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Metamorfosi di Circe nel Rinascimento

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Lo studio che qui segue ha lo scopo di fornire un'ampia conoscenza del mito di Circe, figura importante della mitologia greca, e di indagare la fortuna e la diffusione di tale tema dal punto di vista iconografico nel corso del XVI secolo. L'obiettivo é stato quello di fornire un repertorio di immagini del mito, con particolare riferimento alle metamorfosi operate da Circe, analizzando opere singole e cicli pittorici che le hanno illustrate.

La prima parte descrive la storia della Maga Circe e analizza in modo particolare le principali fonti letterarie, quali Omero, Virgilio, Ovidio, Apollonio Rodio e Plutarco, conosciute direttamente o indirettamente, che furono utilizzate come materiale narrativo e iconografico per riscrivere il mito di Circe. Lo studio parte dal racconto di Omero nel libro X dell'Odissea. Proprio tale racconto ha stimolato nei secoli molte ricerche e letture in cui di volta in volta Circe ha rivestito i panni della maga maligna, capostipite di famiglie illustri, del simbolo della seduzione erotica, di prostituta, di moglie assassina e di amante delusa. Ed é così che Circe é diventata un mito. E' possibile che una Circe esistesse anche prima dell'Odissea (di cui non abbiamo una rappresentazione sicura e completa), ma é la Circe di Omero ad aver prodotto una lunga e varia serie di “Circi” nelle storie e nelle immagini classiche. L'episodio dell'incontro tra Ulisse e Circe é collocato all'interno di una lunga sequenza delle avventure dell'eroe, che egli stesso racconta ai Feaci, presso i quali infine approda naufrago dopo vent'anni di viaggio.

Omero racconta che Ulisse, dopo le avventure nel paese dei Lestrigoni, approda all'isola d'Ea, isola di Circe che, nella leggenda di Ulisse, é situata in Italia ed é la penisola oggi chiamata Monte Circeo, vicino Gaeta e Terracina. Sull'isola manda i suoi uomini guidati da Euriloco che decide di restare sulla difensiva e di non entrare nello splendido palazzo di Circe, dove i Greci vengono ben accolti. Circe li invita a partecipare ad un banchetto; i marinai accettano ma subito dopo aver

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assaggiato le portate e le bevande, Euriloco vede Circe toccare gli uomini con una bacchetta, ed eccoli trasformati in vari animali: maiali, leoni, cani, ognuno conforme alle tendenze del proprio carattere e della propria natura. Così Euriloco fugge e ritorna da Ulisse al quale racconta l'avventura. Ulisse allora decide di andare a trovare la maga per salvare i suoi compagni, ma solo dopo aver ricevuto dal dio Mercurio un antidoto, una pianta magica chiamata moly, per sfuggire agli incanti della maga. Dopo aver mescolato la pianta alla coppa offertagli da Circe, Ulisse non subisce alcuna trasformazione ed estrae la spada minacciando la maga. Ma ella lo calma e giura sullo Stige che non farà alcun male né a lui né ai suoi restituendo ai marinai e ai suoi prigionieri la loro forma umana. Così Ulisse passa accanto a lei un anno di delizie avendo dalla maga un figlio, Telegono; secondo altre tradizioni Circe sarebbe stata madre di una decina di eroi e all'origine di quattro o cinque linee di discendenza.

Dopo il racconto omerico viene descritta la storia di Circe nella leggenda degli Argonauti di Apollonio Rodio (III secolo a.C.), nel settimo libro dell' Eneide di Virgilio (I secolo a.C.) e nei poemi di Ovidio, l' Arte di amare, e soprattutto nel libro XIV delle Metamorfosi, (I secolo d.C.), in cui la maga compare in tre sequenze narrative, una delle quali racconta la trasformazione del re Pico Laurente in picchio (trasformazione raccontata anche nell' Eneide e nelle

Argonautiche di Valerio Flacco, I secolo d.C.). Quest'ultimo poema é la migliore e

più completa testimonianza di una nuova immagine di Circe, non più descritta come una prostituta che sottomette gli uomini con i suoi filtri potenti e i trucchi erotici, ma come una donna sconfitta e abbandonata e vittima d'amore.

Riferimenti a Circe sono presenti anche nelle commedie di Aristofane, e nel

Satyricon di Petronio. In questi racconti Circe viene presentata come una maga

tentatrice che avvelena l'uomo di piacere destinandolo ad una vita animalesca. E il moly é il simbolo della ragione, la parte divina dell'anima umana che protegge l'uomo e gli permette di controllare il proprio desiderio. Di questa Circe abbiamo esempi in molti commentari, orazioni e versi di poeti, ed é la visione più diffusa perché é testimoniata da numerose fonti.

Altri autori, soprattutto quelli vicini alle teorie neopitagoriche e neoplatoniche, interpretavano invece i miti in maniera diversa dall'allegoria, cioé attraverso un

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processo razionalizzante capace di avvicinarli alla realtà per ritrovare in essi la vera storia e la realtà dei fatti che rappresentavano. Nella lettura del mito di Circe da parte dei neoplatonici, la dea rappresenta il movimento circolare universale delle rinascite e le bestie che la circondano sono l'immagine delle anime di coloro che si reincarnano in corpi animali.

Ma la Circe che trionferà nel Medioevo e soprattutto nel Rinascimento sarà quella delle interpretazioni allegoriche. Nel Medioevo, infatti, l'Iliade e l'Odissea continuarono ad essere lette e commentate nell'Oriente bizantino mentre in Occidente erano conosciute solo grazie alle diverse versioni degli scrittori romani, Virgilio, Ovidio, Stazio e Boezio, nelle opere di mitografia e nelle interpretazioni allegoriche degli esegeti cristiani. Il racconto di Circe e delle sue trasformazioni era molto noto e diffuso nella letteratura latina quindi non era necessario saper leggere l'Odissea per conoscerlo ed utilizzarlo come esempio. Ricordiamo la versione latina di Ditti Cretese, Cronaca della guerra troiana, la Storia della

distruzione di troia ( 1287) di Guido delle Colonne, il Quadriregio di Federico

Frazzi da Foligno e le Genealogiae deorum gentilium (composte in prima stesura tra il 1350 e il 1359 e poi ampliate fino alla sua morte nel 1374) di Giovanni Boccaccio, anello di congiunzione tra mitologia medievale e rinascimentale, e il

De mulieris Claris.

Nel Rinascimento invece si individuano due letture allegoriche contrapposte di Circe e del suo potere metamorfico: nell'Asino di Machiavelli, poema satirico del 1512, il regno della maga é simbolo di un mondo guasto, abitato da uomini infelici a causa del contrasto tra natura e fortuna. Circe rappresenta la malvagità e l'infelicità e la sua immagine negativa viene utilizzata per descrivere Ulisse come eroe positivo che attraverso il male può raggiungere un mondo nuovo. Nel Cantus

Circaeus di Giordano Bruno, 1588 circa, invece il regno di Circe é simbolo di un

mondo riformato, di un ordine naturale che, dopo l'incantesimo e l'unione tra anima e corpo, é abitato da uomini trasformati in animali e da pochi veri uomini. Circe, quindi, é una dea positiva perché rappresenta la sconfitta del caos e il ritorno all'ordine.

Ancora nel Cinquecento si trovano riferimenti a Circe nel De occulta philosophia

libri tres (1533) di Cornelio Agrippa, negli Emblemata (1531) di Andrea Alciati,

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nell'opera di Piero Valeriano intitolata Hieroglyphica (1556), nell'Orlando

Furioso (1516) di Ludovico Ariosto in cui compaiono due figure di maghe

contrapposte tra loro, Melissa e Alcina, che hanno delle affinità con il mito di Circe.

Ciò che colpisce in questi esempi è la presenza costante di un dato: Circe è una figura di seduzione e di trasgressione, una vera minaccia all’integrità fisica, morale e cognitiva dell'uomo. In alcuni casi la trasgressione riguarda il piacere della gola, e il filtro magico è semplicemente un elemento gastronomico; in altri casi si fa riferimento al piacere erotico e il filtro diventava in questo caso filtro d’amore e la trasformazione in maiali simbolo allegorico della dominazione erotica. Nella Circe si evidenziano i tratti di una bellezza insidiosa, che utilizza la seduzione per avere una posizione dominante sugli uomini: più che essere una dea che avvelena viene interpretata come una donna che sottomette gli uomini riducendoli a vivere come bestie.

La seconda parte dello studio prende in esame l'iconografia delle metamorfosi di Circe nel Rinascimento attraverso un iter cronologico che analizza sia opere singole che cicli pittorici. Accanto alle immagini di Circe in solitudine, ha avuto una certa fortuna il tema dell'incontro con Ulisse, protagonista di illustrazioni librarie, sia in miniature che in incisioni. L'episodio di Ulisse e Circe é rappresentato in una xilografia del 1493 di Michael Wolgemut all'interno del

Liber Chronicarum di Schedel (si tratta di una delle prime apparizioni in età

moderna di tale incontro) e in due cassoni del 1450 circa attribuiti al Maestro di Didone.

Lo studio prosegue con le famose “Circi” di Dosso Dossi, due tra le più emblematiche figure di maga del Cinquecento: la Circe-Melissa della Galleria Borghese di Roma (1518 circa) e la Circe-Alcina della National Gallery di Washington (1511-12). Entrambe sono opere di altissima qualità pittorica in cui vengono mostrate con magnificenza le peculiari qualità pittoriche di Dosso. In tempi e luoghi molto vicini a Dosso, la maga Circe fu protagonista, nella mitologia, di altre trasformazioni, quella di Scilla in mostro marino e soprattutto quella di Pico in picchio, episodio che si ritrova in un dipinto di Benvenuto Tisi da Garofalo, la Trasformazione di Pico in picchio, del 1527 circa.

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Seguono due disegni del Parmigianino datati 1530 e considerati come prime rappresentazioni, oltre alle pitture dei cassoni, eseguite in Italia con il tema di Circe. Entrambi fanno riferimento ad alcuni versi dell'Orlando innamorato del Boiardo (composto tra il 1476 e il 1494), i cui protagonisti sono Circella e Dolesi, nomi che indicano una ricezione del racconto omerico e ovidiano della maga. Boiardo descrive il racconto di Circe attraverso il tema dell'amore che diventa un rimedio contro Circe stessa. Ella viene così umanizzata: da un lato l'amore rende inattiva la sua magia, ma dall'altro viene anche messa sullo stesso piano degli uomini innamorati.

La ricerca prosegue poi con l'analisi di vari cicli pittorici in cui viene messo in particolare evidenza l'incontro tra l'eroe e la maga.

Ricordiamo infatti che nel corso del Cinquecento il mito di Ulisse e delle sue avventure conosce una larga diffusione grazie alla capacità di accomunare i desideri e le volontà di una committenza piuttosto varia: oltre alle classi sociali per eccellenza, impero e chiesa, il mito era preferito anche dalla classe mercantile di commercianti e banchieri, utile per soddisfare la propria volontà di autocelebrazione e per dare a se stessa un'investitura culturale nuova. Essi, grazie alla ricchezza accumulata dal loro potere economico, potevano investire nella costruzione e decorazione di grandi palazzi e nel collezionismo d'arte: un esempio sono i Lanzi di Gorlago a Bergamo di cui ricordiamo l'affresco di Ulisse e Circe (1555) del Bergamasco nella villa di famiglia (oggi Palazzo della Prefettura) e i Grimaldi a Genova con gli affreschi del Palazzo della Meridiana realizzati da Luca Cambiaso di cui si analizza nuovamente la scena dell'incontro tra l'eroe e la maga (1560/65).

Ma ricordiamo anche altre categorie di committenza che conoscono il loro apogeo negli anni 1550-80.

In primo luogo la committenza principesca, rappresentata da importanti dinastie come i Valois a Fontainebleau, con l'affresco Ulisse approda all'isola di Circe e,

grazie all'intervento di Mercurio, é reso immune dagli incantesimi di Circe; poi Ulisse lascia l'isola (1547/49; 1559/70), nella Galerie d'Ulysse, il più celebre

esempio di rappresentazione a grande scala del poema di Omero; ancora i Farnese a Parma e i Medici a Firenze con la decorazione della Sala di Penelope a Palazzo

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Vecchio attribuita al pittore fiammingo Giovanni Stradano di cui si analizza la scena di Ulisse che libera i compagni dagli incantesimi di Circe (1561/62), e il dipinto nello Studiolo di Francesco I, Ulisse riceve il moly da Mercurio prima

dell'incontro con Circe (1570/72); e gli affreschi del Cortile degli Imperatori del

Palazzo Portinari-Salviati realizzati da Alessandro Allori. Una delle sedici scene delle avventure di Ulisse ricorda l'incontro tra l'eroe e Circe (1575/76). Anche l'esempio di Palazzo Salviati, come quello di Palazzo Vecchio, é considerato simbolo di godimento privato per la famiglia. Le storie affrescate rispondono ad una fruizione domestica e diventano un insegnamento sulle virtù pubbliche della famiglia Salviati verso i Medici.

Segue la committenza dei principi ecclesiastici, che nelle loro abitazioni private, sede di potere economico e sociale, sviluppano vere e proprie corti. Ricordiamo Palazzo Poggi a Bologna con gli affreschi nella Sala di Polifemo realizzati da Pellegrino Tibaldi: la scena analizzata rappresenta Ulisse che spezza gli

incantesimi di Circe grazie a Mercurio (1550/51). E ancora Palazzo

Ricci-Sacchetti a Roma con l'immagine di Ulisse e Circe (1553/56), che rappresenta due momenti distanziati della narrazione: prima l'incontro con Mercurio, poi con Circe.

Diverso é il caso del cardinale Odoardo Farnese che nel suo “Camerino” realizza un ambiente di fruizione privata con gli affreschi sulla volta eseguiti da Annibale Carracci, come la scena, in una delle lunette, di Ulisse protetto da Mercurio che

riceve la tazza da Circe (1595-96/97).

Dalle storie omeriche e più in generale dalla mitologia venivano presi gli esempi morali di cui il principe diventava la personificazione. La condotta di Ulisse, capo e condottiero che aveva superato i più temibili pericoli sia per mare che per terra, si pone come modello assoluto per il sovrano.

L'iconografia dei cicli pittorici del Cinquecento comprendeva sicuramente significati vari, legati alla personalità del committente il quale approfondiva l'aspetto più vicino alle proprie esigenze. L'intento comune era quello di illustrare storie in cui il protagonista si poneva come exemplum virtutis e che attraverso le sue gesta offriva un modello di comportamento.

La parte conclusiva analizza la diffusione e la fortuna del mito di Circe oltre il

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Rinascimento. L'incontro tra Ulisse e Circe divenne il tema di molte rappresentazioni e opere teatrali, in prosa e musicali, in tutta Europa, accanto alle immagini di Circe in compagnia unicamente degli uomini trasformati, o non ancora, in bestie.

Ricordiamo la bellissima Circe, (1661-81) a seno nudo, di Gian Domenico Cerrini, l'acquerello del pittore preraffaellita Edward Burne-Jones, dipinto su commissione del critico e scrittore John Ruskin. Ancora il bellissimo quadro di John William Waterhouse, del 1891, che ritrae Circe come una giovane donna di tipica opulenza vittoriana mentre solleva la coppa e la bacchetta magica verso Ulisse, la cui figura é riflessa nel grande specchio a forma di clipeo alle sue spalle, e la Circe Invidiosa del 1892 che ritrae la maga nell'atto di avvelenare il mare per trasformare Scilla in orribile mostro; e infine l'acquerello satirico di George Grosz, trasparente allegoria della decadenza del mito classico nella modernità e del suo imprevedibile ritorno, in cui Circe é rappresentata come una prostituta di alto bordo e di nuovo é riuscita a sedurre il suo pretendente, completamente ignaro della sua trasformazione in maiale.

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