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Rassegna storica salernitana. A.13, n.1/4(1952)

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RASSEGNA STORICA

S A L E R N IT A N A

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R A S S E G N A S T O R I C A S A L E R N I T A N A

A C U R A DELLA S O C I E T À S A L E R N I T A N A DI S T O R I A PA TRI A Di r e t t o r e : E. G U A R I Q L I A C o m i t a t o di R e d a z i o n e : L. C A S S E S E - A. C O L O M B I S - V. P A N E B I A N C O D i r e z i o n e e A m m i n i s t r a z i o n e : S a l e r n o C o r s o G a r i b a l d i , 119 A b b o n a m e n t o a n n u a l e p e r l Italia L. 2 0 0 0 p e r 1 Es t e r o L. 2 5 0 0 F a s c i c o l o s e pa r a t o L. 8 0 0 F a s c i c o l o d o p p i o L. 1400 A n n o XIII (1952) N . 1 - 2 S O M M A R I O

R. M o rg h e n G r e g o r i o VII nella s to ria d e lla C h ie s a e

d e lla civiltà cristiana d E u ro p a . . . . Pag. 3

D . D e m a rc o Q u a l c h e a s p e tto d e l l o p e r a d e lle Società

e c o n o m i c h e m e r id i o n a li ... 17

D. A . M ifsud G l i a rc h iv is ti ca ve n si . . . , „ 4 4

E. C a s le llu c c io Le mura ad o r ie n te di S a le rn o e g li

a c q u e d o tt i di Via A r c e IconHnuaz. e fineI . . „ 6 0

P. V illa n i N o t e sul cata sto o n c i a r i o e sul sistema tr ib u

ta rio n a p o le t a n o nella s e c o n d a metà del Settecento „ 8 0

In m em oriam : C a r lo C a ru c c i (A. C o lo m b i s ) . . . , , 1 0 2

P. Basilio P e rg a m o (A. B alducci) . . „ 106

R ecensio ni . . . . „ 1 0 8

N o i e c r i tic o b ib lio g r a fic h e . . . . « 121

S c hede b i b l i o g r a f i c h e ... , , 1 2 4 C r o n a c h e . . . ... 126 ' -’ - -’­ - ’ “­ -- ­

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-RASSEGNA STORICA

S A L E R N IT A N A

XIII -1952

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G r e g o r io VII nella storia della C h ies a

e della civiltà cristiana d ’ E u ro p a r

Grave e veram ente non agevole com pito è il m io, di parlarvi oggi di Gregorio VII. Debbo confessare infatti che, a parte lo sgo mento che la te rrib ilità, direi m ichelangiolesca, della titanica figura di Ildebrando im pone sem pre alla m ia pochezza, anche le gravi d if ficoltà che sussistono, nelle condizioni attuali della ricerca storica sul secolo XI, per una adeguata rappresentazione della figura e del 1’ opera di Lui, mi resero per qualche tem po incerto se accettare o no il cortese e onorifico invito rivoltom i dalla Società Storica S aler nitana, ma T affettuosa insistenza degli am ici finì per vincere la

mia perplessità, ed io pensai d ’ altronde, che, scusata la m ia in suf ficienza con la sincerità della confessione di essa, anche la sem plice esposizione dei gravi problem i in erenti al tem a propostom i, poteva essere un utile, se pur m odesto, contrib u to , ai lavori di questo 1° C o n vegno Storico S alernitano, prom osso con sì alto senso delle esigenze della scienza e con sì squisita e signorile co rdialità dalle auto rità civili e culturali della città e della provincia di Salerno.

Sta di fatto che la vicenda di Ildeb ran d o , m onaco e rifo rm a tore, ispiratore per più di un trentenn io della politica pontificia e creatore di papi, papa egli stesso e trio n fato re nella lotta con l’ im pero, si identifica con la storia di tutta un ’epoca.

La sua azione si svolge al centro di un grandioso m ovim ento spirituale, sociale e politico, la R iform a della Chiesa nel secolo X I, dal concilio di Sutri, nel quale fu deposto da Enrico III Gregorio VI, primo protettore e forse p aren te di Ild eb ran d o , alle elezioni di

(*) D iscorso pronunziato a Salerno, nel salone grande del Palazzo di Città, il 15 settem bre 1951, in occasione del I Convegno Storico Salern itan o.

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Stefano IX , N ico lò II e A lessandro II ; dalle som m osse dei Patari di M ilano e di F irenze ai decreti fam osi del 1059 e degli anni se guenti su ll’ investitura laica, il concubinato d ei preti e 1’ elezio n e d el pontefice ; dalla lotta contro Enrico IV e dal tragico incontro di Canossa, a ll’ esilio e alla morte del grande pontefice in questa sp le n dida Salerno, dove Roberto il Guiscardo si intitolava orgogliosam ente “ m axim us im perator ac trium phator „, veram ente e in m aniera ben più alta, trionfatore egli stesso, il papa, in quanto, b en ch é caduto prigioniero della prepotenza norm anna, aveva trionfato con la forza d ello spirito sulla potenza terrena, martire e confessore di p rincipi che dovevano affermarsi nei secoli. P o ich é è indubbio che d a ll’ età di Gregorio VII ha in izio una nuova epoca storica. N e ll’ opera sua si ebbe il prim o avvio alle Crociate, acquistò form a precisa il pensiero teocratico che trion fò con Innocenzo III, si afferm ò solennem ente il prim ato rom ano e la centralizzazione d e ll’ am m inistrazione della C hiesa, com e dalla sua azione p olitica trasse la sua prim a giu stifi cazione il tem poralism o del papato, e 1’ esclu sività della sua fu n zione carism atica. Com e vedrem o, il “ dictatus papae,, di Gregorio VII costituì 1’ antecedente storico della bolla “ Unam Sanctam „ di B o n ifacio V ili, e fu in siem e la carta costitu zion ale d ella C hiesa R o mana anche al di là del crollo del papato p olitico del secolo X III. La figura di Ildebrando si erge com e un’ erma che separi due m il len n i della tradizione religiosa d’ Europa. E gli riassunse in sé il p rocesso storico del prim o m illen n io cristiano da P aolo ad A gostino, da Gregorio Magno a N ico lò I, e segnò 1’ avvio del nuovo m illen n io, che da lui prese in izio, p oich é ancor oggi la Chiesa cattolica è es senzialm ente n egli spiriti e nella sua costituzione quale si afferm ò n el secolo XI con la riform a di Gregorio VII.

La com plessità e la vastità dei problem i che ho prospettato sp ie gano facilm en te com e possa sostenersi ch e non esiste a tutt’ oggi un’ opera storica su Gregorio VII che sia adeguata a lle esigenze del pensiero m oderno e com e anche la letteratura più recente sul secolo XI (cito ad esem pio i tre bei volum i di S tudi G regoriani ed iti da G. B. Bo rino, con una scelta collaborazione internazionale) consista soprat tutto in una serie di con trib u ti, alcuni dei quali anche n o tev o li, su fatti e aspetti particolari di Gregorio VII e d e ll’ “ età che fu sua „, dai quali non em erge, però, una precisa consapevolezza del posto che spetta a Ildebrando di Soana n ella storia della Chiesa e della civiltà cristiana d ’ Europa.

V enutam i così m eno la possibilità di affidarmi pienam ente a una o a più opere storiche che mi servissero di guida n e ll’attua zione del m io com pito, ho pensato che ad aggirare, alm eno in parte,

le difficoltà del tem a, valeva forse m eglio ascoltare la voce del ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­

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grande pontefice, che ci parla di proposito d egli id ea li e d elle con cezioni che ispirarono l’opera sua, piuttosto che ripetere il racconto di una vicenda in gran parte nota, alm eno nei suoi aspetti esteriori, o affannarci a dipanare con parole nostre un pensiero che Gre gorio VII stesso ha esposto in alcuni docum enti di eccezion ale rilievo.

Le id ee che Gregorio VII ebbe, infatti, d ell’a « to rità d el vicario

d i Cristo, del p r i m a t o romano, delle relazioni tra Chiesa R o m a n a e Chiesa universale, tra il P a p a to e VImpero, tra il sacerdozio e la sovranità civile, di tutti i principi e di tutti gli id eali, cioè, ch ’erano

alla base della sua azione, noi le troviam o m irabilm ente esposte in docum enti: il dictatus p a p a e , e le due lettere inviate al vescovo Ermanno di Metz, l ’una dopo la deposizione di Enrico IV del 1076, l’altra dopo la sua definitiva condanna nel 1080. E , si badi b en e, questi docum enti non sono l’espressione pacata di un pensiero e la borato n el silen zio di una cella m onastica, lungi dal tum ulto d ella vita. Essi sono, piuttosto, com e vedrem o, quasi rapide notazioni che il grande lottatore tracciò nel fervore stesso della lo tta , quasi per chiarire a se stesso e agli am ici le ragioni id eali del suo operare ; e dal rapido esam e di essi la figura di Gregorio VII e il valore dell’opera sua balzeranno forse in più nitido rilievo che non da qualsiasi altra rievocazione, sia pur ricca di particolari e di nota zioni erudite.

Il dictatu s p a p a e consta, com e è noto, di una serie di ventisette

brevissime proposizioni, num erate progressivam ente, trascritte in una pagina del registro originale d elle lettere di Gregorio VII, intercalata fra le due lettere del 3 e del 4 marzo del 1075. Il Pontefice aveva l’ abitudine di dettare personalm ente le sue lettere. N iente di più naturale che, proprio quando già si delineava in ev ita b ile l ’urto con 1* Impero, egli abbia voluto precisare in forma schem atica il suo pensiero circa le prerogative del Papato e della Chiesa, e abbia vo luto che questa solenne dichiarazione di diritti fosse inserita nel registro che conteneva tutti gli atti del suo governo. Certo il titolo, l’ ubicazione del docum ento, il suo contenuto fanno legittim am en te ritenere che il dictatus p a p a e sia autentica e diretta espressione del pensiero di Gregorio VII.

Otto dichiarazioni riguardano in special m odo la figura e le prerogative del romano Pontefice :

Quod solus romanus pontifex iure dicatur universalis. Quod solus possit uti im perialibus insignis.

Quod solius papae pedes om nes principes deosculentur. Quod hoc unicum est nom en in mundo.

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Quod a nem ine ipse judicari debeat.

Quod romanus pontifex, si canonice fa erit ordinatus, m eritis beati Petri indubitanter efficitur sanctu9, testante sancto E nnodio papiensi episcopo, et m ultis sanctis patribus fa v en tib u s, sicut in de cretis beati Sym m achi papae continetur.

Da queste disposizioni em erge quale concetto avesse G regorio della dignità e d ell’ ufficio pontificali.

La rivendicazione esclusiva d e ll’ app ellativo di universale al P ontefice rom ano e 1’ attribuzione fatta solam ente a lui del diritto di pretendere dai prìncipi il bacio del pied e, erano affermate e v i dentem ente contro pretese con sim ili, sia del patriarcato bizantino, sia di altre autorità ecclesiastich e. N on bisogna dim enticare a questo proposito che i privilegi e i diritti attribuiti e riconosciuti dalla consuetudine a m etropoliti, prim ati, patriarchi, arcivescovi, sia a b u sivam ente, sia in om aggio a interessi laici, sia per le tendenze par ticolaristich e d elle diverse c h ie se n azionali, erano innum erevoli e costituivano i m aggiori ostacoli a una rapida ed effettiva afferm azione dei principi della R iform a. 11 nodo stesso d e lle questioni pendenti fra l ’ im p ero e il Papato era costituito, in m assim a parte, d alle eie zioni v escovili e dalla necessità di precisare con esattezza la d ip en denza gerarchica del vescovo, e la estensione dei suoi poteri. L’epi scopalism o, questa form idabile potenza saldam ente ancorata a un intransigente spirito di casta, oltre che a tutto q u el com plesso d’in teressi con i quali e per m ezzo dei quali s’ era affermata, opponeva una resistenza tenace ed una considerevole forza d’ inerzia ad ogni tentativo che com unque m enom asse i privilegi sui quali essa si fo n dava. Già nel 1074 Gregorio VII aveva dovuto esperim entare il mal volere del m etropolita Sigfrido di Magonza e d el vescovo Liem aro di Brema nel prom ulgare i canoni che riguardavano 1’ im p osizion e del celibato ecclesiastico. 11 con cilio nazionale di Erfurt, convocato a questo scopo, dopo m olte insistenze di R om a, si risolse in uno scacco deciso del partito della R iform a. Lo stesso avvenne a Passau, a Parigi, a Rouen. Annone, arcivescovo di C o lo n ia , dom inatore asso luto di tutta la chiesa germ anica, si disinteressò quasi com pletam ente della questione e assunse spesso di fronte a Rom a un atteggiam ento, di assoluta indipendenza. Sigfrido di Magonza e 1’ arcivescovo di Reim s, prim ate della chiesa di Francia, M anasse, più volte si rib el larono alle im p osizion i dei leg a ti pontifici eccep en d o i loro secolari privilegi.

D i fronte a queste resistenze, a qu esti conati di rivolta e a que. ste tendenze particolaristiche, Gregorio VII opponeva e riafferm ava solennem ente il principio del p r i m a t o assoluto del V escovo di R om a,

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configurandone la finizione in una sfera d ’ azione decisam ente e n etta m ente superiore a quella di tutti gli altri vescovi e insistendo sul carattere sovrannaturale della sua istituzione e sulla diretta deriva zione dei suoi poteri da D io. Perciò il nom e del Papa è, per lu i, unico nel mondo, ed egli non può essere giudicato da nessuno : nè dall’ Im peratore, nè dal con cilio, chè anzi, secondo il XVI punto del dictatus, lo stesso co n cilio non poteva dirsi generale senza il precetto del Pontefice, il quale, purché nom inato regolarm ente, d o veva considerarsi senz’ altro santo per opera dei m eriti di San P ie tro. Era senza dubbio la prima volta che il riconoscim ento, sia pure universalm ente am m esso, del valore soprannaturale d e ll’ investitura pontificia, veniva sancito in una form a così esp licita, in un d ocu m ento avente un preciso carattere norm ativo.

Da tali affermazioni sul carattere del prim ato rom ano d ovevan o derivare conseguenze della m assim a im portanza per tutta la dottrina della Chiesa nei riguardi della costituzione e della organizzazione di essa e in relazione ai suoi rapporti col m ondo.

11 principio della centralizzazione d e ll’ am m inistrazione della Chiesa prevalse d ecisam en te, con Gregorio V II, su qualsiasi tradi zione di autonom ia di ch iese nazionali o locali. Nessun sinodo o concilio regionale o generale fu considerato v alid o se non autoriz zato dal Pontefice. Quando un C oncilio non era presieduto 'dal Papa esso veniva presieduto da un suo legato, il quale, secondo il punto IV del dictatus, anche se di grado inferiore sovrastava per autorità tutti i vescovi presenti e poteva perfino deporli, avendo una delega piena ed assoluta dei poteri papali. Altri sette punti del dictatus, e precisam ente il III, il V , il V I, il X III, il X IV , il XV e il XXV, toccavano la delicata m ateria d ell’ organizzazione della Chiesa. Il Papa solo può ordinare sacerdote o vescovo chiunque e preporlo a qualsiasi chiesa ; può deporre o riconciliare, anche contro il pa rere del concilio, i vescovi ; può raccogliere in siem e più pievi, fare di una canonica un’abbazia, dividere un vescovato ricco o unirne diversi poveri, trasferire i vescovi da una sede a ll’ altra e soprat tutto emanare nuove leggi secondo le necessità del tem po, “ prò tem poris necessitate novas leges condere „.

Le elezioni sacerdotali venivano così decisam ente sottratte a ll’i niziativa dei laici e 1’ am m inistrazione d ella Chiesa com pletam ente accentrata nelle mani del Pontefice. A nche se ai m em bri d elle ch iese locali era sempre riconosciuto il diritto di scegliersi il vescovo se condo la tradizionale prassi d ell’ elezion e “ per clerum et populum „, è indubbio che 1’ intervento del Pontefice poteva precedere tale e l e zione, annullarla se sospetta di irregolarità, riform arla a suo g iu dizio insindacabile. ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­

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Con la disposizione che riconosceva al P ontefice la facoltà di em anare nuove leggi, il Papa diveniva infine egli stesso fonte di diritto, alla pari con il con cilio, e rappresentava 1’ organo più au to revole della tradizione della Chiesa nel cui flusso perenne, arginato e guidato sapientem ente attraverso le vicende dei tem p i, veniva tra sm esso il retaggio della parola di Cristo.

Gregorio VII m ise largam ente in pratica i principi da lui pro clam ati, seppure rispettasse, sem pre che gli fa possib ile, la tradizione, innovando solo quando la necessità lo sforzava. Per l’ istituto d ella legazia apostolica egli aveva trovato una prassi già p reced en tem en te stabilita specialm ente al tem po di L eone IX. Ma tale prassi fu da lu i prom ossa, i poteri dei legati esp licitam en te definiti, la loro au to rità im m ensam ente rafforzata.

N e lle elezion i vescovili intervenne di rado e con d iscrezione. Ma il principio di diritto afferm ato doveva avere n e ll’ avvenire una portata in ca lco la b ile, in quanto la provvista d elle ch iese e tutto qu ello che concerne 1’ organizzazione e 1’ am m inistrazione d elle d io cesi doveva in processo di tem po, in virtù d elle norm e stab ilite da Gregorio V II, essere ridotto esclusivam ente n elle mani del P on tefice, annullando qualsiasi diritto precedentem en te spettante a prim ati e m etropoliti. La prim azia rim ase com e puro titolo di onore. I m e trop oliti, che nella m ente del Pontefice dovevano assum ere la f u n zione di una dignità di collegam ento fra 1’ autorità centrale di Rom a e 1’ ep iscop ato, ebbero im posto 1’ obbligo di com piere, appena n o m i nati, il viaggio a Rom a, “ ad lim ina beati Petri „ per prendere d a lle m ani del Papa il palliurn, sim bolo della loro dignità. Il m etropolita Sigfrido, arcivescovo di M agonza, dovè chinarsi di fronte al verdetto della Sede A postolica per una causa sorta tra suoi suffraganei. Ma- nasse, arcivescovo di R eim s e prim ate della Chiesa di Francia, per essersi opposto al legato d el Papa, fu deposto e vide i diritti pri m aziali della sua sede trasferiti a quella di Lione.

La facoltà di em anare nuove norme legislative veniva a sancire in form a definitiva una prerogativa da secoli riconosciuta alla Sede A postolica, la cui afferm azione esplicita appariva però tanto più opportuna e necessaria nel m om ento in cui si m anifestava 1’ esigenza di raccogliere e coordinare in un corpo ufficiale i canoni em anati dai con cili e dalla autorità ecclesiastica, per il governo della Chiesa. E Gregorio VII si fece infatti prom otore e ispiratore d elle raccolte di canoni del Cardinal D eusdedit e di A nseim o da Lucca ch e fu ron o, com e è noto, tra i primi e maggiori saggi della fioritura canonistica d e ll’ XI secolo.

Come riflesso d e ll’ autorità e della dignità del P ontefice, anche la Chiesa rom ana, fondata sulla cattedra episcopale di P ietro, doveva

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-rivestirsi, nel pensiero di Gregorio VII, di prerogative singolari, ad essa sola com petenti di fronte a tutte le altre chiese del m ondo. Cinque dichiarazioni del d ictatus definiscono queste prerogative.

Quod romana ecclesia a solo dom ino sit fundata.

Quod nullus audeat condem nare apostolicam sedem appellantem . Quod m ajores causae cuiuscum que ecclesiae ad eam referri debeant.

Q uod romana ecclesiae nunquam erravit nec in perpetuum , scriptura testante, errabit.

Quod catholicus non habeatur qui non concordat rom anae

ecclesiae.

Attraverso queste solenni dichiarazioni la Sede A postolica d i viene senz’ altro la Santa Romana Chiesa che presiede alla Chiesa universale e finisce per identificarsi con essa. Al tem po di Gregorio VII questo processo di identificazione appare nel suo stadio ultim o. Egli parla è vero ancora della Chiesa com e corpo m istico di Cri sto, com e sposa di Cristo e madre di tutti i fe d e li, riferendosi alla tradizionale accezione universalista del term ine di C hiesa, intesa come com unità di tutti i credenti in Cristo, senza distinzione di laici e di sacerdoti. Ma è anche indubbio che num erosissim i sono nelle lettere del Pontefice i passi nei quali per ecclesia deve intendersi ormai esclusivam ente la Chiesa rom ana, cioè la Sede apostolica e la gerarchia ecclesiastica da essa dipendente. Quando si tratta di documenti riguardanti la sovranità del Pontefice, tale significato esclu sivo è evid en te. N e lle relazioni con i N orm anni, e specialm ente con Roberto il Guiscardo si parla sem pre d e ll’ honor sancti P e tri e della Santa Chiesa Rom ana. Il cronista Am ato ci dice che il Guiscardo si dichiarò vassallo della Santa Chiesa di Rom a e Bonizone di Sutri ed Enrico IV stesso parlano sem pre della Sancta ecclesia R o m an a. Per Gregorio VII aderire alla Chiesa vuol dire perciò aderire a Roma e alla Sede apostolica che, a differenza d elle altre sedi v e scovili, è fondata solo da D io, cui com pete una funzione in fa llib ile di magistero che nessuna altra sede vescovile può rivendicare : per la bocca del P on tefice è la Chiesa stessa universale che parla.

Date queste prem esse è evidente che l ’ id ea le della libertas

Ecclesiae doveva assumere per Gregorio VII il significato specifico

di liberazione della Chiesa Rom ana da ogni vincolo e da ogni im pedim ento che legasse o com unque lim itasse la sua azione n e ll’ eser cizio delle sue altissim e ed esclusive funzioni. R ivolgendosi a Gu glielm o di Borgogna egli ribadiva del resto esp licitam en te tale id en tificazione afferm ando essere dovere di tutti i cristiani di com bat ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­

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tere “ per la libertà della Chiesa romana e degli interessi di San Pietro „. Ed egli condusse effettivam en te la lotta in difesa e per 1’ onore della Chiesa, sulla traccia di questo preciso programma di liberazione del Papato d a ll’ invadenza d elle fam iglie rom ane d ap prim a, e poi dal controllo della suprem azia im p eria le, e dai privi legi d e ll’ episcopalism o. N ella stessa misura in cui le prerogative suprem e del V escovo di Rom a e d ella Chiesa romana si id en tifica vano, la lotta per afferm are e difendere ta li prerogative, doveva necessariam ente assum ere il significato di una lotta condotta per la

libertà d ella Chiesa universale, se la vita e 1’ am m inistrazione di

essa risiedevano ormai interam ente n elle prerogative e nei poteri della Chiesa rom ana.

In relazione a una siffatta concezione ecclesiologica dovevano es sere necessariam ente definiti su un nuovo piano anche i rapporti della Chiesa col suprem o potere laico, l’ Im pero. Il Papato aveva diviso nel passato con esso il grave com pito di governare la cristianità in un’ intim a unione di propositi e di intenti. Ma 1’ afferm azione del l ’ assoluto prim ato rom ano doveva portare con sè la necessaria re scissione di ogni rapporto di parità con 1’ Im pero. L’ Im peratore che era stato fino allora considerato com e fratello del sacerdote, d ivien e, n ella m ente di Gregorio V II, il rappresentante di un potere che non solo era com pletam ente sprovvisto di ogni investitura sovrannatu rale, ma anzi, com e vedrem o, prom anava addirittura da una origi naria investitura dem oniaca. Il pensiero del Pontefice sulle relazioni tra il Papato e 1’ Im pero e sul valore di ogni potenza tem porale si trova già nettam ente delin eato nel d ictatus p a p a e , ma sotto l’ in flu enza degli avvenim enti posteriori al 1075, esso subì ulteriori sviluppi che furono più precisam ente registrati n e lle due lettere, già citate, al V escovo Ermanno di Metz.

N el dictatu s p a p a e tali relazion i sono adom brate soltanto in quattro proposizioni, tanto brevi quanto significative.

Q uod pape solius nom en in ecclesiis recitetur. Quod illi licea t im peratores deponere.

Quod eiu s licen tia liceat subiectis accusare.

Q uod a fidelitate iniquorum subiectos possit absolvere.

L’ unione dei nom i d e ll’ Im peratore e del Papa n elle preghiere d el canone della Messa era il sim bolo concreto d e ll’ u nione in d isso lu b ile dei due poteri nella concezione d e ll’ im pero cristiano che aveva trionfato nella notte di N atale d e ll’ 800. Il breve inciso dei

dictatu s p a p a e viene a troncare in m aniera definitiva tale u nione e

a negare qualsiasi pretesa di parità. L’ im peratore non è più il fra ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­

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tello del Pontefice, il Pontefice può anzi perfino deporlo, può per m ettere ai suoi vassalli di m etterlo in stato d’accusa, può sciogliere i suoi soggetti dal giuram ento di fed eltà. Il potere laico è ridotto, di fronte al potere ecclesiastico, in uno stato di assoluta inferiorità che contrasta con quella concezione della sacralità del potere regio che era stata uno dei cardini sui quali si era fondata la con cezion e politico religiosa d e ll’ alto m edioevo. Anche il fam oso aforisma P a o lin o relativo alla derivazione da D io di ogni potere, “ omnie pote

stas a D eo era privato di ogni significato da Gregorio VII : p oich é

solo il re giusto e obbediente al Pontefice può, secondo lu i, eser cilare legittim am ente il suo potere. 11 re ingiusto, non ha nessun diritto di com andare i suoi su d d iti, questi non hanno nessun dovere di u bbidirgli, i suoi vassalli possono addirittura tradurlo in giudizio davanti al Pontefice stesso. Tutto ciò rispecchia esattam ente quanto p o i accadde nella lotta scatenatasi fra Gregorio VII ed Enrico IV. D obbiam o da ciò ritenere che queste proposizioni del dictatus p a p a e siano state in terp olate, in un secondo m om ento, com e frutto “ del senno di poi „ in seguito alla tragica esperienza d elle vicende in tercorse fra il 1075 e il 1 0 8 0 ? E difficile rispondere a questa do manda. anche perchè ci m ancano i dati sufficienti per giungere a una soluzione sicura del problem a. R im ane in ogni m odo certo che il tenore d elle dichiarazioni del dictatu s p a p a e circa i rapporti fra il papato e l’ im pero corrispondeva esattam ente allo spirito di tutto il docum ento, im perniato, com e abbiam o visto, esclusivam ente sulla concezione d e ll’ assoluto prim ato rom ano su ogni altra potenza, laica od ecclesiastica, della terra.

Se gravi erano le dichiarazioni del Pontefice che annullavano, a vantaggio della centralizzazione d e ll’ am m inistrazione della C hiesa, i privilegi secolari d e ll’ episcopalism o, gravissim e erano senza d u b bio quelle che riguardavano i rapporti del Papato con 1’ Im pero. Esse si ponevano in netto contrasto con uno degli ideali più uni versalm ente diffusi della tradizione m edievale : qu ello d ello stato cristiano, espressione e strumento della potenza di D io nel m ondo. Il Pontefice dovette sentire perciò la necessità di ritornare sul p ro blema quando, dopo la deposizione di Enrico IV , si levò da m olte

parti contro di lui 1’ accusa che non era lecito al Papa deporre un re. Da questa necessità trasse appunto origine la prima lettera in viata il 25 agosto del 1076 al vescovo Ermanno di Metz.

11 Papa cerca, innanzi tutto, di rintracciare dei precedenti sto rici che giustifichino il suo grave atto, e li addita al vescovo Er manno, n ell’ approvazione che il Papa Zaccaria aveva dato alla d e posizione d e ll’ ultim o re M erovingio, nella proibizione intim ata da Sant* Ambrogio a ll’ Im peratore T eodosio di entrare in chiesa dopo

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le stragi di Salonicco, in una form ula deprecatoria del regesto d i Gregorio Magno nella quale genericam ente si m inacciava la scom u nica a ch iunque, fosse pure re o sacerdote, avesse osato con tra v v e nire alle d isposizioni del Pontefice. Senza dubbio si trattava di pre cedenti di scarso valore probativo, ma Gregorio V II, con la carat teristica m ancanza di senso storico propria di tutti gli innovatori, vedeva in quegli episodi gli stessi problem i del suo tem po, le stesse posizioni id ea li dei due poteri, le ste8se soluzioni che al co n flitto aveva dato la sua audace p olitica. Ma più che su una giustificazione storica, il Pontefice cercava di basare la legittim ità della sua p o li tica contro l ’ Im pero sulla testim onianza della Sacra Scrittura : “ N e ll’ affidare a P ietro il proprio gregge, il Signore non ha certo

inteso fare eccezion e per i re scriveva il Pontefice , d ’ altra

parte chi afferm a di non poter esser condannato dalla Chiesa deve dichiarare anche di non potere esser assolto da essa e ciò significa essere separato da Cristo.,, “ E se la Sede A postolica ha avuto affi data da D io la giurisdizione d elle cose spirituali, perchè non d o vrebbe avere anche quella degli affari tem porali ? " D ’ altra parte i re e i principi di questo m ondo, i quali preferiscono la loro gloria e i loro interessi alla giustizia di D io, devono essere considerati com e m embri d e ll’ Anticristo e com e tali condannati e separati dal corpo della Chiesa. Se, infine, anche i chierici sono giudicati, per chè non debbono essere giudicati pure i secolari per le loro cattive azioni ?

N u ll’ultim a parte della sua lettera egli paragona infine la dignità ep iscop ale e la dignità reale, facendo risaltare l’assoluta superiorità della prima : “ Basta riportarsi alla loro origine, egli dice, per vedere com e esse differiscano l’una d a ll’altra. L’una, la dignità reale, è stata inventata d all’ orgoglio um ano, 1’ altra, la dignità ep iscopale, dalla divina pietà. Q uella tende senza posa verso una gloria vana, m entre questa aspira alla vita celeste. „

E in questo passo si può cogliere forse il punto più im portante del pensiero di Gregorio VII : l ’afferm azione, cioè, d e ll’origine d ia bolica della sovranità civile.

D alla considerazione dei rapporti tra P apato e Im pero, il pon tefice si levava a indagare le origini e le relazioni sub specie aeter

n ita tis del potere sacerdotale e della potenza terrena.

La diretta d erivazione della sovranità da D io appare qui n et tam ente negata e, dinanzi a ll’accenno dei regni “ creati d a ll’orgoglio um ano „ e “ aspiranti ad una gloria vana „ della lettera di Gregorio, il nostro pensiero è ricondotto naturalm ente alla con cezion e a gosti niana, che tende spesso ad identificare l’ Im pero con la stessa città diabolica, e ai “ magna latrocinia „ che furono il m ezzo col quale, ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­

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sempre secondo Sant’A gostino, si form arono i più grandi im peri della terra. La concezione agostiniana esercitò in questa parte del pensiero gregoriano una influenza in discutibile. Mentre però la visione p essim i stica d e ll’um anità e della sua storia doveva condurre, nel pensiero del vescovo di Ippona, alla fuga dal m ondo e a ll’ esaltazione del l’ id eale ascetico, Gregorio VII ricavava invece da essa il principio della suprem azia d elle cose spirituali sulle terrene, e in vece di fug gire il m ondo lo sottoponeva alla legge dalla suprem a giurisdizione spirituale m orale e politica del Pontefice.

N ella seconda lettera scritta al vescovo di Metz nel marzo del 1081, dopo la definitiva e irrevocabile condanna di E nrico IV, il Pontefice ritornava ancora una volta sulla q u estion e d elle origini e dei caratteri del potere tem porale, accentuando q u el giudizio di condanna che egli aveva già pronunciato sui rappresentanti di ogni potestà terrena.

Come nella prima lettera si era basato sul passo d ell’ Evangelo di San G iovanni, “ pasce oves m eas „, per afferm are che nem m eno i re sono esenti dalla suprem a giurisdizione spirituale di Pietro, nella seconda lettera egli conferm ava e rafforzava il suo assunto con la c ita

zione del passo di Matteo: “tu es Petrus,, sul quale si fonda la dottrina del primato rom ano. Tutte le creature quindi, non eccettu ati i re, sono soggette al rom ano Pontefice per il potere esclusivo ed assoluto che egli ha avuto di sciogliere e di legare in terra e in cielo. Con le giustificazioni storiche che già aveva addotte e con altre nuove, quali la pretesa condanna d ell’ im peratore Arcadio pronunciata da Inno

cenzo I, egli cercava inoltre di dim ostrare com e effettivam en te anche i suoi predecessori avessero usato di quel suprem o potere contro imperatori e sovrani. V enendo in secondo luogo a una com parazione della figura del sacerdote con quella del sovrano, non sembrava dubbio a Gregorio VII che quella sopravanzasse di m olto in dignità l’altra. Senza parlare degli A postoli, dei Martiri e dei Santi che sono annoverati fra le file dei papi e dei vescovi e che non si tro vano nella serie degli im peratori anche p ii, e venerati dalla chiesa, il sacerdote è insignito da D io di un potere sovrannaturale che gli consente di am m inistrare i Sacram enti e di operare perfino dei m i racoli. Possono fare i re altrettanto ? E giunti all’ estrem o della vita, non hanno essi bisogno, com e qualsiasi altro fed ele, del m inistero sacerdotale, per poter entrare nel regno dei cieli ? Ma se, “ ratione peccati „, essi sono alla pari di ogni altro fed ele di fronte all* in v e stitura sovrannaturale del sacerdote, per le prim e origini del loro potere essi ripetono addirittura la loro derivazione dalla potenza diabolica : “ Chi non sa, egli diceva, che i re e i principi della terra hanno avuto il loro principio da coloro che ignorando Iddio

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( Deurn ignorantes) ei sono sforzati, con una passione cieca e con una

in tollerab ile presunzione, di dom inare gli uom ini loro eguali con l’o r goglio, le rapine, la perfidia, gli om icidi, in una parola con una infinità di d elitti, m olto probabilm ente per 1’ istigazione d el principe

di questo m ondo, il d em on io? S olo 1’ origine del sacerdozio e della

Chiesa era dunque per Gregorio divina, m entre quella del regno e d ello stato, che si perdeva nella notte de’ tem p i, quando ancora Iddio non s’ era rivelato agli uom ini, tradiva in vece nei suoi caratteri essen ziali la sua derivazione diabolica.

E ’ indubbio che Gregorio VII si riferiva in questo passo sp e cialm ente al prim o afferm arsi degli stati e degli im peri del m ondo antico pre cristiano, o, com unque, a dom inatori che non con oscevan o Iddio, e che erano sotto il dom inio d e ll’evan gelico “ princeps huius m undi „ . Da ciò il divario tra questi e i re cristiani ch e, gover nando secondo i dettam i della Chiesa, si rendono strum enti efficaci della potenza di D io. Ma se un re, da tìglio devoto della Chiesa diviene rib elle a D io ; se in una parola, da rex iustus si muta in t y r a n •

nus, di nuovo si palesa in lui l ’ influenza d ell’antica origine diabo lica e da m em bro del corpo m istico della Chiesa divien e m em bro

d e ll’Anticristo,

Risulta evidente da questo passo, la cui im portanza non è stata finora messa convenientem ente in evidenza (1), che per Gregorio VII il potere d e ll’uomo su l’uom o, al di fuori di un’ investitura divina, è cosa ingiusta, che si attua per ispirazione del dem onio e con tutti i m alefici della natura um ana corrotta. Gli u om in i sono p a r e s per natura e in un m ondo che ignora Dio, il potere non è ch e arbitrio, violenza, delitto. D ’altra parte l’allusione alle prim e origini del potere um ano, com e appartenenti a un m ondo naturale, non tocco dalla R ivelazion e, rem oto da D io, è esplicita. Gregorio non intende parlare soltanto di re e di duci che m isconoscono le leggi di D io, ma p iu t tosto di ” q u elli che, ignorando Iddio ” , hanno posto le prim e basi del potere dei re e dei duci. E questi prim i dom inatori apparten gono per lui a un m ondo in cui D io non s’ è rivelato e in cui dom ina solo il ” princeps huius mundi ” , il dem onio. A nche la pre cisa rem iniscenza evangelica dà, alle parole di Gregorio, il carattere di voluta evocazione d’un m ondo non redento dalla R ivelazion e, e del tutto abbandonato in balia della potenza d iabolica.

(1) V. G a y , I p a p i del secolo X I e la C ristianità (tra d . Viggiani) F iren ze, 1929, pag. 314, 315, il quale sostiene che il passo non ha valore di esposizione d o ttrin ale, ma vuole solo afferm are che m olte volte assumono il potere persone coperte di delitti. ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­

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L’ origine diabolica del potere um ano è perciò, per Gregorio V II, una verità incontrovertibile che egli afferm a consapevolm ente, e che si adegua con rigida coerenza ai postulati fondam entali del suo pensiero. Solo D io conferisce un valore legittim o alla potestà umana. E quando il sovrano si allontana da D io e dalla sua legge, della quale è custode la Chiesa, cade sotto il dom inio del dem onio da cui trasse origine e dal cui potere 1’ aveva riscattato la in vesti tura di re cristiano, consacrato dal sacerdote in nom e di D io.

D elin eato il programma gregoriano, attraverso la parola stessa del Pontefice resterebbe a vedere, per un adeguato giudizio storico, com e e quanto di tale programma divenne forza attiva creatrice di eventi. O rbene, si deve senz’altro riconoscere ch e, nonostante l ’usura che la realtà im pone ad ogni realizzazione um ana, nonostante le deviazioni, i com prom essi, le reazioni che ostacolarono la piena a t tuazione della riform a gregoriana, il grande Pontefice riuscì a im primere un nuovo vigore n e ll’azione del Papato e d ella Chiesa, seppe dare ad essa una nuova e form id ab ile organizzazione, seppe richiam arla alla coscienza dei suoi più alti doveri, indirizzarne la nuova potenza verso la conquista cristiana del m ondo. E in ciò è soprattutto la grandezza di Gregorio V II, la cui opera segnò uua ri voluzione profonda e durevole negli orientam euti fondam entali della civiltà cristiana.

Il carattere essenziale d ell’opera di Gregorio VII consiste in fatti nel m utam ento profondo che essa portò negli id eali di vita della società cristiana, da precedenti posizioni ascetiche di negazione e di f u g a d a l m o n d o , al nuovo e dinam ico id eale d ella conquista cristiana del m ondo, per istaurarvi il regno di Cristo e della sua Chiesa.

Nel Codex U ldarici noi troviam o già nel secolo X una suggestiva testimonianza di questo nuovo orientam ento degli spiriti, che portò incalcolabili conseguenze nella storia della civiltà cristiaua, n elle parole che un m onaco dirigeva al suo abate : Tu melius regis mun-

dum, quam fugis, p a te r.

In esse è già la giustificazione del pensiero teocratico, d elle crociate, del tem poralism o ecclesiastico. Ma solo l’opera di Gregorio VII tradusse questi ideali in concrete realtà.

D ’altra parte, se noi paragoniamo il clim a spirituale nel quale si svolse l’opera di Gregorio Magno, per citare un altro pontefice rap presentativo di un’epoca, e le espressioni del tem po di Gregorio VII,

noi ci accorgeremo subito del grande divario che separa le

due età.

Gregorio Magno ancora frem ente d elle aspettative p aoline, e mirante alla rovina del mondo con agostiniano pessim ism o, esaltava

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n ell’id ea le m onastico della rinuncia la più alta afferm azione della vita cristiana.

Gregorio VII voleva in vece conquistare il m ondo a Cristo e sottoporlo alla sua C hiesa, saldam ente organizzata sulla base del P ri m ato rom ano e su ll’investitura soprannaturale di Pietro.

Tra la rinuncia e la n egazione del m ondo di Gregorio Magno e la conquista cristiana del m ondo promossa da Gregorio V II, la Chiesa e il Papato scelsero definitivam ente la seconda alternativa.

Ra f f a e l l o Mo r g h e n

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Q u a l c h e aspetto dell’ o p e r a delle «Società

e c o n o m i c h e » meridionali n

1. Le o rig in i delle Società econom iche. 2. Il R eale Istitu to d In co ra g g ia m en to d i N apoli. 3. Le condizioni in d u stria li del N a p oletano intorno al 1815. 4. L opera delle S o cietà : le m a n ifa ttu re d i seta e d i lana. 5. Le m a n i• fa ttu r e d i cotone, lino e canapa. 6 . In d u strie varie. 7. Le Società econo

m iche e il risveglio della vita com m erciale del paese. Le esposizioni p r o vinciali e nazionali. 8. Conseguenze del declino delle Società. La Società econom ica d i Salerno. 9. Per un centro d i studi storici. A ppendice : Sulle m a n ifa ttu re di lana dei circondari d i Lam a e T a ra n ta in Abruzzo CAtra. M em oria d i R . Ci p o l l o n e.

1. Per risparm iarvi una d elusione, diciam o subito che è lontano

da noi il proposito di tracciare il profilo storico d elle Società eco

nomiche m eridionali. Un com pleto esam e d e ll’ opera loro dovrebbe

abbracciare l ’ azione rivolta al cam po d e ll’ attività agricola, com merciale, industriale, statistica, culturale, e distinguere ed analizzare, in ognuno di questi settori, 1* attività teorica e quella pratica. Uno studio del genere im porterebbe una trattazione am pia, quale difficil mente permette lo stato d elle ricerche su ll’ argom ento, Perché va rinnovato, ancora oggi, l ’augurio, che servendosi dei m anoscritti serbati nell’ Archivio storico d e ll’ Istituto d * In coraggiam en to di N ap oli, e degli archivi provinciali, si scriva un capitolo così im portante della storia economica del Regno di N ap oli, e si com pia, per le società econom iche m eridionali, l’opera che G iuseppe Prato ha dedicato alla

Associazione Agraria Subalpina. Per contro, ci lim iterem o a rievocare,

rapidamente, l’opera delle Società econom iche nel cam po industriale e com m erciale, per lo spazio di tem po che va daila Restaurazione al 1860, che può considerarsi 1* età d’ oro d elle Società econom iche.

(*) Comunicazione presen tata al I Convegno Storico S alernitano, e le tta

D ella seduta del 14 settem bre 1951, che ebbe luogo nel salone della C am era d i Commercio. - ' -’ -- - ­ ­ -- ­ ­

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11 periodo napoleonico suscitò nel M ezzogiorno d ’ Italia un r i sveglio d elle attività econom iche che N ap oleon e, il quale voleva fare della Penisola una sem p lice colonia, non aveva desiderato, cui tanto m eno aveva pensato. La p olitica econom ica dei n ap oleon id i dal 1806 al 1815, com e si esprim e un contem poraneo, il noto storico d elle finanze del R egno di N a p o li, L udovico B ianchini, fu ispirata ai princìpi di “ favoreggiare ” , quanto più p ossibile, “ l ’ intera in d u stria „ (1). N otevoli furono le riform e introdotte durante il decennio francese, in m olti cam pi della vita del paese, e che giovarono allo sviluppo d e ll’ agricoltura, del com m ercio e d ell’ industria. A questo periodo appartiene anche l ’ istituzione d elle Società econom iche.

Ma se la loro creazioue fu opera del governo francese non b i sogna credere che tale form a di associazione, p artecipe d e ll’elem en to accadem ico e di q u ello pratico, fosse sconosciuta n e ll’ antico Regno di N ap oli. Invero, il trentennio che va dal 1759 al 1790 fu inform ato ad una costante p olitica riform atrice. In questo periodo risplendente del riform ism o, il governo istituì n egli Abruzzi d elle Società p a t r i o t

tiche, servendosi della denom inazione di analoghe associazioni esisten ti

n ella Lom bardia austriaca (2). Così, per disposizione reale, furono isti tuite società patriottiche n elle città cap olu ogh i degli Abruzzi A quila,

Teram o, C hieti con lo scopo di prom uovere l ’agricoltura, le arti,

il com m ercio. Sotto un certo aspetto in con d izion i di superiorità a lle associazioni che nasceranno, perché esse ebbero un proprio pa

trim onio, larga autonom ia, d e lle entrate sicure, costitu ite dalle

rendite di alcuni m onasteri.

Durante 1’ occupazione francese, sotto il governo di Murat, tra le riform e introdotte al fine di favorire lo svituppo agricolo del paese, con provvedim ento del 16 febbraio 1810, furono istitu ite d e lle Società d i A g rico ltu ra , una per ogni capoluogo di provincia, com poste di un num ero chiuso di soci o rd in a ri, di un num ero illi m itato di soci corrispondenti, con un segretario p e r p e t u o scelto tra i soci (3). Il 30 luglio 1812, in considerazione d ella u tilità che p o

teva derivare alla “ nazionale floridezza „ dalla diffusione d elle

“ cognizioni relative alle arti e [al] com m ercio ” , ed in armonia con 1’ orientam ento p olitico econ om ico del governo, le società di agricol tura furono trasform ate iu Società econ om ich e, con attribuzioni

(1) L. B i a n c h i n i , Storia delle finanze d el R egno d i N a p o li, N apoli, 1859, 3a ed. p, 530.

(2) E. V ita , Le Società econom iche m erid io n a li, in G iornale degli econom i• »ti e R ivista d i statistica, a. XXV, voi. 48, m arzo 1914.

(3) B u llettin o delle leggi del Regno d i N a p o li, N apoli, 1812, 2a ed., voi. I, pp. 162 163. ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ - ­

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-considerevolm ente am pliate, perché non più circoscritte alla sola agricoltura, ma estese alla tutela d elle m anifatture, del com m ercio, in breve, a risvegliare la vita econom ico industriale del paese.

11 num ero dei soci ordinari fu aum entato da 12 a 18, perché si aggiunsero tre soci preparati nella teoria e pratica dei vari rami di m anifatture e tre negozianti esperti nella pratica com m erciale. Si crearono in seno alle Società due sezioni, di nove sem bri ciascuna, una di econom ia rurale, per la pastorizia e l’ agricoltura, l ’ altra di econom ia c itile , per le m anifatture e il com m ercio. V enne, inoltre, istituita la classe dei soci onorari, prescelti tra i benem eriti facoltosi della provincia, che avessero dato prova di generosità n e ll’ aiutare il risorgere della pubblica industria (1). Si può dunque afferm are che le Società dovevano occuparsi di tutto quanto im portava il pro gresso econom ico della provincia cui erano preposte.

D opo la bufera n ap oleon ica, m algrado l ’ avversione per tutto quel che ricordava il “ decennio di usurpazione ”, le Società econ o m iche furono m antenute, al pari di altri istituti, la cui u tilità fu sicuramente riconosciuta. Vero è che il governo restaurato, con d e creto del 26 marzo 1817, mostrò di voler creare d elle Società nuove, ma i nuovi statuti riuscirono la riproduzione fed ele di qu elli del 1812 (2).

2. Non si può discorrere d elle Società econ om ich e senza far

menzione del R eale Istituto d ’ In coraggiam en to di N apoli. L’ Istituto d’ Incoraggiamento di N apoli costituì il centro di tutte le Società economiche, e divenne 1’ organo propulsore e anim atore d elle atti vità econom ico industriali del Regno. L’ intenzione del suo fonda tore era stata diversa. Quando, nel 1806, G iuseppe Bonaparte dava i natali alla Reale Società d ’ Incoraggiam ento, egli voleva istituire un’ accademia scien tifica, ben lontana, negli scopi, da quella che sarà la complessa attività d e ll’ Istituto dal 1821 alla caduta del governo borbonico.

Che la R eale Società d ’ Incoraggiam ento non fosse sorta quale ente con compiti pari a q u elli che dovevano assolvere le Società economiche, create su ccessivam ente, basta a provarlo il fatto che, due anni dopo la sua fondazione (1808), il governo riordinava ed ampliava notevolm ente le attribuzioni della Giunta delle a r ti , m an i

(1) V. decreto del 30 luglio 1812, in B u llettin o delle Leggi del Regno d i Napoli, 29 sem estre, pp. 92 93. La nom ina dei soci veniva fa tta dal R e su proposta delle Società e sentito il parere degl in te n d e n ti delle province (art. 6).

(2) V. decreto del 26 marzo 1817, in Collezione delle Leggi e decreti reali del Regno delle Due Sicilie, sem estre I, pp. 410 e segg.

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f a t t u r e e d in dustrie, creata da Ferdinando IV, e che già esercitava

q u e ll’ azione di stim olo d elle attività econ om ich e del paese, che sarà, in seguito, com pito esclusivo d e ll’ Istituto d’ Incoraggiam ento. Fu dopo la creazione della Società R ea le di N apoli (1) che la sua consorella assunse il nom e di R e a le Istituto d i In co ra g g ia m en to alle Scienze

N a tu r a li, perché nessun’ altra istituzione recasse la q u alifica di so

cietà o accadem ia. Ma il nuovo sod alizio si allontanò presto dal pro gramma ideato dai prom otori, che era q u ello di fondare una sem p lice accadem ia di storia naturale.

Col ritorno di Ferdinando nel R egno di N ap oli, nel 1815, 1’ Isti tuto d’ Incoraggiam ento, che già aveva dato prove della sua o p ero sità, fu rispettato, al pari d elle Società econom iche. Anzi, nel 1821, ricevette nuovo, definitivo, ordinam ento, più rispondente al suo pro gramma econ om ico in d u striale, sicch é, a buon diritto, Ferdinando I di Borbone può considerarsi il restauratore e il fondatore d ella sua grandezza. In virtù di tale provvedim ento l ’ istitu to am pliò la sua sfera di attività, assunse, per la provincia di N a p o li, i com p iti d elle Società econ om ich e, divenne il centro d elle società del R egno, e, gra zie ad un’ assidua corrispondenza con esse, estese la sua efficace sorveglianza su tutte le province d el R eam e (2). N el 1831, ven iva creato un Istituto d’ In co ra g g ia m en to d i a gricoltu ra, a rti e m a n if a t

ture per la S icilia, in Palerm o, ed in ciascuno degli altri sei capo

luoghi di V alle una Società econom ica (3).

T ali le origini e la struttura di q u elle istitu zion i di cui v o glia mo tratteggiare l’ op era, lim itatam ente, com e abbiam o detto, al set tore industriale e com m erciale.

3. Intanto possiam o subito dom andarci : quali erano le co n

dizioni industriali del m ezzogiorno alla dim ane d el 1815 ? La fine d elle guerre n ap oleon ich e aveva m esso le industrie del R egno di fronte al problem a, gravissim o, di sostenere la concorrenza straniera, e il sem plice ritorno ad una econom ia di pace aveva elim in ato la richiesta di m olti beni necessari durante la guerra. D ’ altro canto, tutti i j)aesi europei, per sostenere le proprie industrie, avevano im boccato la strada d elle protezioni, dei d ivieti, dei dazi alla im portazione dei prodotti stranieri. L’ attività industriale del paese era precipitata nella situazione in cui si trovava a ll’ alba del secolo X IX .

(1) D ecreto del 20 maggio 1808, in B u llettin o d elle Leggi del Regno d i N a poli, sem eatre I, p. 204.

(2) D ecreto del 25 se tte m b re 1821, in Collezione delle Leggi e dei D ecreti R eali, sem estre II , p. 185.

(3) D ecreto del 9 novem bre 1831, in Collezione delle Leggi e dei D ecreti R ea li, sem estre II , p. 131.

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In verità, la sola capitale possedeva m anifatture di una certa importanza, per gl’ incoraggiam enti e sussidi largiti dai sovrani^N e gli Abruzzi, centri com e A quila, Sulm ona, ecc. potevano vantare la pro duzione di cap p elli, carta, cera, confetti, q ualche laboratorio di calze, ma gli altri com uni dei due distretti m ancavano spesso d elle più rozze ed elem entari m anifatture. In provincia di C hieti, l ’ industria si lim itava a lavori in acciaio, a pochi panni lavorati nei Com uni di P alena, Taranta e Fara S. M artino, ai cuoi di Atessa, Vasto e di Guardiagrele, ai cap p elli di Lanciano (1). “ Bisogna... con.

fessare, diceva il P residente della Società econom ica di C hieti,

G. Valignani, nella seduta del 30 maggio 1823, che la nostra ric chezza n azionale non è più quella di un tem po, e la nostra in d u stria, e com m ercio trovansi alquanto arretrati, con che trovasi an che dim inuita 1’ opulenza nazionale „. La causa di ciò non è dovuta alla deficienza della nostra industria, ma al progresso d elle altre nazioni, “ che ci han sorpassato, per cui, in rapporto a queste, ci troviamo in arretramento „ (2). La nostra P rovincia è “ n e ll’ infanzia delle arti ” , ribadiva 1’ anno successivo il Segretario perpetuo d ella Società, “ privi di stabilim enti pubblici, e di ogni qualunque società com m erciale, ignari della costruzione di m acchine, d e ll’ arte di t in gere e d elle m olte industrie n e lle quali gli altri regni e l’ istessa nostra Capitale han fatto dei progressi... „ (3).

Nel Principato U lteriore, nel 1825, il Segretario perpetuo della Società econom ica constatava am aram ente : - Per quel che si rife- sce alle nostre m anifatture, bisogna ben dire che m olte necessarie mancano ancora, e che q u elle esistenti hanno bisogno d’ incorag giamento. N elle Calabrie, l ’ antica industria lo ca le della seta, che aveva conosciuto un periodo d ’ in ob liab ile splendore, attraversava una dura crisi, e, fatta eccezion e di alcune tele grossolane di ca napa. si preferiva esportare la m ateria prima in luogo della la v o rata (4). In una m em oria intorno alle M anifatture da fondarsi nella

(1) A r c h i v i o S t o r i c o d e l l ’I s t i t u t o d I n c o r a g g i a m e n t o d i N a p o l i ( a b b r e v . A . S . I.N .) Discorso p ro n u n zia to n e ll a p ertu ra della seduta generale delli 30 maggio 1824 dal Presidente della Società econom ica di A bruzzo Citeriore D.

A g o s t i n o Canonico S c a r d a t a n e . L A rchivio Storico d e ll is titu to d incoraggiam ento, sconvolto dagli eventi di guerra, è sta to parzialm en te rio rd in a to dallo scriv en te ; i docum enti citati in questa m em oria sono racch iu si nella serie Società econo miche, 1815 1870.

(2) A. S. 1. N., Società econom ica d i A bruzzo Citeriore, A tti accadem ici da maggio 1822 a tutto m aggio 1823.

(3) A. S. I .N ., R apporto del Segretario p erp etu o d ella Società econom ica di Abruzzo Citeriore sulla seduta generale delli 30 m aggio 1824.

(4) E a cognizione di tu tti scriveva il S egretario p erpetuo, P ietro G reco, nel suo Rapporto sui travagli p erio d ici della Società econom ica della provincia

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città di A quila, si osservava, ancora nel 1824 : N oi, che siam o tributari dei paesi industriali per tutto quanto esorbita “ dalla sfera d egli alim enti di prima necessità e d elle m aterie grezze ” , vediam o “ ogni anno sensibilm ente dileguarsi dalla circolazion e la specie m e tallica ” , e senza un potente “ riparo „ sarem o, “ in breve ” , per la sua totale m ancanza, “ costretti a rim ontare al penoso traffico dei primi esordi del vivere c ivile... D ’ uopo è dunque di sollevarsi a l l’altezza del secolo o di soccom bere sotto il peso di una obbrobriosa m iseria „ (1).

Q ueste chiare afferm azioni di contem poranei, viven ti a contatto dalla realtà econom ica del paese, conferm ano la povertà industriale del regno. Le cause ch e determ inavano tale d ep lorevole stato di cose erano m o ltep lici : l ’organizzazione econom ica feu d ale esistente ancora in alcune province, se non di nom e di fatto, il concentram ento della ricchezza n elle mani di poche fam iglie n obili, le quali continuavano a considerare con disprezzo l ’attività industriale e m ercantile (2), la deficienza di com unicazioni, la scarsa diffusione di cognizione tecniche. M aggiorm ente si risentiva la mancanza di cap itali, per gl’ im pianti di opifici, secondo la tecnica m oderna. Un contem poraneo usciva in

questa invocazion e: Occorrono “ grandi m ezzi, ardito coraggio e

longanim e perseveranza... Enorm i perdite nel prim o periodo... „ (3).

Per il “ progredim ento „ d elle m anifatture, diceva il Segretario

perpetuo della Società econom ica di Calabria Citra, in un suo d i

scorso, letto nella seduta generale del 30 m aggio 1824, occorrono

d i P rim a Calabria U lteriore da l 30 m aggio 1819 a tu tto agosto corrente anno [1821] che la sete Reggiane, e p ro p riam e n te d e tte sam batelle, b an goduto il prim ario posto fra tu tte le sete grezze di tu tto il R egno, ad eccezione di q u elle dei casali della C apitale, sì per la lucidezza nel colorito, sì per la nettezza, come p u re p er l uguaglianza del filo. In ta n to questo genere soffre delle alterazio n i nel tirag g io ; p er qual m otivo vengono d im in u ite le ric e rc h e , e ribassato il prezzo „. In p artico lare, nel d is tre tto di G erace, ove il tiraggio della sete piane era così m alam ente effettuato , q u este p er nu lla venivano rich ieste , in guisa tale che i p ro p rie ta ri di tal genere eran o nella necessità di ab b an d o n are una tale in* d u stria „ (R apporto serb ato n e ll A. S. I. N.).

(1) A. S. I. N., D elle m a n ifa ttu re da stabilirsi nella C ittà d i A q u ila , m e m o • ria recitata nel giorno onom astico d i S. M. (D . G.) a 30 m aggio 1824.

(2) A ncora in to rn o al 1830, F o rtu n a to P ro fu m i, d ella Società econom ica di

C alabria U lterio re Seconda, osservava con ram m arico : Q uanto è dispiacevole

rifle tte re nella circostanza che un pregiudizio abbi di tan to rita rd a to lo sviluppo delle arti m eccaniche e la loro p erfezio n e; è q u e st ap p u n to la d istinzione che ei è d ata alle a rti, cioè di lib erali e m eccaniche, illu stra n d o le prim e con tu tti gli elogi cbe si profondono al genio ed allo spirito, e disonorando le ultim e con a t taccarle il c a ra tte re di serv ilità „ (S. A. I. N.), Società econom iche, busta 1826 1830.

(3) A. S. I. N., D elle m a n ifa ttu re da »tabilir»i nella C itta di A quila, ecc. c it.

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