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Pubblica amministrazione: cambiamento di scenario e strumenti di controllo interno

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Academic year: 2021

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Alla mia famiglia con affetto e riconoscenza, non solo per aver avuto fiducia in me, ma anche per avermi posto nella condizione di poter

scegliere liberamente, sempre.

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Indice

Presentazione……… Pag. 5

Capitolo I - I fattori di spinta al cambiamento del ruolo dello Stato italiano……… » 10

1. Il debito pubblico cresce: un profilo storico- economico……….. » 10

2. Lo Stato assistenzialista………. » 12

3. Lo Stato imprenditore……… » 16

4. Il ridimensionamento dello Stato imprenditore………. » 20

5. Dalle teorie assistenzialistiche a quelle neo liberiste………. » 22

6. La ricerca di un nuovo ruolo……….. » 25

7. Reinventing governament, new public management e public governance……….. » 28

Capitolo II – Verso l’aziendalizzazione: gli Enti Locali escono dal cono d’ombra……….……… » 34

1. Le direzioni del cambiamento: decentramento, federalismo ed e-governament………. » 34

2. Novità sul rapporto tra Regioni ed Enti locali……… » 43

3. Sul principio dell’economicità nella gestione dei SPL……….. » 45

4. Sullo snellimento, la semplificazione e la responsabilità del- l’attività amministrativa………. » 49

(3)

5. Sui rapporti tra amministrazione e cittadino: diritto di accesso, diritto alla trasparenza, istituzione dell’URP e formalizzazione

del procedimento amministrativo……….. » 51

6. Verso la privatizzazione del pubblico impiego…………... » 54

Capitolo III – Le riforme del sistema informativo - contabile negli Enti locali ……….……… » 56

1. Il sistema di rilevazione contabile: inquadramento…………..…… » 56

2. La razionalizzazione nell’impiego delle risorse pubbliche………. » 58

3. La fase di programmazione……… » 61

3.1 Il bilancio di previsione annuale………... » 61

3.2. La relazione previsionale e programmatica……… » 65

3.3. Il bilancio di previsione pluriennale……… » 67

3.4. Il piano esecutivo di gestione……….. » 69

3.5. Il piano dettagliato degli obietti……….. » 70

4. La fase della rendicontazione………. » 71

4.1. Il conto del bilancio……….... » 72

4.2. Il conto economico……….. » 75

4.3. Il conto del patrimonio……… » 76

4.4. Gli allegati al rendiconto……… » 77

5. Controllo burocratico e controllo manageriale……….. » 78

6. Il sistema dei controlli nel quadro evolutivo………. » 80

7. Il controllo esterno……….. » 81

7.1 La Corte dei conti………. » 82

7.2 Il Commissario di governo………... » 83

7.3 Gli organi regionali di controllo……… » 83

7.4 I revisori dei conti degli Enti locali……… » 84

(4)

Capitolo IV – La valutazione delle performance: il caso della

Provincia di Livorno………... » 90

1. La valutazione delle performance nell’ambito del sistema di controllo interno……… » 90

2. Analisi della capacità di programmazione………. » 93

3. Analisi dei risultati di gestione………... » 97

4. Autonomia finanziaria……… » 105

5. Analisi della spesa……….. » 109

6. Indebitamento………. » 114

7. Conclusioni sulla valutazione………. » 118

8. Integrazione agli indicatori relativi alla valutazione delle performance………. » 120

8.1. Risultati di gestione……….. » 120

8.2. L’analisi della spesa………. » 125

8.3. Indebitamento……….. » 127

9. Considerazioni finali sui risultati ricavati dagli indicatori integrativi……… » 138

Allegati... » 139

Bibliografia... » 161

(5)

Presentazione

Alla base dei processi di cambiamento che hanno investito la Pubblica Amministrazione in Italia,vi sono stati numerosi fattori di spinta aventi natura diversa e che hanno portato, con varia intensità, alla ristrutturazione di tutto il settore pubblico, indirizzando la creazione di pubbliche amministrazioni non solo “intrise di principi, regole e metodologie che sono il fondamento delle unità elementare nell’ordine economico generale” (1), ma anche che avvicinassero le azioni e gli interventi pubblici ai propri cittadini e collaboratori, che presentassero una organizzazione più snella e orientata a criteri di qualità, efficienza, efficacia ed economicità e che garantissero una conduzione finalizzata al raggiungimento di chiari obiettivi.

I fattori di spinta che determinarono le direzioni del cambiamento sopra menzionate si presentarono a partire dagli anni Settanta quando si verificarono una serie di fattori politici, economici e sociali che generarono la necessità di ridurre il debito pubblico a causa della sua espansione eccessiva e di intervenire quindi anche sul ruolo e sulla gestione della Pubblica Amministrazione .

I fattori che più hanno inciso nella ristrutturazione del ruolo dell’apparato pubblico sono stati essenzialmente: l’enorme peso del debito pubblico che nel 1990 supera il prodotto interno lordo fino ad arrivare nel 1992 a raggiungere il 122% , “il meccanismo di crescita ipertrofica dello Stato - Provvidenza e dello Stato - imprenditore che palesò gravi disfunzioni ed inefficienze” e il cambiamento della composizione qualitativa e quantitativa della domanda dei bisogni espressi dai cittadini, causa e conseguenza di uno sconvolgente cambiamento sociale. “Si tentarono allora politiche di rientro della spesa pubblica accumulata e di risanamento delle singole realtà in essa conferenti, ma mentre gli altri paesi si dirigevano verso uno snellimento dell’apparato pubblico, in Italia si tentò di combinare la conservazione della presenza pubblica nella gestione di

1

Tratto da L.Anselmi “ L’Azienda Comune - principi e metodologie economiche per gli Enti

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molti servizi con un tentativo di riqualificazione delle singole amministrazioni eroganti.”(2)

In sostanza lo Stato si rivela incapace di rispondere alle esigenze espresse dagli italiani e si rende necessaria una riforma che rimedi a questa inefficacia. La soluzione come vedremo sarà delegata, attraverso il principio di sussidiarietà e di devoluzione dei poteri agli Enti locali che si renderanno determinanti protagonisti di questo processo di riforma.

“ La situazione è gravissima, ma non è irreversibile” scriveva il giurista Massimo Severo Giannini, Ministro della Funzione pubblica nel Governo Cossiga, nel “Rapporto

sui principali problemi dell’Amministrazione dello Stato” , presentato in Parlamento

nel novembre 1979. E’ interessante notare come questo rapporto contenesse già le linee di azione che si sarebbero delineate nella produzione normativa che interesserà l’Amministrazione pubblica a partire dagli anni Novanta, ben undici anni dopo(3).

Dal rapporto Giannini scaturiscono una quindicina di commissioni composte da vertici amministrativi , esperti e docenti universitari che tentano di fornire una chiave per il riassetto, spesso promuovendo proposte già strutturate in articoli normativi(4). Il lavoro va avanti ma dobbiamo attendere il 1990 perché si faccia un passo concreto verso la riforma.

Per affrontare il tema del processo di riforma nella Pubblica Amministrazione verranno usate due prospettive d’indagine per fornire un più ampio spettro d’analisi:

• una storico- economica, con la quale verrà introdotto il tema del cambiamento analizzando le cause economiche e sociali della crisi con particolare riferimento al modificarsi del ruolo dello Stato,

2

Tratto da L.Anselmi “Il processo di trasformazione della pubblica amministrazione” Giappichelli Editore, Torino, 1995 op. cit. pp. 5-7.

3

Nella relazione è costante il richiamo all’efficienza, tanto che le amministrazioni pubbliche sono definite “aziende di attività terziarie” e per realizzare tale processo di riforma l’allora Ministro Giannini delineava la necessità di uno “sforzo di modernizzazione e

razionalizzazione” dell’azione amministrativa attraverso il rilancio non solo degli uffici di organizzazione ma anche del sistema dei controlli informativi, puntando sull’efficacia affidata alla Corte dei conti e dei sistemi informatici enfatizzando il ruolo dell’informatica, per non rendere la Pubblica amministrazione dipendente dai fornitori esterni.

Viene infine rilanciata l’ipotesi della qualifica funzionale prospettando la privatizzazione del rapporto di lavoro nei confronti di tutti i lavoratori dipendenti “ non collegati con l’esercizio d i una potestà pubblica”.

In concreto si invoca l’approvazione di una riforma che preveda una ristrutturazione del rapporto Stato – Regioni funzionale al miglior coordinamento e decentramento, e ad una riforma della dirigenza , ridotta di numero e investita di maggiori capacità decisionali.

4

Tratto da F.Bonino “Storia dell’ Amministrazione italiana dal 1860 ad oggi” 2004 .

(7)

• l’altra, economico -aziendale, sarà invece volta a indagare l’evoluzione di una particolare realtà della Amministrazione pubblica, gli Enti locali e la loro sfera d’azione alla luce della normativa che si è affermata a partire dalla L.142/90.

Quello che più interessa questo lavoro è capire qual’era la loro funzione ne l passato, quella che è definita recentemente e quale prospettiva si delinea per il futuro, soprattutto per il comparto degli EELL, veri protagonisti della riforma.

Il primo capitolo ha per oggetto il ricostruire le cause che hanno determinato l’aumento vertiginoso del debito pubblico, ponendo in luce il raggio di azione dello Stato: dal suo ruolo di imprenditore al suo ruolo di promotore in prima linea di una politica assistenzialistica.

I fallimenti che si registrarono nei due indirizzi offrono lo spunto per introdurre la conclusione che nonostante i due atteggiamenti fossero stati obbligati nel primo caso dal risolvere il divario tra industrializzazione, esigenze finanziarie e impiego del risparmio disponibile e nel secondo caso dall’assicurare una assistenza generalizzata soprattutto verso le fasce sociali più deboli, per colpa di una serie di fattori quali: la mancanza di azioni congiunte inserite in un quadro di lungo periodo, per la preferenza di trasferimenti monetari all’erogazione di servizi, per l’aver trascurato i principi aziendali di economicità, per colpa dei complessi sistemi di burocrazia e per la mancanza di flessibilità nell’offerta dei servizi, il collasso finanziario è stato inevitabile. Nasce così la necessità di riformare lo Stato a partire da un confronto con le diverse linee di tendenza che cominciano ad affermarsi negli anni Ottanta, ispirate al neo-liberismo: il new public management inglese e il reinventig governament statunitense. Nessuna di queste due linee viene interamente presa a modello ma certo è che viene offerta la chiave per il cambiamento, il paradigma della public governance . Non possiamo dimenticare inoltre l’influenza decisiva del Trattato CE che attraverso le norme di stampo neo liberiste che lo compongono ha imposto una serie di vincoli a cui lo Stato italiano, come del resto gli altri stati comunitari, hanno dovuto attenersi e che ha indirizzato la loro politica verso le quattro libertà (persone,capitali, merci e servizi), il tetto massimo del deficit al 3% rispetto al Pil, la trasformazione in società di capitali per gli istituti di rilevanza economica… che hanno determinato un confronto tra le politiche degli stati per trovare una soluzione al generale rinnovo che le ha investite.

Emergono così le nuove direzioni del cambiamento attraverso l’affermarsi del principio di sussidiarietà e il conseguente decentramento amministrativo e il federalismo fiscale.

(8)

Nel secondo capitolo verrà messo il luce il comparto degli Enti locali nell’ottica delle più recenti riforme a partire dalla L.142/90, in chiave economica per evidenziare gli aspetti di evoluzione che hanno determinato un generale rinnovo dell’attività amministrativa a partire dall’affermarsi del principio di trasparenza, di sussidiarietà (nel quale si inserisce anche la ripartizione delle funzioni delegate agli Enti locali dallo Stato centrale), del diritto all’informazione, del diritto all’accesso ai documenti amministrativi, ma che ha delineato anche la possibilità, in materia di servizi pubblici locali, di ricorso alla loro esternalizzazione sulla base di decisioni manageriali di make

or buy. Questo in linea con la necessità di migliorare l’efficienza pubblica e rispondere

nel miglior modo possibile alle esigenze dei cittadini devolvendo poteri ed eliminando quindi le eccessive intermediazioni politiche per le attività di ambito locale.

Il terzo capitolo ha per oggetto la riforma nelle realtà degli Enti locali nel merito dell’importante questione relativa all’evoluzione dei sistemi di programmazione, rendicontazione e controllo.

Partendo dall’analisi dell’Osservatorio della finanza e della contabilità degli Enti locali “per promuovere l’applicazione dei principi contabili e la congruità degli strumenti applicativi”, si arriva nel cuore della riforma attraverso l’analisi dei documenti di previsione fino al sistema di contabilità economico patrimoniale introdotto con il D.lgs 77/95.

L’esposizione prosegue quindi con l’argomento relativo alla fase di rendicontazione, e ai documenti in essa contenuti per terminare con l’argomento dei controlli esterni ed interni alla luce delle più recenti riforme legislative.

Il quarto ed ultimo capitolo ha avuto per oggetto un analisi innovativa nell’ambito del controllo di gestione che delinea l’impronta verso una aziendalizzazione degli Enti locali attraverso l’analisi delle performance finanziarie, economiche e patrimoniali relative agli anni 2001-2005, effettuata per la Provincia di Livorno nell’ambito di un progetto di tirocinio. Tale valutazione è scaturita de un set di indicatori strategici, adottati in ambito sperimentale dalla Corte dei conti sezione regionale –Toscana per l’individuazione degli Enti da controllare ed è stata indirizzata alla implementazione del sistema di programmazione, controllo e valutazione della Provincia di Livorno con riferimento alle risultanze dei Rendiconto della gestione e dei documenti programmatici di tipo finanziari.

L’analisi ottenuta è stata ricavata utilizzando: in prima istanza gli indicatori individuati dalla Corte dei conti nell’ambito di un progetto volto a individuare le

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criticità e i punti di forza di tutti gli Enti locali toscani, in più, dagli indicatori relativi alle dieci province toscane per gli anni 2001-2003 che sono stati la seconda base da cui è stata elaborata una relazione finale corredata di grafici e trend che ha permesso di mettere in luce la situazione dell’Ente in questione.

I parametri così individuati sono stati successivamente integrati da altri indicatori diretti ad approfondire altre dimensioni ritenute sensibili rispetto agli andamenti economici, finanziari e patrimoniali dell’Ente. Tra di essi sono stati utilizzati anche indicatori in uso nelle agenzie di rating per valutare la capacità di indebitamento.

Questo ultimo capitolo, racchiude in sostanza, gli sforzi che all’interno delle pubbliche amministrazioni si stanno facendo per migliorare la capacità di valutazione e ridurre così rischi di cattiva gestione.

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Capitolo I

I fattori di spinta al cambiamento del ruolo dello Stato italiano

Sommario: 1.Il debito pubblico cresce: un profilo storico- economico. -2. Lo Stato assistenzialista -3. Lo Stato imprenditore .- 4. Il ridimensionamento dello Stato imprenditore. – 5. Dalle teorie assistenzialistiche a quelle neo liberiste.- 6. La ricerca di un nuovo ruolo. – 7.- Reinventing governament, new public management e public governance.

1.1 Il debito pubblico cresce : un profilo storico- economico.

A partire dagli anni Settanta, si presentarono forti cambiamenti nell’economia mondiale che generano un intensificarsi di politiche socio-assistenziali soprattutto in Italia e che portano ad un eccessivo indebitamento da parte delle amministrazioni pubbliche dovuto in particolar modo alle infauste crisi che si verificarono e all’incapacità da parte dei governanti di attuare strategie di lungo periodo in grado di risanare i conti pubblici e offrire servizi adeguati.

Alla fine degli anni Sessanta negli Stati Uniti, a causa dell’eno rme dispendio di risorse impiegate per sostenere la Guerra del Vietnam si venne a determinare un eccessivo deficit nella bilancia commerciale e per non ricorrere ad una svalutazione del dollaro, l’Amministrazione americana decise nel 1971 di uscire dal “go ld standard exchange” determinando una forte ondata di sfiducia in tutti i mercati europei. Il gold standard exchange, istituito con gli accordi di Bretton Woods nel 1944, stabiliva il fondamento della moneta nordamericana per la stabilità monetaria internazionale, prevedendo la conversione in oro della sola valuta statunitense e un sistema di cambi fissi, cercando così di ridare fiducia e crescita ai mercati internazionali usciti dalla seconda guerra mondiale(5).

A seguito della fine di tali accordi le economie dei paesi più sviluppati che avevano aderito a tale sistema sperimentarono un’ondata di fluttuazioni nei cambi,causa e conseguenza di pesanti manovre speculative e determinandone anche una incertezza

5

T.Fanfani “Scelte politiche e fatti economici dal secondo dopo guerra ai nostri giorni: 50 anni di storia

(11)

sul loro valore futuro che causò pesanti ripercussioni sulle economie nazionali. Inoltre a seguito della politica americana (6) di appoggio allo Stato di Israele il quale fu protagonista della guerra dei sei giorni contro l’Egitto (1967) e del Kippur contro la Siria (1973) per l’espansione dei suoi territori, si determinò nel 1973 il primo shock petrolifero quando cioè l’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Country ) quadruplicò i prezzi di petrolio al barile(7) e attuò la sospensione della fornitura di petrolio di alcuni giorni seguito da una fornitura a singhiozzo. Il 1973 fu denominato “l’anno delle sette piaghe”(8).

Le economie mondiali subirono conseguenze disastrose, soprattutto i paesi come l’Italia che erano fortemente dipendenti dal petrolio data la scarsità di risorse energetiche interne, sperimentarono il flagello della stagflazione, ovvero forte inflazione accompagnata da un aumento della disoccupazione,fenomeno nuovo agli occhi degli economisti dell’epoca che pensavano che disoccupazione e inflazione nel breve periodo seguissero la relazione di Phillips (9).Nel nostro paese i salari seguirono l’andamento dell’inflazione, venivano in gergo indicizzati, e gli imprenditori ricaricavano l’aumento salariale, sui prezzi finali dei prodotti, che divenivano così meno competitivi nel contesto nazionale e aumentando sempre più la spinta inflazionistica . Le autorità monetarie tentarono di resistere agli attacchi speculativi sulla lira e di arginare gli effetti dell’inflazione operando sui tassi e attuando manovre di restrizione del credito.Per quanto riguarda la disoccupazione, in Italia, con le politiche di contenimento attuate grazie ad una massiccia espansione della spesa

6 si veda in proposito J.Perkins “Confessioni di un sicario dell’economia” 2004 p.117-138. L’economista

americano Perkins analizza alla luce delle sue conoscenze ed esperienze professionali la politica estera statunitense dal 1960 ai giorni nostri.Egli sostiene che “nell’ottobre 1973 il presidente dell’Egitto, Sadat, premette su re Faisal dell’Arabia Saudita perché facesse pagare agli USA la loro complicità con Israele, impiegando quella che Sadat definiva “l’arma del petrolio”. Il 16 Ottobre l’Iran e i cinque stati del Golfo Arabo , tra cui l’Arabia Saudita, annunciarono un aumento del 70% del prezzo del petrolio.I ministri del petrolio arabi si riunirono a Kuwait City per discutere ulteriori mosse. Il rappresentante iracheno era particolarmente deciso a prendere di mira gli Stati Uniti. Esortò gli altri delegati a nazionalizzare le imprese americane nel mondo arabo a imporre un embargo petrolifero totale contro gli Stati Uniti e tutti gli altri paesi “amici di Israele” e di ritirare i depositi arabi da ogni banca americana.Tuttavia prevalse un piano più moderato di attacco attraverso un limitato embargo che sarebbe iniziato con un taglio del 5% seguito da un ulteriore taglio del 5% mensile fino al raggiungimento dei loro obiettivi politici.Il 19 Ottobre il Presidente Nixon chiese al Congresso Americano aiuti per Israele per un valore paria a 2,2 miliardi di dollari.Il giorno seguente i paesi arabi imposero un embargo totale”. Per ulteriori

approfondimenti si veda S.Schneider “ The oil price revolution” J.Hophkins University Press, Baltimora, 1983; T.W.Lippman “Inside the mirage:America’s fragile Partnership with Saudi Arabia” Westview Press,2004 pp.155-159.

7

Nel 1973 il prezzo di un barile passava da 2,70 $ a 9,76. Dopo il secondo shock petrolifero nel 1981 salirà a 32,50 $ per poi ristabilizzarsi nel 1986 a 10 $ al barile.

8

Cfr..P.A. Samuelson-W.D. Nordhaus: “Economics” ed it. “Economia” 12°ediz., Bologna 1992, pag 91

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pubblica, gli effetti della crisi furono attenuate almeno nel breve periodo, ma come già accennato, a spese del aumento del debito pubblico(10) e non essendo ancorate ad un programma strategico di lungo periodo si rivelarono meno efficaci del previsto. I governi si prefissero la priorità di salvaguardia dell’occupazione attraverso una serie di salvataggi delle aziende in crisi o attraverso l’adozione di misure a sostegno indiretto come la fiscalizzazione degli oneri sociali, cercando di garantire continuità ad apparati produttivi che non riuscivano a reggere con la competenza internazionale.

Le risposte più significative dei governi furono(11) : “l’attività della GEPI che rappresentava l’ampliamento massiccio dell’intervento pubblico nelle aziende in crisi, la legge per il rilancio degli investimenti varata nel 197212”, la politica sanitaria ed il blocco degli affitti.

Per quanto riguarda il sostegno alle aziende, soprattutto quelle a partecipazione pubblica attraverso nuovi investimenti, essi mostravano una tendenza inversa rispetto agli investimenti privati che invece registrarono una forte caduta .

Inoltre di fronte al secondo shock petrolifero del 1979 mentre le imprese private, laddove non venivano aiutate, erano costrette a diminuire la propria attività e quindi a licenziare, le aziende a partecipazione pubblica assumevano e aumentavano la produzione a prezzo di un crescente indebitamento che contribuiva da una parte ad aumentare gli oneri finanziari per tutte le aziende, e dall’altro contribuiva a far crescere il debito pubblico per l’aumentato interesse sui titoli.

Per contro i consumi sociali, ovvero la domanda interna, aume ntava anche a seguito delle politiche di sostegno dell’allora governo di coalizione dove confluivano anche forza comuniste che avevano sostenuto a gran voce la difesa dei redditi.

1.2 Lo Stato assistenzialista

Nel corso degli anni Settanta lo Stato sociale italiano mise in luce i suoi limiti a causa di complessi fattori legati sia alle difficoltà di far fronte ai crescenti costi che generava, sia ai profondi mutamenti in atto nella società, nella famiglia e nei modelli di vita predominanti.

10

si pensi che il rapporto debito /Pil , che nel 1969 era pari al 33% , alla fine degli anni ’70 superò il 60%.

11

Cfr. T.Fanfani “Scelte politiche e fatti economici dal secondo dopo guerra ai nostri giorni: 50 anni di

storia italiana”Giappichelli, Torino, 1998. op. cit. pag. 192. 12

L. n. 464 del 04/08/72, Modifiche e integrazioni al L .n° 1115 del 05/11/68 in materia d’integrazioni

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Per capire i costi che gravavano sui bilanci pubblici, è utile indagare quale fosse il grado di assistenzialismo che lo Stato offriva intorno agli anni della crisi.

Per quanto riguarda la previdenza l’Inail era l’istituto che dal 1933 si occupava di gestire le provvidenze per la disoccupazione e le pensioni, sia di invalidità che di vecchiaia.

In particolare, il sistema pensionistico italiano seguì una tendenza evolutiva che non mancò di evidenziare alcune disfunzioni e finì per assumere una impostazione poco trasparente, consentendo a vari gruppi politici al governo di gestire le risorse finanziarie a disposizione in modo discrezionale.

Un esempio fu dato dall’espansione incontrollata delle pensioni di invalidità che furono usate come strumento per combattere la disoccupazione(13).

Del resto questo era un atteggiamento che confermava la tendenza generale della politica italiana di allora: la preferenza a trasferire flussi monetari più che l’erogazione di servizi/ prestazioni mirate ai casi specifici.

Nel 1968 si ebbero miglioramenti previdenziali dai quali emerse non solo il diritto ad una pensione parametrata al costo della vita ma anche adeguata all’ultimo stipendio percepito.Tuttavia tali provvedimenti non furono supportati da specifiche entrate che ne garantissero la copertura, anzi, nessun gruppo di riferimento se ne faceva effettivamente carico e ne sosteneva l’espansione(14).

Nel corso degli anni Settanta il sistema così delineato proseguì nel suo sentiero di crescita per stadi, invocato da sindacati (15) e dalle proteste studentesche. Nel frattempo però la classe dirigente si dimostrò inadeguata nel rapportare la domanda sociale alla disponibilità finanziaria,e nel bilanciare trasferimenti e servizi sociali e interventi pubblici e privati. Il settore non profit fu uno di quelli che rimase soffocato fino agli anni Novanta, nonostante l’importanza del ruolo che esso giochi in tutte le società.

Una grande incapacità gestionale fu dimostrata in particolar modo nel settore della sanità. A partire dagli anni Settanta lo Stato, a fronte delle forti disuguaglianze nei redditi tra le diverse aree geografiche italiane (soprattutto tra nord e sud) e a seguito dei

13 Girotti “Welfare State. Storia, modelli e critica” Carocci, Roma, 1998 op.cit. pp. 277-278.

14 A.Ciocia “Il sistema della previdenza e le sue riforme ” in Bartoli “Lo Stato sociale in Italia” Rapporto

Iridiss – Cnr 1995 cit. pp. 268-270.

15

Nell’autunno d el 1969 conosciuto come “ autunno caldo” si manifestarono forti agitazioni sindacali e scioperi su tutto il territori nazionale.In alcune manifestazioni la polizia represse tali rivendicazioni dei lavoratori non senza feriti. Per approfondimenti sul tema, si veda Castronovo,”Storia economica d’Italia

dall’Ottocento ai nostri giorni” Einaudi, Torino, 1995 e Graziani ”Lo sviluppo dell’economia italiana”Bollati Boringhieri , Torino, 1998.

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cambiamenti nei consumi e negli stili di vita che generarono grandi problematiche sociali, decise di estendere ulteriormente la sua azione sostenendo anche la scuola pubblica, i servizi pubblici attraverso l’estensione dell’azione statale nelle imprese di pubblica utilità e introducendo nel 1978 con la L.833/78 il “Sistema sanitario nazionale”(16), con l’intento di assicurare maggiori garanzie e qualità nella tutela generalizzata, riformando radicalmente la forma di accesso alle prestazioni mediche gratuite dato che in precedenza vi potevano accedere solo i lavoratori e i loro familiari.

Il sistema risultò però di difficile implementazione e finì per non attivare una reale azione redistributiva e finì per incappare nelle debolezze a cui cercava di porre rimedio.

Mancò infatti di attuare la promozione di una riorganizzazione territoriale dell’intervento sanitario, la realizzazione di un’azione di prevenzione e l’esigenza di promuovere integrazioni adeguate tra interventi sociali e sanitari e vi fu inoltre un cedimento alla lottizzazione dei partiti che occuparono secondo logiche spartitorie i luoghi decisionali delle U.S.L..

La conseguenza fu l’espansione incontrollata della domanda di sanità alla quale si fece corrispondere un pari aumento dell’offerta senza badare ai chiari vincoli di bilancio(17).

Determinarono una parziale sconfitta dell’ welfare non solo i costi della gestione che raggiunsero livelli allarmanti, ma anche per la burocrazia adottata per assicurare l’imparzialità delle prestazioni e per la rigidità nell’organizzazione dei servizi e soprattutto con riguardo a quest’ultimo fattore il nodo era costituito dalla convinzione che fosse “ideale” un modello che assicurasse l’uguaglianza delle prestazioni commisurate a standard predefiniti a livello centrale.

Inoltre sia il sistema previdenziale che quello sanitario passarono brevemente da un modello di assicurazione sociale ad uno di “sicurezza sociale” mostrando una forma di paternalismo che però finì per favorire un modello sbilanciato dalla preferenza a trasferimenti monetari più che dall’erogazioni di servizi, come già menzionato, senza contare che tali trasferimenti venivano corrisposti in misura maggiore ai ceti medi più che alla classe operaia come risulta dal rapporto Iridiss- Cnr 1995 intitolato “Lo sociale in Italia ”.

16

Per approfondimenti si veda: Piperno “la politica sanitaria in Italia: tra comunità e cambiamento ” Angeli, Milano, 1987.

17

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I mutamenti economici e sociali che si verificarono nel corso degli anni Settanta evidenziarono in modo molto marcato i limiti di questo sistema, incapace di gestire le risorse in modo adeguato, distratto rispetto ai reali processi in atto, molto burocratizzato e poco flessibile nel rispondere adeguatamente alle reali necessità della popolazione.

L’espansione incontrollata di prestazioni/trasferimenti in assenza di criteri perequativi fu ulteriormente aggravata dalle enormi risorse finanziarie che assorbirono il comparto dei finanziamenti verso le aziende pubbliche e a partecipazione pubblica.Vagliando quest’ultimo aspetto con riferimento agli anni Settanta – Ottanta è possibile avere un’idea del perché agli inizi degli anni Novanta l’indebitamento netto dello Stato italiano raggiunse circa il 130% del Pil e del perché l’evoluzione della finanza pubblica avrebbe finito per essere pesantemente condizionata dagli interessi sul debito(18).Infatti l’espansione incontrollata della spesa pubblica unita a una non proporzionale espansione del gettito fiscale che ne avrebbe garantito la copertura, determinò un accumulo di disavanzi nei conti pubblici e un contestuale aumento dello stock di debito pubblico.

Ma l’origine di tutti i mali sta soprattutto nel fatto che mancò nei governi la priorità di una visione di lungo periodo delle riforme attuate in relazione alle strategie che si sarebbero volute raggiungere e di elaborare così un “piano generale di sviluppo”.

La crisi che si verificò nel 1992 però, fu il frutto di una crisi latente durata circa vent’anni.

Infatti con le agitazioni sindacali dell’autunno caldo del 1969 e le manifestazioni studentesche per il sistema economico italiano si aprì un clima di incertezze, difficoltà e contrasti che fu ulteriormente aggravato dall’uscita dal sistema monetario internazionale nel 1971 e dagli shock petroliferi che si verificarono nel 1973 e nel 1979.

Di fronte a questa situazione era inevitabile che si manifestasse un aumento della domanda di servizi alle quali le amministrazioni faticavano a dare risposta.

Alla crisi finanziaria si accompagnò inoltre quella che il sociologo Achille Ardirò definì “crisi di governabilità” termine con il quale egli si intendeva riferire all’incapacità del sistema politico-amministrativo di gestire il sistema di sicurezza sociale da esso creato a causa della sua complessiva disorganicità(19).

18

Bosi, “Corso di scienze delle finanze” Mulino, Bologna, 1996 pp. 34-36

19

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Si acuì la coscienza critica della popolazione verso il sistema di welfare che cominciò a non essere più credibile negli obiettivi, soprattutto quello dell’uguaglianza.

Niente fu più esplicativo della frase di Don Milani in Lettera a una professoressa del 1967 in cui afferma “Niente è più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali”.

Il risultato fu la consapevolezza tra tutti i cittadini che la protezione sociale veniva sì assicurata a fasce di popolazione sempre più ampie , ma anche che in esse rient ravano soprattutto persone culturalmente ed economicamente più solide che si dimostravano scaltri ad accedere ai servizi e alle risorse erogate , dato che le amministrazioni erano intrise di complessi e articolati sistemi burocratici la cui conoscenza non era a portata delle persone che per le loro limitazioni dovevano essere quelle più protette.

Da qui si generarono rifiuti nei confronti della burocrazia adottata e la percezione che soprattutto nei servizi pubblici assistenziali “il pubblico era a servizio del funzionario” e non viceversa.

1.3 Lo Stato imprenditore

Contestualmente all’instaurarsi di una politica di welfare state si afferma sempre più in Italia il ruolo di Stato imprenditore, aumentando infatti il numero dei settori da esso controllato sia direttamente che indirettamente.

Secondo dati OCSE se si considerano le imprese pubbliche in termini sia quantitativi che di ramificazione settoriale, l’Italia occupa una posizione preminente fino al 1992(20).

Da un analisi storica di questo comparto dell’economia italiana, ovvero quello delle aziende pubbliche, non ci sono dubbi circa il fatto che siano state le protagoniste di maggior peso del miracolo economico italiano intorno agli anni 1958-1962 quando il Pil cresceva a ritmi sostenuti ( nel 1961 raggiunse l’8,6%) trainato dalla crescita della domanda interna di beni e servizi. In questo periodo si determinò un forte processo di sviluppo di modernizzazione socio-economico che mai più si è ripetuto.

L’avvento di un mercato di massa per i beni essenziali al consumo determinò inoltre la creazione di grandi imprese per poter sfruttare appieno le economie di scala e forzare limiti di mercato che sembravano invalicabili.

20

A.Goldstain, G.Nicoletti “Le privatizzazioni in Italia 1992 -1995: motivi, metodi e risultati” tratto da A.Menorchio “La finanza pubblica italiana dopo la svolta del 1992”. Il mulino,Bologna ,1996 op. cit. pag 185.

(17)

In questo scenario si consolidò l’azione dello Stato, sull’onda dei successi ottenuti in campo petrolchimico, meccanico e siderurgico attraverso l’IRI(21) costituì nuove finanziarie come la Finmeccanica (1948), la Finelettrica (1952), la Fincantieri (1958), il Fondo per il finanziamento all’Industria Meccanica (FIM, 1962), ma soprattutto con la nascita dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI, 1953) al quale nel 1957 viene affidato il monopolio per la ricerca di idrocarburi in Italia(22).

Le società finanziarie che si crearono in aggiunta a quelle già esistenti come la Stet (1933) per il controllo del settore telefonico,la Finmare (1936)per il controllo del settore armatoriale, la Finsider (1937) per il controllo del settore siderurgico, divenivano “sub holding” attraverso le quali l’IRI esercitava un controllo diretto sui settori che esse finanziavano.

Inoltre negli anni Sessanta ampliò notevolmente le sue capacità industriali con la creazione del nuovo stabilimento siderurgico a Taranto e della fabbrica di automobili nei pressi di Napoli, mentre realizzava la rete autostradale e il sistema di teleselezione nazionale.

21

L’Iri, istituto per la ricostruzione industriale, fu costituito nel gennaio 1933 con lo scopo di scongiurare la crisi dopo il crollo della borsa di Wall street del 1929, affiancandolo all’IMI, istituto mobiliare italiano creato nel dicembre 1931. Le conseguenze dei fragili assetti del rapporto tra banca e imprese risultanti nelle banche miste si erano manifestate in tutta la sua interezza.Tuttavia si ponevano due urgenti questioni: da un lato garantire una opportuna conduzione di imprese centrali per la produzione di ricchezza della nazione,quali le industrie elettriche, chimiche…dall’altro occorreva liberare da “ogni imbarazzo” la Banca d’Italia per non comprometterne il ruolo istituzionale.Per quanto riguarda l’IMI la funzione di concedere prestiti fino a dieci anni e assumere partecipazioni azionarie delle imprese garantendone l’acquisto con obbligazioni dello Stato. La natura dei soci però fece sì che tale istituto operasse con eccessiva prudenza giustificata dalla paura di un eventuale insuccesso che avrebbe generato sfiducia nell’apparato creditizio nazionale. L’IRI invece aveva due funzioni, una era quella di affiancare l’IMI e un’altra, denominata Sezione Smobilizzi che aveva il compito di acquistare la azioni detenute dalle banche in aziende private che erano sull’orlo della crisi di rimetterle in sesto e di rivenderle ai privati.Si avviò con urgenza un processo che pose fine all’esperienza delle banche miste (le quali avevano la funzione non solo di erogare prestiti ordinari ma anche alle imprese private in cambio di azioni) dato che molti istituti bancari in questo periodo di crisi rischiarono il fallimento.

Successivamente nel 1936 l’IRI fu trasformato in Ente permanente con non solo “il compito di provvedere con criteri unitari all’efficiente gestione delle partecipazioni di sua q1 pertinenza ”, ma anche nelle vesti di vero e proprio strumento di politica economica, di compiere tutte le operazioni finanziarie con aziende nelle quali lo Stato o l’azienda stessa detenessero partecipazioni azionarie e con Enti di diritto pubblico fatte salve le approvazioni delle operazioni finanziarie più importanti da parte del Capo del governo o dal Ministro delle Finanze.

Una volta trasformato in Ente permanente iniziò così la scalata dell’IRI ai settori chiave dell’economia italiana quali il meccanico, il siderurgico e quello chimico.Caratteristica che sarà mantenuta fino all’anno del suo scioglimento.

22

(18)

L’IRI finì con l’assumere una fisionomia polisettoriale come del resto avvenne per l’ENI. L’Ente Nazionale Idrocarburi, istituita attraverso la L.136/1953 , era un ente con personalità giuridica di diritto pubblica che aveva il compito di “promuovere ed attuare iniziative di interesse nazionale nel campo degli idrocarburi e dei vapori naturali”(art 1).Essa aveva vari strumenti operativi che spaziavano dall’acquisto di pacchetti azionari di maggioranza o minoranza di società già esistenti, ma anche alla loro cessione a giudizio insindacabile dell’Ente stesso, per riorganizzare le imprese controllate anche per settori al fine di assicurare l’efficiente controllo economico(23).

Al di sotto di questa grande impresa in un asse di integrazione verticale operavano la Agip mineraria che procurava le materie prime, la Snam che le trasporta, l’Anic che le trasforma e l’Agip che le distribuisce.

La sua azione si estendeva al controllo dell’intero settore petrolchimico e acquisendo nel 1968 il controllo della Montedison dimostrava anche di assumere il ruolo di prima impresa chimica all’interno del paese.

In presenza di questi due colossi che controllavano buona parte dell’economia italiana, al fine di rispondere alla necessità di “coordinamento economico- finanziario generale ” e per consolidare il sistema e renderlo del tutto indipendente dal condizionamento dei privati fu istituito nel 1956 il “Ministero delle partecipazioni statali ”(24).

Tale Ministero assume così il controllo di tutte le imprese a partecipazione diretta e indiretta, ma soprattutto non distingueva tra partecipazioni di maggioranza o minoranza e sindacate e non.

Nel 1962 sul preesistente F.I.M. , Fondo Italiano Mobiliare, viene costituito l’Ente autonomo di gestione per le partecipazioni del fondo di finanziamento dell’industria meccanica, l’Efim. Successivamente, come del resto era avvenuto per l’Iri, assunse una fisionomia polisettoriale, espandendosi in altri comparti diversi dall’originario come quello dell’alluminio, del vetro e dell’alimentare.

Ad esse fu affiancata la GEPI con la L.184/71 istituita per effettuare salvataggi nei confronti delle imprese colpite da crisi congiunturali.

23

L.Anselmi “Le partecipazioni statali oggi ” Giappichelli editore,Pisa 1994 pp.12-13

24

F.Amatori, A.Colli “Impresa e industria in Italia” Marsilio, Venezia, 1999 cit. pag 281-282.

Prima della L.1589/1956 che istituiva il Ministero PPSS le decisioni relative all’indirizzo generale dell’attività dell’IRI era indirizzato, secondo la riforma dello Statuto del 1948, dall’intero Consiglio dei Ministri, mentre per l’Eni era stato costituito un apposito comitato composto dal Ministro delle Finanze, dal ministro del Tesoro e dal Ministro dell’Industria e del Commercio in qualità di presidente.

(19)

Successivamente, attraverso la L.784/1980 e la L.684/1982 la GEPI fu autorizzata a “finanziare con l’assunzione anche di partecipazioni azionarie, operazioni di ristrutturazione e di riconversione industriale”.

Per avere un’idea di quanto fosse grande l’azione dello Stato in campo economico si pensi che “nel 1991 ,tra le maggiori imprese italiane in termini di fatturato, 12 delle prime 20 e più di un terzo delle prime cinquanta erano di proprietà statale.Le imprese più grandi operavano nell’energia e nei servizi pubblici, ma il numero di imprese pubbliche e il peso relativo dell’impiego pubblico è significativo anche in altri settori come quelli relativi alla pubblicità e al cinema, editoria (..) alla stessa stregua, gli istituti di credito pubblico intermediano la maggior parte delle risorse finanziarie: le banche pubbliche raccoglievano l’80% dei depositi e fornivano il 90% dei prestiti. Il secondo gruppo assicurativo italiano era inoltre di proprietà pubblica” .(25)

Ma quali erano i livelli di controllo a cui erano sottoposte le imprese pubbliche? Al Ministero delle Partecipazioni statali a cui abbiamo già accennato, vi erano anche il Comitato Interministeriale per la Politica industriale (CIPI), il Comitato interministeriale per la Politica Economica (CIPE) ed il governo, nonché varie commissioni nei due rami del Parlamento e la Corte dei Conti per controlli relativi a questioni amministrative di legittimità.

La struttura del sistema delle partecipazioni statali risultava così appesantita da vari organi, esacerbando i problemi tipici di agenzia delle imprese pubbliche dal sovrapporsi di vari strati decisionali: il livello politico, i dirigenti delle grandi holding e i dirigenti delle filiali operative.

“Molti tra gli amministratori delle tre holding pubbliche erano rappresentanti dei partiti politici che designavano anche gli alti quadri dirigenziali negli Enti pubblici e nelle aziende autonome.Il grado di autonomia delle conglomerate era ulteriormente limitato dall’obbligo di chiedere al governo e parlamento l’approvazione dei rispettivi programmi di sviluppo(26).”

Inoltre il grande nodo di questo sistema era che gli obiettivi non economici ebbero spesso il sopravvento rispetto a considerazione di corretta gestione della risorse: non fu raro che le imprese pubbliche venissero utilizzate in funzione anticiclica per

25

A.Goldstain, G.Nicoletti “Le privatizzazioni in Italia 1992-1995: motivi, metodi e risultati” tratto da A.Menorchio “La finanza pubblica italiana dopo la svolta del 1992”. Il mulino,Bologna ,1996 cit. pag.185.

26

(20)

salvaguardare i livelli occupazionali e imprese private in crisi mentre il livello dei prezzi e le tariffe furono utilizzati per contenere l’inflazione.

Tra il 1974 e il 1991 le imprese pubbliche italiane hanno fatto registrare meno profitti rispetto alle imprese relative private parzialmente a causa dei loro debiti e oneri finanziari crescenti , soprattutto in periodi di forte inflazione e tassi d’interesse elevati (27).

1.4 Il ridimensionamento dello Stato imprenditore

Tuttavia tra la fine degli anni Settanta e lungo il corso degli anni Ottanta, varie commissioni parlamentari portarono alla luce una situazione grave nella gestione delle aziende pubbliche.

Nella Relazione Lombardini (1980) viene individuata una fase a partire dal 1970 in cui “ la funzione ritenuta prevalente era quella della mediazione dei conflitti politici a seguito della crisi della programmazione avvenuta nel nostro paese ed in presenza di una crisi strutturale in alcuni settori”(28).

La soluzione proposta dal Lombardini mirava a spostare l’aumento occupazionale al settore dei servizi sociali che necessitava più risorse rispetto al settore industriale a seguito dei cambiamenti che si andavano delineando in questo settore e come già analizzato in precedenza.

” Spettava alla programmazione, ed in particolare al maggior sviluppo di vecchi e nuovi servizi sociali che essa avrebbe dovuto rendere possibile, garantire quell’assorbimento di manodopera che non poteva essere realizzato ad opera del settore industriale il quale, in conseguenza anche della crisi energetica, necessit ava di profonde ristrutturazioni”(29) .

Le profonde ristrutturazione però vennero alla luce in ritardo anche rispetto agli altri Stati europei che a grandi linee avevano seguito lo stesso percorso di politica economica dello Stato italiano, anche se con intensità diversa.

“ L’antagonismo formalmente operante tra regolamentatore e regolamentato, che si esprime attraverso la contrapposizione di soggettività giuridiche dell’ente regolamentatore e dell’impresa produttrice, per lo più di natura privatistica non si è concretamente dimostrato idoneo a vincolare ad obiettivi di efficienza le aziende in

27

Ibid pag. 196

28

L.Anselmi “Le partecipazioni statali oggi.” Giappichelli editore, Torino 1994 cit. pag 107-108

29

(21)

mano pubblica generando sovente un ambito artificialmente protetto dalla selezione concorrenziale e alieno ai valori dell’imprenditorialità.”(30)

Tale ridimensionamento, come del resto è già stato accennato,non è stato diretto solo al risanamento della finanza pubblica, ma anche ad un recupero dell’efficienza da parte di tali aziende e la privatizzazione diventa perciò ” ..la via che segue il rientro dello stato nel suo alveo naturale;dall’esterno dell’agone imprenditoriale lo Stato è in grado di assolvere a funzioni di garante delle pari opportunità di accesso al mercato.”(31)

Solo nel 1992 nel contesto di una crisi politica, economica e finanziaria il governo Amato lanc iò questo programma di privatizzazioni con l’obiettivo di vendere banche, compagnie di assicurazioni, imprese industriali e di pubblica utilità.

Si cominciò così con l’abrogazione del Ministero delle Partecipazioni Statali con il Decreto Legge 41/93 nella cui relazione di accompagnamento si spiegava che “le innovazioni legislative introdotte in materia di privatizzazioni avevano profondamente mutato il quadro di riferimento giuridico - istituzionale delle partecipazioni statali”.

Il governo fu incaricato di ripartire le competenze spettanti al Ministero abrogato ai rispettivi Ministeri di competenza e successivamente il Referendum popolare che si tenne il 5 giugno 1993 confermò anche la volontà dei cittadini italiani alla tesi abrogativa così che la gestione delle dismissioni, fu affidata in definitiva al Ministero del Tesoro.

Successivamente si procedette a trasformare in società per azioni l’IRI e l’ENI assoggettandole così alle norme del diritto privato in modo da rendere più agevole i processi di privatizzazione, mentre si ricorse all’immediata liquidazione dell’EFIM i cui debiti avevano assunto carattere persistente e ingestibile.

Il Programma di Riordino che si pose al centro della politica economica attraverso tale processo di privatizzazione fu quello di riorganizzare la presenza pubblica nell’economia in modo tale da raggiungere due macro obiettivi(32):

1. Economico -finanziario, attraverso non solo la riduzione del debito

pubblico, ma anche attraverso la riduzione dell’indebitamento delle holding che in passato avevano fatto largo ricorso allo Stato per l’aumento del fondo di dotazione.

30

A.Heimler, A. Pera “L’efficienza è questione di regole“ in “il sole 24 ore” del 2 Gennaio ‘92

31

L.Talarico “Azienda pubblica e processi di privatizzazione”Giuffrè editore 2002

(22)

2. Economico –politico, per un recupero della competitività del nostro

sistema economico, attraverso il riassetto complessivo della struttura proprietaria delle imprese, no nché favorire oltre che la diffusione dell’azionariato popolare e lo sviluppo del mercato del capitale di rischio, l’internazionalizzazione del sistema economico.

Questo primo programma , avente carattere operativo, si limitava a distinguere le imprese che avrebbero dovuto essere privatizzate nell’imminente periodo e quali no .

Tra le prime figurarono ENEL,INA,Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, STET,AGIP. Entro il 1995 furono privatizzate anche altre banche possedute dall’IRI come l’IMI e l’IRI SME il settore telefonico con SIP e la Nuova Pignone (ex holding ENI).

I maggiori successi registrati a seguito di questa politica furono nell’ambito del risanamento delle finanze, il contribuire all’obbiettivo di convergenza fiscale: direttamente attraverso il riscatto del debito e indirettamente mediante l’aumento di credibilità del governo e i guadagni di efficienza,fattori entrambi capaci di ridurre i tassi di interesse e di consolidare l’avanzo primario nel lungo periodo. Attraverso questo loro impatto sull’economia in generale, le privatizzazioni hanno potuto rendere più agevole il conseguimento dei criteri di convergenza fissati dal trattato di Maastricht.

1.5 Dalle teorie assistenzialistiche a quelle neo-liberiste

Le teorie adottate in precedenza e che promossero il welfar-state devono essere analizzate nel contesto storico in cui vennero applicate. L’assistenzialismo che soprattutto in Italia prevalse dall’immediato secondo dopo guerra fu necessario per garantire “assistenza immediata” ad un paese che doveva essere ricostruito, e se si fossero adottati metodi liberisti i tempi per il raggiungimento di un benessere economico sarebbero stati troppo lunghi e per le condizioni in cui versava la popolazione, infausti. Tuttavia, quando si registrò il boom economico( 1955-1965) dovuto ad un aumento della domanda mondiale di beni e servizi, a cui seguì un decennio di prosperità economica, (con nascita diffusa di imprese, aumento del reddito pro capite, aumento dei consumi…) a quel punto sarebbe stato auspicabile una sua attuazione, ma le crisi che seguirono ne rimandarono l’esecuzione. Dobbiamo attendere la metà degli anni Ottanta perché ciò avvenga con gioia dello stesso Hayek

(23)

che in un’intervista televisiva dell’epoca affermava di essere fiducioso nelle sue teorie e di essere lieto che dopo tanti anni di dimenticanza si rivelasse una sua vittoria sugli avversari.

Secondo Hayek (33) vi sono due tipi di ordine: uno esogeno, creato cioè da forze esterne che appartengono quindi all’ordine della natura, che segue proprie leggi , ed uno endogeno, generato dall’uomo per perseguire scopi precisi.

Non è possibile affermare la supremazia dell’uno sull’altro, o quale sia il migliore perché dipende dal contesto in cui ci si trova, tuttavia se siamo in presenza di un obiettivo “preciso e delimitato”, come ad esempio intervenire su una variabile macroeconomica che a causa di una variazione improvvisa rischia di generare danni al sistema economico, il coordinamento diretto delle attività economiche attraverso un organizzazione è preferibile.

Questo avviene quindi mediante politiche economiche che forzano le leggi naturali del mercato in relazione ad obiettivi che altrimenti nel breve periodo non troverebbero attuazione;

se invece in generale tale ordine coinvolge una pluralità di persone le quali hanno obiettivi precisi diversi , allora è preferibile un ordine esogeno come quello del libero mercato, perché come afferma il primo teorema generale dell’economia del benessere: “ L’equilibrio economico generale a cui tende un sistema in un contesto di concorrenza perfetta ( libero mercato competitivo) è un ottimo paretiano”(34).

L’economia di mercato non pone a nessuno un fine esplicito da seguire, è una struttura in evoluzione continua che richiede il rispetto di regole astratte di comportamento ( Si pensi a quelle che costituiscono i cardini della libera concorrenza: assenza di collusioni, monopoli, abusi di posizione dominanti,aiuti di stato..presenti nel trattato dell’Unione Europea).

Il rispetto di tali presupposti consente la formazione di un’economia di mercato ed è dovuto alla tradizione e morale tipicamente neo- liberista.

Certo è che l’azione dell’amministrazione pubblica, sia essa Stato, Regione, Comune o Provincia, non viene meno, anzi, è tesa a garantire il rispetto di tali regole ed è presente in tutti quei comparti e quei servizi indispensabili, per far sì che vengano assicurati tali servizi nel rispetto dei diritti fondamentali:alla salute, alla dignità umana,

33

Per approfondimenti si veda: B.Jossa “Il neoliberismo: teoria e politica economica” Franco Angeli, Milano, 1994.

F. A. Hayek “La presunzione fatale: gli errori del socialismo ” Rusconi, Milano, 1997 .

34

(24)

all’istruzione e più in generale al benessere della collettività.Lo stesso Friedman, altro illustre economista di rilievo nel contesto internazionale, in uno dei suoi libri più recenti35 indica come “l’indiscriminato interventismo pubblico abbia effetti deleteri sulle basi su cui poggia una società libera, perché interferisce in misura più o meno grave, ma sempre incisiva, sulla libertà degli individui

E quindi sulla libera determinazione del loro spirito d’iniziativa” Anch’egli illustra due strade possibili per risolvere i problemi di una moderna economia industriale: lasciar giocare l’automatismo impersonale del mercato, oppure intervenire autoritariamente dal centro attraverso dei piani(36), ma in questo secondo caso per effetto della necessaria regolamentazione di tutte le attività si finisce per perdere il beneficio che essa comporterebbe.

Infine egli dimostra come contrariamente ad una diffusa credenza l’efficienza media delle “economie di comando” siano di gran lunga inferiori alle efficienze medie delle economie di libertà, ponendo al centro della questione non solo l’efficienza ma anche la libertà come valore supremo.

Possiamo concludere che in un contesto di crisi del settore pubblico, l’inversione di tendenza dimostrata dai vari governi a partire dagli anni Ottanta risentì molto di queste dottrine, tanto come alternativa ad una generale mala gestione imperniata in un processo di burocratizzazione dell’azione amministrativa, priva di un’ottica manageriale caratteristica delle grandi aziende, ma soprattutto per recuperare un’efficienza perduta, attraverso, come già introdotto più volte, un processo di aziendalizzazione.

Certo è che il cambiamento non fu repentino e radicale, anzi, si è cercato di combinare la conservazione della presenza pubblica nella gestione di molti servizi con un tentativo di riqualificazione delle singole amministrazioni eroganti come le municipalizzate, enti e aziende orbitanti nel sistema delle partecipazioni statali seguite dalle riforme delle autonomie locali che hanno però indicato il percorso e le tappe, seppur non organiche e continue, di un processo di aziendalizzazione e privatizzazione. Ma quello che è più importante è che da un sistema di produzione diretta di beni e

servizi caratteristico del sistema di Welfare state, come analizzato in precedenza, il

ruolo dello stato passò a quello di regolatore dei sevizi. Questo modello si sta rafforzando molto in questi ultimi anni e vede lo Stato impegnato soprattutto nel far

35

M.Friedman ”Efficienza economica e libertà”Vallecchi, Firenze, 1962.

36

(25)

rispettare le regole pubbliche in campo economico, e non solo giuridico, riferite al funzionamento del mercato e all’efficacia dei controlli pubblici sul rispetto di tali regole da parte di tutti gli attori economici e sociali.

1.6 La ricerca di un nuovo ruolo

Il cambiamento avvenuto negli ultimi anni è stato necessario per passare da una logica di governament, dove la realtà sociale ed economica era fondata su autorità forti tipici di un sistema istituzionale fondato su una gerarchia di poteri, ad una di

governance, capace di tener conto delle diversità degli interessi per adottare politiche,

indirizzi e scelte capaci di far convergere gli interessi verso soluzioni reciprocamente accettabili (37).

In questo passaggio cambia anche il sistema di relazioni tra la P.A. e l’ambiente esterno. Si passa da un modello in cui la P.A. ha un ruolo centrale rispetto all’insieme di pluralismi economici come associazioni di utenti e di volontariato, movimenti, imprese ed intermediari finanziari, perché attiva e coordina i vari attori del sistema socio-economico in modo tale che gli interventi pubblici e non, possano far fronte alle esigenze di complessità e dinamicità del sistema stesso, ad uno che richiede come funzione primaria quella di disegnare e gestire il complesso network di relazioni tra pubblico, privato e terzo settore, in particolare gestendo i processi di crescita di forme di auto organizzazione della società civile, coordinare strategicamente tale rete e mobilitare risorse da destinare ad essa.

Ma perché nasce questa esigenza di cambiare le logiche di governo? La risposta è complessa, ma per dirla con le parole che il Presidente americano Clinton pronunciò nella sua prima legislatura “il nostro paese ha bisogno di una Pubblica Amministrazione che abbia dimensioni più ridotte e risponda meglio alle esigenze dei cittadini; che costi meno, ma che offra un servizio di qualità migliore; che sottragga più competenze al governo centrale per trasferirle agli stati e alle amministrazioni locali, nonché agli imprenditori del settore privato; che produca meno regolamenti e più incentivi; che abbia più buonsenso e si sforzi maggiormente di creare un terreno comune con la cittadinanza”.

37

(26)

Il cambiamento ancora in atto nelle Amministrazione Pubbliche oltre che da un cambio degli orientamenti del pensiero economico, deriva sostanzialmente dal cambiamento del concetto di mission .”Se prima la missione della funzione pubblica era quella di fornire un servizio che andava a soddisfare, nel rispetto delle procedure previste, un bisogno primario senza andare a sottilizzare molto sulla qualità del servizio preposto al suo soddisfacimento, oggi la missione si completa, nel senso che si concretizza nel fornire servizi in linea con le esigenze qualitative della società proponendo tutte le modifiche procedurali per conseguire tale scopo (38)”.

Quindi si crea la necessità di fornire al cittadino-cliente un servizio qualitativamente elevato al minor costo possibile.

Da qui la necessità di concepire la P.A. un’azienda, e come tale di favorire la dotazione di strumenti di pianificazione e controllo rispondenti alle esigenze di rendere questa grande e complessa struttura, efficace, efficiente ed economica.

Il cambiamento del concetto di mission è da ricercarsi nel confronto.

Infatti ogni processo evolutivo di innovazione nella P.A- come sostiene il Prof. Hinna- è da ricercarsi nel confronto definito come “ enzima dell’innovazione nel settore pubblico come la concorrenza lo è per il settore privato”.

Tale confronto è cominciato con l’abbattimento della commistione tra una cultura di autoreferenzialità e profonda convinzione dell’assoluta diversità rispetto a qualsiasi altra istituzione che per tanto tempo ha regnato in Italia fino a che da un lato l’allarme debito pubblico, dall’altro l’intensificarsi dei legami nell’ambito dell’Unione Europea hanno teso a combattere. Il confronto ha determinato quindi una crescita e una innovazione che non ha precedenti. Se si pensa che in Italia la Pubblica Amministrazione si è sempre e solo preoccupata che non venissero lesi i rapporti tra stato e cittadino assolvendo il ruolo di arbitro anche nella gestione dei rapporti tra privati, il salto è stato grande (39).

Non si era mai posta il problema di controllare i risultati della propria gestione e almeno fino agli Novanta “ il Principe”- come lo definisce lo stesso Hinna- non poteva essere giudicato.

E questo ci fa capire come sia importante, anche in un contesto di recupero della competitività delle imprese italiane, il recupero dell’efficienza amministrativa, dato che

38

L.Hinna “Pubblica Amministrazione: cambiamento di scenario e strumenti di controllo

interno”.Cedam, Padova,2002 pagg. 54-55 39

L.Hinna “Pubblica Amministrazione: cambiamento di scenario e strumenti di controllo

(27)

molto spesso le nostre aziende si stabiliscono altrove, dove amministrazioni più efficienti agevolano e non ostacolano il loro sviluppo.

A partire dagli anni Novanta, il legislatore ha cercato di apportare modifiche ad un sistema farraginoso, cercando di offrire un trampolino di lancio affinché anche gli amministratori pubblici possano capire l’importanza che l’esigenza del loro coinvolgimento ha in sé per attuare veramente delle riforme.

Nasce l’esigenza di “ reinventare il modo di governare” stimolando nelle persone la priorità del cambiamento per uscire da una crisi dovuta non solo alla grave crisi finanziaria, ma anche alla crisi di legittimazione del potere politico- istituzionale e ridare così credibilità ad un paese che si sente sempre più delegittimato.

Un lungo cammino pieno di propositi iniziò allora, ma che a tutt’oggi le Amministrazioni, stentano a seguire armonicamente. Il cambio normativo non ha gli stessi tempi del cambio di mentalità.Ma soprattutto l’azione del legislatore non è sufficiente, c’è bisogno di una profonda trasformazione culturale.

E’ stato così che è nata la necessità di guardarsi attorno per cercare un confronto con gli altri stati e vedere quali politiche essi abbiano adottato per arginare questi grandi problemi anche in un contesto di recupero della competitività. I modelli di riferimento principali sono quelli che sono stati seguiti dagli Stati Uniti, quello del

reinventig governament e quello della Gran Bretagna con il new public management,

dettati dal colonialismo culturale da questi esercitato.

In altra istanza si è cercato di seguire anche le voci interne al paese, voci di autorevoli economisti ed esperti che da tempo invocavano una riforma.

La necessità di ridisegnare l’assetto amministrativo nasce quindi per creare una ulteriore evoluzione, dopo quella industriale e tecnologica, capace di portare la Pubblica Amministrazione ad intervenire laddove si verifichino dei fallimenti del mercato, serbandosi una funzione di regolatore nei confronti di qui servizi che vengono ceduti all’iniziati privata attraverso privatizzazioni ed esternalizzazioni, e aumentare l’efficacia e l’efficienza amministrativa.

Di fatto il panorama in cui si inseriscono questi processi di riforma, incontrano un ecosistema in cui esistono molte leggi che determinano da un lato una grande preoccupazione nei cittadini e annulla gli effetti di nuove riforme, dall’altro implica un alto livello di burocratizzazione che non agevola un lavoro per obiettivi e favorisce per contro l’attenzione al rispetto formale ovvero “al come si fa, piuttosto al cosa si fa”.

(28)

Ma come si rompono questi circoli viziosi?(40)

Il primo passo è quello di favorire una cultura delle persone, introdurre norme di semplificazione (come si è tentato con la L.273/95 e la L.127/97) e strumenti di gestione aziendale per raggiungere non solo la comparazione del cittadino a cliente, e del suo ruo lo di principale interessato nell’avere un’amministrazione che lo soddisfi, ma anche una delega dei poteri sulla base di un federalismo regionale per rispondere meglio alle esigenze del territorio secondo il principio di sussidiarietà.

Per rompere i circoli viziosi con una logica capace di conservare “il buono che viene dal passato, buttando via le incrostazioni negative”, ci vogliono una chiara strategia, pazienza, continuità, rigorosità metodologica e una forte capacità di portare a sistema quelle soluzioni innovative che pure tra tanti ostacoli, molti hanno saputo realizzare(41).

Alla luce del passato italiano occorre in primo luogo “non cadere nel pericolo reale della partitocrazia, della lottizzazione dell’occupazione del potere e insomma nel fondament alismo politico perché non consentiranno mai di sviluppare efficienza nella P.A. e sviluppo attraverso la liberazione di risorse sane e responsabili”(42).

In secondo luogo occorre trasferire cultura d’impresa nell’Amministrazione Pubblica perché è l’unica soluzione che permette il raggiungimento degli obiettivi a cui è destinata la sua azione.

In terzo luogo occorre ristrutturare e razionalizzare l’azione amministrativa attraverso il decentramento amministrativo e il federalismo regionale.

1.6 Reinventing governament, new public management e public governance

Come già introdotto i modelli che si delinearono negli Stati Uniti e in Gran Bretagna per rispondere alle crisi che si erano generate al loro interno si configurarono in modo variegato.

In particolare, negli U.S.A., si è manifestato nelle forme del “reinventing governament”. Questo filone di pensiero, nasce negli anni Settanta, quando dopo la

40 E.Borgonovi “Reinventing governament- reinventare la catena del valore tra cittadino,impresa e pubblica amministrazione- ”A cura di P.Novello e M.Vitale Quaderni SDA alumni- Bocconi Egea,s.p.a.,

Milano, 1999 pag. 13.

41

E.Borgonovi “Reinventing governament- reinventare la catena del valore tra cittadino,impresa e

pubblica amministrazione- ”in “Reinventing governament “ a cura di P.Novello e M.Vitale Quaderni

SDA alumni- Bocconi Egea,s.p.a., Milano, 1999 pag. 14.

42

(29)

presidenza Kennedy, si diffonde una forte sfiducia nei confronti del governo federale, che minò la sua stessa credibilità (43). Con questa dottrina si intendeva riorganizzare la macchina pubblica per aumentare non solo la fiducia da parte dei cittadini attraverso una nuova legittimazione, ma anche di migliorare la qualità del servizio pubblico avvicinandolo sempre di più alle reali esigenze espresse dai cittadini e dalle imprese, privilegiando gli aspetti organizzativi.

Dobbiamo attendere la presidenza Clinton affinché queste riforme prendano corpo, attraverso il National Performance Review (NPR) stilato nel 1993 dall’allora vice presidente della White House, Al Gore.

Al di là dei vari programmi che si imponevano alle amministrazioni locali e ai vari Stati Federali, la chiave di volta era costituita da un cambiamento di rotta determinato dalla politica dei risultati, ovvero valutarli in ragione degli obiettivi prefissati, che devono essere chiari e misurabili.

In realtà l’idea nacque in seno al Congresso Americano che la approvò nel gennaio 1993 e che fu firmata da Clinton nell’agosto dello stesso anno. La GPRA, ossia la legge sul governo delle performance e dei risultati, poneva al centro della pianificazione, programmazione e controllo delle amministrazioni la redazione obbligatoria di vari documenti tra cui: il piano strategico, contenente la mission, le finalità e gli obiettivi e una descrizione delle valutazioni programmatiche usate per compiere aggiustamenti nel corso del periodo e avente come orizzonte temporale almeno cinque anni. Ad essa si aggiunge il piano delle prestazioni, redatto annualmente, e che deve stabilire in forma misurabile e oggettiva le finalità di prestazione e il loro livello di raggiungimento, fissare gli indicatori di performance da usare per valutare i principali prodotti e/o servizi prestati e descrivere i mezzi usati per verificare e validare i valori misurati.

Il rapporto di prestazione , che deve esporre gli indicatori di prestazione stabiliti nel

piano delle prestazioni, attraverso cui l’effettiva prestazione di programma conseguita è

43Secondo A.De Toqueville, magistrato ,sociologo e ministro degli Esteri francese, che nel 1831 compì un

viaggio in America per approfondire la conoscenza delle istituzioni democratiche americane, descriveva come in tale sistema politico basato sulla sussidiarietà, fosse fortemente sentita l’esigenza di associarsi per risolvere problemi di ogni genere dato che le autorità pubbliche erano viste dagli stessi cittadini “con ansia e sfiducia e chiedono loro assistenza solo quando non ne possono proprio fare a meno”.

Negli Stati Uniti le associazioni vengono create per promuovere ciò che lo Stato non garantisce (..) e soprattutto non c’è fine che gli uomini non pensino di raggiungere attraverso la forza combinata degli individui uniti nella società’Si veda in proposito A.De Toqueville in “La democrazia in America”, 1835-1840 e G.P. Barbetta,F.Maggio “Non profit” ,Il mulino, Bologna, 2002.

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comparata con le finalità di prestazione espresse nel piano per il periodo di riferimento(44).

Inoltre non mancano all’interno di questa legge i riferimenti ad una politica dei risultati basati sulla valutazione di dirigenti , la result-based management che forse rappresenta la novità più saliente del programma.

Secondo questa impostazione, infatti, il personale dirigente, può ricevere incentivi o disincentivi legati al raggiungimento degli obiettivi preventivamente programmati, fornendo così una linea coerente con il coinvolgimento del personale interno all’amministrazione nel promuovere obiettivi strategici per l’amministrazione.

E già il fatto che venga sottoposto a controllo il loro operato è un passo di indubbia necessità per ottenere una vera riforma.

Per quanto riguarda invece il new public management, esso si afferma in Gran Bretagna all’inizio degli anni Ottanta per opera del Prime Minister Margaret Tachter, e sposta il focus dagli obiettivi organizzativi a quelli gestionali rendendo così indispensabile lo spostamento dell’attenzione non solo verso i processi di produzione e distribuzione dei servizi pubblici, ma anche verso l’orientamento al cittadino-cliente e all’esigenza di creare all’interno del settore pubblico una forte cultura manageriale in grado di supportare con idonei strumenti i processi di decision- making .

Le prime sistematizzazioni caratteristiche del NPM si ebbero da parte di università, centri di ricerca e Dipartimenti dei Ministeri della Funzione pubblica a partire dalla fine degli anni Settanta e le loro logiche si estesero ai vari sistemi delle Pubbliche Amministrazioni dei principali paesi europei come Francia, Germania, Italia e Spagna.

I primi settori ad essere riformati dal governo Tachter furono quelli della sanità e dell’istruzione, dove si registravano forti problematiche legate ai costi.

Sulla base di questa ondata di riforme si costituì un osservatorio permanente a livello internazionale, il PUMA, Public Management Service dell’Organizzazione, Cooperazione e Sviluppo Economico (OCSE), riconoscendo la necessità di introdurre correttivi alle logiche neo manageriali collegando infatti le logiche di public management a quelle di governance.

Il new public management ha assunto, a differenza del reinventing governament, “le caratteristiche di un contenitore alla ricerca di una teoria, fondandosi su principi molto

44

F Archibugi “Guida alla letteratura americana del Reinventing Governament” Centro di studi e piani economici, Roma, 1999.

Figura

Fig .(12) Contributo percentuale delle funzioni con un grado di incidenza maggiore del 14%                rispetto al totale della spesa in conto capitale

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