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Tecniche Di Elaborazione Range-Doppler Di Dati Radar Reali In Banda X

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Academic year: 2021

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Introduzione

L’obiettivo principale di questa tesi è lo studio del clutter di mare. Analizziamo passo passo che cosa esso rappresenta, perchè è utile studiarlo, i modelli matematici che lo descrivono meglio e tutti i tipi di ricevitori più adeguati al nostro studio.

Un sistema radar è un sistema complesso che rivela la presenza di bersagli nello spazio esterno sfruttando la rifrazione e la riflessione delle onde elettromagnetiche. Il bersaglio interagisce con l’onda e ne produce delle altre che viaggiano in direzioni diverse rispetto a quella in cui è stata trasmessa e alcune di esse ritornano al radar, al quale arrivano due contributi: segnale utile più rumore. Il ricevitore deve essere in grado di capire se c’è solo rumore di fondo ( e quindi non c’è il bersaglio ) oppure se c’è anche segnale utile dovuto alla presenza di un bersaglio. In più esistono elementi di disturbo e attenuazione dovuti ad agenti esterni, che rendono questo lavoro maggiormente complicato, cioè i cosiddetti “clutter” o “jammer”. Quest’ultimo è prodotto dall’uomo intenzionalmente per ingannare il radar. In generale il clutter rappresenta la eco di un bersaglio indesiderato, che può avere tante nature diverse. Per esempio, per un radar metereologico la eco di un aereo rappresenta un segnale indesiderato, viceversa per un radar aeroportuale un temporale rappresenta un bersaglio indesiderato perchè maschera la eco proveniente dagli aeroplani. In altri casi può essere un problema la presenza di stormi di uccelli, di nuvole ecc.

In questa tesi si studierà il fenomeno del clutter, e più precisamente del clutter di mare. È un argomento analizzato sin dai tempi in cui nasce il radar, cioè sin dalla seconda guerra mondiale. Infatti, per un radar marittimo, la rifrazione del segnale trasmesso, causata dall’interazione di questo con elementi della superficie marina, spesso pone dei gravi limiti al riconoscimento e alla rivelazione dei segnali provenienti invece da navi, aerei, missili, boe di navigazione e altri bersagli che si trovano nella cella di risoluzione del radar assieme al mare. Inoltre il mare presenta una sua dinamica, che varia continuamente facendo sì che una buona analisi del fenomeno del clutter non dipenda soltanto da un buon modello che lo riesce a descrivere, ma anche dalla conoscenza del comportamento complesso della superficie marina. Fortunatamente, nel tempo si è sviluppata una stretta relazione tra i radar e l’oceoanografia che ha portato ad una accumulazione di una grande quantità di informazioni utili riguardo al legame che sussiste tra la riflessione e rifrazione dei segnali nel mare e le variabili oceanografiche, cioè i parametri ambientali. Potrebbe sembrare un problema semplice quello di riuscire a legare il comportamento del mare con questi parametri ambientali, ma in realtà gli effetti che essi causano sul clutter non sono così immediati, per varie ragioni. Infatti, mentre i parametri legati al radar, come la frequenza a cui lavora, la sua polarizzazione, la misura delle celle di risoluzione e l’angolo di incidenza delle onde

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elettromagnetiche (“grazing angle”), possono essere stabiliti per mezzo di esperimenti, i parametri ambientali no. In generale, infatti, non è sempre chiaro quali tra essi siano veramente importanti. Per esempio, sicuramente la velocità del vento sembra avere un effetto sul livello del clutter, ma non è mai stato studiato perfettamente un legame diretto. Inoltre lo stato di agitazione della superficie marina (“sea state”) sembra avere un forte effetto, ma è una misura spesso soggettiva e la sua relazione con i venti locali è a volte incerta. È stato scoperto anche che la temperatura atmosferica e quella della superficie marina possono far variare il modo in cui la velocità del vento condiziona le caratteristiche del clutter. In definitiva, anche se è stata riconosciuta l’importanza di questi paramentri ambientali, spesso è difficile riuscire a misurarli con accuratezza e ci sono limiti pratici ed economici per ottenerne delle misure a mare aperto al fine di sviluppare un modello statistico del clutter realmente significativo. Conosciamo comunque alcune tendenze generali che lo caratterizzano, per esempio la sua dipendenza dalla grandezza della cella di risoluzione del radar e dell’angolo di incidenza dell’onda elettromagnetica. Infatti, per radar con basse risoluzioni, cioè che utilizzano grandi celle, il clutter appare distribuito in maniera tale da poter essere approssimato con il ben noto modello gaussiano (si ricorre al teorema del limite centrale ). Se la grandezza delle celle di risoluzione diminuisce, il clutter assume le caratteristiche di un bersaglio vero e proprio. Se alla risoluzione alta si aggiunge un angolo di incidenza piccolo, il clutter assume ancora di più l’aspetto di un bersaglio, prendendo il nome di “spike”.

Nel primo Capitolo di questa tesi si comincia ad affrontare il problema dell’analisi statistica del clutter. Infatti, usando radar con una bassa risoluzione, come abbiamo accennato prima, si può assumere che all’interno dell’area illuminata ci sia un numero tale di scatteratori da poter approssimare l’andamento della distribuzione del clutter con il modello gaussiano. Aumentando la risoluzione, si perdono le ipotesi grazie alle quali si può applicare il teorema del limite centrale e, quindi, diventa necessario sostituire il modello con altri più adatti. Sono stati studiati diversi modelli, che prendono il nome di modelli “compound-Gaussian”, come per esempio il K, LogNormal, Weibull e LNtexture. Le loro ditribuzioni sicuramente risultano avere un miglior fitting con quelle dei dati di clutter rispetto alla distribuzione gaussiana.

I dati analizzati in questa tesi sono raccolti in delle matrici Range-Doppler e sono costituiti da 9 files registrati in giorni e orari differenti. Nel secondo Capitolo continua l’analisi statistica dei dati, tramite lo studio della funzione di autocorrelazione, più precisamente di autocovarianza. I campioni di segnale che assumono un modello compound-gaussian comportano la presenza di due componenti, speckle e texture. Stimiamo la funzione di autocovarianza per entrambi e lo facciamo sia lungo il range sia rispetto alla velocità Doppler.

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Una volta analizzate le proprietà statistiche del segnale di ritorno il radar ha il compito di decidere se questo proviene da una riflessione con un certo bersaglio o se è solamente rumore (clutter). Questo è il compito dei ricevitori, dei quali ci occupiamo nel Capitolo 3. Il radar nella pratica prende il segnale ricevuto relativo alla cella sotto test e lo confronta con una determinata soglia. Se l’osservato supera la soglia viene deciso che in quella cella è presente il bersaglio, altrimenti no. Sui dati che abbiamo analizzato testiamo cinque tipi di ricevitori CFAR (costant false allarme rate). Questi hanno l’obiettivo principale di mantenere appunto la probabilità di falso allarme (PFA)

costante. La PFA dà un’indicazione precisa sugli errori che si commettono scambiando la eco di un

bersaglio indesiderato, come il clutter di mare, per la eco di un vero bersaglio, come per esempio una nave. Un ricevitore CFAR, basandosi sul ben noto criterio di Neyman-Pearson, fissa questa probabilità di falso allarme a un valore nominale (PFA0), e per farlo utilizza una soglia non più

costante, ma variabile, che ad ogni rivelazione si adatta automaticamente al rumore di fondo o al clutter presenti nelle celle analizzate. Originariamente le procedure CFAR furono sviluppate usando come modello del rumore di fondo un modello omogeneo, ma questo non è applicabile alle situazioni che si incontrano spesso nella realtà [7], [9]. Infatti, è impossibile descrivere tutte le condizioni in cui può trovarsi a lavorare un radar con un unico modello, e in più spesso le situazioni prevedono caratteristiche del rumore non omogenee, variabili nel tempo e anche nello spazio [8]. Possono presentarsi, per esempio, zone in cui il clutter transita da valori di potenza bassi a valori molto alti formando dei cosiddetti picchi, oppure casi in cui si presentano due o più bersagli molto ravvicinati fra loro, i cosiddetti bersagli multipli. Questi problemi causano evidentemente perdite nella PD, cioè nella probabilità di rivelazione, e aumenti della PFA. Gli algoritmi CFAR analizzati

sono il CA (Cell Averaging), GO (Greatest Of), SO (Smallest Of), OS (Ordered Statistcs) e TM (Trimmed Mean). Rispetto a ognuno di essi abbiamo calcolato le PFA ottenute e le abbiamo

confrontate con quelle nominali. Ma per capire quale tra questi algoritmi sia il migliore in termini di prestazioni non basta stimare la PFA perchè in realtà è necessario conoscere anche la PD. Infatti, a

parità di PFA, il ricevitore migliore è quello che massimizza la PD. Idealmente si vorrebbe avere la

prima molto bassa e la seconda più alta possibile, ma spesso questo non è realizzabile e allora bisogna trovare un giusto compromesso tra le due. Nel Capitolo 4 facciamo un’analisi delle prestazioni valutando appunto la PD per tutti i ricevitori CFAR. Come sappiamo, i dati su cui

lavoriamo sono dati di clutter e rumore gaussiano, su cui quindi non è possibile calcolare una PD,

non essendoci un bersaglio. A tal fine abbiamo creato dei dati in cui abbiamo inserito dei bersagli sintetici che abbiamo cercato di rivelare con i cinque tipi di ricevitori CFAR studiati. La PD misura

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Per i dati abbiamo utilizzato sia delle variabili di un tipo compound gaussian, il K coerente, cioè il modulo quadro di variabili K, sia di tipo di Rayleigh, e per il bersaglio variabili di tipo di Rayleigh. Infine, nel quinto Capitolo, ci occupiamo dello studio dei ricevitori CA-CFAR bidimensionali. Infatti, sfruttando il fatto che l’estensione Doppler del clutter di mare risulta ampia rispetto a quella di un bersaglio, questi ricevitori 2D utilizzano delle finestre mobili che si estendono sia in range che in Doppler. L’analisi effettuata comprende anche in questo Capitolo la stima della PFA e della PD.

Quest’utlima richiede l’introduzione di un bersaglio sintetico nei dati incorrelati lungo il range, ma correlati lungo la Doppler, come risulta dall’analisi della funzione di autocorrelzione del Capitolo 2.

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