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La disodontiasi del terzo molare inferiore e sua terapia chirurgica: uno studio osservazionale delle complicanze.

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Dedico questo lavoro a chi c’è sempre stato in questi anni, a chi mi ha aiutato a crescere ogni giorno, a chi mi ha insegnato non solo una professione, ma anche un modo di essere.

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INDICE

1. INTRODUZIONE ... 5

1.1 L’inclusione del terzo molare: un quadro sempre

patologico? ... 5

1.2. Fattori eziologici nell’inclusione del terzo molare

inferiore ... 7

1.2.1. Condizioni embriologiche ... 7 1.2.2. Condizioni anatomiche ... 8

1.3. Inclusione e disodontiasi ... 9

1.4. Quadri di disodontiasi ... 10

1.4.1. Pericoronite ... 11

1.4.2. Malattia parodontale a carico dei denti vicini ... 15

1.4.3. Patologia cariosa ... 16

1.4.4. Riassorbimento radicolare o rizolisi ... 16

1.4.5. Nevralgie ... 16

1.4.6. Osteiti e osteomieliti mandibolari ... 17

1.4.7. Cisti odontogene ... 17

1.4.8. Tumori ... 18

1.4.9. Fratture dell’angolo mandibolare ... 18

1.4.10. Presenza dell’elemento incluso su una linea di frattura ... 18

1.4.11. Affollamento dentario ... 19

1.5. Aspetti clinici della chirurgia exodontica dei terzi

molari ... 20

1.5.1. Valutazione clinica ... 20

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3

1.6. L’intervento chirurgico ... 24

1.6.1. Strumentario ... 24

1.6.2. Anestesia ... 25

1.6.3. Disegno dei lembi ... 27

1.6.4. Ostectomia, odontotomia, avulsione ... 30

1.6.5. Gestione del sito post estrattivo ... 33

1.6.6. Sutura ... 33

1.7. Le complicanze ... 35

1.7.1. Complicanze chirurgiche maggiori ... 36

1.7.2. Complicanze chirurgiche minori ... 40

2. OBIETTIVI DELLO STUDIO... 43

3. MATERIALI E METODI ... 44

3.1 Disegno dello studio ... 44

3.1.1. Il campione dello studio ... 44

3.1.2. Criteri di inclusione ed esclusione ... 44

3.1.3. T0 Baseline: l’inclusione e la compilazione della cartella clinica 45 3.1.4. Procedura chirurgica ... 45

3.1.5. Gestione post operatoria del paziente ... 46

3.1.6. Valutazione post operatoria: T3, T7 e T14 ... 47

3.1.7. Valutazione dell’edema ... 47

3.1.8. Valutazione del trisma ... 51

3.1.9. Valutazione del dolore ... 52

3.2. Analisi statistica ... 54

(4)

4

4.1. Il campione dello studio ... 59

4.2. Valutazioni Generali del post-operatorio ... 61

4.3. Dinamica della guarigione post-operatoria ... 62

4.4. Edema ... 63

4.5. Trisma ... 64

4.6. Dolore ... 65

4.7. Stratificazioni Post – Hoc ... 68

4.7.1. Età ... 68

4.7.2. Fumo ... 70

4.7.3. Vicinanza al nervo alveolare inferiore ... 74

4.7.4. Difficoltà ... 81

5. DISCUSSIONE ... 84

6. CONCLUSIONI ... 89

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5

1. INTRODUZIONE

1.1 L’inclusione del terzo molare: un quadro

sempre patologico?

La chirurgia dei terzi molari inclusi rappresenta uno degli interventi più frequenti nell’ambito della chirurgia odontostomatologica (Shepherd & Brickley 1994). La frequenza dell’esecuzione di tale procedura è da ascrivere alla alta percentuale di inclusione dei suddetti elementi, che arriva oltre il 70% per i terzi molari mandibolari (Morris et al. 1971; Grover P. S. & Lorton L. 1985; Hugoson & Kugelberg 1988; Dodson & Susarla 2014).

Con il termine inclusione si indica la permanenza di un elemento dentario all’interno della compagine ossea oltre il tempo fisiologico di eruzione, per cui l’elemento rimane nel contesto endoalveolare senza diventare funzionale all’occlusione; per i terzi molari si stima come età media di eruzione la fascia compresa tra i 18 ed i 24 anni (Rantanen 1961; Song et al. 1997), tuttavia in alcuni casi si può avere l’eruzione oltre questi range di età (Scott 1978; Harty & Ogston 1987; Wowern & Nielsen 1989; Eccles et al. 1996); nel 25% degli adulti si ha inoltre il mancato sviluppo di uno o più terzi molari. Gli elementi più frequentemente in inclusione sono terzi molari inferiori, terzi molari superiori, canini superiori e canini inferiori.

L’inclusione può essere:

-completa: a sua volta distinta in endo- ossea (il dente radiograficamente appare interamente circondato da una capsula ossea) ed osteomucosa (l’elemento non appare clinicamente in arcata ma è coperto da mucosa senza interposizione di tessuto osseo, per cui si evidenzia al sollevamento del lembo)

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6 -unica o multipla (come accade in alcune sindromi e nella disostosi cleido- cranica)

-tipica o atipica (a seconda della posizione, tipica se nel corpo mascellare/ mandibolare, atipica in caso di ectopia)

L’inclusione riconosce una eziologia variabile, ascrivibile all’interferenza con la serie di eventi, geneticamente determinata, che porta al raggiungimento della posizione funzionale dell’elemento in arcata. I vari fattori che possono interferire con il processo eruttivo determinando l’inclusione dentaria sono classificabili in generali e locali.

Tra i fattori generali si annoverano: ereditarietà, disendocrinopatie (iposurrenalismo, ipotiroidismo), eredolue o lue congenita (oggi rara), ipovitaminosi, disostosi cleido- cranica (rara), rachitismo delle ossa mascellari, osteomieliti mascellari della prima infanzia, sviluppo espansivo di cisti da residui epiteliali delle fessure branchiali (Ahmad et al. 2006).

Tra i fattori locali distinguiamo: eccessiva durezza e compattezza dell’osso alveolare (iperostosi), eccessivo ispessimento del tessuto mucoperiosteo, macrodonzia, anomalie radicolari, fusione di radici di due denti vicini, fusione del dente con le ossa circostanti, flogosi e degenerazione del sacco coronario, anomala posizione che il dente può assumere nel suo cammino eruttivo, presenza di secondo molare malposto.

Obiettivo di questo lavoro di tesi è lo studio delle complicanze più frequentemente associate alla chirurgia del terzo molare inferiore, ovvero edema, dolore e trisma, al fine di stimarne l’andamento e di valutarne l’impatto nel post operatorio.

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1.2. Fattori eziologici nell’inclusione del terzo

molare inferiore

Per quanto riguarda specificamente i terzi molari, secondo alcuni autori (Richardson 1974; Ricketts 1976) nell’eziopatogenesi dell’inclusione risulta essere implicata l’evoluzione filogenetica che si accompagna alla riduzione dello splancnocranio. Per l’eziologia distinguiamo quindi condizioni embriologiche e condizioni anatomiche.

1.2.1. Condizioni embriologiche

Il germe del terzo molare nasce dal gubernaculum dentis del secondo molare o da una proliferazione posteriore della lamina dentaria. Queste due condizioni favoriscono il posizionamento del germe obliquamente a livello dell’angolo della mandibola. Durante la calcificazione del germe (tra i 7 ed i 20 anni), lo sviluppo stesso della mandibola anteriormente ed inferiormente favorisce un ulteriore incurvamento del germe dell’ottavo.

Il terzo molare per erompere deve compiere una curva di raddrizzamento a concavità postero- superiore, la curva di Cap de Pont, che ripete in direzione opposta quanto verificatosi durante l’accrescimento mandibolare. Il dente allora risulta interessato da mesio- versione o disto- versione, le quali raramente sono pure, essendo spesso associate ad inclinazione linguale o vestibolare; questo risulta importante dal punto di vista clinico, in quanto le precise localizzazioni ascessuali sono proprio legate alle diverse versioni (Phillips & White 2012).

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1.2.2. Condizioni anatomiche

Si riconoscono quali fattori perturbanti la normale eruzione dell’elemento: -insufficienza dello spazio retromolare, dovuto alla progressiva riduzione dello sviluppo della mandibola nel corso dell’evoluzione filogenetica;

-rapporti anatomici con le strutture contigue, in particolare con: il secondo molare adiacente, il quale limita il raddrizzamento; il fascio vascolo- nervoso alveolare inferiore, possibile causa anche di turbe riflesse, quali gengivite ulcero- necrotica dell’intera emiarcata omolaterale; la mucosa, lassa ed estensibile, la quale si lascia sollevare e forma dietro al settimo uno spazio dove gli agenti locali si moltiplicano e determinano l’infezione.

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1.3. Inclusione e disodontiasi

Con il termine dente incluso si indica un elemento compreso all’interno delle ossa mascellari, interamente coperto da tessuti molli ed in parte o totalmente da tessuto osseo. Un dente semi-incluso è un elemento il quale non occupa la posizione normale, ma risulta parzialmente visibile o in comunicazione con il cavo orale.

Un dente in disodontiasi è invece un elemento che non giunge alla normale posizione funzionale per mancanza di spazio, presenza di altri denti vicini, anomalie del tragitto eruttivo

L’inclusione in quanto tale non configura un quadro necessariamente patologico (nei quadri sindromici è uno stato parafisiologico), per cui l’inclusione in assenza di evidenziabili lesioni focali e di sintomatologia associata non necessita di trattamento, considerato anche l’impegno correlato all’intervento chirurgico ed il decorso post- operatorio (Song et al. 2000; Bahrami et al. 2004).

La disodontiasi indica invece per definizione tutta quella serie di alterazioni patologiche determinate dalla difficoltà di eruzione, e quindi legate all’inclusione, caratterizzate da una sintomatologia variabile in relazione a fattori anatomo- topografici, rapporto con le parti mucose e a fenomeni di tipo infettivo (Welch & Graves 1979; British Standards Institution 1983).

La disodontiasi come fenomeno patologico presenta una elevata frequenza, sia a causa di problematiche eruttive che di posizione dell’elemento dentario. Talvolta, anche in caso di orientamento corretto dell’elemento, può svilupparsi un quadro infiammatorio a carico dell’elemento qualora questo si presenti in infraocclusione, con conseguente ostacolo alle corrette manovre di igiene orale.

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1.4. Quadri di disodontiasi

La disodontiasi può manifestarsi con una serie di quadri patologici a sintomatologia variabile (Knutsson et al. 1996; Punwutikorn J. et al. 1999), i quali forniscono la base per l’indicazione all’avulsione: pericoronite o pericoronarite; danni parodontali ai denti vicini; patologia cariosa; riassorbimento radicolare o rizolisi dei denti vicini; nevralgie; osteiti ed ostomieliti; cisti follicolari; tumori; frattura dell’angolo mandibolare; presenza dell’elemento incluso nella rima di frattura; affollamento dentario.

I quadri clinici di disodontiasi per i quali la letteratura fornisce supporto (Scottish Intercollegiate Guidelines 1999) come indicazione all’avulsione comprendono pericoronite (congestizia o suppurativa), patologia ascessuale, patologia a carico del secondo molare adiacente, forme cistiche o neoplastiche, frattura dell’angolo mandibolare.

Distinguiamo quindi situazioni in cui l’avulsione chirurgica dl terzo molare è controindicata, consigliata o fortemente raccomandata.

L’avulsione del terzo molare è controindicata:

 Nei pazienti in cui i terzi molari presentano un tragitto eruttivo favorevole ed hanno un ruolo funzionale.

 Nei pazienti in cui la storia medica rende l’intervento chirurgico un rischio non accettabile per la salute del paziente, oppure quando il rischio supera il beneficio.

 Nei pazienti con terzi molari in inclusione profonda in assenza di anamnesi o evidenza di patologia correlata.

 Nei pazienti in cui il rischio di complicanze chirurgiche è troppo elevato (rischio frattura mandibolare).

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 Nei pazienti con anamnesi o evidenza di quadri infettivo- infiammatori rilevanti associati al terzo molare.

 Nei pazienti ad alto rischio di complicanze, i quali non possono per motivi occupazionali o di vita sottoporsi, in caso di riacutizzazione, ad intervento specialistico in tempi brevi.

 Nei pazienti con condizioni mediche in cui è alto il rischio correlato al mantenimento di foci infettivi (necessità di sottoporsi a radioterapia o chemioterapia, pazienti con patologia valvolare o ad alto rischio di endocardite batterica, pazienti in attesa di trapianto, pazienti portatori di protesi..) (Donoff 1992; AAOMS 1994)

 Nei pazienti destinati a procedure chirurgiche locali invasive (chirurgia ortognatica).

L’avulsione del terzo molare è fortemente raccomandata:

 Nei pazienti con anamnesi positiva per episodi acuti di pericoronite e formazione di ascessi.

 In caso di patologia cariosa del terzo molare o del secondo molare trattabile solo previa avulsione del terzo molare.

 In caso di malattia parodontale e/o riassorbimento esterno del secondo molare.

 In presenza di patologie neoplastiche e formazioni cistiche.

1.4.1. Pericoronite

La pericoronite, ovvero l’infiammazione dei tessuti molli che circondano gli elementi dentari totalmente o parzialmente inclusi, è associata nel 95% alla presenza di terzo molare inferiore in inclusione, rappresentando l’elemento primario nella disodontiasi (Chiapasco et al. 1995). L’eziopatogenesi vede concorrere la flora batterica del cavo orale, un calo delle difese dell’ospite

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12 (patologia- o stress- correlato), un accumulo di residui alimentari e placca sotto l’opercolo dei tessuti molli e trauma masticatorio quando la zona diventa molto edematosa.

Lo stato congestivo che accompagna l’eruzione è favorevole alla colonizzazione batterica dello spazio pericoronale, e l’arresto dell’eruzione favorisce il mantenimento di un focolaio di infezione: l’invasione da parte di specie batteriche anaerobie, quali T. forsythia e P. gingivalis, favorisce lo sviluppo di gengivite infiammatoria (Sencimen et al. 2014).

Ciò porta ad un aumento del processo infiammatorio e crea il quadro di infezione tipico della pericoronite; il trauma masticatorio provoca la maggior parte del dolore e l’edema dell’opercolo porta ad un aumento del processo infiammatorio/ infettivo, che con il tempo tende a cronicizzare con frequenza ed intensità crescenti.

Si distinguono due forme di pericoronite, congestizia semplice e suppurativa. La forma congestizia semplice è caratterizzata da dolore, dovuto alla stasi ematica, localizzato a livello della regione retromolare ed esacerbato alla masticazione; all’esame clinico si evidenzia un aspetto eritematoso ed edematoso del trigono retromolare, alla pressione compare dolore di modesta entità con fuoriuscita di essudato siero- ematico. Entra in diagnosi differenziale con una semplice gengivite, in cui si ha flogosi ma in assenza di dolore. La terapia può avvalersi di irrigazioni con acqua ossigenata al 3% o clorexidina e curettage per eliminare la noxa, con eventuale levigatura dell’elemento antagonista esacerbante il traumatismo sulla zona. Quando è presente una sintomatologia più significativa si può ricorrere a terapia antibiotica ed eventualmente ad opercolectomia (disinclusione chirurgica rimuovendo il cercine di tessuti molli). In caso di recidiva si procede all’avulsione, comunque mai in presenza di quadro acuto.

In assenza di risoluzione, la forma congestizia evolve in suppurativa, caratterizzata da edema, rossore, tumefazione dolente, febbre, formazione di materiale suppurativo che tende a diffondere lungo le linee di minor

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13 resistenza (fasce muscolari, vasi, vie linfatiche). Il paziente affetto riferisce sintomatologia algica molto intensa, che spesso provoca insonnia e presenta irradiazione all’orecchio. Possono inoltre essere presenti:

-trisma: contrattura spastica del massetere e dello pterigoideo interno, monolaterale, inizialmente antalgica (cioè protettiva), successivamente può evolvere in miosite;

-disfagia: soprattutto in caso di mesioversione dell’elemento, per diffusione del processo al pilastro anteriore del velo palatino ed alla tonsilla;

-fuoriuscita di pus alla compressione del cappuccio gengivale pericoronarico, ma in presenza di corticali ossee integre;

-linfoadenopatia satellite.

L’evoluzione in ascesso sottomucoso comporterà la formazione di materiale purulento con la tendenza a diffondere lungo gli spazi fasciali, con localizzazione diversa in relazione alla posizione del dente. La migrazione delle raccolte ascessuali può sfruttare gli spazi virtuali che certi muscoli, come pterigoideo mediale, massetere, costrittore superiore della faringe, miloioideo o diaframma oris, buccinatore, creano con le loro fasce, il perimisio e le inserzioni. La diffusione della suppurazione lungo i loci minoris

resistentiae offerti dalle strutture anatomiche contigue potrà quindi dare

origine ad ascessi a localizzazione negli spazi masseterino, buccinatore (ascesso migrante di Chompret e Hirondel o a canna di fucile), latero- faringeo, tonsillare, pterigomandibolare, sublinguale (pavimento buccale), temporale.

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1. 2.

Figg. 1-2: Rappresentazione grafica dell’orientamento che può assumere il terzo molare inferiore. Immagini tratte da “Chirurgia estrattiva su denti erotti, inclusi e su germi dentali” di E. Panzoni, ed. Masson 1991.

La topografia delle raccolte ascessuali è strettamente correlata alla posizione del dente in disodontiasi (Leone et al. 1986); in particolare distingueremo:

ORIENTAMENTO DEL TERZO MOLARE

MANIFESTAZIONE ASCESSUALE

NOTE

Disto-vestibolo versione Ascesso sottomasseterino  Tumefazione con asse verticale parallelo alle fibre del massetere

 Trisma da contrattura antalgica del massetere e miosite

Disto-linguo versione  Ascesso peritonsillare di Escat

 Ascesso sottotonsillare di Terracol

 Ascesso del pilastro anteriore e della faringe di Senator

 Tumefazione del velo pendulo

 Disfagia

 Trisma per interessamento dello pterigoideo interno

Mesio-vestibolo versione Ascesso migrante di Chompret e Hirondel

 Migrazione del materiale purulento in avanti attraverso una doccia osteomuscolare delimitata da muscolo buccinatore e faccia esterna del corpo mandibolare;

 Il limite anteriore è la zona premolare per inserzione dei muscoli triangolare e quadrato del mento.

Mesio-linguo versione Angina di Ludwig  Interessamento di regione sottomiloioidea, linfonodi e spazi retrofaringei.

 Febbre elevata e difficoltà respiratorie.

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15 Rappresentando tali ascessi dei focolai infettivi resistenti, il rischio correlato risulta legato alla diffusione del materiale purulento a distanza, con manifestazioni anche mortali (ascesso cerebrale, mediastinite, trombosi del seno cavernoso). La terapia exodontica sarà messa in atto nell’ottica di evitare la formazione cronica di manifestazioni ascessuali/ flemmonose, ma anche lo sviluppo delle più subdole forme subacute.

La terapia primaria è comunque di tipo farmacologico, consistente in applicazione di antibatterici (collutori tra dente e cappuccio mucoso), somministrazione di antibiotici (penicilline come prima scelta – amoxicillina 1000mg o amoxicillina 750mg + acido clavulanico 250mg- o, in caso di allergia, macrolidi – eritromicina 500mg, claritromicina 500mg, spiramicina 3.000.000 U. I.) ed eventualmente cortisone; in presenza di trisma si ricorre all’utilizzo di miorilassanti (Tiocolchicoside). Solo quando il processo acuto sarà in remissione, si renderà possibile l’intervento chirurgico.

1.4.2. Malattia parodontale a carico dei denti vicini

Lo stretto rapporto di contiguità tra il terzo molare incluso ed il secondo molare adiacente rappresenta un fattore favorente lo sviluppo della malattia parodontale, essendo lo spazio pericoronale un ambiente favorevole allo sviluppo della flora anaerobica parodontopatogena. Le lesioni di tipo parodontale si evidenziano, sia a livello clinico che radiografico, soprattutto a carico della superficie distale del secondo molare adiacente, favorendone il precoce interessamento della forcazione (Kugelberg 1990; Kugelberg et al. 1991; Kugelberg et al. 1991). La presenza del terzo molare incluso determina allora diminuzione dell’osso alveolare e progressione della malattia parodontale, rappresentando un rischio per la salute parodontale del secondo molare; si avrà quindi indicazione all’avulsione.

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1.4.3. Patologia cariosa

La patologia cariosa può manifestarsi a carico del terzo molare o del secondo molare adiacente. L’incidenza di carie, più frequentemente coronale, a carico del terzo molare incluso o semincluso varia dal 3% al 15%, potendosi manifestare anche in assenza di comunicazioni evidenti dell’elemento con il cavo orale; in tali casi, la colonizzazione deriva probabilmente dal solco gengivale degli elementi dentari contigui (van der Linden et al. 1995). La carie del secondo molare può manifestarsi in zona distale, sia a livello coronale che a livello radicolare, riconoscendo come eziologia l’ostacolo alle normali manovre di igiene orale causato dalla presenza del terzo molare contiguo; il corretto restauro del secondo molare potrà essere eseguito solo previa avulsione dell’elemento in inclusione.

1.4.4. Riassorbimento radicolare o rizolisi

La presenza del terzo molare in inclusione può generare, in un range tra il 2 ed il 5% dei casi (Nordenram et al. 1987; Lysell & Rohlin 1988), una pressione sulle radici del dente adiacente, generalmente sulla radice distale del secondo molare, la quale può essere causa di riassorbimento, probabilmente in maniera analoga a quanto si verifica a carico dei denti decidui sotto la spinta del permanente sottostante. Tale condizione costituisce indicazione all’avulsione del terzo molare, con successiva terapia endodontica del secondo molare.

1.4.5. Nevralgie

La stretta contiguità tra canale mandibolare (nervo alveolare inferiore) e terzo molare può essere causa di sintomatologia neuropatica caratterizzata da un processo infiammatorio del nervo, con conseguente algia facciale (Wowern & Nielsen 1989; AAOMS 1994). In particolare, la sintomatologia neuropatica

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17 può esplicarsi come parestesia, ipoestesia o anestesia. L’avulsione del terzo molare permette allora l’eliminazione della noxa patogena sulla terza branca del trigemino.

L’irritazione della componente vegetativa della terza branca del trigemino può in alcuni casi (Eggleston 1975; Jackson & Jackson 2011) collegarsi a turbe trofiche della mucosa gengivale su base riflessa neurovegetativa, causando una maggiore facilità di impianto della flora batterica. La manifestazione clinica è data da una forma di gengivite ulcero- membranosa o stomatite neurotrofica, la quale compare omolateralmente, in assenza di fenomenologia clinica a carico del terzo molare in disodontiasi. Si evidenziano ulcerazioni di tipo membranoso a livello del cercine gengivale che ricopre il terzo molare, che si diffondono fino alla linea mediana. La lesione mucosa tende a recidivare fino all’avulsione dell’elemento.

1.4.6. Osteiti e osteomieliti mandibolari

Rappresentano processi infiammatori relativi rispettivamente alla corticale ed alla porzione midollare dell’osso alveolare. Si manifestano con un tipico quadro RX caratterizzato dalla presenza di un orletto radiotrasparente attorno al dente, segno di infiammazione cronica. La prevalenza di tali fenomeni infettivo- infiammatori è compresa tra il 4.7% (Stanley et al. 1988) ed il 5% (Eliasson et al. 1989).

1.4.7. Cisti odontogene

Il terzo molare incluso spesso può presentare vari quadri di rarefazione peridentale all’esame radiografico OPT, spesso compatibili con la presenza di cisti ad origine odontogena, le quali possono rappresentare sia la cause che l’effetto dell’inclusione stessa (National Institute of Health 1980; Stephens et al. 1989; Mercier & Precious 1992). Più frequentemente (Knights et al. 1991) si tratta di cisti follicolari, ovvero cisti disembriogenetiche

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18 odontogene originate dalle cellule dell’epitelio dell’organo dello smalto che vanno incontro a degenerazione cistica dopo istodifferenziazione del germe, con accumulo di liquido tra epitelio ridotto dell’organo dello smalto e smalto della corona già formato (Patel et al. 2013).

In alcuni casi, possono essere riscontrate le più aggressive cheratocisti, le quali possono originare dalla lamina dentaria o da suoi residui oppure dalle cellule basali amartomatose dell’epitelio orale. La maggiore aggressività e la tendenza a recidivare sono legate alla rilevante attività mitotica ed all’aumentata cellularità dell’epitelio costituente la parete cistica.

1.4.8. Tumori

Nell’82% dei casi, le forme tumorali possono originare da degenerazione neoplastica di cisti follicolari (Shear & Singh 1978; Araujo et al. 2014). La forma più frequentemente riscontrata è l’ameloblastoma, tumore benigno ad alta aggressività locale, con capacità infiltrativa tra le trabecole ossee; spesso tende a recidivare, rendendo necessaria la resezione en bloc della porzione ossea interessata.

1.4.9. Fratture dell’angolo mandibolare

Il dente del giudizio può costituire un locus minoris resistentiae (Boffano et al. 2013), favorendo lo sviluppo di fratture dell’angolo mandibolare spontanee o secondarie alle manovre di avulsione.

1.4.10. Presenza dell’elemento incluso su una linea di

frattura

L’elemento dentario in inclusione, qualora si trovi in corrispondenza di una linea di frattura, può impedire la ricomposizione della stessa ed il

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19 posizionamento di ferule e viti da osteosintesi (Alling & Osbon 1988; Williams & Williams 1994). Si rende quindi necessaria l’avulsione.

1.4.11. Affollamento dentario

È in realtà una questione abbastanza dibattuta (van der Schoot et al. 1997; Hicks 1999; Mettes et al. 2012). La letteratura riporta l’assenza di differenze nell’affollamento tra i pazienti con o senza terzi molari, a causa della dispersione delle forze lungo l’arcata. L’affollamento che si verifica nel corso della vita è legato al rimodellamento mandibolare e all’attrito tra i denti che provoca la creazione di zone di contatto, con conseguente contrazione degli spazi e affollamento. L’unica indicazione ortodontica vera può essere la necessità di creare spazio posteriormente per distalizzare gli elementi in arcata (Laskin 1971; Little et al. 1981; Harradine et al. 1998).

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1.5. Aspetti clinici della chirurgia exodontica dei

terzi molari

La corretta pianificazione dell’intervento chirurgico non può prescindere da una attenta diagnosi preoperatoria e dalla valutazione del livello di difficoltà del terzo molare da estrarre (Marciani 2007). Sarà poi importante provvedere alla profilassi e riduzione delle complicanze postoperatorie (Shepherd & Brickley 1994; Akadiri & Obiechina 2009). Si procederà quindi ad una valutazione sia di tipo clinico che di tipo radiografico.

1.5.1. Valutazione clinica

La valutazione clinica dovrà prendere in considerazione:

 Condizioni di salute generale: terapie farmacologiche in atto, presenza di condizioni patologiche o di situazioni a rischio a livello di salute generale;

 Presenza di processi flogistici attivi;

 Presenza di lesioni cariose a carico del terzo e del secondo molare;

 Condizioni parodontali del secondo molare adiacente;

 Grado di apertura della bocca e valutazione dell’eventuale presenza di trisma;

 Entità dello spazio retromolare;

 Presenza di un quadro di inclusione totale o di semi- inclusione;

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1.5.2. Valutazione radiografica

L’indagine radiografica rappresenta un momento imprescindibile sia per la diagnosi che per l’esecuzione, successivamente, dell’intervento chirurgico (Chandler & Laskin 1988). È inoltre un mezzo di tutela per l’odontoiatra dal punto di vista medico legale (Hupp 2007), in caso si verifichino complicanze a seguito dell’intervento stesso. L’indagine routinaria di base è la ortopantomografia, alla quale può essere affiancata una indagine diagnostica più avanzata, quale la TC Dentalscan (Jhamb et al. 2009; Kositbowornchai et al. 2010), qualora ve ne siano le indicazioni da un punto di vista clinico. L’esame radiografico permette il completamento della diagnosi clinica, fornendo ulteriori informazioni riguardo a:

 Posizione anatomica del dente;

 Morfologia delle radici del terzo molare;

 Ampiezza del legamento parodontale del terzo molare;

 Ampiezza del sacco follicolare del terzo molare;

 Classificazione radiografica secondo Pell e Gregory e Winter;

 Distanza dal canale mandibolare e rapporti con il nervo alveolare inferiore.

La valutazione radiografica è quindi fondamentale nel piano di trattamento, tuttavia, comportando una esposizione a radiazioni ionizzanti, deve essere sempre giustificata; questo è tanto più vero nel caso di prescrizione di esame TC, in cui deve essere segnalata la motivazione dell’indagine diagnostica (da D. Lgs. 187/00). Un valido aiuto nella pratica clinica può comunque essere fornito dalla letteratura (Rood & Shehab 1990).

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22

Caso clinico: dalla radiografia panoramica si apprezza un rapporto di contatto tra le radici degli elementi dentari 3.8 e 4.8, in disodontiasi, ed il nervo alveolare inferiore.

3.

4. 5.

Figg. 3-5: Radiografia panoramica in cui si evidenzia un quadro di disodontiasi a carico dei terzi molari e dettaglio di 3.8 e 4.8.

Si prescrive l’esecuzione di esame radiografico TC Dentalscan per determinare con precisione il rapporto di contatto con il nervo.

6.

(23)

23

7.

Fig. 7: Ricostruzione cross- sectional di 4.8.

8.

(24)

24

1.6. L’intervento chirurgico

L’intervento chirurgico è eseguito secondo un protocollo procedurale standardizzato, di seguito descritto (Coulthard et al. 2014). La procedura può essere suddivisa in cinque momenti fondamentali: anestesia, disegno dei lembi, manovre di avulsione, gestione del sito post estrattivo, sutura.

1.6.1. Strumentario

L’intervento di avulsione del terzo molare richiede l’utilizzo di un kit di base formato da strumenti di uso comune nell’ambito della chirurgia odontostomatologica, più una serie di strumenti dedicati. Il kit chirurgico di base è composto da 15 ferri:

 1 siringa Carpul

 1 manico per bisturi Bard- Parker n°7

 2 scollatori, un Molt ed un Freer

 1 divaricatore Langenbeck

 1 specchietto piano n°5

 2 escavatori

 2 curette

 1 porta- aghi Mayo- Hegar

 2 pinzette, chirurgica ed anatomica

 1 forbice Mayo- Hegar

(25)

25 A questi strumenti si aggiungono, secondo la necessità, leve (dritte, angolate, incrociate, Heidbrink), pinze (corna di bue, distalizzatore, pinze da terzi molari) e strumenti rotanti (manipolo dritto con frese da ostectomia, quali ossivore Lindemann e rosetta multilama; turbina con fresa a fessura da odontotomia).

9.

Fig. 9: Kit chirurgico per l’avulsione di terzi molari.

1.6.2. Anestesia

Per procedere all’avulsione del terzo molare inferiore, si rende necessario il blocco della conduzione del nervo alveolare inferiore, prima che questo si faccia endosseo all’interno del canale mandibolare (Blanton & Roda 1995; Pilot clinical guidelines 1995); si determina così l’anestesia dell’emimandibola corrispondente, dell’emilabbro inferiore, dell’emimento omolaterale e della mucosa vestibolare, ad eccezione dei settori molari sul versante vestibolare. La tecnica prevede l’identificazione del rafe pterigomandibolare e della spina di Spix o lingula mandibolare, l’inserimento dell’ago (con inclinazione verso i premolari controlaterali nella tecnica diretta, parallelo al versante mediale del ramo mandibolare nella tecnica indiretta) fino a contattare il piano osseo, l’aspirazione per escludere la penetrazione all’interno delle strutture vascolari

(26)

26 componenti il fascio vascolo nervoso alveolare inferiore (Webber et al. 2001), l’iniezione lenta dell’anestetico.

L’anestesia tronculare è eseguita con una siringa da 2.5 ml caricata con una fiala (1.8 ml) di mepivacaina cloridrato 3% (senza vasocostrittore).

10.

11.

Figg. 10-11: Decorso del nervo alveolare inferiore e rapporti con le strutture vicine. Immagini tratte da “Atlante di Anatomia Umana” di F. Netter, ed. Elsevier Masson 2007.

(27)

27 Per procedere al blocco anestetico della rimanente parte di mucosa e fornice vestibolare, ovvero della zona dei molari inferiori, si rende necessaria l’esecuzione di una anestesia tronculare al nervo buccale o buccinatorio. Tale anestesia è eseguita inserendo l’ago circa 1 cm vestibolarmente alla regione del terzo molare; si può procedere anche all’esecuzione di anestesia plessica vestibolare a livello del fondo del fornice sempre nella suddetta zona.

L’anestesia tronculare al nervo buccale e l’eventuale plessica vestibolare sono eseguite con siringa Carpul con ago corto, caricata con una fiala di mepivacaina cloridrato 2% con Adrenalina in concentrazione 1: 100 000.

1.6.3. Disegno dei lembi

In caso di inclusione o semi- inclusione, si rende necessario scolpire un adeguato lembo di accesso, che permetta una maggiore visibilità, accessibilità ed operabilità a livello dell’area di intervento. Quale che sia il disegno dei lembi, sono necessari una adeguata conoscenza dell’anatomia, onde evitare lesioni a strutture nobili (nervo linguale, arteria facciale), ed uno scollamento rigorosamente sottoperiostale. Il disegno del lembo dovrà inoltre rispondere ai criteri relativi alla conservazione dei tessuti, presentando una adeguata irrorazione, essendo di estensione maggiore rispetto all’area di intervento e necessitando di una manipolazione delicata (Clauser & Barone 1994); in tal modo, si eviteranno le maggiori complicanze derivanti dall’errato disegno dei lembi, ovvero ischemia e conseguente necrosi, deiscenza e lacerazione.

La scelta del lembo di accesso è orientata in base alla profondità di inclusione ed alla posizione del terzo molare. È fondamentale anche minimizzare il trauma a livello dei tessuti parodontali del secondo molare adiacente, favorendo la guarigione del parodonto a seguito dell’incisione (Karaca et al. 2007; Kirtiloglu et al. 2007). Si distinguono:

(28)

28

 Lembo marginale a busta: è indicato per avulsioni comparativamente meno indaginose (terzi molari in inclusione superficiale o semi- inclusi); favorisce un ottimo riposizionamento del lembo con minor danno parodontale a livello del secondo molare ed una sutura rapida ed ottimale, ma offre un accesso chirurgico limitato ed uno scollamento poco agevole, soprattutto in presenza di tessuti parodontali sottili. Prevede una incisione intrasulculare a livello del secondo molare, estesa in direzione distale e vestibolare; in caso di necessità, durante l’intervento l’incisione intrasulculare può essere ampliata in direzione mesiale oppure si può procedere a realizzare una incisione di rilascio mesiale.

 Lembo triangolare con incisione di rilascio distale al secondo molare: trova indicazione per avulsioni di media difficoltà e germectomie; permette la conservazione dell’attacco parodontale del secondo molare, uno scollamento agevole ed un buon accesso; rispetto al lembo a busta presenta un riposizionamento del lembo più difficoltoso. Prevede l’esecuzione di una incisione distale analoga al lembo a busta ed una incisione di rilascio, che partendo dal margine distovestibolare del secondo molare si dirige verso la linea di giunzione mucogengivale con una inclinazione di circa 45° in direzione mesiale; la presenza dell’incisione di rilascio vestibolare facilita lo scollamento del lembo e la possibilità di retrazione.

 Lembo trapezioidale con incisione di rilascio mesiale al secondo molare: è indicato per avulsioni molto indaginose ed in caso di presenza di compromissione parodontale del secondo molare. In questo caso, l’incisione distale è associata ad una incisione intrasulculare a livello del settimo e ad una incisione di rilascio, che dal margine mesiovestibolare del settimo (o talvolta dal margine distovestibolare del sesto) si dirige mesialmente.

(29)

29

12. 13. 14.

Figg.12- 14: Disegni di lembo a busta, lembo triangolare e lembo trapezoidale. Immagini tratte da “Chirurgia estrattiva su denti erotti, inclusi e su germi dentali” di E. Panzoni, ed. Masson 1991.

Si procede poi al sollevamento di un lembo mucoperiosteo con l’ausilio di scollatori, avendo cura di rimuovere accuratamente il periostio, esponendo la superficie ossea. Si consiglia di non scollare i lembo oltre la linea obliqua esterna della mandibola e di eseguire una divaricazione dei tessuti delicata, al fine di evitare un consistente edema post operatorio.

15.

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30

17.

Figg. 15- 17: Procedure cliniche di incisione e scollamento di lembo mucoperiosteo a spessore totale.

1.6.4. Ostectomia, odontotomia, avulsione

Una volta esposto il piano osseo, si rende necessaria una ostectomia di accesso per la rimozione, in toto o in parte, della teca ossea, in misura proporzionale all’inclusione. La rimozione di tessuto osseo dovrebbe essere limitata al minimo necessario per creare punti di leva favorevoli e fornire spazio sufficiente alle successive manovre di odontotomia; le manovre dovranno essere comunque atraumatiche, utilizzando frese taglienti sotto abbondante irrigazione, al fine di ridurre al minimo le sequele post operatorie (Garcia Garcia et al. 1997; Grossi et al. 2007). L’ostectomia sarà praticata come francobollatura, in caso di inclusione ossea totale del terzo molare, e ditching, ovvero rimozione della midollare senza alterare il livello della cresta ossea.

Una volta esposta la corona del terzo molare, si procede all’odontotomia, che avrà orientamento variabile a seconda della inclinazione del dente rispetto all’asse maggiore del secondo molare adiacente (secondo la classificazione di Winter del 1926); l’odontotomia permette una maggiore accessibilità ed una minore asportazione di tessuto osseo, con un conseguente minore discomfort per il paziente. In caso di terzi molari verticali o normoinclinati si procederà alla rimozione della porzione coronale distale, nei mesioinclinati si rimuoverà la parte mesiale della corona, nei distoinclinati la porzione distale;

(31)

31 in caso di terzi molari orizzontali, si procederà alla separazione tra porzione coronale e porzione radicolare (Farish & Bouloux 2007).

18. Odontotomia del terzo molare verticale.

19. Odontotomia del terzo molare mesioinclinato.

20. Odontotomia del terzo molare distoinclinato.

21. Odontotomia del terzo molare orizzontale.

Figg. 18-21: Orientamento dell’odontotomia dipendentemente dalla inclinazione del terzo molare rispetto all’asse maggiore del secondo molare. Immagini tratte da “Chirurgia estrattiva su denti erotti, inclusi e su germi dentali” di E. Panzoni, ed. Masson 1991.

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32 Le manovre di avulsione sono quindi completate con l’ausilio di leve e pinze, procedendo alla lussazione del dente o dei suoi frammenti con l’applicazione di forze controllate (Mehra et al. 2007).

22.

23.

(33)

33

25.

Figg. 22-25: Procedure cliniche di ostectomia, odontotomia e lussazione.

1.6.5. Gestione del sito post estrattivo

La revisione dell’alveolo post estrattivo, o socket management, prevede il curettage del sito, la rimozione di tessuto infetto e infiammatorio e del sacco follicolare, qualora presente, ed il lavaggio dell’alveolo post estrattivo con perossido di idrogeno al 3% o con soluzione fisiologica, al fine di rimuovere residui tissutali eventualmente presenti, anche derivanti dall’azione di taglio delle frese. Si procede quindi all’emostasi con l’ausilio di presidi locali, quali spugne di fibrina (Pasqualini et al. 2005). Nel post operatorio si prescrivono una terapia antibiotica di copertura (Lodi et al. 2012) ed una terapia antinfiammatoria per la gestione del dolore.

1.6.6. Sutura

La ferita è suturata con punti singoli in filo riassorbibile 3-0 o 4-0. I tessuti sono riposizionati nella posizione iniziale, avendo cura di posizionare il lembo su tessuto osseo sano per evitarne la deiscenza. La chiusura ottimale sarà per seconda intenzione, la quale permetterà un maggiore drenaggio spontaneo della ferita con una riduzione del discomfort post operatorio.

(34)

34

26.

27.

28.

Figg. 26-28: Immagine di alveolo post estrattivo e sutura della ferita chirurgica con riposizionamento dei lembi nella posizione iniziale. Notare la presenza di drenaggio in zona distale ai fini della riduzione dell’edema post operatorio.

(35)

35

1.7. Le complicanze

L’intervento chirurgico di avulsione del terzo molare in inclusione è frequentemente associato con sequele chirurgiche significative, le quali possono avere sia un impatto biologico che un impatto sociale (Mercier & Precious 1992; Dhariwal et al. 2002). I prerequisiti per una riduzione significativa dell’insorgenza di complicanze comprendono una attenta anamnesi medica, una precisa conoscenza dell’anatomia locale, una accurata analisi e pianificazione preoperatoria ed un intervento eseguito con tecnica chirurgica atraumatica (Piecuch 2012).

Le complicanze legate all’intervento chirurgico di avulsione del terzo molare in inclusione sono distinte in anestesiologiche (intraoperatorie) e chirurgiche (intra e post operatorie) (August 2003; Adeyemo et al. 2007; Bouloux et al. 2007).

Le complicanze anestesiologiche risultano correlate alla somministrazione del farmaco anestetico, il quale può produrre effetti sia a livello sistemico che a livello locale. Le complicanze a livello generale comprendono reazioni di tipo psicogeno, tossiche, idiosincrasiche ed allergiche; possono manifestarsi con collasso vago-vagale, sindrome da iperventilazione, tossicità al sistema nervoso centrale o al sistema cardiovascolare ed intossicazione da vasocostrittore (Williams et al. 2011). Le complicanze anestesiologiche locali possono essere di tipo traumatico, settico, ischemico; possono manifestarsi con eccessiva distribuzione ai nervi vicini, disordini della sensibilità, blanching, necrosi, ematoma o infezione (Scott et al. 2007).

Le complicanze chirurgiche si presentano a seguito di lesioni dei tessuti molli e duri, lesioni vascolari e lesioni nervose; possono inoltre derivare da frattura degli strumenti o di parte dell’elemento dentario da estrarre. Le complicanze chirurgiche maggiori comprendono disestesia, infezione grave, fratture, emorragia ed alveolite secca, ma sono comparativamente più rare rispetto

(36)

36 alle complicanze minori, edema, dolore e trisma, più frequentemente riferite dal paziente (Chiapasco et al. 1993; Bui et al. 2003).

1.7.1. Complicanze chirurgiche maggiori

Le complicanze maggiori più frequentemente riportate (Clauser et al. 2009) sono:

 Emorragia: una emorragia consistente può ostacolare le procedure chirurgiche ed esporre alla formazione di ematoma post operatorio, con conseguente rischio di infezione. In generale l’emorragia, seppure importante, non causa complicanze legate all’ipovolemia (Bruce et al. 1980; Goldberg et al. 1985). La prevenzione comprende una adeguata anamnesi che escluda la presenza di turbe coagulative congenite o acquisite (Reich et al. 2009) e la conoscenza dell’anatomia topografica locale. In caso di profuso sanguinamento intraoperatorio, si potrà procedere a compressione o tamponamento dell’area sanguinante con garza sterile, utilizzo di materiali emostatici, diatermocoagulazione, legatura dei vasi, somministrazione locale e sistemica di antiemorragici, come l’acido tranexamico, ad azione antifibrinolitica (formula farmacologica fiale da 5 ml contenenti 500mg di principio attivo, a somministrazione locale o sistemica per via orale); in assenza di stabilità del lembo si procede nuovamente alla sutura. La prevenzione dell’emorragia consiste in uno scollamento rigorosamente sottoperiostale dei tessuti molli e la loro protezione, durante le manovre di avulsione, da strumenti manuali e rotanti.

 Lesioni nervose: interessano prevalentemente i nervi alveolare inferiore (Carmichael & McGowan 1992; Robert et al. 2005) e linguale (Graff-Radford & Evans 2003), questo con rilevanti conseguenze sulla sensibilità dell’emilingua corrispondente (disgeusia). A seconda dell’interessamento della struttura nervosa, si avranno neuropraxia (interruzione funzionale temporanea della conduzione nervosa per

(37)

37 compressione o stiramento del tronco nervoso, ma con integrità di assoni e guaine perineurali), assonotmesi (interruzione anatomica degli assoni, ma con conservazione delle guaine di rivestimento del nervo; è possibile la ripresa funzionale completa nell’arco di qualche mese), neurotmesi (è l’interruzione completa di assoni e guaine; la rigenerazione può portare alla formazione di un neuroma da amputazione; rara la ripresa funzionale spontanea). I sintomi sono di entità variabile, manifestandosi come parestesia, disestesia, anestesia, iperestesia. Una adeguata conoscenza dell’anatomia ed una pianificazione, con l’ausilio di indagini radiografiche, in sede pre operatoria del trattamento da eseguire possono limitare l’incidenza di tale complicanza (Robinson et al. 2004). La terapia di supporto in caso di lesione nervosa sarà di tipo farmacologico, con antinfiammatori steroidei in associazione con complessi vitaminici del gruppo B.

 Fratture ossee: sono conseguenza dell’applicazione di forze eccessive durante la lussazione (Libersa et al. 2002; Wagner et al. 2007). In caso di frattura delle corticali, è necessario controllare se sia presente un collegamento al periostio, altrimenti la permanenza in situ del frammento potrebbe portare alla formazione di un sequestro osseo. La frattura ossea mandibolare si verifica soprattutto in caso di avulsione di terzi molari particolarmente indaginosi; la terapia prevede l’attuazione di manovre di riduzione con ripristino di una corretta occlusione e la fissazione rigida (Hanson et al. 2004).

 Lussazione dell’articolazione temporo- mandibolare: si verifica generalmente in pazienti predisposti, a seguito di una eccessiva apertura della bocca per tempo prolungato, con la lussazione del condilo che avviene tipicamente anteriormente all’eminenza articolare. La lussazione deve essere ridotta manualmente, per evitare uno spasmo muscolare reattivo.

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38

 Dislocazione di elementi dentari nei tessuti molli: può verificarsi in caso di avulsioni traumatiche, più frequentemente sul versante linguale. Il recupero del frammento può risultare indaginoso.

 Lacerazione dei tessuti molli: l’uso incongruo di leve e pinze, l’eccessiva divaricazione dei tessuti e la mancata protezione dei tessuti molli durante l’utilizzo di strumenti rotanti possono causare la produzione di un danno ai tessuti molli. Una volta prodottasi la lacerazione, sarà necessario evitarne l’ampliamento, anche tramite l’estensione del lembo d’accesso; si dovrà provvedere alla sutura della zona, evitando però un numero eccessivo di punti e la creazione di tensioni su tessuti già a rischio di sofferenza ischemica.

 Emorragia tardiva: può verificarsi anche successivamente ad una emostasi apparentemente corretta, per ripresa del sanguinamento dallo stesso vaso responsabile dell’emorragia intraoperatoria o da vasi limitrofi (Tonoli et al. 1985), anche a seguito della cessazione dell’effetto vasocostrittore dell’adrenalina contenuta nell’anestetico locale. Si dovranno attuare tutte le misure mirate all’arresto del sanguinamento, anche per evitare l’insorgenza di ematoma post operatorio, a rischio di ulteriori complicanze (tumefazione rilevante, sviluppo di infezioni secondarie); è inoltre consigliato il controllo dell’emostasi prima della dimissione del paziente. I versamenti conseguenti ad emorragia, quali ematoma ed ecchimosi, presentano la tendenza al riassorbimento spontaneo, tuttavia in caso di ostruzione delle vie aeree possono rendersi necessari ospedalizzazione e trattamento chirurgico di urgenza.

 Infezione post estrattiva: riconosce come eziologia la colonizzazione batterica della ferita durante la guarigione, con la formazione di una raccolta purulenta, l’ascesso sottoperiosteo (Ylipaavalniemi et al. 1986; Costantinides et al. 2009); può essere anche correlata alla persistenza di residui radicolari o corpi estranei all’interno dell’alveolo. La terapia prevede drenaggio dell’ascesso, terapia antibiotica e, in caso di persistenza del quadro, toelette chirurgica del sito post estrattivo

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39 (Figueiredo et al. 2008); in caso di estensione dell’ascesso ai piani superficiali e profondi o agli spazi cervico- facciali è indicata l’ospedalizzazione. Si consiglia di non eseguire alcun tipo di intervento di elezione in caso di presenza di quadri infiammatori/ infettivi acuti e di osservare le norme relative ad asepsi e sterilizzazione. In alcuni casi può essere indicata una profilassi antibiotica pre operatoria (Classen et al. 1992; Graziani et al. 2005).

 Alveolite secca: rientra anch’essa nelle infezioni post estrattive, con una incidenza variabile tra 1% e 5%, prevalentemente nel sesso femminile (Larsen 1992; Blum 2002). Il quadro clinico presenta una riacutizzazione del dolore in terza- quarta giornata post operatoria, alitosi e linfadenopatia satellite. L’alveolo post estrattivo clinicamente appare vuoto e grigiastro; l’eziologia è da ricollegare ad una fibrinolisi precoce del coagulo, probabilmente conseguente alla contaminazione batterica. Fattori favorenti risultano essere maggiore età, assunzione di contraccettivi orali, ciclo mestruale, fumo di sigaretta, scarsa igiene orale, elevata difficoltà nell’estrazione, infiltrazione intraligamentosa di anestetico contenente adrenalina. La terapia prevede il lavaggio della ferita con soluzione fisiologica sterile, eventuale curettage della cavità e posizionamento di antisettici locali (garza iodoformica, vaselinata, eugenolata) da ripetere nei giorni successivi fino a completa remissione. Dati i fattori favorenti, si consigliano igiene orale professionale pre-operatoria, astensione dal fumo di sigaretta, esecuzione dell’intervento tra 21° e 28° giorno nelle pazienti che assumono contraccettivi orali, utilizzo minimo di vasocostrittore, curettage ed irrigazioni con fisiologica dell’alveolo post estrattivo, formazione di un coagulo competente prima della dimissione del paziente, prescrizione di antisettici orali a base di clorexidina nel post-operatorio (Ragno & Szkutnik 1991; Daly et al. 2012).

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40

1.7.2. Complicanze chirurgiche minori

Le complicanze più frequentemente lamentate dal paziente sono rappresentate da edema post operatorio, trisma e sintomatologia algica, di intensità variabile. Tali complicanze risultano ascrivibili alla risposta infiammatoria conseguente all’atto chirurgico (Koerner 1987; Esen et al. 1999; Alexander & Throndson 2000) e rappresentano sia una complicanza dell’atto chirurgico, sia una fisiologica risposta al trauma operatorio (Ten Bosch & Van Gool 1977; Pedersen 1985).

1.7.2.1. Edema

L’edema infiammatorio rappresenta l’effetto dell’alterazione della permeabilità vascolare secondario ad un quadro infiammatorio acuto, il quale modifica l’equilibrio degli scambi di liquido regolati dalle forze idrostatiche ed osmotiche che agiscono sull’endotelio. In corso di infiammazione, si evidenziano una fenestrazione della membrana endoteliale semipermeabile, un aumento della pressione idrostatica intravascolare, causata dalla vasodilatazione arteriolare, ed una diminuzione della pressione oncotica intravascolare; l’accumulo di liquidi nello spazio interstiziale, con conseguente formazione di edema, avviene sia su base istaminergica che conseguentemente al danno tissutale diretto (Hurley et al. 1967; Cotran & Pober 1989; Joris et al. 1990). L’edema infiammatorio può avere una durata anche di diversi giorni, presentando la permeabilizzazione un andamento bifasico, con una fase immediata (primo picco), causata da mediatori istamino- simili rilasciati dalla degranulazione dei mastociti, ed una fase ritardata (secondo picco). L’edema si genera nell’arco di 24 – 36 ore, raggiunge il picco a 24 – 48 ore e tende successivamente a regredire a partire da 30 – 36 ore dopo il picco, giungendo a risoluzione nel corso della prima settimana postoperatoria. L’ulteriore incremento di edema a 72 ore

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41 post operatorie può far presupporre la presenza di sovrainfezione (Laskin 1985; Peterson 1998).

Fattori che influenzano l’entità dell’edema post operatorio sono esperienza dell’operatore, entità della divaricazione, tempi di ostectomia, sutura con chiusura per prima o seconda intenzione, durata dell’atto chirurgico, predisposizione individuale (Alexander & Throndson 2000).

La prevenzione consiste, dunque, in una minore invasività delle procedure, un minore scollamento dei tessuti, una divaricazione dei lembi atraumatica, una limitazione delle incisioni periostali e l’esecuzione di irrigazione dell’alveolo post estrattivo. Il trattamento farmacologico con FANS e/ o cortisonici risulta indicato in caso di interventi chirurgici caratterizzati da maggiore invasività.

La terapia consiste nella applicazione di impacchi di ghiaccio, ad intervalli di 20 minuti, nel corso delle prime 24 ore post operatorie e l’eventuale somministrazione di farmaci antinfiammatori enzimatici (Gersema & Baker 1992; Graziani et al. 2006; Herrera-Briones et al. 2013).

1.7.2.2. Trisma

Con il termine trisma si indica la presenza di una limitazione nell’apertura massima non forzata della bocca, secondaria ad un processo flogistico, il quale genera una contrattura muscolare antalgica dei muscoli masticatori, in particolar modo del muscolo massetere. Fattori condizionanti l’entità del trisma sono la durata dell’atto chirurgico e lo scollamento dei tessuti molli. L’andamento del trisma è sovrapponibile a quello dell’edema, con un picco a 48 ore post operatorie, e tende alla risoluzione tra il quarto ed il settimo giorno post operatorio, in cui si evidenzia un aumento nei valori relativi all’apertura massima. In caso di permanenza della limitazione nell’apertura oltre il settimo giorno post operatorio (< 2/3 rispetto ai valori iniziali), è possibile ipotizzare la presenza di uno spasmo muscolare di particolare

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42 intensità oppure di una miosite secondaria a complicanze di tipo settico. La risoluzione del quadro si ha nel corso della prima settimana.

Il trattamento del trisma prevede l’assunzione di una dieta morbida e/o semiliquida, fisioterapia dei muscoli masticatori e dell’ATM, farmaci antiflogistici e miorilassanti.

1.7.2.3. Dolore

La percezione del dolore da parte del paziente rappresenta un importante elemento del discomfort post operatorio, ed inoltre rappresenta un parametro non del tutto affidabile a causa dell’elevata soggettività della sensazione dolorifica e della variabilità interindividuale della soglia di dolore.

I tempi operatori e le procedure chirurgiche risultano correlati con la sensazione di dolore post operatoria; in aggiunta a questo, fattori anatomici, quale la vicinanza a tronchi nervosi (e. g. nervo alveolare inferiore), possono influire negativamente, generando manifestazioni anche di intensità notevole. La sintomatologia algica si manifesta primariamente a circa 2 – 3 ore post operatorie, in corrispondenza del termine dell’effetto del blocco anestetico, raggiungendo l’intensità massima nelle prime 24 ore post operatorie, tendendo poi a diminuire nella prima settimana fino a scomparire.

La terapia è di tipo farmacologico, con antidolorifici ad azione periferica e/o ad azione centrale, FANS, oppioidi ed associazioni farmacologiche (Haas 2002; Bailey et al. 2013); la terapia medica può essere somministrata prima della fine dell’effetto dell’anestesia locale e mantenuta per un numero di giorni congruo alla tipologia dell’intervento eseguito, eventualmente in associazione con un protettore gastrico.

(43)

43

2. OBIETTIVI DELLO STUDIO

Lo studio in oggetto si propone di misurare scientificamente la prevalenza delle complicanze più frequenti conseguenti alla chirurgia exodontica del terzo molare inferiore, ovvero edema, dolore e trisma, in modo da stabilirne l’andamento.

La registrazione inoltre di numerosi parametri in sede preoperatoria si propone di ricercare una correlazione tra le variabili considerate ed il decorso dell’intervento stesso.

(44)

44

3. MATERIALI E METODI

3.1 Disegno dello studio

La presente ricerca è stata condotta con studio di tipo osservazionale prospettico a singolo braccio, valutante le complicanze più frequenti dell’intervento di avulsione chirurgica del terzo molare inferiore: edema, dolore e trisma. Lo studio prevedeva il reclutamento di pazienti destinati al suddetto intervento di chirurgia orale, il trattamento degli stessi e la programmazione di controlli nell’arco delle prime due settimane post operatorie, con il fine di valutare l’andamento delle complicanze suddette.

3.1.1. Il campione dello studio

Sono stati selezionati e trattati presso la U.O. di Chirurgia Odontostomatologica della Azienda Ospedaliero- Universitaria Pisana diretta dal Prof. Mario Gabriele dei pazienti affetti da disodontiasi del terzo molare inferiore con indicazioni all’estrazione chirurgica. Una valutazione preliminare empirica ha previsto l’arruolamento di circa 50 pazienti nello studio in oggetto.

3.1.2. Criteri di inclusione ed esclusione

I criteri per l’inclusione comprendevano: la presenza clinico- radiografica di un quadro di disodontiasi a carico del terzo molare inferiore tale da rendere necessario l’intervento di avulsione, la disponibilità del paziente a collaborare con il follow- up post operatorio, la presenza di uno stato di buona salute generale e l’assenza di stati flogistici acuti sistemici e locali.

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45 I criteri di esclusione comprendevano: una storia medica clinicamente rilevante (patologie infettive sistemiche, malattie cardiovascolari, epatopatie, emopatie e coagulopatie, patologie sistemiche metaboliche, patologia neoplastica), la mancata disponibilità del paziente a collaborare con il follow- up post operatorio e concomitanti condizioni che potessero controindicare la chirurgia orale.

Tutti i pazienti erano informati riguardo alle procedure chirurgiche; si otteneva consenso scritto prima dell’intervento chirurgico.

3.1.3. T0 Baseline: l’inclusione e la compilazione

della cartella clinica

I pazienti afferenti presso la U. O. di Chirurgia Odontostomatologica con diagnosi di disodontiasi del terzo molare inferiore erano inclusi. Si procedeva alla compilazione della cartella clinica con cui si eseguivano la raccolta dei dati anagrafici ed anamnestici, sia generali che strettamente relativi alla patologia odontostomatologica, e la valutazione radiografica dell’elemento dentario da sottoporre all’intervento di avulsione; in base alle informazioni così ottenute, si verificava la conformità del paziente ai criteri di inclusione ed esclusione stabiliti in fase di progettazione dello studio. In assenza di controindicazioni, il paziente era incluso nello studio.

In fase preoperatoria si registravano, inoltre, le misure relative alle dimensioni facciali ed alla distanza interincisale all’apertura massima della bocca non forzata (Vedi capp. 3.1.7. e 3.1.8.).

3.1.4. Procedura chirurgica

Gli interventi chirurgici erano eseguiti da chirurghi con diverso grado di esperienza: ai medici strutturati era attribuito il più alto livello di esperienza, ai medici contrattisti un livello medio di esperienza, ai medici frequentanti il

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46 Master in Chirurgia Orale e di Urgenza Odontostomatologica un basso livello di esperienza.

L’estrazione chirurgica era condotta con una procedura chirurgica standardizzata. Si procedeva ad anestesia tronculare del nervo alveolare inferiore con mepivacaina cloridrato 3% e ad anestesia tronculare al nervo buccale e plessica vestibolare con mepivacaina cloridrato 2% con Adrenalina 1: 100 000. Si praticavano incisione e scollamento di lembo mucoperiosteo triangolare con incisione di rilascio sulla superficie mesio- vestibolare del settimo inferiore, si procedeva ad ostectomia ed odontotomia; le manovre di avulsione erano completate con l’ausilio di leve e pinze. Seguivano revisione dell’alveolo post estrattivo, curettage, osteoplastica, alveoloplastica, applicazione di presidi emostatici locali, gengivoplastica e sutura riassorbibile a punti staccati. Si registravano i tempi totali operatori ed i tempi di ostectomia.

3.1.5. Gestione post operatoria del paziente

Dopo la chirurgia i pazienti rimanevano presso la U.O. in osservazione circa un’ora post operatoria; al paziente era consegnato un impacco di ghiaccio da applicare sulla zona peri operatoria ad intervalli di 10 minuti (Forsgren et al. 1985). L’applicazione del ghiaccio era consigliata anche per le successive sei ore post operatorie, sempre con lo stesso protocollo.

Si prescriveva terapia antibiotica (amoxicillina + ac. clavulanico 1gr cpr con posologia 1 cpr ogni 12 ore per 6 giorni; in caso di allergia a penicilline e cefalosporine si prescriveva claritromicina 500mg con posologia 1 cpr ogni 12 ore per 6 giorni) ed antiflogistica (ibuprofene 600mg buste al bisogno). Si consegnava una condotta post operatoria, in cui erano riportate le indicazioni per i giorni successivi all’intervento; si consigliava una dieta semiliquida e fredda per i primi due giorni post operatori e la ripresa delle normali manovre di igiene orale a partire dal terzo giorno post operatorio. I pazienti erano invitati ai successivi controlli, fissati a 3, 7 e 14 giorni post operatori.

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47 Si consegnava inoltre un diario clinico al paziente, per registrare i valori massimi di dolore giornalieri durante la prima settimana post operatoria.

3.1.6. Valutazione post operatoria: T3, T7 e T14

Le misurazioni cliniche erano ripetute in occasione dei controlli fissati a 3, 7 e 14 giorni post operatori. In tale sede, erano valutati nuovamente i parametri relativi alle dimensioni facciali ed alla massima distanza interincisale; si chiedeva al paziente l’intensità della percezione di dolore e si procedeva alla valutazione del grado di guarigione della ferita. Durante la visita di controllo eseguita il settimo giorno post operatorio si procedeva alla desutura, in caso di permanenza dei punti in sede; si ritirava inoltre il diario clinico consegnato in sede preoperatoria, compilato dal paziente con i valori relativi all’intensità di dolore percepiti nell’arco della prima settimana postoperatoria.

3.1.7. Valutazione dell’edema

La quantificazione dell’entità dell’edema era stimata secondo il “metodo lineare”, introdotto da Amin e Laskin (Amin & Laskin 1983; Rakprasitkul & Pairuchvej 1997; Graziani et al. 2006; Sandhu et al. 2010). La stima si avvale di due misurazioni facciali, effettuate con un metro da sarto: per la dimensione facciale verticale, la distanza tra margine inferiore dell’angolo mandibolare e canto esterno dell’occhio; per la dimensione orizzontale, la distanza tra attaccatura del lobo dell’orecchio e commessura labiale, seguendo la convessità della guancia.

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29.

Fig. 29: Rappresentazione grafica delle due misurazioni per la descrizione delle dimensioni facciali. Sul piano orizzontale- sagittale è misurata la distanza tra attaccatura del lobo dell’orecchio e commessura labiale. Sul piano verticale è misurata la distanza tra margine inferiore dell’angolo mandibolare e canto esterno dell’occhio.

A partire dalle due misurazioni effettuate, era stimata la misura del contorno facciale, data dalla semisomma tra i due valori; le misurazioni erano eseguite a T0 baseline (preoperatorio), T3, T7 e T14, e sulla base di queste era calcolata la variazione percentuale nelle dimensioni facciali tramite la seguente formula:

% di edema = (misura postoperatoria – misura preoperatoria)*100 misura preoperatoria

Caso clinico:

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Figg. 30- 31: Misurazione della dimensione sagittale a T0 e T3.

32. 33.

Figg. 32- 33: Misurazione della dimensione verticale a T0 e T3.

Si otteneva così una stima reale dell’andamento della tumefazione dei tessuti molli facciali successivo all’esecuzione della chirurgia.

In letteratura sono descritte altre metodiche lineari di misurazione dell’edema, le quali si avvalgono di un supporto fotografico (Hooley & Francis 1969) oppure di tecniche particolari quali stereofotogrammetria e pletismografo (Mocan et al. 1996).

Nel metodo fotografico (Hooley & Francis 1969), il volto è diviso in 3 parti, superiore, media ed inferiore. La parte inferiore risulta delimitata dalla linea della commessura labiale superiormente e dalla linea del mento inferiormente. A partire dal centro della commessura, si tracciano tre linee che congiungono tale punto rispettivamente con il gonion, la zona parasinfisaria ed il margine inferiore della mandibola. Si individuano così 3 angoli, H, I e J, dalla cui somma si ottiene la misura facciale; la differenza tra le misure facciali stimate nel pre e nel post operatorio renderà conto dell’entità dell’edema secondario all’intervento.

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50 34.

35. 36.

Fig. 34- 36: Rappresentazione grafica del metodo fotografico di Hooley e Francis e caso clinico.

Nel metodo proposto da Mocan, Kisnisci et al. (1996), l’edema post operatorio è valutato tramite l’utilizzo della stereofotogrammetria analitica. Con la testa del paziente posizionata in un apposito cefalostato munito di blocchi per i condotti uditivi e la radice del naso ed i denti posti in relazione centrica, si eseguono delle foto in prospettiva laterale, in sede pre- e post- operatoria, da una distanza fissa di 3.2 m. Procedendo al confronto tra i vari set di foto, prendendo come riferimento dei punti fissi quali collo del paziente, naso e canto dell’occhio, ed alla elaborazione tramite software dedicato, si ottengono le variazioni del gradiente di superficie.

Riferimenti

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