emanava (la RSI figura quindi come vincolo imposto dal loro contenuto), le linee guida che dovevano indirizzare il comportamento delle imprese. Queste ultime, se come dovuto agivano rispettando le leggi vigenti, conseguentemente avrebbero assunto i comportamenti socialmente responsabili che la normativa implicava. L’incompletezza e l’imperfezione normativa, e le lacune esistenti negli ordinamenti statali, richiedeva però che il comportamento delle imprese fosse comunque orientato al bene comune e all’assunzione spontanea di comportamenti socialmente responsabili, almeno per quanto necessario a colmare gli “spazi vuoti” lasciati dall’imposizione statale. Si è passati da una responsabilità sociale associata alla figura manageriale, ad una responsabilità estesa a tutta l’impresa. Finita la Guerra, l’economia protezionistica aveva ceduto progressivamente il passo alla liberalizzazione e alla crescente apertura dei mercati nazionali6; questo ha comportato un aumento delle relazioni fra Stati, con conseguente intensificarsi degli scambi e degli investimenti transfrontalieri7.

“Il mondo” stava cambiando: progrediscono le tecnologie, si modificano i bisogni e gli stili di vita, si riconosce importanza crescente ai diritti della persona in generale e ai diritti del lavoratore in particolare8, evolvono le culture, le aspettative sociali sono sempre più eterogeneeed evolvono i valori che stanno alla base dei rapporti tra impresa ed ambiente9.

In un contesto ambientale così mutevole, il quadro normativo era sempre più fragile ed incompleto. Lo Stato non poteva più occuparsi dei problemi socio-etici senza la collaborazione delle aziende, che stavano diventando organizzazioni sempre più                                                                                                                

6 Nel 1944 con gli Accordi di Bretton Woods, si stabiliscono delle regole che, governando i rapporti

monetari fra stati, definiscono indirizzi per le relazioni commerciali e finanziarie tra paesi nazionali indipendenti.

Nel 1947, con il General Agreement on Tariffs and Trade (Accordo Generele sulle Tariffe ed il Commercio – GATT), 23 paesi stabiliscono degli indirizzi per le reciproche relazioni commerciali perseguendo lo specifico obiettivo di liberalizzare il commercio mondiale.

7 A. G. Scherer, G. Palazzo, “Globalization and corporate social responsibility”, 2008.

8 Basti pensare, ad esempio, che: la “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” viene adottata nell’anno

1948 e in Italia la “Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo” entra in vigore nel 1955.

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influenti. La crescita delle interdipendenze transnazionali delle attività economiche e sociali e l’emergere di nuove sfide sociali ed ambientali (come ad esempio il riscaldamento globale) di portata transnazionale, che sono problematiche che non possono essere disciplinate unilateralmente dai singoli governi, aveva determinato per gli Stati nazionali la perdita della loro capacità di indirizzo politico. Mentre le imprese avevano ampliato le loro attività oltre i confini nazionali in modo massiccio, il potere esecutivo dello Stato era rimasto legato al suo territorio10.In mancanza di un organismo regolamentatore sovranazionale: imprese, organismi sovranazionali, organizzazioni non governative, etc., hanno acquisito nuova forza politica.

Per le imprese si stava delineando la responsabilità politica aggiuntiva di contribuire allo sviluppo ed al corretto funzionamento della governance globale11.

L’impresa capitalistica non rispondeva più alle esigenze del mercato e più in generale della società. Orientata alla sola massimizzazione del profitto, questo tipo di impresa riduceva quanto più possibile i costi che necessariamente doveva sostenere e, a scapito della sostenibilità, produceva indirettamente costi ambientali, sociali e morali12.

Negli anni ’70 ed ’80 inizia ad affermarsi sul mercato - anche come conseguenza della crisi del welfare state - l’impresa sociale: un’impresa che per garantirsi sopravvivenza e sviluppo futuro, mira ad ottenere valore aggiunto e benessere per la comunità in cui opera, perseguendo obiettivi solidaristici.

                                                                                                               

10 Uno dei problemi collegati alla scomponibilità delle fasi produttive aziendali e alla possibilità crescente

per le imprese di delocalizzare ovunque nel mondo, è la ricerca di vantaggi di costo. La minimizzazione degli oneri fiscali o la minimizzazione dei costi di produzione (es. minore costo della manodopera) può indurre: da una parte, le imprese a delocalizzare in aree che promettono questi vantaggi; dall’altra, i governi degli stati nazionali ad “evolvere verso il basso” nel cercare di offrire le condizioni peggiori dal punto di vista etico (es. costo della manodopera estremamente basso e normativa a tutela dei lavoratori debole), nella speranza di attrarre all’interno dei propri confini territoriali gli investimenti aziendali. Un paradosso: aree con sindacati deboli, bassi salari, sfruttamento dei lavoratori, etc., attrarrebbero gli investimenti aziendali.

11 A. G. Scherer, G. Palazzo, “Globalization and corporate social responsibility”, 2008.

12 Il crollo dei tassi di rendimento di capitale proprio e capitale investito, furono la manifestazione della

crisi che aveva coinvolto l’impresa capitalistica. In risposta a questa situazione diventano importanti: l’aumento del valore delle azioni in Borsa, la distribuzione dei dividendi a scapito dell’autofinanziamento aziendale, l’orientamento al successo di breve periodo piuttosto che a quello di medio-lungo; e si attribuisce poca importanza alle conseguenze che questi comportamenti determinano su ambiente e fattore lavoro (vedi - L. Gallino, “L’impresa irresponsabile”, 2005).

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Anche nell’impresa lucrativa cresceva la consapevolezza che l’impresa non potesse più operare esclusivamente in un’ottica di profitto, e che questa dovesse essere accompagnata dalla crescita del benessere della società ottenibile col perseguimento dei fini sociali più volte discussi. Entrambi gli obiettivi, quello di profitto e quello sociale, sarebbero stati ottenuti solo grazie alla positiva collaborazione di tutti gli organismi economici (individui, stato e mercato)13.

Almeno concettualmente si inizia a superare la concezione che vede il sistema economico diviso da quello sociale, e a concepire il tutto come un unico sistema all’interno del quale l’impresa instaura relazioni e persegue obiettivi. È in quest’unico sistema, costituito di relazioni tra “parti” della società, geograficamente localizzato e mutevole nel tempo, che l’impresa deve trovare la fonte di legittimazione del proprio operato; e in quanto mutevole, si interiorizza che la tempestività, nel realizzare gli obiettivi di natura sociale, è necessaria affinché l’impresa possa cogliere in modo efficace e soprattutto in tempi adeguati, i cambiamenti nei “sistemi di valori” della comunità di riferimento. I modelli che venivano assunti per le decisioni strategiche basati su rigorose gerarchie di valori, dovevano necessariamente essere sostituiti da modelli che tenessero in considerazione la loro mutevolezza. Economico e sociale si integravano operativamente e l’impresa si orientava a perseguire contemporaneamente tre obiettivi: economico-finanziari (produrre reddito per remunerare il capitale), competitivi (produrre a soddisfazione del consumatore), di consenso (produrre a soddisfazione di tutti i rimanenti soggetti che hanno interesse diretto o indiretto nell’attività d’impresa)14.

Senza far venir meno l’obiettivo di profitto, che restava comunque l’obiettivo primario da raggiungere per l’impresa lucrativa, si assiste quindi alla graduale sostituzione del modello d’impresa di tipo capitalistico con un nuovo modello di impresa che ben si presta ad essere identificato in una “comunità sociale15”.

                                                                                                               

13 L’interesse agli aspetti del sociale, e di miglioramento del benessere collettivo, interessano in maniera

crescente sia le imprese che lo Stato. È in questo periodo che vengono attivate politiche a sostegno della domanda che consentono di raggiungere benefici in termini di piena occupazione, evolvono le politiche dei redditi che garantiscono una più equa distribuzione del reddito prodotto consentendo aumenti di produttività, il prelievo fiscale progressivo porta ad una redistribuzione della ricchezza ed un conseguente aumento di benessere sociale collettivo, etc. In Italia è negli anni ’70 che si hanno numerose conquiste sociali e politiche quali, ad esempio, lo statuto dei lavoratori.

14 V. Coda, Intervento in, A. Riccaboni (a cura di), “Etica ed obiettivi di impresa”, 1995. 15 G. Ruffolo, “Il capitalismo ha i secoli contati”, 2008.

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Dagli anni ’80 è un’impresa globale quella che, conciliando obiettivi economici di profitto con obiettivi etici di soddisfazione dei bisogni umani, si garantisce la permanenza sul mercato. È un’evoluzione inevitabile per l’impresa lucrativa che ha come nuovo obiettivo la creazione di valore aggiunto globale16. La Responsabilità Sociale d’Impresa assume allora un ruolo di importanza chiave, nella gestione da parte delle imprese di problemi quali la salvaguardia dell’ambiente, l’attenzione ai diritti ed ai bisogni delle persone, la distribuzione equa del valore creato.

In definitiva il periodo storico di maggior interesse, per quanto riguarda il coinvolgimento consistente e specifico che è stato rivolto al tema della Corporate Social Responsibility, è quello che parte dagli anni ’80.

I motivi più rilevanti sono di seguito presentati. Innanzitutto, come accennato precedentemente, è in questo periodo che, assistendo al proliferare delle Organizzazioni della Società Civile (OSC)17, si matura la consapevolezza del loro successo. Queste organizzazioni non a scopo di lucro, operando sul mercato a fini solidaristici, hanno dimostrato che perseguire l’efficacia e l’efficienza generando valore, è possibile anche se la funzione che l’impresa deve massimizzare, contiene sia l’obiettivo di profitto sia obiettivi plurimi d’interesse per la collettività. E’ accaduto così che parte dei valori che stanno alla base dell’operare delle Organizzazioni della Società Civile, sono divenuti parte del bagaglio culturale di riferimento per le aziende operanti invece col fine primario di ottenere un profitto. Si è inoltre sviluppata la convinzione che l’impresa avrà successo e riuscirà a rimanere sul mercato a lungo, quanto più riesce ad assecondare ed integrare questi numerosi differenti obiettivi generando valore per tutti gli interlocutori.

Accanto al positivismo associato alla globalizzazione, che la vede come un’opportunità di creazione di nuova ricchezza e prosperità per le nazioni, cresce anche la consapevolezza che essa causi un aumento del divario, già esistente, fra Paesi ricchi e Paesi poveri del mondo. Si è quindi reso necessario generare un buon governo del fenomeno, da parte di tutti. E nell’ambito di nostro interesse, nel particolare, da parte                                                                                                                

16 G. Catturi, Intervento in, A. Riccaboni (a cura di), “Etica ed obiettivi di impresa”, 1995.

17 L’International Society for Third Sector Research nel Congresso di Dublino (2000) unifica sotto il

nome di Organizzazioni della Società Civile, in breve OSC, i termini: “terzo settore”, “organizzazione non profit”, “fondazione”, “organizzazione non governativa”, etc.  

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delle grandi imprese, che nel processo di globalizzazione partecipano da protagoniste e sono tra i principali soggetti promotori dello sviluppo delle aree povere: basti pensare che nel 2000, 51 delle prime 100 entità economiche nel mondo erano imprese; le restanti 49, Nazioni18. In una situazione del genere, è cresciuta la consapevolezza da parte delle imprese che una responsabilità, circa la tipologia d’impatto che la propria attività d’impresa comporta sul contesto sociale ed ambientale, ci debba essere; e che è necessario che le imprese si facciano carico di tale impatto, affinché possa essere garantita una crescita armonica da parte dei singoli Stati19.

Un terzo motivo è rappresentato dalla riduzione, se non perdita vera e propria, del legame tra impresa e territorio in cui essa opera. Al tempo dell’impresa fordista questo legame era molto stretto e le aziende sviluppavano relazioni, oltre che di natura economica anche sociale e culturale. Esse operavano in un territorio che molto spesso rappresentava per esse lo stesso mercato di sbocco per i propri prodotti; è evidente che in una situazione simile non sarebbe stato conveniente per loro agire in maniera eticamente scorretta, dal momento che l’operato dell’impresa sarebbe stato direttamente giudicato e probabilmente ammonito, con comportamenti d’acquisto non auspicabili per un’impresa orientata al profitto. Il contrario si sarebbe manifestato in caso di comportamento responsabile.

Oggi, i mercati di riferimento delle imprese sono sempre più globali ed il legame si affievolisce. La legittimazione all’attività d’impresa viene riconosciuta da acquirenti che molto spesso vivono in realtà molto distanti da quella in cui l’impresa è presente ed opera, e questo consentirebbe una deresponsabilizzazione in relazione alle conseguenze causate dal suo funzionamento.

Nasce quindi l’esigenza da parte della società di conoscere l’impegno e la responsabilità sociale di ciascuna impresa. Ad essa è chiesto di dimostrare e giustificare, quali esatti impegni essa assume in termini di Responsabilità Sociale (avvalendosi dei numerosi strumenti della RSI quali: il bilancio sociale, il bilancio di sostenibilità o ambientale, il codice etico, la certificazione etica20, il cause related marketing21, etc.).

                                                                                                               

18 S. Anderson, J. Cavanagh, “Top 200. The rise of corporate global power”, 2000.

19 M. Molteni, M. Lucchini, “I modelli di responsabilità sociale nelle imprese italiane”, 2004.

20 Per esempio è molto diffuso lo standard internazionale di certificazione SA 8000 emanato dal SAI

(Social Accountability International), che elenca nove requisiti - orientati a far aumentare la capacità competitiva - che le imprese decidono volontariamente di avere per originare un comportamento

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La necessità di cui detto sopra si è amplificata ulteriormente, negli ultimi anni, anche successivamente al verificarsi di eventi negativi, quali fallimenti e scandali aziendali di grandi società, che sono conseguiti all’agire irresponsabile di alcune rilevanti entità del mondo economico, (es. le imprese statunitensi: Enron22, Arthur, Andersen, Worldcom; le imprese italiane: Cirio, Parmalat, Finmatica). Un paradosso, se collegato alla Responsabilità Sociale d’Impresa, dal momento che gli anni in cui questi eventi si sono manifestati – eventi che sono un’evidente espressione di deterioramento morale dell’agire imprenditoriale (managers che sostituiscono una cultura “mercenaria” alla cultura del senso di appartenenza aziendale, frodi nelle forniture pubbliche, immissione nei prodotti di sostanze alimentari pericolose per la salute delle persone e quant’altro) – sono anni in cui il tema delle questioni sociali ed ambientali era già stato ampiamente discusso, e si era quindi già avviato il processo di sensibilizzazione verso una cultura di agire eticamente responsabile23.

Ergo, si evince un ulteriore motivo: in risposta al manifestarsi di eventi negativi rilevanti, dovuti a comportamenti irresponsabili adottati dalle imprese, nei recenti decenni si è sviluppata la preferenza a regole e comportamenti nuovi: responsabili. Inoltre, non sono solo gli acquirenti a trovarsi delocalizzati rispetto alla zona in cui l’impresa svolge la propria attività: anche gli investitori, e quindi gli azionisti, non sono ormai più legati allo spazio. L’interesse per la RSI si sviluppa in questo caso per cercare di “occupare” quello spazio che si è venuto a creare tra azionisti (che possono comprare e vendere azioni di società localizzate ovunque nel mondo) e comunità (che non può liberarsi dal vincolo della localizzazione aziendale e subisce quindi le conseguenze del suo operato)24.

E’ cresciuto l’interesse per il problema ecologico. Si capisce che urge un impegno immediato all’assunzione di comportamenti responsabili orientati alla riduzione che le attività umane hanno sull’equilibrio ecologico del Pianeta. I problemi legati                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

eticamente orientato, della filiera di produzione ed in generale di tutta l’impresa, nei confronti dei propri lavoratori.

21 Le imprese realizzano campagne di marketing connettendone i contenuti a cause sociali.

22 J. A. Cohan, “’I didn’t know’ and ‘I was only doing my job’: has corporate governance careened out of

control? A case study of Enron’s Information Myopia”, 2002.

23 M. Molteni, “Responsabilità sociale e performance d’impresa”, 2004.

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all’inquinamento da gas, petrolio e nucleare, i danni che una raccolta indifferenziata dei materiali causa, la pesca eccessiva negli oceani e la conseguente perdita di biodiversità, gli sprechi che l’utilizzo irresponsabile dell’energia comporta, il colossale problema del riscaldamento globale25 e delle conseguenze che le mutazioni climatiche possono avere sul nostro ecosistema, si sono resi sempre più evidenti agli occhi di tutti. Si sviluppa il concetto di sostenibilità e di sviluppo sostenibile26.

Sul mercato si fa spazio un “nuovo” cliente consumatore, è anch’esso soggettivamente socialmente responsabile e vuole consumare in modo critico. Ciò sembra trovare conferma: dalla crescita delle associazioni di consumatori, dall’aumento dei boicottaggi ad imprese che adottano comportamenti riprovevoli riguardo ai temi ecologici o sociali, dall’incremento del commercio equo e solidale27. Le imprese hanno capito che il consumatore non sceglie più semplicemente fra i prodotti che trova sul mercato quello che più si avvicina alla soddisfazione delle sue aspettative, ma contribuisce sempre di più alla vera e propria determinazione dell’offerta dei prodotti stessi. Accanto ai criteri di scelta relativi a prezzo e qualità, il consumatore che si è imposto sul mercato attuale, è un cliente attento anche all’origine del prodotto, alle metodologie che sottostanno alla sua produzione, all’impegno che la società che mette quel bene in commercio ha assunto nei confronti della comunità. Sempre più spesso il consumatore effettua, con l’operazione di acquisto, una vera e propria scelta di appartenenza, premiando l’impresa con cui egli maggiormente si identifica, condividendone le scelte ecologiche, sociali, morali o politiche28. In questo senso il legame tra cliente ed impresa si è rafforzato moltissimo. E anche grazie al progredire della capacità di elaborare l’informazione e la diffusione di mezzi di comunicazione29, questo rapporto si è reso così importante per la                                                                                                                

25 Al Gore, film documentario “An inconvenient truth”, 2006.

26 Nel 1987 la Commissione Indipendente sull’Ambiente e lo Sviluppo (World Commission on

Environment and Development), presieduta da Gro Harlem Brundtland, nel Rapporto Brundtland

definisce così lo sviluppo sostenibile: “L’umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè

di far sì che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità delle future di rispondere ai loro”.

27 M. Molteni, “Responsabilità sociale e performance d’impresa”, 2004.

28 “L’evoluzione del concetto di responsabilità sociale d’impresa” – progetto ‘Training in Progress’

finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi della L. 383/2000 – Direttiva annualità 2010 – ADICONSUM (www.adiconsum.it).

29 L’impresa competitiva di oggi, opera in modo dinamico: coordina, collega e coinvolge “la società” nei

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determinazione dell’operato aziendale, da entrar a far parte del processo di programmazione della strategia aziendale30.

Le aziende attribuiscono una sempre maggiore importanza ai cosiddetti “fattori intangibili”. Fattori come la reputazione, la fiducia, la condivisione dei valori, la coesione fra gli attori organizzativi, l’importanza dello sviluppo del capitale umano, etc., diventano fondamentali all’interno di ogni impresa31.

Le Dichiarazioni dei diritti umani e le Dichiarazioni dell’ILO32 orientano in maniera crescente e rilevante, l’operato e le azioni socialmente responsabili delle imprese di tutto il mondo33. Le imprese si preoccupano, sempre più volontariamente, di sviluppare le pari opportunità lavorative tra uomo e donna, di garantire la sicurezza sul lavoro, di tutelare la salute dei propri lavoratori con azioni mirate a ridurre gli impatti negativi che le condizioni e i luoghi o le postazioni di lavoro possono avere sull’individuo, di promuovere azioni volte ad eliminare lo sfruttamento minorile, di inserire e valorizzare i soggetti con disabilità e svantaggiati, etc.

Il capitale umano riveste un ruolo predominante nell’affermarsi della nuova impresa globale. Mentre al tempo dell’impresa fordista il lavoratore rappresentava uno dei fattori produttivi da sfruttare meccanicamente nel processo produttivo, negli ultimi decenni il lavoratore ed il capitale umano ad esso associato, sono considerati sempre più una delle risorse strategiche più importanti per le imprese: il capitale umano è fonte di innovazione, creatività, sviluppo ed elaborazione di idee, etc.. Ne consegue l’importanza, per le imprese, di coltivare e sviluppare positivamente il legame coi propri dipendenti. Corsi di formazione, coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori alla definizione degli obiettivi da raggiungere, servizi mirati al miglioramento dello stile di vita e del benessere dei lavoratori e delle loro famiglie, sono solo alcuni dei provvedimenti eticamente orientati che le aziende più virtuose mettono in pratica in un’ottica di agire responsabile34.

                                                                                                               

30 S. Zamagni, “L’impresa socialmente responsabile nell’epoca della globalizzazione”, 2003. 31 M. Molteni, “Responsabilità sociale e performance d’impresa”, 2004.

32 L’International Labour Office è un’agenzia promotrice di giustizia sociale e diffusione del

riconoscimento dei diritti dell’individuo nel lavoro.

33 Su ispirazione di queste dichiarazioni: la certificazione SA8000 e il Global Compact.

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Le argomentazioni e le motivazioni sociali che hanno spinto e continuano ad indirizzare una società ad adottare la Corporate Social Responsibility sono numerose, quelle finora elencate sono alcune tra le più importanti. E’ necessario, a questo punto, approfondire due questioni fondamentali: come prima cosa si approfondirà il concetto di stakeholder; come seconda cosa si vedrà perché, al fine di raggiungere un equilibrio “vincente”, è necessario vi sia, all’interno dell’impresa, la copresenza di finalità economiche e finalità etiche.

1.1.2 Rilevanza degli Stakeholder

In un mondo globalizzato ed interconnesso, le imprese devono rivolgere un’attenzione crescente nei confronti di un sempre maggior numero di utenti: i lavoratori, i “nuovi” consumatori, la comunità attenta alle problematiche ecologiche, etc..

Il sistema economico è sempre più integrato ed i confini, tra parti all’interno dell’impresa, e tra impresa ed ambiente esterno, si fanno labili. Si è detto, nel paragrafo precedente, che molteplici soggetti hanno degli interessi “in gioco” nei confronti dell’impresa, e che in definitiva con i loro comportamenti e con le loro scelte ammoniscono o sostengono le scelte fatte, le politiche adottate e le attenzioni che vengono loro rivolte, da un’azienda. Il progredire delle tecnologie, il perfezionamento delle vie di comunicazione, l’aumento dei bisogni degli individui che richiedono soddisfazione, il riconoscimento sempre maggiore di diritti umani individuali e collettivi, la specializzazione nelle produzioni, la personalizzazione dei prodotti, la terziarizzazione delle economie progredite, e tutti gli altri fattori di cui si è già discusso, sono solo alcuni dei motivi che hanno portato il sistema economico odierno a consistere in una fittissima rete di relazioni fra soggetti, luoghi ed istituzioni.

Nell’ottica orientata alla soddisfazione degli interessi di una pluralità di interlocutori, sono due gli obiettivi che, in estrema sintesi, devono essere perseguiti contemporaneamente dalle imprese: da un lato esse devono essere capaci di attrarre a sé le risorse migliori per poter garantire continuità e buon sviluppo alle attività che ha posto in essere, dall’altro devono saper dare risposta alle attese dei diversi soggetti interessati all’attività d’impresa in modo da garantirsi il supporto e la fiducia di cui necessitano.

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Nella società in cui oggi viviamo, una qualsiasi organizzazione per poter operare necessita quindi di legittimazione e di consenso35, essa è ormai a tutti gli effetti parte di quel network di relazioni con ambiente e persone, che sono non solo la ragione della sua stessa esistenza, ma grazie alle risorse che apportano in essa, ne consentono lo sviluppo nel tempo36.

Avere successo, secondo un approccio che vede nella soddisfazione degli interessi dei molteplici stakeholders la fonte per l’ottenimento di vantaggio competitivo, coincide proprio nel soddisfare le attese degli interlocutori terzi.

La Corporate Social Responsibility verso la pluralità di portatori d’interesse, consapevole e non di comodo, configura in definitiva un nuovo modello d’impresa caratterizzato da un rapporto relazionale fondamentale, addirittura decisivo, per la sua sopravvivenza: scambiare risorse e combinare le proprie con quelle in possesso degli interlocutori aziendali, è indispensabile per creare ricchezza. Compito fondamentale per l’impresa globale è quello di fungere da mediatore tra i diversi interessi degli stakeholders, molto spesso in conflitto fra loro, preoccupandosi delle relazioni che essa intrattiene con essi. Per raggiungere l’obiettivo è auspicabile e necessario che, per ogni parte coinvolta, il dialogo impresa-stakeholder sia bidirezionale, e che si instaurino relazioni interattive, impegnate reciprocamente e sensibili37, con gli interlocutori; caratterizzate da un dialogo continuo, corretto e coerente, perché si crei la fiducia necessaria, tra stakeholder ed impresa, in un contesto in continuo cambiamento38. Se questo avviene, l’impresa potrà perseguire i propri obiettivi strategici in modo efficace ed efficiente, senza deludere le aspettative dei suoi interlocutori, ed ottenendo consenso e conseguentemente il successo sperato.

Ma chi è uno stakeholder? Letteralmente col termine stakeholder si identifica un soggetto che ha degli interessi nei confronti dell’attività d’impresa, dall’inglese stake che significa interesse e holder che significa portatore.

Il concetto venne elaborato per la prima volta nel 1963: è il risultato di alcuni studi sulle strategie d’azienda svolti presso lo Stanford Research Institute, e viene utilizzato per indicare con un unico termine tutti i molteplici interlocutori dell’impresa che hanno un                                                                                                                

35 V. Coda, “L’orientamento strategico dell’impresa”, 1988.

36 A. Tencati, F. Perrini, “La responsabilità sociale d’impresa: strategia per l’impresa relazionale e

innovazione per la sostenibilità”, 2008.

37 J. Andriof, “Introduction”, 2002.

38 A. Tencati, F. Perrini, “Sustainability and stakeholder management: the need for new corporate

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interesse diretto nell’attività aziendale (quindi gli azionisti, i clienti, i fornitori, i dipendenti)39.

Fu tuttavia nel 1984 che Freeman dette la definizione di stakeholder oggi più conosciuta e condivisa, dando peraltro origine alla prima teoria organica sull’argomento. Ampliando il concetto di stakeholder del 1963, egli si riferisce ad ogni individuo o gruppo di individui che influenzi o sia influenzato dall’attività svolta dall’impresa40: comprendendo quindi sia coloro che hanno un interesse diretto, sia coloro che hanno un interesse indiretto.

Possiamo, secondo la concezione di stakeholder fornita da Freeman, distinguere due diverse categorie di portatori d’interesse di una generica impresa:

- gli interlocutori, che in virtù del tipo di relazione che li collega all’impresa, concorrono a determinare il successo aziendale in modo diretto: l’impresa funziona anche grazie al loro contributo, ed essi ne sono consapevoli;

- i soggetti che non sono fondamentali per la sopravvivenza dell’azienda, e pur tuttavia incidono in modo indiretto sul risultato dello svolgimento della sua attività, dal momento che influenzano il contesto economico e sociale attorno ad essa.

La definizione di Freeman è forse una delle più ampie del concetto di stakeholder, in quanto potenzialmente potrebbe includere chiunque: non rientrano infatti nella categoria solamente coloro i quali sono sprovvisti di potere, ed ergo non possono in alcun modo influenzare l’attività dell’impresa, e coloro i quali non sono influenzati dall’operato aziendale, in quanto non intrattengono alcun tipo di relazione e non vantano alcuna specie di pretesa nei confronti della stessa.

Clarkson, diversamente da Freeman, restringe il concetto di stakeholder, comprendendo in tale definizione solo coloro che sono portatori di un interesse per l’attività aziendale in quanto “portatori di rischio”, volontari ed involontari41. I primi, secondo l’autore, sono quelli che investendo del valore in azienda, rappresentato indifferentemente da capitale umano o capitale finanziario, si sono assunti una qualche forma di rischio. I secondi sono invece i soggetti che, nonostante non se lo siano volontariamente assunto, subiscono un rischio derivante dall’esercizio dell’attività d’impresa. L’elemento rischio, in questo caso, identifica l’interesse (stake) che un soggetto ha circa l’andamento                                                                                                                

39 Il concetto contrapposto di shareholder identificava la sola categoria degli azionisti. 40 E. Freeman, “Strategic management: a stakeholder approach”, 1984.

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dell’impresa42, e consente di restringerne il concetto includendo nell’insieme dei portatori d’interesse, solo coloro che vantano legittime pretese nei confronti della stessa, indipendentemente dal potere che essi hanno di influenzarne l’attività o i risultati connessi. Clarkson distingue due diverse categorie di portatori di interesse: gli stakeholder primari e gli stakeholder secondari43.

Gli stakeholder primari sono gli interlocutori senza dei quali l’impresa non può sopravvivere. La loro partecipazione ed il loro coinvolgimento devono essere continui, affinché l’impresa duri nel tempo. Oggi, si potrebbe dire facciano parte di questa categoria coloro i quali hanno dei rapporti contrattuali con l’impresa44: gli azionisti, gli investitori, i lavoratori dipendenti, i consumatori, i fornitori, i finanziatori, etc. Mentre Clarkson faceva rientrare in questa categoria i soggetti appena elencati a meno dei finanziatori, ed in aggiunta lo Stato e la comunità; oggi sembra forse più opportuno far rientrare Stato e comunità fra gli stakeholder secondari ovvero quelli che hanno, con l’impresa, rapporti d’influenza. Ad ogni modo, essi si possono ulteriormente distinguere in: soggetti che appartengono formalmente all’organizzazione impresa e che vi operano al suo interno, e soggetti che invece operano all’esterno della stessa45.

I soggetti interni all’impresa comprendono gli azionisti e investitori, i lavoratori dipendenti ed il management. Gli azionisti, o per una generica impresa i suoi proprietari, sono coloro i quali conferiscono il capitale e si fanno quindi carico del rischio aziendale collegato all’andamento dell’attività, nella prospettiva di vedersi remunerare col profitto conseguito. I lavoratori dipendenti sono coloro i quali conferiscono il secondo fattore produttivo fondamentale allo svolgimento dell’attività economica: il lavoro. Un costo per l’impresa, ma anche una risorsa strategica fondamentale all’ottenimento di quel vantaggio competitivo che ne determina il successo. In ultima il management, rientrerebbe ovviamente nella precedente classe dei lavoratori subordinati in quanto anch’essi svolgono il proprio operato alle dipendenze dei proprietari dell’impresa, ma hanno un ruolo fondamentale all’interno di essa e per questo motivo si considerano distintamente. Gli interessi che essi nutrono                                                                                                                

42 M. E. Clarkson, “A risk-based model of stakeholder theory”, 1994.

43 M. E. Clarkson, “A stakeholder framework for analizing and evaluating corporate social

performance”, 1995.

44 S. Sciarelli, “Il governo dell’impresa in una società complessa: la ricerca di un equilibrio tra economia

ed etica”, 2003.

45 T. Donaldson, L. E. Preston, “The stakeholder theory of the corporation: concepts, evidence and

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nell’andamento dell’attività aziendale e nel raggiungimento di determinati risultati, infatti, non coincide solitamente con quello degli altri lavoratori: ad esempio, il prestigio che un’azienda ecosostenibile che presenta un fatturato annuo fra i più alti del settore e che elargisce ingenti risorse a questioni filantropiche, potrebbe essere un fattore di interesse per un manager ma di indifferenza per un impiegato. Inoltre essi vengono considerati separatamente, in quanto svolgono un ruolo chiave all’interno dell’azienda, dal momento che è con le loro scelte che essi influenzano in maniera più che mai diretta i risultati aziendali46.

Rientrano invece nella categoria dei soggetti esterni all’impresa, quegli interlocutori che sebbene non facciano parte dell’organizzazione, sono in grado, con il loro operato e le loro scelte, di influenzare l’attività d’impresa tanto da determinarne la possibilità di sopravvivenza: gli acquirenti, i fornitori, i finanziatori, e nella definizione di Clarkson, lo Stato e le comunità. Richiamando il modello delle cinque forze di Porter, si può identificare l’ambiente competitivo dell’impresa in questione, fondamentale per la sua esistenza, e si possono individuare i portatori d’interesse primari: nel particolare, gli acquirenti e i fornitori, soggetti senza il cui costante e continuo supporto essa non sopravvivrebbe47. Se queste categorie di stakeholder, o anche una sola di esse, si ritirassero dal sistema aziendale, l’impresa verrebbe significativamente danneggiata, e con buona probabilità potrebbe non essere capace di continuare a svolgere la sua attività48. I soggetti finanziatori (es. le banche) sono necessari all’esistenza dell’impresa così come al suo sviluppo nel tempo, dal momento che le forniscono la liquidità di cui necessita. Lo Stato e le comunità venivano fatti rientrare in questa categoria, nella considerazione che essi permettono l’attività d’impresa garantendole le infrastrutture, la normativa, le regolamentazioni, il funzionamento dei mercati, etc..

Gli stakeholder secondari sono quei portatori d’interesse che non sono essenziali alla sopravvivenza dell’azienda e però ne influenzano l’attività, le scelte, i risultati, etc., o ne sono influenzati a loro volta. I gruppi di interesse (es. sindacati), i media e la stampa, i concorrenti (attuali, potenziali, di prodotti o servizi sostitutivi) 49, sono esempi di questa                                                                                                                

46 Per allineare l’interesse del manager all’interesse dei proprietari dell’impresa spesso vengono adottati

sistemi di incentivo che collegano per esempio la loro retribuzione a determinati risultati conseguiti, etc.

47 M. A. Hitt, D. R. Ireland, R. E. Hoskisson, “Strategic Management. Competitiveness and

globalization”, 2001.

48 M. E. Clarkson, “A stakeholder framework for analizing and evaluating corporate social

performance”, 1995.

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seconda categoria di stakeholder. Essi, ad esempio, nonostante non siano necessari alla sopravvivenza di un’impresa, hanno il potere di influenzare in modo rilevante l’opinione pubblica a favore o contro le scelte da essa effettuate, e sono di conseguenza, potenzialmente in grado di determinare performance significativamente peggiori o migliori, per la corporation, a seconda del verso secondo cui il potere di influenza è mobilitato. Il management si deve quindi preoccupare delle relazioni con gli stakeholder secondari, perché anche se l’impresa probabilmente sopravvivrebbe in ogni caso, i risultati che essa può raggiungere con la loro partecipazione, il loro supporto e la loro fiducia, o senza di essi, possono essere profondamente diversi. Sono ovviamente tutti stakeholder esterni.

È una categoria, quella degli stakeholder secondari esterni, che è cresciuta nel tempo, col crescere delle relazioni che l’impresa intrattiene con l’ambiente che la circonda. Una conseguenza, il fatto che coloro i quali non hanno alcun tipo di relazione che li possa collegare direttamente o indirettamente all’impresa, i non-stakeholder, sono una categoria che si sta restringendo sempre di più.

Si deve sottolineare che la classificazione esposta, così come le altre classificazioni descrittive che si potrebbero fare, è inevitabilmente generica, e non è universalmente valida per tutte le imprese. Le classificazioni peccano inevitabilmente nel fatto che sono rigide, e non sarebbero quindi del tutto adeguate a definire i dinamici rapporti tra impresa e portatori d’interesse. Non è semplice identificare quei soggetti, esterni all’azienda, che vengono influenzati dall’attività d’impresa in modo indiretto; soggetti peraltro, si è detto, numericamente in crescita. A meno di alcune categorie, come ad esempio quella dei fornitori, non risulta nemmeno agevole la classificazione di alcuni stakeholders fra le categorie di stakeholder primari o secondari: i soggetti finanziatori ad esempio, potrebbero essere determinanti per la sopravvivenza di un impresa, ma non esserlo affatto per un’altra. Non solo, la classificazione degli stakeholders di una stessa azienda, potrebbe essere diversa a seconda del momento temporale e della situazione considerati.

L’affermarsi della Corporate Social Responsibility e l’emergere dell’importanza di questioni morali di interesse collettivo, ha sviluppato in particolar modo l’attenzione verso gli stakeholders secondari. L’impresa che pone la sua attenzione alle relazioni che intrattiene con quest’ultima categoria di interlocutori, infatti, è l’impresa che precedentemente si è definita “globale” e che ha preso consapevolezza delle sue responsabilità anche in ambito sociale, ambientale e filantropico.

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Numerosi sono i contributi che negli anni sono stati proposti nel tentativo di esplicitare l’identificazione degli stakeholders aziendali in relazione al rapporto che li lega all’attività d’impresa, e quindi ampliare o restringere le classificazioni degli stessi precedentemente elaborate. Un ulteriore buon esempio da proporre in questa sede, e che a questo proposito unisce anche il tentativo di fornire un valido aiuto ai managers all’attribuzione di un ordinamento, in termini di importanza della relazione stakeholder-impresa, di ciascuna categoria, è quello proposto da Mitchell, Angle e Wood. Essi definiscono una definizione e classificazione in categorie diverse di stakeholders, effettuata prendendo in considerazione tre fattori da loro individuati come i più opportuni a tale scopo: il “potere” che un soggetto ha di influenzare le scelte in termini di risultati dell’attività dell’impresa, la “legittimazione” del rapporto interlocutore-impresa, la “urgenza” relativa alla richiesta di attenzione alla tutela di un interesse rivolta dall’interlocutore all’azienda (figura 1).

Figura 1 – Classi di Stakeholder.

Fonte: R. K. Mitchell, B. R. Agle, D. J. Wood, 1997.

Secondo i tre studiosi l’utilizzo di questi criteri, e l’attribuzione di pesi differenti alle relazioni con i diversi portatori d’interesse, una volta identificate le diverse categorie di stakeholder, permette ai managers di ordinarle a seconda della rilevanza che, di volta in volta, ha il rapporto che le lega all’attività aziendale (figura 2).

stakeholder riceveranno attenzione. Pertanto, la percezione degli attributi di uno

stakeholder da parte del manager decide della salienza dello stakeholder. Il

sugge-rimento di Mitchell et al. a questo proposito è che le differenze nelle

caratteristi-che manageriali (nell’educazione, nei comportamenti e nei valori dei manager)

debbano essere trattate dalla teoria come variabili e in quanto tali possano fungere

da importanti “moderatori” della relazione stakeholder-manager.

Mitchell et al., combinando i tre attributi generano una tipologia di stakeholder

(così come mostrato nella Fig. 3)

Dalle diverse combinazioni dei tre attributi derivano sette classi di stakeholder

raggruppabili in tre categorie, così come è mostrato nella Fig. 4: tre classi con uno

solo dei tre attributi, denominati stakeholder “latenti” (aree 1, 2, 3); tre classi con

due attributi, denominati stakeholder “in attesa” (aree 4, 5, 6); e una classe con tutti

e tre gli attributi, denominata “stakeholder definitivi” (area 7). L’analisi dei tipi di

stakeholder, secondo Mitchell et al. (1997),

giustifica l’identificazione di entità che dovrebbero essere considerate stakeholder

dell’im-presa, e costituisce anche la serie da cui i manager selezionano quelle entità che essi

percepi-scono come salienti. Secondo questo modello, allora, le entità senza potere, legittimità e

urgenza in relazione all’impresa non sono stakeholder e saranno percepite dai manager come

prive di salienza (p.873).

In accordo con l’analisi dei tipi di stakeholder e in base all’assunto che sono le

percezioni dei manager a dettare la salienza degli stakeholder per l’impresa, Mitchell

et al. offrono alla verifica empirica alcune proposizioni descrittive concernenti la

salienza degli stakeholder per i manager. La proposizione n.1 afferma che:

La salienza dello stakeholder sarà positivamente collegata al numero cumulativo degli

attri-buti dello stakeholder - potere, legittimità e urgenza - percepiti essere presenti dai manager

(p.873).

25

Emilio D’Orazio

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Figura 2 – Tipologie di stakeholder e rilevanza.

Fonte: R. K. Mitchell, B. R. Agle, D. J. Wood, 1997 (adattamento E. D’Orazio, 2005).

Ad esempio: una relazione che non possiede alcuno dei tre attributi identifica un non stakeholder; una relazione che possiede uno dei requisiti identifica uno stakeholder rilevante, ma meno rilevante di uno stakeholder la cui relazione con l’azienda possiede due requisiti; gli stakeholder maggiormente rilevanti sono ovviamente quelli la cui relazione possiede tutti gli attributi, sono questi i portatori d’interesse a cui deve essere data la priorità50.

                                                                                                               

50 Nello specifico gli autori identificano, in relazione al possesso o meno di nessuno, uno o più requisiti,

differenti categorie di stakeholder:

-­‐ Non stakeholder: se non vi è né potere, né legittimazione, né urgenza;

-­‐ Stakeholder latenti inattivi: se possiedono solo potere;

-­‐ Stakeholder latenti discrezionali: se possiedono solo legittimazione;

-­‐ Stakeholder latenti esigenti: se possiedono solo urgenza;

-­‐ Stakeholder in attesa dominanti: se possiedono potere e legittimazione;

-­‐ Stakeholder in attesa pericolosi: se possiedono potere ed urgenza;

-­‐ Stakeholder in attesa dipendenti: se possiedono legittimazione ed urgenza;

STAKEHOLDER “LATENTI”. “Latenti” sono gli stakeholder con un solo attributo

fatto questo che li porta ad assumere una posizione passiva, con un corrispondente abbassamento del livello di responsiveness dell’impresa nei confronti dei loro interessi.

Gli stakeholder “latenti” sono analizzabili in tre classi (“passivi”, “discrezionali” ed “esigenti”).

Stakeholder “passivi”. Questa classe di stakeholder “latenti” è caratterizzata dal

possesso del solo attributo del potere. Lo stakeholder “passivo” ha il potere di imporre

26 Verso una teoria degli stakeholder descrittiva

(26)

Dal momento che potere, legittimazione ed urgenza della relazione stakeholder-impresa cambia nel tempo, è necessario inoltre un continuo monitoraggio ed un immediato aggiornamento della situazione51. Il fattore tempo è infatti un elemento determinante nell’evoluzione del rapporto impresa-stakeholder: un rapporto nasce, cresce e si consolida, matura, e finisce o si ridefinisce. I comportamenti assunti dall’impresa verso i propri interlocutori, in virtù di questi cambiamenti, devono modificarsi anch’essi52. Secondo gli autori il peso attribuito grazie all’impiego del sistema dei tre attributi, e conseguentemente la rilevanza delle diverse categorie di portatori d’interesse, permetterebbe ad un manager che deve raggiungere un obiettivo di capire sempre verso quale categoria di stakeholder deve rivolgere la sua attenzione in primis, e quindi a quale “interesse in gioco” dev’essere data la priorità, e via via quali interessi devono essere soddisfatti secondariamente, etc..

In un’ottica di Responsabilità Sociale, una volta identificati gli stakeholder dell’impresa, e ordinati in termini di rilevanza, il comportamento del management nella gestione delle relazioni che l’impresa intrattiene con le differenti categorie di portatori d’interesse, può poi essere differente.

Carroll sostiene che ci sono tre tipologie di diversi comportamenti che altrettante tipologie di management mettono in atto: l’immoral management, l’amoral management, il moral management.

L’immoral management è rappresentato da quei manager che manifestano un’avversione a tutto ciò che è riferibile ai principi etici di gestione aziendale. I motivi che spingono questi soggetti a scelte, comportamenti ed azioni, “immorali” sono di tipo egoistico: di profitto per sé e per l’impresa. L’amoral management identifica invece quei manager indifferenti ai risvolti sociali ed etici delle scelte che prendono. Non cercano di seguire principi morali, ma non cercano nemmeno di agire immoralmente nel perseguire l’obiettivo di profitto. Il moral management identifica quei manager che attuano una gestione dell’attività aziendale orientata dal rispetto della legge, dell’equità, della giustizia, dei principi morali ed etici53.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

-­‐ Stakeholder definitivi: se vi è potere, legittimazione, urgenza.

51 R. K. Mitchell, B. R. Agle, D. J. Wood, “Toward a theory of stakeholder identification and salience:

defining the principle of who and what really counts”, 1997.

52 I. M. Jahawar, G. I. McLaughlin, “Toward a descriptive stakeholder theory: an organizational life

cycle approach”, 2001.

53 A. B. Carroll, “Ethical challenges for business in the new millennium: corporate social responsibility

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