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Ampliamento dell'università di Pavia : progetto di una residenza per studenti

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Academic year: 2021

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POLITECNICO DI MILANO

Facolta’ di Architettura Civile

Milano Bovisa

Corso di laurea: Architettura

TITOLO

Ampliamento dell’Università di Pavia: progetto di una residenza per

stu-denti

RELATORE

Prof. Riccardo Campagnola

LAUREANDI

Claudio Galletti matr.724812

Marco Morandi matr.736900

Federico Uslenghi matr.734697

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INDICE DELLA RELAZIONE

1 -

Citta’ antica: una lettura per il progetto

contemporaneo pag.6

2 -

Pavia: genesi e formazione della città pag.10

.Analisi della struttura urbana pag.10 .La Pavia disegnata: Opicino de Canistris, Claricio,

e altri illustri documenti pag.10 .Le tappe dell’evoluzione storica: la Pavia romana,

la Pavia rinascimentale e la Pavia neoclassica pag.14 3 -

L’Ospedale San Matteo di Pavia pag.19

4 -

L’Università di Pavia pag.20

5

- Bibliografia pag.22

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INDICE DELLA RELAZIONE

INDICE DELLE IMMAGINI

1 -

Pavia. Catasto Lombardo-Veneto 1855-1858 pag.11

2 -

Pavia. Carta di Opicino de Canistris (1330) pag.12

3 -

Pavia. Carta di Claricio (1599) pag.13

4 -

Pavia. Affresco di San Teodoro (1522) pag.15

(4)

INDICE DELLE TAVOLE

1 -

Stato di fatto

2 -

Inquadramento del progetto

3 -

Planivolumetrico

4 -

Pianta piano terra

5

- Pianta piano primo

6

- Pianta piano secondo

7

- Sezioni e Prospetti

8

- Sezioni e Prospetti

9

- Dettaglio costruttivo

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ABSTRACT

Pavia romana, Pavia rinascimentale, Pavia neoclassica: tre tappe coerenti, tre momenti coesi nella definizio-ne di un assetto riconoscibile, tre fasi ugualmente tese alla procrastinaziodefinizio-ne di paradigmi logici, privi di con-traddizioni. Il progetto per una casa dello studente ad ampliamento dell’Università di Pavia rilegge la “città come storia”, la sua evoluzione lineare, rigorosa, essenziale, verso la fondazione di una struttura compatta e concettualmente ideale che viene riconfermata di volta in volta nei secoli. Elemento base di caratteriz-zazione e determinazione del nucleo costruito, modulo di riferimento di un impianto intellegibile, l’isolato urbano quadrato non è altro che quel dato dimensionale, funzionale e compositivo, quell’entità irriducibile che esplicita la legge elementare della forma della città, il suo impianto razionale, il suo tipo architettonico ripetibile con caratteri e componenti della pianta centrale. L’isolato diviene pertanto un pezzo autonomo – e nello stesso tempo dipendente – di una prassi di incastri perfetti; e la città, nella totalità dei brani che la costituiscono, è la sintesi di singole unità raggruppate, una molteplicità condensata. Dal particolare al generale,e poi nuovamente, secondo un processo inverso, dal generale al particolare: la logica di costruzione dell’assetto urbano è la medesima di quella dialettica sistematica che eleva il complesso universitario ad em-blema dello statuto aggregativo, potenzialmente estendibile all’infinito. La nuova residenza speciale reitera il principio morfo-tipologico descritto: fissata sulla figura geometrica regolare ad quadratum, la casa dello studente assume come genesi la tipologia del chiostro, l’area studio dell’isolato; l’archetipo architettonico diviene indicazione della regola dimensionale attorno alla quale si riuniscono i differenti servizi, le cellule abitative, gli elementi di distribuzione collettivi a rievocazione della strada porticata, e i tracciati di riferi-mento costituiscono il sostegno di principio-meccanismo di trasformazione che definisce le aree libere e riconquista, di fronte all’impoverimento ottocentesco, l’autentico significato urbano di Pavia.

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1. CITTA’ ANTICA: UNA LETTURA PER IL PROGETTO

CON-TEMPORANEO

L’analisi dei monumenti è stata per la nostra formazione di architetti, un’attenta riflessione sulle questioni architettoniche, una lettura del monumento non da storici dell’architettura, ma attuato tramite il rilievo architettonico che per noi costituisce il principale se non l’unico modo per far nostre caratteristiche ed elementi che lo costituiscono. Quindi il rapporto con la storia è stato primario in quanto assunta nei suoi esempi come materia di architettura. Le opere della storia dell’architettura costituiscono l’architettura, anche all’interno di esse è necessario operare delle scelte capaci di restituire attendibilità al nostro lavoro. L’interes-se per la città antica e per quella parte di città che ancora non si è urbanizzata L’interes-secondo le quantità della città moderna, approfondendo il rapporto tra questa città indagata e le forme delle architetture che pensiamo di usare, nasce dal fatto che essa rappresenti ancora oggi un così grande nodo di questioni da essere insosti-tuibile. Il nostro lavoro è stato dunque inizialmente di analisi urbana, avendo quindi come obiettivo quello di conoscere e studiare la storia della città di Pavia e la storia della sua architettura nel tempo. Il rapporto con la storia, con la memoria della città, non segue il fine di riproporre le forme della città antica, ma quello di ritrovare il filo conduttore dell’esperienza conoscitiva espressa nelle forme storiche di essa. “La scienza della città è una scienza di osservazione che si fonda sopra fatti sicuri che possiamo confrontare fra di loro per classificarli e ricavarne se non delle leggi, parola troppo rigida per applicarsi ai fenomeni umani, almeno dei dati di carattere generale. Il genere dei caratteri da osservare è quello che possiamo denominare dei fatti urbani, indicativo cioè delle condizioni dell’organismo urbano, e l’osservazione deve essere il più possibile diretta; per quanto riguarda il passato, la regola che abbiamo enunciato esige che si faccia riferimento innan-zitutto a quel che sussiste della città antica, poi agli elementi che contribuiscono alla sua conoscenza: docu-menti epigrafici per l’antichità ed archivistici per le epoche successive, piante che sono numerose a partire dal secolo XVI e vedute, cronache e memorie. (…) La città è un essere vivente che dobbiamo studiare nel suo passato per poterne stabilire il grado di evoluzione. E non si dica che la conoscenza del passato è priva di utilità pratica: lo studio della città limitato alle condizioni e manifestazioni di vita attuali, risulta insuffi-ciente, poiché, mancando i termini di confronto col passato, non è possibile orientarsi per l’avvenire.” 1 Si manifesta in questi caratteri anche la nostra scelta, dapprima teorica e analitica poi declinata nella sua forma concreta e progettuale, nel possibile dualismo tra continuità e tradizione. La tradizione coincide con 1 Marcel Poéte, Introduzione all’urbanistica. La città antica, Torino, Einaudi, 1958

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lo stesso “corpus” disciplinare dell’architettura, la continuità si esprime attraverso “l’imitazione”. Imitazione non come rievocazione nostalgica del passato, ma come comprensione e superamento dei caratteri specifici dell’architettura e anche come trasmissione degli stessi elementi del mestiere dell’architetto dimostrando proprio in questo il suo carattere peculiare, nel suo essere anche un aspetto tecnico – pratico dell’architet-tura; inoltre accerta l’avversione al culto per l’invenzione fantastica o “l’innovazione a tutti i costi” tipico del nostro periodo. L’imitazione non è la copia ma la continuità dell’esperienza storica dell’architettura. Per questo lo studio dell’architettura della città e della sua storia non ci consente di determinare forme definite da cui iniziare la sperimentazione progettuale, ma ci offre la conoscenza dei termini entro cui condurre la nostra esperienza progettuale. Il rapporto che si instaura tra progetto e storia dell’architettura ci consente di dimostrare come sia sempre esistita una sinstesi tra determinate funzioni e determinati tipi architettonici. Comprendere questi tipi è il traguardo dell’analisi storica e tipologica. Tuttavia i diversi contributi volti alla definizione del tipo architettonico hanno chiarito come questa sia una nozione astratta, che non coincide con una forma precisa, ma che, al contrario, la nozione di tipo è soggetta ad un continuo processo di cono-scenza, che si realizza aggiungendo al numero già cospicuo di edifici appartenenti ad esso un altro di questi, in cui tale corrispondenza è verificata nuovamente. Questa affermazione ci consente di definire il tipo archi-tettonico come il prodotto concreto tema della nostra elaborazione successiva, e collegamento tra la storia dell’architettura e il nostro progetto. La città antica nella sua globalità ha per noi un’importanza progettuale quando permette di individuare elementi che raggiungono un livello di composizione tale da porsi come oggetto di studio per il progetto. E’ pertanto possibile continuare l’esperienza della costruzione della città che può avvenire sia aggiungendo parti compiute al nucleo definito della stessa, sia ponendosi all’interno di essa per ricostruirne alcune parti: mantenendo, comunque, l’intento di approfondirne la logica formale. Il rapporto tra analisi urbana e progettazione è sempre stato sancito nel corso della storia dell’architettura, e si può individuare in maniera evidente nei periodi in cui l’architettura si è manifestata a apartire da precisate definizioni teoriche; dall’esperienza rinascimentale a quella illuminista, fino al razionalismo del Movimento Moderno. “In questo senso l’architettura del razionalismo rappresenta proprio l’eseigenza di una raziona-lizzazione degli elementi della città in una fondamentale esigenza di ordine e di chiarezza logica; quindi anche l’esigenza di superare la città stessa non nei suoi motivi, ma nella sua compresente e sostanziale con-traddizione. (…) Nella città razionalista il problema dello zoning, la definizione della Siedlung, ad esempio, rappresentano altresì la vocazione di ordine della tradizione urbana europea: cioè della città gotica fino alla stessa tradizione illuministica della metropoli moderna.”2

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I monumenti, le mura costruite, gli spazi pubblici sono radicati nella storia della vita urbana, e sono collocati secondo un uso antico della collettività, nella città ideale questi elementi si ordinano secondo una precisa e definita idea formale, senza comunque contraddire mai il loro uso. “Il significato delle utopie urbane nel rinascimento va perciò chiarito: gli elemnti della città ideale sono stabiliti attraverso la conoscenza degli ele-menti della città costruita, la città medievale, attraverso la ridefinizione formale di questi e del loro rapporto. Questo è il modo giusto di porre il rapporto tra analisi e progetto, tra città antica e città moderna.”3

Gli elementi che costituiscono la città moderna sembrano essere talmente diversi da quelli della città antica da trovarsi al di fuori della possibilità di venire ordinati secondo i principi propri della città nel corso della sua storia. Su un mutamento dimensionale della città e delle sue parti si è teorizzato un mutamento della lo-gica di sviluppo della città fondato su ipotesi impressionistiche basate sul grande numeroe che trova una sua concretizzazione solo nella “logica” dello sfruttamento dei suoli urbani. Si assiste così ai fenomeni di riem-pimento e massimo sfruttamento speculativo delle aree al di fuori di qualsiasi regola di ordine architettonico o formale. Si è creata una scissione tra “due città”, la città antica e la città moderna, definendo strumenti di intervento differenziati e contrapposti. “Appare chiaro come la contraddizione tra “le due città”, al di là di essere una questione teorica, è un fatto necessario allo sviluppo capitalistico, e come al contrario l’analisi storica della città coglie come aspetto fondamentale la sua organica continuità.”4

Il dibattito sui centri storici può essere, probabilmente, ricondotto ad una unica grande questione di archi-tettura: la definizione di una teoria della progettazione architettonica della città moderna. “I monumenti antichi o quelle parti della vecchia città, che si trovano di fronte ai problemi della nuova sono anzitutto ele-menti della composizione e come tali devono essere considerati. Si tratta di architetture, che si presentano con i tratti caratteristici di tutte le architetture, vecchie e nuove. In questo senso ad esempio si deve poter parlare, senza falsi timori reverenziali, di una loro compiutezza o meno sul piano proprio architettonico. Completare o ricostruire, laddove questo ha un significato, corrisponde cioè a una necessità nel senso più vasto - è teroicamente l’unica risposta possibile, capace di far giustizia di tutti i luoghi comuni legati a questo tema; ed è anche, sul piano pratico, l’unica via che ci viene indicata dalla storia dell’architettura delle nostre città.”5

La città si è sempre costruita sovrapponendosi alla città precedente proseguendone l’esperienza storica, e confrontando con essa le nuove formulazioni teoriche e ideali legate alle nuove realtà del tempo. Ignorare 3 Antonio Monestiroli, Pavia: storia e progettazione della città, in Edilizia Popolare n.113, luglio-agosto 1973, pag. 77

4 Antonio Monestiroli, op. cit., pag. 77

5 Giorgio Grassi, Il Castello di Abbiategrasso e la questione del restauro, in L’architettura come mestiere e altri

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questa situazione significa rinunciare alla costruzione razionale della città moderna. “Nella pianificazione, conservare o costruire sono momenti di un medesimo atto di coscienza, perché l’uno e l’altro sono sotto-posti ad un medesimo metodo: conservare non ha senso se non è inteso nel significato di attualizzazione del passato e costruire non ha senso se non è inteso come continuazione del processo storico: si tratta di chiarire in noi il senso della storia.”6

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2. PAVIA: GENESI E FORMAZIONE DELLA CITTA’

.Analisi della struttura urbana

Analizzeremo la città di Pavia considerando di questa solo il centro antico, cioè la parte di città compresa all’interno delle mura; e basando la nostra descrizione sulla pianta catastale del 1855. Questa scelta è dovu-ta al fatto che la struttura urbana di Pavia si è definidovu-ta in quest’area e con questo limite di tempo; le modi-ficazioni successive non hanno interesse per la comprensione delle leggi formali della città, visto che dalla fine dell’800 ad oggi la città ha subito piuttosto un processo di disgregazione. Possiamo quindi affermare che la struttura urbana alla fine dell’800 corrisponda in larga misura alla forma attuale del centro storico. Tale struttura, che è molto antica, non è stata contraddetta per molti secoli. È il caso di una struttura urba-na permanente nel tempo; ciò è dovuto alla raziourba-nalità dell’impianto che ha sopportato e sopporta ancora oggi le trasformazioni successive della struttura edilizia. Questa città costruita dagli isolati romani può essere considerata una città nella città, perché della città ha tutti gli elementi e i caratteri di complessità. Lo stesso può dirsi dell’unità elementare attraverso la cui ripetizione è costruita la città: l’isolato. L’isolato ro-mano ha dei caratteri eccezionalmente stabili nel tempo, quali la forma, l’dentità e il fatto di contenere tutti gli elementi urbani: l’abitazione, gli edifici collettivi, gli spazi pubblici. Queste leggi dimensionali, queste regole ordinatrici della struttura urbana, pur nella loro apparente rigidità, hanno consentito che la realtà urbana non sia mai stata immobile: la città si è sempre costruita dentro se stessa modificandosi. Altro elemento importante nell’individuazione della struttura urbana di Pavia sono le mura: all’espansione della città verificatasi dal periodo romano ai Visconti, corrispondono quattro tracciati di mura. Le altre parti sono: il castello, la cittadella, la fascia dei conventi e dei collegi, l’espansione verso il Ticino.

.La Pavia disegnata: Opicino de Canistris, Claricio, e altri illustri documenti

Pavia ha due importanti documenti che ne mettono in evidenza la struttura formale: la pianta di Opici-no di Canistris del 1330 e la pianta di Claricio del 1599. Sappiamo che la pianta di OpiciOpici-no de Canistris è stata disegnata a memoria, cioè mentre Opicino era molto lontano dalla sua città e molti anni dopo averla lasciata. Vi è descritto il tracciato romano sovrapposto ad una raffigurazione allegorica dell’Europa. La

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sua importanza è nel carattere sintetico con cui la città è raffigurata: attraverso il tracciato viario ortogo-nale e la localizzazione dei principali edifici pubblici. Risulta chiaro come l’elemento formale più evidente fosse, fino da allora, il tracciato romano, visto come regola per la costruzione della città. Nella pianta di Claricio sono raffigurati gli edifici monumentali costruiti o ricordati fino al 1599 e le cinte murarie che si sono succedute nel tempo. Tra i monumenti rappresentati compaiono anche alcuni edifici costruiti molto precedentemente e già demoliti come i palazzi dei re longobardi successivamente trasformati in conven-ti. Questa pianta appare molto interessante sia come descrizione dei principali monumenti della città e delle due cinte murarie precedenti a quelle viscontee, che come immagine sintetica della città, costituita da alcuni dei suoi elementi principali: il castello, il Duomo, il ponte, le chiese principali, le torri. Le due piante di Opicino e di Claricio sono complementari e mettono in evidenza una caratteristica di tutte le

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città a impianto ortogonale: tale impianto è una regola di costruzione della residenza e degli edifici pub-blici che lascia all’architettura di questi edifici la definizione della propria identità e la massima libertà di espressione. Il tracciato è un sistema ordinatore, è un principio logico di divisione del suolo, più che un manufatto valido per la sua forma è una norma di costruzione. Il traccito ortogonale è la forma del piano che più di ogni altra è condizione di libertà per la costruzione dell’architettura. Questo è il motivo della sua permanenza, della sua continua attualità. A differenza di un tracciato organizzato come sistema di collegamento dei luoghi monumentali, che privilegia nella struttura urbana gli edifici pubblici, il tracciato ortogonale mette sullo stesso piano edifici pubblici e residenze. Così tutti gli elementi della città si costrui-scono rispettando la regola dimensionale indicata dal tracciato romano. L’abitazione e gli edifici pubblici si costruiscono all’interno degli isolati di forma quadrata e uguali per dimensioni tra loro, senza che nessun

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edifici prevalga per la sua collocazione nella città. Gli edifici di grandi dimensioni si costruiscono in isolati di dimensioni multiple dell’isolato tipo senza tuttavia diventare per questo punti di riferimento particolari; esemplificativi sono a questo proposito il Duomo e l’edificio dell’Università. Gli edifici pubblici, anche quelli di grande dimensione, essendo inseriti all’interno del tracciato romano non hanno mai la possibilità di essere osservati a distanza. Per questo nella loro definizione architettonica non risulta predominante il carattere formale delle facciate, ma appare particolarmente evidente l’attenzione posta verso gli elementi emergenti: la cupola del Duomo, i tiburi delle chiese, i campanili, le torri dei palazzi. L’importanza del ele-menti emergenti è ancora maggiormente posto in risalto nella raffigurazione della città di Pavia affrescata su una parete della chiesa di San Teodoro del 1922, Pavia è rappresentata in una visione prospettica da sud in cui appaiono fortemente caratterizzati due aspetti: gli elementi emergenti e la regolarità del sistema via-rio. Attraverso questi caratteri si costituisce l’immagine sintetica della città valida per Pavia come per altre città dello stesso tipo. La pianta del Ballada, invece, è fedele alla realtà della città in quel momento in modo sorprendente: è una raffigurazione realistica della sua architettura. Il sistema di raffigurazione adottato in questa carta ci consente una conoscenza sintetica della struttura e della qualità architettonica della città. Successivamente Pavia non ha più avuto un documento che la rappresenti in modo così completo.

. Le tappe dell’evoluzione storica: la Pavia romana, la Pavia rinascimentale e la Pavia neoclassica

È possibile riscontrare nella storia di Pavia tre momenti storici fondamentali che costituiscono e confer-mano il suo impianto e la sua struttura architettonica: la città romana di fondazione, la città rinascimentale visconteo – sforzesca, la città neoclassica o teresiana. La città romana di fondazione porta al massimo sviluppo due concetti già formulati nelle polis greche: distinzione di abitazione ed edifici pubblici e co-struzione di un edificio pubblico per ogni istituzione, coco-struzione di un sistema formale unico in cui sono collocati ambedue gli elementi. Questi principi sono alla base della costruzione di Pavia romana e hanno definito la forma del tracciato viario e dell’isolato. Gli isolati sono quadrati e misurano circa 80 metri di lato, le uniche eccezioni a questa regola sono costituite dagli isolati che contengono grandi edifici ed assu-mono quindi una dimensione multipla dell’isolato base.

L’unico monumento che rimane della città più antica è la forma del tracciato. Gli edifici nella città ven-gono demoliti e ricostruiti, i tipi edilizi mutano, ma i principi generali di costruzione, divisione del suolo, identità degli isolati residenziali ecc. permangono. Sull’isolato residenziale della città romana vi sono diver-si studi che tendono a mettere in evidenza come la sua struttura diver-sia intimamente correlata a quella del tipo

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edilizio che lo compone prevalentemente: la “domus”. La “domus”, archetipo della casa a corte, stabilisce nel peristilio il luogo dell’abitazione, dove viene collocato l’altare degli dei della famiglia. Non vi è rappor-to diretrappor-to tra la “domus” e la strada, la casa è tutta costruita sulla corte, sulla strada si trova solo l’ingresso. L’architettura dell’isolato rappresenta questa identità in una assoluta corrispondenza tra piante e alzati: i fronti degli isolati sono sempre chiusi. Nelle città l’incremento demografico è rapido e non è più possibi-le una pianificazione sviluppata in orizzontapossibi-le, con case ad un solo piano. Si attua così la tendenza a uno sviluppo in altezza sopralzando gli edifici intorno alla corte e affittando i locali su strada come botteghe. Il momento più importante della storia della città, quello di cui Pavia è ancora testimonianza diretta è la città Visconteo – Sforzesca. In questo periodo la città costruita offre un riscontro particolare alla teoria urbana da obbligarci a considerazioni sul rapporto tra città ideale e città costruita in quel momento e in generale. La forma del piano di Pavia rinascimentale si costruisce su Pavia medievale guardando però alle contemporanee idealizzazioni della trattatistica. I trattatisti assumono il tracciato ortogonale e quindi l’iso-lato di abitazione come realtà in cui ordinare i nuovi edifici pubblici corrispondenti alle istituzioni civili della città del rinascimento. Il rapporto tra tipologie edilizie e morfologia urbana è molto stretto. Nella Pavia Viscontea l’area definita dal tracciato romano è considerata una parte cui è contrapposto a nord il Castello e che si collega a sud, attraverso il nuovo ponte coperto, con l’altra sponda del Ticino dove si trova il borgo medievale. In questo modo l’asse viario che collega il Castello con il ponte (il cardo, oggi Strada Nuova) assume nuova importanza e si definisce una struttura la cui rilevanza è leggibile nella icono-grafia della città, in particolare nell’affresco di S. Teodoro. Ogni modifica all’interno del tracciato romano è volta alla definizione di una struttura urbana moderna, portata però nel rispetto e nella conferma della struttura formale precedente. Tali sono le costruzioni di due importanti edifici pubblici come l’Universi-tà e l’Ospedale S. Matteo e l’ampliamento della Piazza Grande, la costruzione del Castello, del Duomo e di alcune importanti chiese. Fuori dalla città si realizzano opere significative che ricalcano la stessa logica formale: il Parco Visconteo e la Certosa. La costruzione dei due maggiori edifici collettivi, l’Università e l’Ospedale S. Matteo, se da una parte risponde all’esigenza di definire una nuova città rispetto a quella medievale, dall’altro si colloca nella struttura preesistente senza contraddirla, anzi verificandone la capacità di contenere ordinatamente edifici di grandi dimensioni: ambedue gli edifici, costruiti uno adiacente l’altro, occupano un’area multipla dell’isolato romano. Entrambi definiscono la loro architettura nella corte, ma essendo all’interno del tracciato romani instaurano con esso un dialogo molto stretto; come in tutti gli edi-fici a corte di Pavia il rapporto tra strada e corte è diretto: è l’architettura della corte che distingue la casa semplice dal palazzo, dall’edificio pubblico. Dall’analisi di questa struttura urbana risultano alcune

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conside-razioni fondamentali: che la città è strutturata per parti ben individuate, relazionate fra loro in un organisc-mo unitario, che nessun edificio è libero su tutti i suoi lati, ma tutti sono composti all’interno dell’isolato. Anche i monumenti diventano così elemento dell’architettura degli isolati, sia quando sono parti di questi, sia quando coprono l’intera superficie dell’isolato, sia quando occupano un’area multipla dell’isolato. La disposizione degli edifici della città, infine, sembra seguire dettagliatamente la descrizione della città ideale di Francesco di Giorgio. La posizione centrale della piazza principale, che tale piazza debba essere por-ticata, che il Duomo debba essere accanto alla piazza, che le chiese debbano essere distrubuite ordinata-mente nella città, che il Castello debba essere libero intorno e collocato in alto, che gli artigiani debbano essere distribuiti secondo il mestiere e il loro decoro, sono tutti caratteri principali di queste città idelai e la struttura di Pavia è assolutamente analoga a questa descrizione. Ciò dimostra che fra progetto e realtà della città esistente vi è rapporto di continuità. “Ho detto della città bella come città intelleggibile. La Pavia del rinascimento si pone questo come obiettivo della sua costruzione. Il che significa intendere la città come opera d’arte. Una città in cui ogni parte e ogni edificio così come le strade e le piazze manifestano identità attraverso la loro architettura. Così si comprende il senso dell’ordine del tracciato viario. (…) L’ordine del tracciato è dunque strumento insostituibile per la intelleggibilità dell’intera struttura urbana, diventa stru-mento di conoscenza. Questa la scelta generale fatta in tutti i momenti di costruzione della città in cui sia prevalso l’intento razionale, e diviene una guida per il lavoro di progettazione”1

L’analisi della città neoclassica ci offre un’altra osservazione di carattere generale riferita all’architettura della città: in questo periodo non viene costruito nessun edificio che ne muti la struttura, vi sono mol-ti progetmol-ti di trasformazione di edifici pubblici esistenmol-ti. La città ha già in se tutmol-ti gli elemenmol-ti per il suo funzionamento; non variano né la rete viaria né la struttura tipologica degli edifici pubblici; vi è solo un programma di ridefinizione dell’immagine della città all’interno della struttura preesistente. Gli interventi ottocenteschi, al contrario, non sono in grado di assumere i principi costruttivi della città storica e prose-guirne la logica. In diverse occasioni inizia il processo di riduzione della ricchezza della città, soprattutto all’interno degli isolati residenziali, dove l’attività di sostituzione degli edifici prosegue ancora ai giorni nostri. Attraverso l’analisi degli isolati del “centro storico” di Pavia si può notare come, malgrado alcuni interventi ottocenteschi e altri recenti, gli isolati della città mantengano i caratteri della loro struttura anti-ca. Gli edifici residenziali a Pavia, dal medioevo in poi, vengono ricostruiti più volte, ampliati, sopralzati, tuttavia permangono pochi tipi prevalenti. I principali sono la casa a blocco in profondità, la casa a corte e il palazzo. L’isolato di Pavia ha una forma semplice ma è un organismo complesso che ha quattro fronti 1 Antonio Monestiroli, Pavia: storia e progettazione della città, in Edilizia Popolare n.113, luglio-agosto 1973, pag. 77

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su strada e un proprio spazio interno. A volte ha una struttura più semplice, costituita dall’accostamento di edifici a corte con all’interno uno spazio libero, tra pubblico e privato, che è elemento caratteristico dell’abitazione in questa città. Possiamo considerare l’isolato di Pavia come un’unità residenziale, una sorta di cittadella all’interno della città, un sistema complesso che risolve in sé e non domanda agli altri spazi esterni la definizione del luogo dell’abitazione. La distruzione di questa complessità e ricchezza formale di Pavia è iniziata con la città ottocentesca che ha teso a cancellare, dove possibile, lo spazio interno dell’iso-lato, secondo la logica del massimo sfruttamento del suolo, e dedicando tutta l’attenzione all’affaccio su strada.

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3. L’OSPEDALE SAN MATTEO DI PAVIA

Nel 1448, constatata la condizione di grande povertà degli ospedali pavesi, un gruppo di cittadini facoltosi costituì una società, o confraternita, con lo scopo di edificare un nuovo grande ospedale. Si indivua come luogo prescelto per erigervi l’edificio quello dove era l’antica chiesa di S.Matteo, a fianco dell’Università. La facoltà di occupare tale area fu concessa da Francesco Sforza, non ancora Duca di Milano, nel Febbraio del 1449 tramite un decreto che autorizzò l’acquisto a “prezzo equo” di otto case per la costruzione del nuovo ospedale e con la condizione che venisse eretto nella forma degli ospedali di Firenze e Siena. Il ri-corso a questi due modelli toscano non è solamente per gli aspetti organizzativi, ma soprattutto per quelli architettonici tanto che successivamente si giungesse addirittura a specificare la scelta tipologica della “cro-ciera”. L’Ospedale S. Matteo si presenta, nel progetto originario, come un edificio a pianta quadrata così articolato: due grandi corridoi, sopraelevati rispetto al piano stradale, intersecatisi a croce greca “al centro dei quali era un altare visibile da ogni braccio” destinati ad ospitare gli infermi; quattro cortili aventi come lati interni a due a due i muri delle predette corsie; una recinzione esterna infine che, mentre per tre lati accoglieva locali usati in vario modo, presentava sulla facciata i fianchi della chiesa di S. Matteo e dell’in-fermeria femminile, separati dall’ingresso porticato. La fabbrica ospedaliera pavese, quindi, costituisce la prima apparizione in Lombardia dell’impianto toscano. La costruzione dell’Ospedale S.Matteo risulta uf-ficialmente e concretamente iniziata con la posa della prima pietra il 29 Giugno 1449. I primi corpi edilizi costruiti sono i bracci nord e sud della crociera con una lunghezza di circa 80 metri.

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Sulle origini dell’edificio non sia hanno notizie sicure. A.Peroni, nel libro “Pavia: architettura dell’età sforzesca”, riporta come dato certo, tra il 1485 e il 1490, la cessione da parte di Ludovico il Moro della casa di Azzone Visconti che si affacciava su Strada Nuova, destinandola a nuova sede universitaria. Questa sorse, quindi, per adattamento di un edificio privato che già seguiva una dispozione coordinata alla maglia viaria e in particolare alla Strada Nuova. La costruzione originale doveva perciò corrispondere all’incirca con la struttura attuale dei due cortili settentrionali dell’Università. La sua regola di costruzione, per cortili successivi sempre affacciati su Strada Nuova con porticato sui quattro lati, è rimasta valida anche per le edificazioni ottocentesche, che hanno fatto “crescere” l’edificio aggiungendo altri cortili simili ai prece-denti. È questo uno dei maggiori elementi di interesse verso l’edificio dell’Università che, pur se mutato nei caratteri architettonici, ha mantenuta inalterata la struttura tipologica evidenziandone il legame con la città e in particolare con il tessuto viario fornito dall’impianto romano. Le prime notizie certe sulla nuova costruzione risalgono al 1534. La rielaborazione non poteva che seguire il modello dei chiostri monastici, che a Pavia aveva una secolare tradizione di confronto con il tessuto urbano. Gli elementi architettonici dell’edificio dovevano essere molto simili a quelli dell’attiguo Ospedale S. Matteo, in particolare seguendo l’uguale arcaico sistema di impostazione dei colonnati su zoccolature di appoggio come era uso corrente nei chiostri monastici cinquecenteschi. Il primo intervento di rilievo sul complesso dell’Universtità avviene nel 1771 quando Maria Teresa d’Austria deliberò di fare stendere un disegno di facciata e si rivolse a Giu-seppe Piermarini, che dal 1770 ricopriva la carica di “Imperial Regio Architetto e Ispettore delle fabbriche di Lombardia”. La costruzione della parte meridionale iniziò nel 1786 su disegno di Leopoldo Pollak, che progettò anche il nuovo teatro anatomico. Il primo ad essere costruito è il tratto corrispondete al terzo cortile da nord, fra questo e il secondo vi è lo scalone di accesso al piano superiore progettato dall’archi-tetto monzese Marchesi. Sempre su disegno di Marchesi l’edificio venne prolungato lungo il quarto cortile e sul fianco meridionale negli anni 1820 – 21. Questa parte dell’edificio è in stile neoclassico. L’aula ma-gna, progettata sempre dallo stesso Marchesi nel 1850 è un edificio neoclassico con pronao di sei colonne e due pilastri monolitici sovrastati da un timpano.

Il progetto neoclassico dell’Università sperimenta una nuova versione aggregativa degli isolati, rendendo caratteristica l’integrazione di corpi di fabbrica separati ma già predisposti alla loro possibile unificazione

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dalla adesione alla trama regolare e configurando un nuovo sistema di lettura dell’ordine antico: dal reti-colo stradale al continuum edilizio del tessuto a corti. La griglia di percorsi porticati ortogonali attraversa il complesso in tutte e due i sensi e riformula il piano romano. L’Università nel suo stato finale potrebbe essere intesa come una variazione sul tema della trama regolare di origine romana, conforme ad essa sep-pure architettonicamente alternativa in quanto affiliata a un impianto da edificio unico, architettonicamen-te compatto, chiuso e gerarchizzato al suo inarchitettonicamen-terno, non diviso da strade, esarchitettonicamen-tendibile in più direzioni, che diventa una città nella città.

(22)

5.BIBLIOGRAFIA

Marcel Poète, “Introduzione all’urbanistica. La città antica”, Torino, Einaudi, 1958.

Giorgio Grassi, “La costruzione logica dell’architettura”, Padova, Marsilio, 1967.

Antonio Monestiroli, “Pavia: storia e progettazione della città”, in “Edilizia popolare” n° 113, Luglio – Agosto 1973.

Giorgio Grassi, “Il castello di Abbiategrasso e la questione del restauro”, in “L’architettura come mestiere e altri scritti”, Milano, Angeli, 1980.

Ernesto Nathan Rogers, “Esperienza dell’architettura”, Torino, Einaudi, 1958.

Adriano Peroni, “Pavia: architettura dell’età sforzesca”, Torino, Istituto bancario San Paolo, 1978.

Susanna Zatti, “Pavia Neoclassica: la riforma urbana 1770 – 1840”, Vigevano, Diakronia, 1994.

Giorgio Grassi, “Scritti scelti 1965 - 1999”, Milano, F.Angeli, 2000.

“Pavia: materiali di storia urbana. Il progetto edilizio 1840 – 1940”, Pavia, Musei Civici e Archivio Storico Civico.

Adriano Peroni, “La cripta di Sant’ Eusebio, problemi e prospettive di un restauro in corso”, estratto dalle rivista “Pavia”, maggio – giugno 1968.

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