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Scienza & Politica, 33, 2005

Il 7 dicembre 2005 è scomparso Ernesto Molinari, docente del Dipartimento di Politica, Istituzioni, Storia, della Facoltà di Scien-ze Politiche dell’Università di Bologna, che da vent’anni ricopriva la cattedra di Teoria generale del diritto. Era nato il 23 febbraio 1933 a Casteggio, cittadina della provincia di Pavia cui era rimasto fortemente legato anche durante i molti anni di insegnamento presso l’ateneo bolognese. Laureatosi all’Università di Genova pri-ma in Giurisprudenza (nel novembre 1955), poi in Scienze Politi-che (nel luglio 1959), Molinari aveva iniziato la sua carriera acca-demica nel novembre 1959 come assistente volontario presso la cattedra di Dottrina dello Stato dell’ateneo genovese, tenuta (in-sieme a quella di Filosofia del diritto) da Luigi Bagolini, di cui era allievo e dal quale aveva ereditato l’interesse per il pensiero filosofi-co di Hume, che sarà alla base del suo volume su L’utopia filosofi- control-lata. Considerazioni sulla filosofia morale di D. Hume (Milano, Giuffrè, 1964). Conseguita la libera docenza in Filosofia del dirit-to nel maggio 1966, Molinari approda alla Facoltà di Scienze Poli-tiche dell’Università di Bologna al seguito del suo maestro, rico-prendovi l’incarico di assistente volontario di Dottrina dello Stato sino al gennaio 1969 e, successivamente, quello di assistente ordi-nario di Filosofia del diritto (sino all’ottobre 1973) e poi di nuovo di Dottrina dello Stato sino al novembre 1985, quando viene no-minato professore associato di Teoria generale del diritto, cattedra da lui tenuta fino al pensionamento per raggiunti limiti di età nel novembre 2005.

Tra le sue principali pubblicazioni vanno ricordate, oltre alla già citata monografia sulla filosofia morale di Hume (dove viene det-tagliatamente analizzato il principio humeano dell’utilità sociale come criterio direttivo dell’azione umana e come fonte del

senti-Ricordo di Ernesto Molinari

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mento morale), la voce Teoria dei giochi del Dizionario di politica curato da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pas-quino (Torino, Utet, 1983), e un recente contributo su Il contratto virtuale. Considerazioni sulla politologia di Rousseau (apparso sui «Materiali per una storia della cultura giuridica», a. XXIII, n. 2, dicembre 2002, pp. 491-498), nel quale viene proposta un’origi-nale interpretazione della teoria roussoiana della volontà generale alla luce delle considerazioni sviluppate dal pensatore ginevrino sui temi della musica e del linguaggio musicale. I riferimenti a Gilles Deleuze e a Felix Guattari contenuti in quest’ultimo scritto prean-nunziano il progressivo spostarsi dell’interesse di Molinari nei suoi

ultimi anni d'insegnamento verso la nouvelle vague

filosofico-cul-turale francese degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, con la sua critica radicale del Logos occidentale che, nel caso specifico del costruzionismo deleuziano, tende a diventare categorico rifiuto del pensiero dialettico in nome di una visione della pratica filosofica come libera creazione di concetti.

Ma l’elencazione dei corsi tenuti e dei lavori pubblicati durante la sua lunga carriera accademica non offre che un’idea parziale della vasta, sconfinata cultura di Molinari, capace di spaziare con identica competenza dal diritto all’economia, dalla teoria politica alla filosofia morale, dalla linguistica alla storia dell’arte, dal tea-tro alla cinematografia. Di questo voluminoso bagaglio culturale, sorretto da una vivissima curiosità intellettuale e da una straordi-naria ampiezza di interessi, erano un’eloquente testimonianza le sue lezioni, durante le quali egli riusciva a «catturare» l’attenzione degli studenti con tutta una serie di citazioni tratte da opere giu-ridiche, politiche, filosofiche, letterarie, cinematografiche, che ar-ricchivano e quasi «impreziosivano» l’argomento trattato renden-dolo particolarmente interessante. Non era raro, nel corso di una

lezione dedicata alla jurisprudence analitica di Hart o alla reine

Rechtslehre di Kelsen, sentire evocati i nomi di Platone e di Ari-stotele, di Hobbes e di Locke, di Manzoni e di Proust, di Bresson e di Kubrick, in un «vortice» di richiami, riferimenti, distinzioni, accostamenti, talvolta arditi ma sempre intriganti nella loro in-dubbia originalità.

La stessa ricchezza di interessi e di conoscenze si rifletteva negli argomenti concordati per le tesi di laurea con i «tesanti» (come amava definire affettuosamente i suoi candidati). Per citarne solo alcuni, essi spaziavano da Natura delle cose e teoria del diritto nell’o-pera di Montesquieu a Il concetto di Stato totalitario nel dibattito giuspubblicistico del ventennio fascista, da Il concetto di sistema giuri-dico nel pensiero di Friedrich Carl von Savigny a L’interpretazione del pensiero hobbesiano in Norberto Bobbio. Temi estremamente

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nanti e stimolanti, che incontravano puntualmente l’attenzione e l’interesse degli studenti.

In chiusura di questo breve profilo, non si può non ricordare quell’aspetto della personalità di Molinari che maggiormente col-piva chi (come me) aveva la fortuna di conoscerlo e di essergli amico: la sua grande umanità e generosità, la sua sincera e disinte-ressata disponibilità, non solo in ambito culturale (dov’era sempre prodigo di suggerimenti e indicazioni, come sanno bene i giovani che hanno frequentato i suoi corsi o si sono laureati con lui), ma anche, e soprattutto, nel campo dei rapporti di lavoro e di amici-zia, in cui sapeva distinguersi per cordialità e calore umano, mai disgiunti da una spiccata e autentica signorilità. Un uomo di vasta cultura e di notevoli doti umane: è senza dubbio questa l’immagi-ne che conserveranno di lui quanti hanno avuto modo di incon-trarlo e di frequentarlo.

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