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ATTI DEL CONVEGNO

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Academic year: 2021

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Ricerca finalizzata 2009 – Ministero della Salute Cofinanziata dal Ministero della Salute e dalla Regione del Veneto

PREVENTION OF WORK INJURIES. EVALUATING THE EFFECTIVENESS OF SAFETY INTERVENTIONS CARRIED OUT BY OCCUPATIONAL HEALTH SERVICES OF LOCAL HEALTH AUTHORITIES IN THE WHOLE VENETO REGION (NORTHEASTERN ITALY) FROM 2001 TO 2007

AUTORI e COLLABORATORI DELLA RICERCA

UNITÀ 1 - Programma Regionale Epidemiologia Occupazionale (P.R.E.O.) dott. Roberto Agnesi – Principal Investigator - SPISAL ULSS 9 Treviso

dott. Franco Sarto

dott.ssa Michela Veronese – SPISAL ULSS 16 Padova

Con la collaborazione di:

dott.ssa Lucia Calciano dott. Francesco Larecchiuta dott.ssa Alberta Piccininno dott. Mirko Girardi

dott.ssa Francesca Maffione

UNITÀ 2 - ASL TO3 – SCaDU Scuola Sanità Pubblica, Grugliasco (TO) dott.ssa Antonella Bena

dott.ssa Elena Farina ELABORAZIONE DATI

prof. Giuseppe Mastrangelo - Università di Padova dott. Ugo Fedeli – SER Veneto

Direttori SPISAL del Veneto

dott.ssa Daniela Marcolina - ULSS 1 Belluno dott. Nicoletta De Marzo - ULSS 2 Feltre

dott. Tommy Mabilia - ULSS 3 Bassano del Grappa dott. Ivo Dagazzini - ULSS 4 Alto Vicentino

dott. Adolfo Fiorio - ULSS 5 Ovest Vicentino dott. Celestino Piz - ULSS 6 Vicenza

dott. Giovanni Moro - ULSS 7 Pieve di Soligo dott. Tomaso Tidei - ULSS 8 Asolo

dott.ssa Lidia Bellina - ULSS 9 Treviso

dott.Giorgio Cipolla - ULSS 10 Veneto Orientale dott. Giancarlo Magarotto - ULSS 12 Veneziana dott. Flavio Valentini - ULSS 13 Mirano

dott. Gio Maria Giraldo - ULSS 14 Chioggia

dott.ssa Rosanna Bizzotto - ULSS 15 Alta Padovana dott. Liviano Vianello - ULSS 16 Padova

dott. Doriano Magosso - ULSS 17 Este

dott.ssa Antonella Zangirolami - ULSS 18 Rovigo dott. Alessandro Finchi - ULSS 19 Adria

dott. Luciano Marchiori - dott.ssa Manuela Peruzzi - ULSS 20 Verona dott. Marco Bellomi - ULSS 21 Legnago

dott. Marco Renso - ULSS 22 Bussolengo

Direzione Regionale Prevenzione Regione del Veneto dott.ssa Giovanna Frison

dott. Luciano Marchiori dott.ssa Silvia Rosin

Tutto il personale degli SPISAL delle Aziende ULSS del Veneto che ha effettuato le attività di prevenzione in azienda e collaborato al recupero dei dati negli archivi dei rispettivi servizi.

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QUALE EFFICACIA DEGLI INTERVENTI DI PREVENZIONE? LE BASI E GLI OBIETTIVI DELLA RICERCA

F. Sarto (1), R. Agnesi (2)

(1) ex Direttore Dipartimento di Prevenzione ULSS 16 Padova (2) SPISAL ULSS 9 Treviso – Coord. PREO

I SERVIZI DI PREVENZIONE IGIENE E SICUREZZA NEGLI AMBIENTI DI LAVORO (SPISAL) NELLA REGIONE DEL VENETO

Gli SPISAL nel Veneto nascono in maniera difforme, sia temporalmente (nei capoluoghi di provincia in genere qualche anno dopo la L.R. n. 54/1982, in periferia anche molti anni dopo) sia qualitativamente per numero e composizione del personale. Dopo il recepimento delle prime direttive europee (DLgs 277/91 e 626/94), che attribuiscono loro le funzioni di “Organi di Vigilanza”, gli SPISAL, pur godendo dell’autonomia al pari dell’ULSS, iniziano un’intensa attività di confronto/coordinamento, prima in maniera volontaria, poi con un sempre più forte indirizzo regionale tanto da costituire il “sistema della rete degli SPISAL”.

I Servizi hanno iniziato un’azione di benchmarking dal 1994. La Regione del Veneto, con la consulenza della ditta “Quantum”, chiese ai Servizi il calcolo dei “carichi di lavoro”; questo presupponeva la creazione di una lista di indicatori di attività ognuno dei quali aveva una sua definizione.

La direzione medica dei Servizi porta ad un’attività che è sempre partita dal problema di salute, infortuni e malattie professionali, ponendosi l’obiettivo della loro riduzione. Molti SPISAL hanno provato a mettere in relazione la loro attività con l’andamento degli infortuni rilevati dai Pronti soccorsi. Il tentativo di valutare l’efficacia degli interventi fu sicuramente positivo; addirittura si instaurò a volte una sorta di “concorrenza” tra Servizi nel tentativo di dimostrare che il proprio modello di intervento era più efficace. Si trattava solo di tentativi, in quanto i disegni sperimentali erano sicuramente carenti e mancava un attendibile indicatore di risultato, cioè l’incidenza di infortuni.

Se possiamo individuare un modello comune alla rete degli SPISAL veneti, questo è quello di cercare di mettere insieme gli aspetti di assistenza e formazione/informazione con quelli di vigilanza, nella consapevolezza che la vigilanza non è il fine ma uno strumento per conseguire miglioramenti in termini di sicurezza ed igiene del lavoro. Così, quando a livello nazionale partì il Piano di valutazione dello stato di applicazione del D.Lgs. 626/94, il Veneto si differenziò dalla linea nazionale che vedeva nel 626 solo una legge che dava direttive per una vigilanza a livello nazionale, cogliendo nel 626 una nuova opportunità per le aziende di applicare sistemi di gestione aziendali sia ai fini della qualità sia ai fini della sicurezza. Infatti con il Piano di sicurezza 1999-2001 gli SPISAL rilevavano sistematicamente nelle aziende ispezionate se l’applicazione delle norme era meramente formale o se esistevano dei Sistemi di Gestione della Sicurezza sul Lavoro (SGSL) nella gestione degli infortuni e delle MP, della manutenzione di macchine ed impianti, dei DPI, della formazione, ecc. Gli ispettori avevano anche il compito di spiegare e stimolare l’implementazione di questi metodi nelle aziende.

Con il Piano 2002-2004 si perfezionò e completò sia il monitoraggio, sia la promozione nelle aziende dei SGSL; infatti fu portato avanti il progetto “Lavoro Sicuro” che prevedeva tra l’altro:

 Ulteriore e conclusiva definizione degli indicatori di attività degli SPISAL (per es.: intervento di prevenzione e vigilanza o intervento complesso, sopralluogo per… o intervento semplice, inchiesta per infortunio semplice, inchiesta per infortunio complesso). In questo modo il benckmarking annuale che veniva eseguito tra SPISAL diventò più preciso.

 Corsi di formazione per responsabili SPISAL e per operatori per sviluppare le capacità di valutare i SGSL anche attraverso check-list sui principali processi aziendali.

 Uso delle check-list durante le ispezioni; al minimo venivano analizzati almeno i seguenti processi: gestione infortuni, gestione dei DPI, gestione della manutenzione, gestione della formazione.

 Partecipazione alla stesura e condivisione della Guida di Unindustria Veneto “Lavoro Sicuro” ispirata alla Guida UNI-INAIL.

In conclusione gli SPISAL, pur nella loro autonomia, svilupparono strumenti per un intervento discretamente omogeneo in tutta la regione così il benchmarking annuale, ottenuto con una lista di circa un centinaio di indicatori di processo, divenne più attendibile; il grosso limite di queste misure è proprio quello che sono stati usati solamente indicatori di processo.

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Pag. 4 GLI INDICATORI DI RISULTATO

Un’altra caratteristica della rete veneta degli SPISAL è l’utilizzazione precoce ed originale dei flussi INAIL degli infortuni ex DPCM 9 gen 1986, soprattutto per il contributo creativo di alcuni responsabili dei servizi, tra i quali pare doveroso ricordare il dr. Valentino Patussi e, in tempi più recenti, il dr. Roberto Agnesi. Il primo Atlante regionale riguarda le serie storiche dal 1988 al 1999 e il secondo Atlante arriva al 2001 per agevolare il raccordo con i Nuovi Flussi Informativi INAIL Regioni. Con DGR n. 4078/2003 fu istituito il Centro Regionale per l’Epidemiologia Occupazionale (COREO, oggi PREO) con le linee operative: infortuni, malattie professionali e COR per il registro dei mesoteliomi maligni. Il COREO sfruttò subito al massimo tutte le potenzialità date dai “Nuovi flussi INAIL” (Protocollo d’intesa sottoscritto nel 2002 tra INAIL, ISPESL, Regioni) con una serie di atlanti di cui il primo venne pubblicato nel 2005. Non è compito di questa introduzione discutere sulla rivoluzione apportata dai Nuovi Flussi e sulle problematiche ancora esistenti, qui è fondamentale puntualizzare che da questo momento in poi si poté veramente capire se gli infortuni aumentavano o diminuivano in termini di incidenza; inoltre, riferendosi al territorio regionale, all’ULSS, alla singola azienda, si potevano fare confronti per comparto o per rischio specifico, per sesso, per nazionalità di nascita, per territorio, ecc, ecc. In pratica si aveva l’indicatore per impostare studi di efficacia sia dell’intervento pubblico dell’ULSS, sia di quello degli imprenditori. Con lo strumento dei nuovi flussi vennero analizzati tutta una serie di parametri che prima rendevano difficoltose le interpretazioni sull’andamento degli infortuni, quali:

 Gli accentramenti contributivi

 Gli infortuni “importati” ed “esportati” in un territorio

 Gli infortuni “in franchigia”

 Gli infortuni nei lavoratori con contratti flessibili o apprendisti

 Gli infortuni “in itinere”

 Gli infortuni stradali in orario di lavoro

 Il peso di lavorazioni a diverso grado di rischio in territori diversi

Per la rete degli SPISAL fu disponibile una mole di dati sugli infortuni, oltre che sulle malattie professionali (ben 10 Atlanti dal 2005 al 2011!) che permetteva ad ogni ULSS di capire come si collocava per indici di incidenza e gravità rispetto al territorio regionale e rispetto ai territori degli altri Servizi. Fu dato in mano agli SPISAL uno strumento più preciso per effettuare confronti.

IL PERFEZIONAMENTO DEL BENCHMARKING E L’ANALISI DEI PROCESSI DI LAVORO

I dati sugli infortuni nel Veneto mostrano che tra ULSS ci sono variabilità molto alte per incidenze e per gravità di infortuni ed è legittimo porsi il quesito da quali fattori esse dipendano. Sicuramente il modo di operare della classe imprenditoriale è importante, anche se le categorie economiche di un territorio sono condizionate dal costante rapporto con gli SPISAL che data nel Veneto da circa 25 anni. Il compito del sistema degli SPISAL, e quindi l’obiettivo che abbiamo dato alla ricerca finalizzata, è quello di valutare se gli interventi in azienda siano o meno efficaci nel ridurre gli infortuni e se i diversi modi di intervenire in azienda abbiano un impatto diverso.

Quali possono essere queste diverse modalità d’intervento? In estrema sintesi individuiamo fondamentalmente due filoni: il primo dipende dalla quota di vigilanza, assistenza, formazione/informazione che lo SPISAL eroga alle aziende, il secondo dipende dal tipo di intervento in azienda, cioè se l’intervento sia di tipo completo o di tipo parziale.

Più in generale i quesiti sono: sono più incisivi in azienda gli interventi complessi o semplici? Più interventi semplici sono incisivi come un intervento complesso? Un’inchiesta per infortunio o per malattia professionale porta a un impatto positivo in azienda? Gli interventi di assistenza alle aziende sono efficaci? Ecc., ecc.

L’iniziale diversità delle modalità operative tra SPISAL è sicuramente andata diminuendo dal 1994 (D.Lgs. 626) al 2007 (DPCM 17 dic 2007). Il sistema regionale ha stimolato gli SPISAL ad uniformarsi sulle attività di vigilanza, che sono diventate progressivamente l’attività preponderante, rispetto alle attività di assistenza e di formazione/informazione.

La seconda diversità è rimasta consolidata per più tempo. C’era una maggioranza di servizi che concepiva il sopralluogo in azienda come un intervento d’iniziativa o programmato per verificare tutti i rischi e provocare degli interventi migliorativi importanti attraverso la prescrizione e la disposizione; con

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semplici calcoli statistici si sapeva che quell’azienda si sarebbe potuta rivisitare solo dopo una quindicina d’anni e quindi l’intervento doveva necessariamente essere incisivo. Ovviamente un intervento di questo tipo durava molto tempo, anche molti giorni a seconda della complessità dell’azienda. Questi interventi erano effettuati da almeno due operatori, uno a professionalità igienistica (medico, chimico,ecc) e uno a professionalità antinfortunistica (tecnico, ingegnere, ecc). La scelta se fare questo intervento (intervento complesso) o fare un intervento semplice, dipendeva non solo dalle convinzioni del responsabile SPISAL, ma anche dalla composizione quali-quantitativa degli organici di quel Servizio che, se non raggiungevano una massa critica, difficilmente permettevano il sopralluogo contemporaneo di una figura tecnica e medica.

L’intervento semplice o parziale era caratterizzato da un sopralluogo breve (di solito non superava il giorno) per valutare un problema specifico (un infortunio semplice, una malattia professionale, una macchina, un rischio specifico, ecc), poteva essere condotto quindi anche da un solo operatore. C’è la particolarità dell’infortunio complesso o mortale, che può richiedere più giorni di sopralluogo anche se rimane parziale come tipo d’intervento (sulla macchina, attrezzatura o impianto coinvolta nell’evento). Dal 2005 si compì un deciso passo avanti sull’uniformità dei metodi di lavoro: con la consulenza dell’ingegnere gestionale, furono codificate le linee di lavoro e i processi di lavoro dei servizi, da quel momento lo spazio per spostarsi dal modello condiviso fu ridotto al minimo. Furono codificati i seguenti processi:

 Intervento di prevenzione e vigilanza (intervento complesso)

 Intervento di ispezione semplice

 Inchiesta per infortunio

 Inchiesta per malattia professionale,

 Ispezione in cantiere

 Valutazioni rimozione amianto

 Parere per nuovi insediamenti produttivi,

 Lavoratrici madri

 Ricorso avverso il giudizio di idoneità del medico competente

Con il citato DPCM 17 dicembre 2007, che fissa che ogni Servizio in un anno debba eseguire sopralluoghi nel 5% delle aziende del proprio territorio, si sono verificati due cambiamenti importanti negli SPISAL: 1) la vigilanza è diventata l’attività preponderante, se non l’unica e in questo senso le difformità nelle diverse quote di vigilanza/assistenza/formazione-informazione, si uniformano bruscamente a favore della vigilanza 2) gli interventi parziali diventano il modus operandi dei Servizi, altrimenti non si riuscirebbe a raggiungere l’obiettivo quantitativo fissato dalla Regione per ogni SPISAL. In questo modo viene deciso a priori non solo che gli interventi di vigilanza sono utili ed efficaci ma anche che l’intervento parziale in azienda è utile ed efficace. In realtà sappiamo che un indicatore di processo, come il numero di ispezioni, dice poco o nulla sull’efficacia degli interventi anche se tutti gli Organi di prevenzione/repressione del crimine basano la valutazione della loro attività esclusivamente su indicatori di processo.

Non ci sono dati scientifici in Italia che supportano questa scelta aprioristica; questa ricerca contribuirà a dare una risposta sulla validità di questa convinzione che è alla base dell’attuale modo di fare vigilanza.

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LA PROGRAMMAZIONE DELLA PREVENZIONE NELLA REGIONE DEL VENETO

G. Frison (1), L. Marchiori (2)

(1) Sezione Prevenzione e Sanità Pubblica Regione del Veneto (2) SPISAL ULSS 20 Verona

STRATEGIA

L’attività di prevenzione negli ambienti di lavoro nella Regione Veneto è pianificata dall’anno 1999 mediante programmi settoriali triennali secondo le seguenti linee strategiche:

 L’individuazione degli obiettivi di prevenzione negli ambienti di lavoro, basati sulle priorità epidemiologiche di salute e finalizzati all’incremento dell’efficacia e dell’efficienza del sistema;

 La partecipazione delle parti sociali all’elaborazione delle strategie e delle politiche d’intervento

 L’orientamento verso le priorità di salute dei lavoratori del Veneto, evidenziate dal quadro epidemiologico relativo agli infortuni e alle malattie professionali;

 L’omogeneità dell’azione di vigilanza, anche attraverso l’implementazione del sistema informatico gestionale regionale.

Dal 2007, il Patto Stato – Regioni per la salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro ha introdotto ulteriori criteri di pianificazione qualitativi e quantitativi, definiti dall’obiettivo del controllo annuo del 5% delle unità locali nel territorio di competenza (150.000 aziende e almeno 50.000 cantieri edili sul territorio nazionale).

Dal 2008 tali obiettivi costituiscono un livello essenziale di assistenza (L.E.A.) ed impegnano tutte le Regioni al suo raggiungimento in osservanza al Piano Sanitario Nazionale e al Piano Nazionale di Prevenzione, entrambi approvati in sede di Conferenza Stato-Regioni.

La programmazione delle attività, nella salvaguardia delle specifiche competenze, è stata svolta in coordinamento con le altre amministrazioni statali costituenti il Comitato regionale di coordinamento e nelle sub articolazioni provinciali, ai sensi dell’art. 7, D.Lgs 81/08 e della DGR n.4182 del 9.12.08.

OBIETTIVI

Come indicato, in Veneto la strategia è stata finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo generale di ridurre gli infortuni gravi e mortali nei diversi comparti, in coerenza con le indicazioni della Commissione dell’Unione Europea, accolte nel Piano Nazionale di Prevenzione 2010-2012.

Gli obiettivi specifici sviluppati sono stati:

 La copertura dei Livelli Essenziali di Assistenza (controllo del 5 % delle unità locali) orientando le attività verso le priorità di salute, abbandonando pratiche di non documentata efficacia.

 Lo sviluppo dei flussi informativi regionali di prevenzione, condivisi tra Enti, partendo dai flussi INAIL sugli infortuni e sulle malattie professionali.

 Lo sviluppo di sistemi di sorveglianza sugli infortuni invalidanti e mortali e sulle malattie professionali e le indagini svolte, partendo dai sistemi in uso (Informo e MalProf).

 La pianificazione delle attività di prevenzione in coordinamento tra Enti e parti sociali, in ambito del Comitato Regionale di Coordinamento, art. 7 del D.Lgs. 81/08, al fine di sviluppare interventi orientati all’incremento dei livelli di sicurezza e protezione della salute con azioni di vigilanza mirata integrate (sicurezza del lavoro e regolarità del rapporto di lavoro).

 L’implementazione degli strumenti informatici per la gestione dei servizi e la registrazione delle attività secondo lo standard nazionale (software Prevnet).

 La promozione dei Sistemi di Gestione della Sicurezza aziendale (SGS) in collaborazione con le categorie economiche, nell’obiettivo di sviluppare un modello di vigilanza che comprenda non solo il controllo degli aspetti tecnici della sicurezza sul lavoro e sulla loro rispondenza alla norma di legge, ma anche un audit analitico sui sistemi organizzativi e gestionali, verificandone la capacità di assicurare, monitorare, migliorare e mantenere nel tempo la sicurezza e l’igiene dell’ambiente di lavoro.

 La promozione del benessere psicologico ed organizzativo sul luogo di lavoro, come risposta alle trasformazioni in corso nel mondo del lavoro.

 L'ascolto e l'assistenza ambulatoriale ai lavoratori ex esposti ad amianto e altri cancerogeni.

 La promozione di politiche sociali di controllo dei determinanti di salute attraverso azioni di comunicazione sociale del rischio, di condivisione e coinvolgimento attivo delle parti sociali, enti ed istituzioni, al fine di promuovere e facilitare la formazione di reti attive ed indipendenti nel campo della prevenzione negli ambienti di lavoro.

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Pag. 7 ATTIVITÀ SVOLTA

Considerando come indicatore delle attività svolte il LEA, quale indicatore specifico delle condizioni di sicurezza, si assume l’esito degli interventi che hanno comportato la regolarizzazione delle situazioni di rischio. L’analisi, riferita alla Regione Veneto nel 2011, effettuata attraverso la distribuzione percentualmente degli articoli violati, in relazione alla suddivisione in Titoli del D. Lgs. 81/08, evidenzia i principali aspetti critici della prevenzione dei rischi lavorativi. Il numero maggiore di carenze rilevate riguarda il Titolo IV “cantieri temporanei e mobili” (2.679 violazioni) pari al 51,6% dei verbali di prescrizione emessi. Il 23,7% del totale delle carenze riscontrate riguarda gli aspetti generali di gestione del sistema di prevenzione e protezione dai rischi come individuati al Capo III “Gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro” del Titolo I del D.Lgs. 81/08. Si tratta di 21 articoli diversi utilizzati, pari a 1.232 violazioni. I più frequenti riguardano le disposizioni relative ai componenti d’impresa, i lavoratori autonomi, gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, la formazione dei lavoratori, gli obblighi concernenti gli appalti e la valutazione dei rischi. L’uso di attrezzature di lavoro non idonee o mancanza dei DPI si manifesta nel 14,9 % dei verbali di prescrizione, la non idoneità dei luoghi di lavoro nel 6,1%. Carenze nella gestione delle sostanze pericolose compaiono con una frequenza del 2,2%.

I restanti Titoli del D.Lgs 81/08 (segnaletica di sicurezza, movimentazione manuale dei carichi, VDT, agenti fisici, agenti biologici, atmosfere esplosive) si evidenziano carenti in percentuali non significative (< 1%). L’analisi delle frequenze per articolo evidenzia che oltre il 50% delle sanzioni comminate, si raggruppa in 10 articoli, sei di questi fanno riferimento al Titolo IV, cantieri temporanei e mobili. L’80% delle violazioni si raggruppa in ventiquattro tipologie di articoli.

L’articolo 71 del D.Lgs. 81/08, che riguarda l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza, è il più frequente (10,3% del totale).

Un terzo delle violazioni riscontrate in edilizia riguarda gli articoli concernenti il contrasto delle cadute dall’alto.

VALUTAZIONE DEI RISULTATI

Come riferimento per la valutazione e la verifica dei risultati si assume l’obiettivo LEA, identificato come numero di aziende controllate annualmente rispetto al numero di aziende con dipendenti o soci lavoratori presenti nel territorio di competenza e avente come standard di riferimento il 5%.

Il monitoraggio nel tempo dell’obiettivo evidenzia un progressivo incremento del livello di efficienza del sistema regionale che in quattro anni, dal 2007 al 2009, è stato in grado di raggiungere lo standard di riferimento del 5% a parità di risorse, arrivando al 5,6% nel 2012.

Particolarmente indicative sono state le attività di contrasto dei rischi più gravi in edilizia e in agricoltura con la copertura, con interventi di vigilanza nel 2012, del 16% dei cantieri notificati (4.669 su 29.117), caratterizzati da un indice d’inosservanza pari al 36% dei cantieri ispezionati. Anche i livelli di vigilanza in agricoltura si sono incrementati a partire dal 2000, raggiungendo un valore pari a 1.084 aziende controllate nel 2012, con una percentuale d’irregolarità del 25%.

In termini di prevenzione, le attività indicate hanno determinato un effetto moltiplicativo indotto dalle parti sociali, dalle forze economiche e dalle istituzioni locali, ottenendo un elevato livello di partecipazione e di controllo del territorio rispetto al contrasto dei rischi lavorativi gravi e mortali in edilizia e agricoltura. Sul piano dell’innovazione, alle attività di vigilanza “tradizionale” si è accompagnata la ricerca di un approccio “sistemico” del controllo aziendale attraverso lo sviluppo dei sistemi di gestione della sicurezza aziendale, favorendo la valutazione degli aspetti di sicurezza gestionale e organizzativa. Tale metodologia è stata poi integrata con la valutazione dello stress lavoro-correlato e lo sviluppo del benessere organizzativo con l’estensione sperimentale a interventi di promozione della salute, in particolare verso gli stili di vita salubri.

La linea di sviluppo dei sistemi di gestione della sicurezza aziendale (SGS) ha portato oltre 300 aziende a concorrere a finanziamenti regionali derivanti dalle sanzioni comminate in materia d’igiene e sicurezza del lavoro. Mentre le innovazioni sviluppate sul piano della prevenzione dello stress lavoro correlato, accolte nella L.R. n.8/10 finalizzata alla prevenzione del mobbing e alla tutela della salute psico-sociale, hanno portato all’istituzione presso gli SPISAL degli sportelli di ascolto e orientamento dei lavoratori, con 229 accessi nel 2013. L’andamento del fenomeno infortunistico, dal 2000 al 2012, evidenzia una riduzione del 49% degli infortuni riconosciuti dall’INAIL con un parallelo calo degli eventi mortali pari al 74%, esclusi gli infortuni in itinere. Il positivo trend evidenziato va, comunque, letto all’interno dell’attuale crisi economica e produttiva.

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Per quanto riguarda il fenomeno delle malattie professionali, i dati del 2011, relativi a dei totali di 2.217 casi segnalati agli SPISAL, indicano come le patologie muscolo scheletriche siano al primo posto con 914 casi mentre l’ipoacusia da rumore compaia con una frequenza notevolmente inferiore. La percentuale delle malattie neoplastiche di origine professionale si attesta al 10% del totale, suddivisa in parti uguali tra mesoteliomi e altre neoplasie; nel 2000 ammontavano al 3% delle patologie denunciate. L’incremento registrato è correlato all’attivazione della sorveglianza epidemiologica nei confronti del mesotelioma da amianto e dell’attivazione della sorveglianza sanitaria nei confronti dei lavoratori ex esposti ad amianto.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO

Da quanto esposto si evidenzia come la programmazione regionale secondo obiettivi uniformi sul territorio, definiti sulla base delle priorità epidemiologiche di rischio infortunistico e di danno alla salute dei lavoratori, abbia permesso di giungere a risultati significativi in termini di miglioramento del livello d’efficienza e di efficacia degli SPISAL, garantendo la copertura dell’obiettivo LEA, oltre che di qualità definita come sviluppo di pratiche di vigilanza condivise sul territorio.

Allo stesso tempo, il trend positivo degli indicatori epidemiologici di salute, ancorché letto all’interno di un quadro di crisi economica, conferma e sostiene la validità delle politiche di prevenzione adottate.

Le linee d’innovazione perseguite si sono dimostrate coerenti con le principali esigenze di sviluppo della prevenzione nella visione dell’organizzazione e della gestione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, i rapidi cambiamenti del mondo del lavoro, caratterizzati da una progressiva deindustrializzazione e diversificazione delle forme del lavoro (a favore del precariato e dell’insicurezza), dall’esternalizzazione dei rischi, dalla frammentazione dei processi di lavoro, con l’appalto esterno d’interi segmenti della filiera produttiva (cooperative) comportano pesanti ricadute sulle condizioni di salute, sicurezza e benessere nel luogo di lavoro.

Si accompagna, a quanto indicato, il cambiamento demografico, lo sviluppo e la diffusione capillare delle nuove tecnologie, oltre che l’inserimento di culture di popoli immigrati.

Lo scenario descritto, calato all’interno della crisi economica attuale, impone ai servizi della pubblica amministrazione un compito di supporto al mondo del lavoro, superando ogni visione autoreferenziale. L’azione di supporto sarà realizzabile operando sul versante della semplificazione e dell’efficacia delle pratiche di lavoro, sia autorizzative sia di controllo, oltre che sul versante dell’assistenza ai datori di lavoro delle microimprese (in particolare nella valutazione dei rischi, come indicato dall’UE) e della promozione dell’organizzazione della sicurezza nelle imprese maggiori.

Al tempo stesso, deve essere ferma l’azione di vigilanza mirata al contrasto dei pericoli maggiori e gravi per la salute e le forme d’irregolarità del lavoro (grigio, nero) in coordinamento sinergico con gli uffici periferici del Ministero del Lavoro. Supporto fondamentale all’azione di vigilanza “intelligente” sarà lo sviluppo delle tecnologie informatiche, l’accesso e la condivisione dei “data base” di ogni singola amministrazione locale o centrale.

La visione, nell’attuale precaria situazione economico e occupazionale, è quella di sviluppare la nostra azione a favore delle organizzazioni che operano nella correttezza istituzionale, economica, sociale ed etica, contrastando chi opera nell’ambito dell’irregolarità del lavoro, dello sfruttamento e dell’elusione delle norme, elementi di concorrenza sleale del mercato e danno sociale.

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I QUESITI E LE DIFFICOLTÀ TECNICHE NELLA VALUTAZIONE DI EFFICACIA DEGLI INTERVENTI

A. Baldasseroni (1), R. Agnesi (2)

(1) CERIMP Regione Toscana (2) SPISAL ULSS 9 Treviso

INTRODUZIONE

Effettuare scelte significa ponderare, consapevolmente o meno, pro e contro di alternative che sempre sono disponibili. Il modo razionale di comportarsi in questi casi è quello di rendere disponibili tutte le migliori “prove” (Evidences in inglese da cui “evidenze” in italiano) a favore o (più raramente) contro l’una o l’altra delle alternative. In estrema sintesi è ciò che si propone la EBP, Evidence Based Prevention, anche nel campo della Medicina del Lavoro e della sicurezza occupazionale.

Due sono gli aspetti dell’efficacia che possono interessare in questa sede, avendo come punto di riferimento l’intervento: l’efficacia a priori; l’efficacia a posteriori. Nel primo caso è la letteratura scientifica accreditata e aggiornata ai metodi di ricerca bibliografica più recenti che suggerisce il grado di efficacia di cui è accreditato l’intervento scelto; nel secondo è la verifica sul campo, dopo che l’intervento è stato realizzato, a determinare l’efficacia ottenuta. In termini più formali parleremo di “Efficacy” per il primo tipo di prove di efficacia, di “Effectiveness” per il secondo. In generale l’Efficacy la cerco al momento di scegliere quale intervento effettuare, l’Effectiveness la misuro dopo che l’intervento scelto l’ho realizzato, per verificare che effettivamente abbia raggiunto gli obiettivi attesi. Il contesto della misura dell’Efficacy è molto differente da quello della misura dell’Effectiveness. Estremamente controllato, sperimentale il primo, pratico, compatibile con le condizioni date il secondo.

Nel lavoro di servizi sanitari e di prevenzione il contesto della misura quindi si pone nell’ambito di verifiche di Effectiveness, essendo le verifiche di Efficacy limitate all’ambito della ricerca scientifica propriamente detta. Le difficoltà nella misura di efficacia a posteriori in queste circostanze sono legate alla natura stessa dei fenomeni osservati, influenzati da molteplici fattori esterni alla possibilità di decisione dei soggetti interessati. Così l’andamento infortunistico a valle di un intervento di messa in sicurezza o di educazione all’uso di DPI in un comparto produttivo dipenderà oltre che dall’intervento svolto, anche da circostanze varie di tipo economico, sociale, demografico. E’ quindi improprio attendersi risposte in chiaro-scuro da studi di Effectiveness, anche nel campo della medicina del lavoro e della sicurezza occupazionale. Ciò che si può ottenere è una risposta soggetta a incertezze di vario grado. Quindi il singolo studio di Effectiveness non potrà mai raggiungere la soglia della “prova”, ma solo attraverso l’accumulo di più studi, i cui risultati siano orientati nella stessa direzione, potremo infine decidere sull’efficacia raggiunta.

MISURARE L’EFFICACIA DEI PROPRI INTERVENTI

A fornire le prove di efficacia “scientifica” per i diversi interventi possibili saranno sempre più, in futuro, agenzie governative o legate a istituzioni sanitarie centrali preposte a questo scopo, in grado di dedicare sforzi ed energie al vaglio critico della letteratura scientifica che viene prodotta in quantità sempre più ampie. In tale direzione va l’esperienza del Cochrane Occupational Safety and Health Review Group1,

attivo da diversi anni nell’ambito della Cochrane Collaboration, che ha al suo attivo numerose revisioni sistematiche di Efficacy. Anche nel nostro paese è nato da pochi mesi un Network per la EBP che dovrà occuparsi di fornire al sistema sanitario e di prevenzione italiano una versione divulgativa di queste prove. In capo ai servizi di prevenzione, però, rimarrà sempre l’onere di dimostrare che gli interventi adottati, sulla base a priori delle migliori evidenze di efficacia teorica, hanno realmente funzionato nelle circostanze specifiche di tempo e luogo nelle quali sono stati adottati. Concentriamo quindi l’attenzione sul contesto della prova di efficacia “a posteriori” rispetto al nostro intervento.

Rimane insuperato il lavoro del 2001 intitolato “Guide to evaluating the effectiveness of strategies for preventing work injuries: How to show whether a safety intervention really works” a cura del NIOSH, scritto a più mani da Lynda Robson, Harry Shannon, Linda Goldenhar e Andrew Hale (Robson et al. 2001). Vi si possono trovare descritti I principali metodi per intraprendere valutazioni di questo genere in

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contesti reali, di aziende o gruppi di aziende. L’enfasi degli autori è posta sulla scelta di valutare i risultati di un certo intervento a partire da dati raccolti ad hoc, nell’ambito di disegni di studio non-sperimentali, anche osservazionali, ma non per questo lasciati a se stessi, se così possiamo dire. In altri termini, il testo del NIOSH stimola a disegnare studi ad hoc, con dati raccolti in maniera razionale, sfruttando anche fonti rutinarie, ma nell’ambito di disegni epidemiologici rigorosi. Le condizioni che consentono questo tipo di rigore metodologico, solo raramente sono riscontrabili nella realtà operativa e nella nostra esperienza è molto difficile imporle come conditio sine qua non di una valutazione. Pongono ostacolo l’estensione temporale delle osservazioni, sempre necessaria per far fronte a quello che gli autori del report NIOSH definiscono come “Placebo and Hawthorne threats”, ossia gli effetti di miglioramento sulla percezione della propria condizione lavorativa indotti dall’intervento “purchessia”, cioè più dal semplice interessamento alla propria condizione lavorativa che da una vera e propria efficacia di quello specifico intervento. In tali circostanze il prolungamento delle osservazioni per alcuni anni successivi, sono elementi indispensabili. Abbiamo più volte constatato che è molto difficile mantenere l’attenzione degli operatori per le circostanze dell’intervento e per i suoi risultati a lungo nel tempo. Spesso si assiste a un decadere dell’attenzione e quindi a un peggioramento nella qualità della registrazione sia dell’intervento somministrato, sia delle sue conseguenze misurabili.

Questo tipo di difficoltà è stato ben descritto in un articolo di Kristensen del 2005 (Kristensen, 2005), dove viene sottolineato come sia sempre indispensabile, a valle di un intervento che non abbia provocato i risultati attesi sulla base dei presupposti di partenza, chiedersi se abbia fallito il modo in cui l’intervento è stato implementato (il “programma” adottato in concreto) o piuttosto la “teoria” che era alla base dell’intervento scelto (soprattutto quando si voglia intervenire su modifiche comportamentali da indurre negli attori in campo, lavoratori e management aziendali).

QUALI MISURE PER VERIFICARE L’EFFICACIA PRATICA DI UN INTERVENTO?

Richiamandoci al classico modello di Donabedian (Donabedian, 1966), Strutture, Processi, Risultati, va sempre ribadito che al di fuori del setting della ricerca, sia essa scientifica che applicata, dovremo sempre misurare se l’intervento scelto è stato condotto con mezzi adeguati (Strutture), applicando metodi di lavoro congrui (Processi) e se ha ottenuto, quantomeno, il prodotto in termini di prestazioni, esiti generici, previsto, dato l’impegno profuso (Risultati). Tutto questo lo possiamo classificare sotto la dizione di “efficienza”. Quanto ai risultati in termini di misure di salute guadagnata, ciò non sarà sempre possibile. Se mancano registrazioni adeguate, indicatori coerenti, è inutile illudersi di poter sopperire con proxy di dubbio significato. In assenza di adeguati sistemi di registrazione del disagio psicologico, per esempio, è inutile sperare di misurare l’efficacia di un intervento per il miglioramento della salute psichica di un collettivo di lavoro, basandosi su misure generiche di assenteismo globale. Al più si potrà ipotizzare, senza affatto averne la sicurezza, che un eventuale miglioramento di tale parametro (meno assenze globali per motivi di salute) possa essere frutto dell’intervento somministrato, ma con ampio beneficio del dubbio. Provando a ragionare nel campo degli infortuni, eventi di più facile misurazione e che non avendo latenza tra l’esposizione e l’insorgenza del danno, consentono di rendere minime le interferenze di fattori terzi rispetto all’intervento, tuttavia bisogna sottolineare che, quanto più si allenta la relazione fra aziende sottoposte a intervento e aziende nelle quali si misura il risultato infortunistico, tanto più difficile risulta stabilire l’efficacia di ciò che è stato fatto. Se cioè si somministra l’intervento a n aziende dell’insieme N di aziende dello stesso tipo e poi la misura infortunistica la si valuta sull’insieme N (p.e. tasso di DALY perduti prima e dopo l’intervento a livello di ASL nel settore produttivo specifico), la “diluizione” dovuta a una misura così fatta può nascondere l’eventuale efficacia dell’intervento. Da qui l’indispensabile necessità di un collegamento (linkare) tra azione di prevenzione effettuata e unità locale sulla quale tale azione si è sviluppata.

Sul versante della registrazione del’intervento si possono fare altrettante considerazioni. Anche in questo caso solamente una corrispondenza esatta tra registrazione e specificità dell’intervento può consentire di misurarne l’efficacia. Se si registra genericamente che si è “entrati” in ditta, senza una tassonomia adeguata della motivazione e senza annotare ulteriori dettagli di ciò che è stato fatto (semplice sopralluogo, colloquio con i preposti, discussione con i lavoratori stessi, ecc.) sarà impossibile a valle scegliere quegli interventi che abbiano rispettato certe caratteristiche ritenute importanti nella valutazione di efficacia.

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Pag. 11 QUALCHE CONSIDERAZIONE CONCLUSIVA

Senza voler dare indicazioni eccessivamente vincolanti vale però la pena di ricordare qualche condizione necessaria, anche se non sufficiente, per procedere a realistiche e credibili valutazioni di efficacia in questo campo.

 E’ bene proporsi di valutare l’efficacia pratica del proprio intervento ogniqualvolta ciò sia realisticamente fattibile, dedicando risorse a questo scopo;

 Per rendere fattibile tale intento si debbono creare alcune condizioni: una registrazione delle caratteristiche dell’intervento sufficientemente dettagliata, che non si confonda con le altre attività rutinarie del servizio; una misura del risultato in termini di guadagno di salute dei lavoratori interessati che sia effettuata sul gruppo coinvolto direttamente nell’intervento e non sia “diluita” da tutte le altre aziende del settore produttivo interessato, ma non direttamente coinvolte.

 La disponibilità di collaborazioni esterne al servizio stesso, che cooperino nel costruire gli strumenti di misura e coadiuvino nella raccolta delle informazioni. Tali collaborazioni potranno riguardare sia centri regionali o nazionali dedicati allo studio dei dati relativi, sia università e centri di ricerca interessati a sviluppare nuove metodologie di valutazione dei servizi sanitari e di prevenzione. In assenza anche di una sola di queste condizioni è sconsigliabile intraprendere il percorso della valutazione ex-post che, nell’esperienza maturata in questi anni da chi scrive, rischia di trasformarsi in una cocente delusione, perché sostanzialmente inconcludente.

BIBLIOGRAFIA 1. Donabedian, A.

Evaluating the Quality of Medical Care.

Milbank Memorial Fund Quarterly 44(3, Part 2): 166–206.

2. Robson LS, Shannon HS, Goldenhar LM, Hale AR.

Guide to Evaluating the Effectiveness of Strategies for Preventing Work Injuries: How to Show Whether a Safety Intervention Really Works.

CDC-NIOSH-IWH publication. Jun 2001; pub. no. 2001–119.

3. Kristensen T S.

Intervention studies in occupational epidemiology. Occup Environ Med 2005;62:205-210.

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FLUSSI INFORMATIVI INAIL REGIONI COME STRUMENTO DI PROGRAMMAZIONE E VALUTAZIONE DEGLI INTERVENTI

T. De Nicola, S. Signorini

INAIL – Direzione Centrale Prevenzione

“Se si vogliono sviluppare politiche che siano basate su dati comprovati, è importante raccogliere dati statistici affidabili, tempestivi e comparabili sugli infortuni e le malattie legati al lavoro, le esposizioni professionali e la cattiva salute connessa al lavoro, e analizzare costi e benefici in materia di SSL. Permangono tuttavia difficoltà per quanto concerne i dati sulle esposizioni professionali e sulla cattiva salute connessa al lavoro. È pertanto ancora difficile raffrontare i risultati degli Stati membri in materia di SSL e trarre da tali confronti delle conclusioni sulle politiche che siano basate su dati comprovati. La situazione è particolarmente complessa per quanto riguarda le malattie professionali e legate al lavoro. È quindi opportuno che gli esperti di statistica nazionali e dell'UE collaborino e intensifichino i loro sforzi volti a migliorare la raccolta dei dati e l'elaborazione di approcci comuni al fine di individuare e misurare i rischi per la salute dei lavoratori, tenendo debitamente conto dei costi amministrativi a carico delle aziende e delle amministrazioni nazionali”.

(Comunicazione della commissione europea, relativa ad un quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro 2014 – 2020; Bruxelles, 6.6.2014).

L’indicazione affinché gli stati membri dell’unione europea e l’unione nel suo complesso istituissero sistemi informativi finalizzati al miglioramento della raccolta dei dati statistici e allo sviluppo della base di informazioni necessarie a orientare e valutare le politiche di sanità pubblica nazionali e sovranazionali, ricorre negli atti del Parlamento europeo e del Consiglio dagli inizi degli anni 2000.

La risoluzione del Consiglio del 3 giugno 2002 su una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (2002-2006) invitava la Commissione e gli Stati membri a intensificare i lavori in corso sull’armonizzazione delle statistiche degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali per disporre di dati comparabili che permettessero di valutare oggettivamente l’impatto e l’efficacia delle misure adottate nel contesto della nuova strategia comunitaria.

Inoltre, nella risoluzione del 25 giugno 2007, su una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (2007-2012), il Consiglio invitava la Commissione a collaborare con le autorità legislative al fine di istituire un sistema statistico europeo appropriato nel settore della salute e della sicurezza sul lavoro che tenesse conto dei diversi sistemi nazionali.

I FLUSSI INFORMATIVI INAIL - REGIONI

Nell’anno 2002 le Regioni, l’INAIL e ISPESL, per il raggiungimento dei propri obiettivi istituzionali e nel rispetto delle reciproche funzioni e competenze, firmarono un accordo nel quale si impegnavano a definire e realizzare un programma di collaborazione finalizzato allo sviluppo di un sistema informativo integrato nazionale e con articolazioni in tutto il territorio.

In tale ottica il primo obiettivo del programma di collaborazione è stato l’impostazione di un piano articolato ed organico di iniziative ed interventi, basato sulla sistematicità degli scambi delle informazioni in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro tra le Parti coinvolte, attraverso flussi atti ad incrementare il patrimonio conoscitivo per la realizzazione di un sistema informativo utile a concretizzare in tutto il paese adeguate iniziative di prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro.

L’accordo del 2002, rinnovato nel 2007, e il conseguente processo di costruzione e utilizzo delle informazioni generate dall’integrazione delle basi dei dati hanno costituito un’esperienza così significativa in termini di programmazione sul territorio delle azioni di prevenzione e di valutazione della loro efficacia da indurre il legislatore a trasporre quell’esperienza nella disposizione normativa di cui all’art. 8 del D.lgs. 81/2008, istituendo il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro. Attualmente i Flussi Informativi INAIL – Regioni costituiscono uno strumento gestionale di sistematizzazione e condivisione delle conoscenze tra le Regioni e i Servizi di Prevenzione e tra questi soggetti e le Direzioni Regionali e le Sedi INAIL, per la pianificazione, la gestione e il controllo delle attività finalizzate alla prevenzione e sono base informativa dei Piani sanitari nazionali e per la definizione e gestione dei Piani regionali per la Prevenzione.

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IL SISTEMA INFORMATIVO NAZIONALE PER LA PREVENZIONE NEI LUOGHI DI LAVORO – SINP L’articolo 8 del D.lgs. 81/2008 istituisce il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro e ne delinea le finalità: “fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali […], e per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l’utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi […].

La disposizione normativa rimanda la definizione delle regole tecniche per la realizzazione e il funzionamento del SINP e le regole del trattamento dei dati all’ emanazione di uno specifico decreto interministeriale, la cui versione definitiva con i relativi allegati è stata rielaborata a cura di INAIL, che la norma riconosce come garante della gestione tecnica e informatica e titolare del trattamento dei dati. La versione definitiva trasmessa agli uffici ministeriali per il seguito di competenza, è stata predisposta in ordine alle osservazioni a più riprese formulate dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali intese a delineare i limiti entro i quali il sistema può e deve operare.

Ne risulta un sistema informativo ove, nonostante la varietà dei dati provenienti dalle fonti informative tributarie dei flussi di alimentazione, le informazioni generate appaiono limitate dall’ anonimizzazione ed dall’aggregazione dei dati, nonché dai limiti temporali imposti sulla permanenza dei dati nel sistema, orientandone, in tal modo, l’utilizzo per macroanalisi dei fenomeni e per l’impostazione di linee di indirizzo di carattere generale nei piani di prevenzione.

OPEN DATA

In base a quanto disposto dal Decreto Legislativo 24 gennaio 2006 n. 36, che recepisce la Direttiva 2003/98/CE del 17 novembre 2003 in materia di riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, l’INAIL nell'ambito del processo di valorizzazione del proprio patrimonio informativo, mette a disposizione sul Portale Istituzionale, un set di dati pubblici che comprende:

 dataset statistici con dati elementari relativi al singolo caso di infortunio e malattia professionale;

 dataset statistici con dati aggregati, ma manipolabili, su temi particolari (Casi Re.Na.M. - Registro Nazionale Mesoteliomi - Registro di esposizione ad agenti cancerogeni/mutageni e biologici - Expah Meteo 2011-2012/esposizione della popolazione agli idrocarburi policiclici aromatici contenuti nelle polveri fini atmosferiche delle aree urbane metropolitane);

 dataset gestionali, relativi ai processi organizzativi e di servizio, che riportano informazioni sulle sedi dell’INAIL e sui Centri Operativi Regionali afferenti al network del Registro Nazionale dei Mesoteliomi (Re.Na.M.).

Tali dati sono disponibili in formato aperto, sono pubblicati a cadenza mensile e semestrale e, sulla base di un modello di lettura del fenomeno infortunistico, sono liberamente consultabili e riutilizzabili. Per garantire l’affidabilità dei risultati, sono utilizzati processi di “data quality”.

Gli open data sono corredati da una nota metodologica e dall’insieme delle tabelle di sintesi che consentono il confronto con gli andamenti di periodo dell’anno precedente.

Lo strumento inoltre raccoglie in una apposita sezione le segnalazioni degli utenti-utilizzatori relative alle elaborazioni realizzate e agli esiti ottenuti, ai fini del miglioramento del servizio di pubblicazione e in un’ottica di riuso e condivisione dei dati nonché per creare una rete di "esperti del tema".

Attraverso gli Open data, Inail intende accrescere l’interazione tra Pubblica Amministrazione e informazione pubblica, incentivare le relazioni tra gli stakeholders, migliorare la qualità e l’efficacia delle azioni e incoraggiare lo sviluppo di servizi e prodotti innovativi, sia in ambito pubblico che privato.

CONCLUSIONI

Come si è tentato brevemente di illustrare, i tre sistemi informativi, pur originando dal patrimonio informativo INAIL, hanno tuttavia modelli di lettura differenti in termini di informazioni generate e di potenzialità di utilizzo in termini di pianificazione, programmazione e valutazione dell’efficacia delle attività di prevenzione.

Ciò rende necessario perseguire da una parte, una perfetta coerenza tra i dati che alimentano i tre sistemi, e dall’altra una migliore e più puntuale definizione delle finalità degli stessi al fine di evitare sovrapposizioni e duplicazioni, promuovendo sinergie in termini di politiche pubbliche per la prevenzione.

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IL CONTESTO EPIDEMIOLOGICO E NORMATIVO NEGLI ANNI 2000-2007; IL DISEGNO DELLO STUDIO E I RISULTATI ATTESI.

R. Agnesi (1), M. Veronese (2)

(1) SPISAL ULSS 9 Treviso (2) SPISAL ULSS 16 Padova

Già molti anni fa ci si interrogava sulla capacità delle azioni svolte dai servizi di influenzare l’andamento infortunistico tenendo conto sia degli interventi di vigilanza, sia dell’assistenza alle aziende e ai lavoratori comprendente, in molti casi, l’attività di formazione svolta direttamente dalle ASL per le varie figure aziendali. E’ stato oggetto di molte discussioni anche il cosiddetto “effetto alone”, cioè l’effetto su aziende non direttamente oggetto di intervento su cui agiscono la promozione diffusa delle prevenzione, il deterrente della vigilanza, la mediazione dei consulenti, tecnici o medici competenti, che trasferiscono a tutte le aziende da loro seguite le indicazioni ricevute in occasione di un intervento. A testimonianza di questo dibattito, in figura 1 è rappresentata una diapositiva storica (e datata) in cui, pur con molta semplificazione, si cercava di rendere l’idea della molteplicità dei fattori influenti e delle complessità delle loro interrelazioni.

Figura 1 – Sintesi dei fattori che influenzano l’andamento degli infortuni.

COSA ATTENDERSI

Anche se non sono mai stati fatti prima tentativi di valutazione di efficacia su larga scala, c’è sempre stata la sensazione che le azioni dei servizi di prevenzione fossero soltanto uno dei tanti fattori in gioco e forse non quello preponderante. Questa sensazione, a prescindere dal tipo di intervento, derivava anche dal susseguirsi di infortuni gravi con modalità tipiche e ripetitive (primi fra tutti quelli dovuti alle cadute dall’alto per sfondamento delle coperture in eternit e per il rovesciamento del trattore agricolo), quasi che fossero inutili sia le sanzioni sia la vasta attività di informazione e promozione della sicurezza. Come si è detto, ora finalmente si dispone di uno strumento adatto a valutare l’efficacia, almeno per quanto riguarda l’azione diretta sulle aziende controllate. Resta il problema dell’effetto alone che, manifestandosi anche sui controlli, potrebbe ridurre la differenza fra casi e controlli proprio dove i servizi sono più attivi con azioni di assistenza e promozione della sicurezza e della salute.

In realtà cosa ci si può aspettare in termini quantitativi da un intervento di prevenzione sviluppato in Veneto nel periodo interessato da questo studio? Cioè, qual è l’ordine di grandezza della riduzione di infortuni attesa?

Per rispondere sarà utile iniziare dall’esame della letteratura su questo delicato tema.

Numero e gravitа degli infortuni +/- fattori casuali Sicurezza in azienda Ore lavorate Conoscenze in materia di sicurezza del Datore di lavoro / RSPP Atteggiamento del datore di lavor/RSPP nei confronti della sicurezza Formazione e informazione dei lavoratori Valutazione dei rischi Dimensione aziendale Ruolo del RLS Valutazioni economiche Lavoro straordinario Lavoro interinale Attività di vigilanza SPSAL Attività di formazione assistenza SPSAL % aziende % soggetti Deterrente (probabilità di essere ispezionati)

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Negli Stati Uniti, Grey e Mendeloff (1) hanno evidenziato che l’effetto delle ispezioni dell’OSHA nel tempo, in termini di riduzione di infortuni passava dal 19% del periodo 1979-85 al 11% del periodo 1987-1991 e al 1% (non significativo) del 1992-98; nonostante la valutazione di molte variabili, gli Autori non sono riusciti a chiarire del tutto il motivo di tale riduzione. Successivamente Haviland et al. (5) hanno valutato che le ispezioni con sanzioni effettuate nel periodo 1998-2005 hanno ridotto del 19-25% gli infortuni per anno nei due anni successivi ma che questo effetto non si verificava nei luoghi di lavoro con meno di 20 o con più di 250 dipendenti e per le ispezioni senza sanzioni.

Anche se in Italia non sono disponibili studi precedenti di questo tipo su vasta scala, alcuni dati possono suggerire che attualmente ci sia da attendersi un effetto diretto molto ridotto. Un paragone epidemiologico, per comprenderne il motivo, può essere quello delle malattie infettive: se si agisce con una terapia antibiotica in presenza di malattia febbrile in un luogo con carenze di tipo igienico, assenza di vaccinazioni e di facile diffusione delle malattie, l’intervento coglie immediatamente ampio successo; viceversa, in una popolazione che già attua adeguate misure igieniche e copertura vaccinale adeguata ostacolando la diffusione delle malattie infettive, quelle che rimangono sono le più difficili da trattare e debellare e quindi i risultati sono meno spettacolari (vedi infezioni ospedaliere nel mondo occidentale). Se si pensa alla situazione italiana molte cose sono cambiate , dagli anni ’50 ad oggi e ciò vale soprattutto per l’ultimo ventennio: è pur vero che già dal 1955 il DPR 547 dettava norme precise per la sicurezza delle macchine ma queste erano largamente disattese; paradossalmente, sembrerebbe che l’emanazione del DLgs 626/94, invece di far compiere un salto culturale con la valutazione dei rischi, abbia finalmente fatto applicare più diffusamente (anche se ancora permangono situazioni di inosservanza) il DPR 547/55. Infatti, il primo passaggio della valutazione dei rischi (novità epocale) era quello di verificare la conformità alla norma e per questo sono state prodotte innumerevoli check list (dai consulenti, dal’ISPESL etc., ma anche ogni ASL ne ha prodotte di proprie per vari comparti produttivi) per il controllo delle macchine e la verifica delle protezioni. Ancora oggi la valutazione dei rischi non è stata del tutto compresa nel suo significato preventivo e qualcuno rimpiange ancora il DPR 547/55 dopo che il DLgs 81/08 l’ha abrogato.

Figura 2 – Infortuni per agente materiale (adattata da Atlante degli infortuni sul lavoro nella Regione del Veneto anni 1990-2001 a cura del PREO e della Direzione SISTAR Veneto su dati INAIL). Sono esclusi infortuni di studenti, servizi domestici e sportivi.

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 Macchine e parti di macchine 34.227 23.859 26.490 27.432 18.353 17.082 16.386 15.420 15.537 16.137 15.894 14.920 Mezzi sollevamento e trasporto 10.664 11.888 11.092 9.995 11.101 11.963 12.545 13.657 15.646 18.626 19.263 18.412 Attrezzature apparecchiature attrezzi utensili 12.018 13.195 11.904 9.470 10.623 10.339 10.109 9.626 9.573 9.642 9.282 8.918 Materiali sostanze radiazioni 18.322 23.752 21.262 17.013 20.121 20.270 19.655 18.368 18.832 18.007 17.936 17.242 Ambienti di lavoro 14.917 16.966 15.354 13.630 13.994 12.374 12.342 12.007 12.667 13.963 14.832 16.169 Altro 4.862 6.287 5.753 4.562 4.968 5.631 5.691 5.483 5.894 6.041 5.926 9.249 36,0 % 17,6% 11,2 % 21,7 % 0 5.000 10.000 15.000 20.000 25.000 30.000 35.000 40.000 N u m e ro in fo rt u n i ANNO

Infortuni per gruppo agente materiale INAIL

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Se si osserva la figura 2, si vede come dopo l’avvento del DLgs 626/94 ci sia stata una drastica riduzione del numero di infortuni che vedevano come agente della lesione “macchine” o “parti di macchine” che sono passati dal 36% al 17,6% del totale. Contestualmente aumentavano gli infortuni correlati all’ambiente di lavoro e quelli con i mezzi di trasporto, che anche oggi, pur escludendo gli eventi in itinere, costituiscono una buona parte degli eventi più gravi. Contemporaneamente le altre cause sono diminuite, ma in misura meno rilevante o sono aumentate; pertanto, la riduzione di infortuni registrata fin dagli anni 90 è stata in buona parte determinata dalla riduzione degli eventi connessi alla sicurezza delle macchine. Su questo risultato hanno certamente influito anche il progresso tecnologico e l’automazione dei processi produttivi.

L’adeguamento delle macchine alle indicazioni normative, così come il riconoscimento di situazioni non conformi alla normativa allora vigente, è relativamente facile; le situazioni di rischio che residuano dopo che sono state eliminate queste contravvenzioni generano un numero minore di infortuni per i quali è invece più difficile individuare azioni di prevenzione di facile attuazione; di qui in poi l’attenzione si sposta sui comportamenti, talvolta con la speciosa distinzione tra incidenti in cui la causa è “tecnica” da quelli in cui la causa è “umana”, spesso anche attribuendo la causa umana all’errore del lavoratore invece che alla procedura non corretta (oggi, fortunatamente, c’è la tendenza a riconsiderare questo approccio).

Figura 3 – Veneto: infortuni riconosciuti per variabile ESAW “agente deviazione” (elaborazione PREO su dati Flussi INAIL Regioni ed. 2014). Sono esclusi infortuni di studenti, servizi domestici, sportivi e in itinere.

0 10.000 20.000 30.000 40.000 50.000 60.000 70.000 80.000 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 ANNI

GRUPPO AGENTE DELLA DEVIAZIONE ESAW

Non codif icato altro f enomeni f isici dispositivi sicurezza esseri viventi sostanze materiali e rif iuti

dispositivi e mezzi trasporto macchine

utensili e attrezzature impianti

edif ici

Questo processo è continuato verosimilmente anche negli anni successivi, come evidenziato dalla figura 3; negli anni immediatamente successivi al 2000, per descrivere le modalità di accadimento dell’infortunio è stato adottato il sistema di classificazione ESAW che utilizza 8 variabili al posto delle due precedentemente impiegate (forma – agente). Purtroppo, la migliore qualità ipotizzata ha dovuto fare i conti con la carenza di informazioni nelle descrizioni delle denunce presentate dai datori di lavoro; per questo motivo non sono utilizzabili i dati prima del 2003 e, anche se sono stati messi in atto da parte di INAIL dei correttivi, per gli anni successivi e fino ad oggi la rilevante presenza di record privi in tutto o in parte di codifica ESAW non consente di fornire elaborazioni precise e attendibili sulla dinamica degli

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eventi; tuttavia sembra di poter affermare, con ragionevole sicurezza, che la quota di eventi in cui sono coinvolte macchine e attrezzature (incluse quelle portatili) probabilmente non è mutata (anche se questa classificazione non è del tutto confrontabile con la precedente classificazione per Agente Materiale). Contemporaneamente si verificavano alcune modifiche di carattere organizzativo nell’organo di vigilanza; in primo luogo la riduzione del numero di ASL con due riforme regionali, e la conseguente contrazione dell’organico destinato ai servizi di prevenzione a cui ha contribuito anche la ben nota situazione economica italiana con il blocco del turnover. Inoltre la storia dei servizi già illustrata ha avuto una svolta quando, sempre all’inizio degli anni ’90, sono state definitivamente assunte da tutte le ASL le funzioni di vigilanza contestualmente all’entrata in vigore del nuovo Codice di Procedura Penale e all’emanazione del DLgs 758/94 (depenalizzazione dei reati connessi alla sicurezza sul lavoro). Gli interventi che prima si attuavano come “indagini di comparto”, volti a considerare tutti i fattori di rischio aziendali e a proporre soluzioni di bonifica (interventi realmente completi con molto personale di diversa competenza professionale ma attuati in poche aziende) sono diventati le ispezioni semplici o complesse degli anni 2000 e seguenti in cui è sempre stato preponderante l’aspetto tecnico di controllo di conformità delle attrezzature anche se già la situazione epidemiologica era cambiata; è pur vero che persistevano (e persistono tuttora) limitati casi di completa inosservanza di elementari criteri di sicurezza ma sostanzialmente oggi ci si deve chiedere se la modalità di intervento era appropriata per la maggior parte delle situazioni degli anni 2000 in cui buona parte degli infortuni nasceva da problemi diversi dalla protezione delle macchine.

In sostanza, ciò che stiamo ora valutando è la risposta a questa domanda: “Gli interventi attuati (con le specifiche nel seguito dettagliate) sono stati in grado di ridurre il tasso di incidenza di infortuni (totali e gravi) nelle aziende ispezionate nel contesto epidemiologico del Veneto nel periodo 2003-2005 ?”. La risposta è tuttora attuale perché:

 i metodi di intervento non sono radicalmente cambiati (anche se il raggiungimento dell’obiettivo del 5% previsto dal DPCM del 17/12/2007, contestualmente alla riduzione del personale, obbliga a limitare il tempo dedicato alla singola ispezione (minore completezza, ricerca di situazioni macroscopicamente evidenti)

 viceversa il contesto si è ulteriormente modificato nel senso di una minore frequenza di riscontro di carenze macroscopicamente evidenti di sicurezza delle macchine in corso di ispezione

 tra i determinanti degli infortuni l’impatto di fattori organizzativi e comportamentali o procedurali in senso lato è ulteriormente aumentato in percentuale rispetto al passato.

Questo studio, per il metodo seguito, non è ovviamente in grado di dare risposte sugli effetti indiretti (alone) sulle aziende non ispezionate; poiché però questo effetto agisce comunque anche sui controlli utilizzati per il confronto con i casi, sarà descritto qualche indicatore di processo potenzialmente correlabile all’effetto “alone”.

I due elementi “contesto epidemiologico” e “tipologia di intervento” che caratterizzano l’azione di prevenzione oggetto di valutazione nel periodo dello studio saranno ora trattati in dettaglio.

CONTESTO EPIDEMIOLOGICO

Poiché lo studio riguarda il settore manifatturiero, sarà data attenzione particolare a questo insieme e al periodo 2001-2007 che include gli anni 2003-2005 in cui sono stati effettuati gli interventi valutati. Restano fuori di questo periodo la crisi economica iniziata alla fine del 2007, il DPCM 17/12/2007 “patto per la salute” che ha introdotto il LEA di interventi nel 5% delle aziende con dipendenti e il DLgs 81/08 che hanno introdotto una serie ulteriore di effetti. Per completezza saranno comunque riportati i dati disponibili fino ad oggi.

In figura 4 sono riportati i dati sintetici delle posizioni assicurative territoriali INAIL (PAT) nei settori industria e servizi che, pur non coincidendo esattamente con il concetto di unità locale o di azienda rendono conto del numero di aziende presenti nel territorio. La classificazione è ottenuta accorpando i codici ATECO 2002 (attività economica ISTAT), in vigore all’epoca, che classificano il prodotto principale dell’azienda.

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Figura 4 – Veneto: numero posizioni assicurative territoriali INAIL (PAT) per gruppo ATECO 2002 – fonte flussi INAIL Regioni ed. 2014.

0 50.000 100.000 150.000 200.000 250.000 300.000 350.000 400.000 0 20.000 40.000 60.000 80.000 100.000 120.000 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 P A T t o ta li N u m e ro P A T p e r co m p a rt o

PAT INAIL per GRUPPO ATECO 2002

Servizi Sanità Trasporti Commercio Manifatturiero Costruzioni Altri Totale

In figura 5 sono riportati gli addetti stimati INAIL (la stima basata su dati salariali rende questo indicatore molto simile alle ore lavorate ed è più vantaggioso del numero di “teste” per il calcolo di indicatori di incidenza e gravità). Come si può vedere da entrambi i grafici, il settore manifatturiero era già in riduzione (soprattutto per il settore tessile) prima della crisi economica del 2008 che ha accelerato questo processo; le costruzioni mostrano una riduzione soltanto dal 2008 in poi mentre sono in aumento in tutto il periodo i servizi e il commercio che complessivamente comportano attività meno rischiose dal punto di vista infortunistico. In parte queste variazioni sono collegate alla “delocalizzazione” in altri paesi in cui la mano d’opera e il costo del lavoro in generale sono più vantaggiosi. Nelle attività manifatturiere rimaste è comunque in atto un fisiologico processo di aggiornamento tecnologico degli impianti con maggiore automazione e con maggiori sicurezze intrinseche. Tutti questi fenomeni contribuiscono al trend in continua riduzione dei tassi di incidenza degli infortuni sul lavoro che ha verosimilmente molti determinanti.

Figura 5 – Veneto: addetti stimati occupati in posizioni assicurative territoriali INAIL (PAT) per gruppo ATECO 2002 – fonte flussi INAIL Regioni ed. 2014.

0 200.000 400.000 600.000 800.000 1.000.000 1.200.000 1.400.000 1.600.000 1.800.000 0 100.000 200.000 300.000 400.000 500.000 600.000 700.000 800.000 900.000 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 A D D E T T I to ta li N u m e ro A D D E T T I p e r co m p a rt o

addetti stimati INAIL per GRUPPO ATECO 2002

Servizi Sanità Trasporti Commercio Manifatturiero Costruzioni Altri Totale

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Uno dei fattori che influenzano il livello di sicurezza in azienda è la dimensione (cioè il numero di addetti) che si riflette sulla possibilità di avere un sistema strutturato di gestione della sicurezza. In figura 6 si evidenzia come il sistema produttivo sia prevalentemente costituito da aziende al di sotto di 10 dipendenti; nel settore manifatturiero la percentuale di aziende al di sopra di 10 addetti (di cui si occupa questo studio) è maggiore ma non raggiunge complessivamente il 20%.

Figura 6 – Veneto: Percentuale di PAT per classe addetti nei settori produttivi classificati con codice ATECO 2002 – fonte flussi INAIL Regioni ed. 2014.

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% T ra sp o rt i A lt ri C o m m e rc io C o st ru z io n i M an if a tt u rie ro S a n it à S e rv iz i

anno 2004 - composizione per dimensione aziendale nei principali comparti

oltre 30

da 10,1 a 30

da 3,1 a 10

fino a 3

Si ricorda che la divisione nelle classi di addetti utilizzate tiene conto di aspetti normativi (autocertificazione della valutazione dei rischi fino a 10 addetti, impossibilità di assumere il ruolo di RSPP per il datore di lavoro oltre 30 addetti). In valore assoluto il numero di PAT è riportato in figura 7 ove è evidenziato l’insieme base delle PAT oggetto di questo studio che, per quanto limitato, riguarda una percentuale elevata di lavoratori e di infortuni. Negli anni considerati quasi il 50% degli addetti e degli infortuni in Veneto si colloca in aziende con più di 10 addetti e la maggior parte dei settori ad elevato rischio, escludendo agricoltura e costruzioni, si trova nel settore manifatturiero.

Figura 7 – Veneto: Numero di PAT per classe addetti nei settori produttivi classificati con codice ATECO 2002; è evidenziato nel cerchio l’insieme oggetto dello studio – fonte flussi INAIL Regioni ed. 2014.

0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 80000 90000 100000 T ra s p o rt i A lt ri C o m m e rc io C o s tr u z io n i M a n if a tt u ri e ro S a n it à S e rv iz i

anno 2004 - composizione per dimensione aziendale nei principali comparti

oltre 30 da 10,1 a 30 da 3,1 a 10 fino a 3

Figura

Figura 1 – Sintesi dei fattori che influenzano l’andamento degli infortuni.
Figura  2  –  Infortuni  per  agente  materiale  (adattata  da  Atlante  degli  infortuni  sul  lavoro  nella  Regione  del  Veneto  anni  1990-2001  a  cura  del  PREO  e  della  Direzione  SISTAR  Veneto  su  dati  INAIL)
Figura  3  –  Veneto:  infortuni  riconosciuti  per  variabile  ESAW  “agente  deviazione”  (elaborazione  PREO  su  dati  Flussi INAIL Regioni ed
Figura  5  –  Veneto:  addetti  stimati  occupati  in  posizioni  assicurative  territoriali  INAIL  (PAT)  per  gruppo  ATECO  2002 – fonte flussi INAIL Regioni ed
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