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Alterazione della Transepidermal Water Loss nella psoriasi

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Academic year: 2021

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Scuola di Medicina

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

(Classe LM41)

Tesi di Laurea Magistrale

ALTERAZIONE DELLA TRANSEPIDERMAL

WATER

LOSS

NELLA PSORIASI

Relatore:

Chiar.mo Prof. Marco Romanelli

Candidato:

Elio Marchetti

(2)

i

Sommario

1. INTRODUZIONE ... 1 2. DEFINIZIONE CLINICA ... 4 3. CENNI STORICI ... 6 4. EPIDEMIOLOGIA ... 9 4.1 Prevalenza ... 9 4.2 Incidenza ... 11 5. EZIOLOGIA E GENETICA ... 14

5.1 Una patologia complessa ... 14

5.2 I primi studi ... 15

5.3 Genetica molecolare ... 16

6. IMMUNOPATOGENESI ... 20

6.1 Il modello patogenetico attuale ... 20

6.2 Cellule e patogenesi ... 21 6.2.1 Cellule dendritiche ... 21 6.2.2 Linfociti T ... 23 6.2.3 Cheratinociti ... 27 6.2.4 Granulociti neutrofili ... 28 6.2.5 Mastociti ... 29 6.2.6 Cellule NK e NKT ... 29 6.3 Angiogenesi ... 30 7. FATTORI SCATENANTI ... 32

(3)

ii

7.1 Traumi (fenomeno di Koebner) ... 32

7.2 Infezioni ... 33

7.3 Stress psico-fisico ... 33

7.4 Alcool, fumo di sigaretta, indice di massa corporea ... 33

7.5 Farmaci ... 34

8. COMORBIDITÀ ... 35

8.1 Artropatia psoriasica (PSA) ... 35

8.2 Patologie cardiovascolari e metaboliche ... 38

8.3 Patologie autoimmuni ... 39

8.4 Disturbi psicologici e psichiatrici ... 41

9. DIAGNOSI ED ISTOPATOLOGIA ... 43

10. INDICI DI GRAVITÀ ... 45

10.1 Psoriasis Area Severity Index (PASI) ... 45

10.2 Body Surface Area (BSA) ... 46

10.3 Physician Global Assessment (PGA) ... 47

11. MANIFESTAZIONI E VARIANTI CLINICHE ... 48

11.1 Psoriasi volgare ... 49

11.2 Psoriasi guttata ... 51

11.3 Psoriasi inversa o intertriginosa ... 52

11.4 Psoriasi eritrodermica ... 53

11.5 Psoriasi pustolosa ... 54

11.6 Forme particolari di psoriasi ... 57

11.6.1 Onicopatia psoriasica ... 57

11.6.2 Psoriasi del cuoio capelluto ... 58

11.6.3 Psoriasi del viso ... 59

11.6.4 Psoriasi delle mucose ... 60

11.6.5 Psoriasi oculare ... 60

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iii 12.1 Terapie topiche ... 64 12.1.1 Emollienti ... 64 12.1.2 Cheratolitici ... 64 12.1.3 Catrami ... 64 12.1.4 Ditranolo (antralina)... 65 12.1.5 Corticosteroidi topici ... 65

12.1.6 Analoghi della vitamina D3 ... 65

12.1.7 Tazarotene ... 66

12.1.8 Inibitori topici della calcineurina ... 66

12.2 Fototerapia ... 66

12.2.1 UVB... 66

12.2.2 PUVA-terapia ... 67

12.2.3 Laser ad eccimeri ... 68

12.3 Terapie sistemiche tradizionali ... 68

12.3.1 Ciclosporina A (CsA) ... 68

12.3.2 Methotrexate (MTX) ... 69

12.3.3 Acitretina ... 70

12.4 Esteri dell’acido fumarico (fumarati) ... 70

12.5 Farmaci biologici ... 71

12.5.1 Adalimumab (HUMIRA®, IMRALDI®) ... 71

12.5.2 Certolizumab Pegol (CIMZIA®) ... 71

12.5.3 Etanercept (ENBREL®, BENEPALI®) ... 72

12.5.4 Golimumab (SIMPONI®) ... 72

12.5.5 Infliximab (REMICADE®, INFLECTRA®, REMSIMA®) ... 73

12.5.6 Ustekinumab (STELARA®) ... 73

12.5.7 Secukinumab (COSENTYX®) ... 74

12.5.8 Ixekizumab (TALTZ®) ... 74

(5)

iv

13. LA TRANSEPIDERMAL WATER LOSS (TEWL) ... 76

14. IL DUROMETRO ... 81

15. STUDIO SPERIMENTALE ... 83

15.1 Obiettivo dello studio ... 83

15.2 Materiali e metodi ... 83

15.2.1 Criteri di inclusione dei pazienti ... 83

15.2.2 Criteri di esclusione dei pazienti ... 84

15.2.3 Selezione delle lesioni ... 84

15.2.4 Raccolta dei dati anamnestici ... 84

15.2.5 Acquisizione delle immagini cliniche e calcolo del PASI ... 85

15.2.6 Misurazione della TEWL ... 85

15.2.7 Misurazione della durezza della cute ... 87

15.2.8 Definizione dei sottogruppi ... 88

15.2.9 Analisi statistica ... 88

15.3 Risultati ... 89

15.3.1 Descrizione del campione ... 89

15.3.2 Risultati delle misurazioni ... 91

15.3.3 Analisi dei sottogruppi ... 93

16. CONCLUSIONI ... 97

17. ELENCO DELLE FIGURE E DELLE TABELLE ... 99

18. REFERENZE BIBLIOGRAFICHE ... 100

(6)

1

1. INTRODUZIONE

La psoriasi è una patologia infiammatoria sistemica ad andamento cronico-recidivante che interessa abitualmente la cute e più raramente le unghie, le articolazioni e/o le mu-cose. Presenta eziologia sconosciuta e patogenesi immunomediata associata ad una forte correlazione genetica sulla quale agiscono molteplici fattori scatenanti estrinseci di natura ambientale e/o comportamentale.

Si stima che colpisca fino al 2-3% della popolazione globale, con marcata variabilità della prevalenza dipendente da fattori geografici, etnici ed ambientali. Può colpire sog-getti di entrambi i sessi e di tutte le età, con due distinti picchi di insorgenza, di cui uno in età giovanile e uno in età adulta. Dopo l’esordio, il suo decorso è segnato nella maggior parte dei casi dall’alternanza di fasi di durata variabile e difficilmente prevedibile di remis-sione, con attenuazione o scomparsa dei sintomi, e fasi di esacerbazione, con ricomparsa o ampliamento delle lesioni e riacutizzazione della sintomatologia.

La psoriasi presenta una notevole variabilità interindividuale relativamente a presen-tazione clinica, localizzazione e dimensione delle lesioni e gravità dei sintomi, rendendo possibile l’individuazione di più varianti cliniche della malattia. La forma più comune è la psoriasi a placche, o psoriasi volgare, caratterizzata da chiazze o placche eritemato-squa-mose a margini arrotondati netti, di variabile numero, dimensione e spessore e tonalità compresa tra il roseo e il rosso intenso, sormontate da squame bianco-argentee scarsa-mente aderenti e di aspetto micaceo. Tali lesioni, talvolta asintomatiche, possono localiz-zarsi in ogni area della superficie corporea, tendendo eventualmente a confluire tra loro fino ad interessare tutta la cute nel caso della psoriasi eritrodermica, gravata da elevata morbilità. Più tipicamente, tuttavia, nei soggetti di età adolescenziale o adulta le lesioni si presentano, spesso in maniera simmetrica, sulle superfici estensorie degli arti, continua-mente sottoposte a sollecitazioni meccaniche e microtraumi, in regione sacrale e sul cuoio

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2 capelluto, in particolare a livello nucale e retroauricolare. In età infantile, invece, non è rara la presentazione delle lesioni a livello delle pieghe cutanee.

La diagnosi di psoriasi è prettamente clinica. Solo in rari casi di dubbia interpretazione è possibile ricorrere alla biopsia cutanea con successivo esame istologico del campione o ad altre indagini strumentali ai fini della diagnosi differenziale.

La definizione della severità della psoriasi si avvale di molteplici indici di valutazione clinica, il più utilizzato dei quali è il Psoriasis Area and Severity Index (PASI), che combina l’estensione delle lesioni cutanee con i segni clinici della malattia.

Oltre ad essere una patologia dolorosa e potenzialmente invalidante, la psoriasi è ca-ratterizzata da alterazioni immunologiche che determinano un aumento del rischio di svi-luppo di molteplici comorbidità, in particolare a livello metabolico e cardiovascolare1.

Per la frequente presenza di lesioni su aree scoperte e visibili del corpo, la malattia predispone inoltre alla stigmatizzazione sociale e genera elevati livelli di stress e disagio emotivo, che a loro volta concorrono ad aggravare il disturbo stesso e si associano ad un aumento del rischio di sviluppo di depressione, determinando una compromissione tal-volta molto significativa della vita di relazione e in generale della qualità di vita del pa-ziente2.

A causa dell’elevata prevalenza nella popolazione generale e del carico di malattia complessivamente elevato della psoriasi, la gestione di questa patologia assume una no-tevole rilevanza per la collettività in termini di costi sia sanitari che sociali. Tali aspetti evidenziano, da una parte, l’importanza di una diagnosi quanto più precoce ed accurata possibile, al fine di fornire al paziente un adeguato supporto terapeutico; dall’altra, met-tono in luce la necessità di ulteriori studi, opportunamente disegnati, per indagare e com-prendere più a fondo l’eziopatogenesi della malattia, evidenziando i fattori di rischio cor-relati con la sua insorgenza3,4.

Lo studio sperimentale trattato in questa tesi, condotto presso la Clinica Dermatolo-gica dell’Università di Pisa, indaga l’alterazione della perdita transepidermica di acqua e della rigidità cutanea, valutate rispettivamente tramite tewametria e durometria, a livello delle lesioni e della cute non lesionale del paziente psoriasico, e l’andamento di tali para-metri in risposta alla variazione del PASI. Il suo scopo è fornire, se possibile, uno spunto

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3 per la realizzazione di ulteriori indagini volte a chiarire meglio l’eventuale ruolo dell’alte-razione della funzione di barriera della cute nel determinismo delle lesioni del paziente psoriasico.

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4

2. DEFINIZIONE CLINICA

La psoriasi, dal greco “psora”, che significa “prurito”, è una frequente patologia infiam-matoria ad andamento cronico-recidivante con eziologia sconosciuta e patogenesi multi-fattoriale cui partecipano fattori genetici, immunologici ed ambientali.

Viene classicamente descritta come una dermatosi eritemato-desquamativa cronica, legata all’incremento della proliferazione e del turnover dei cheratinociti, che porta allo sviluppo delle tipiche placche eritematose, infiammate, ispessite e desquamanti che ca-ratterizzano la malattia5.

È ormai assodato, tuttavia, che la psoriasi può associarsi ad un ampio gruppo di comor-bidità extra-cutanee il cui principale fattore predisponente è rappresentato dall’infiam-mazione sistemica cronica, suggerendo che questa patologia possa avere una natura mul-tiorgano. Tali comorbidità tendono a presentarsi soprattutto nei casi di psoriasi mode-rato-gravi e comprendono, oltre alla ben nota artropatia psoriasica, anche patologie car-diovascolari, malattie infiammatorie croniche intestinali, patologie oculari e disturbi del metabolismo, tra cui diabete mellito, obesità, dislipidemie, fino alla sindrome metabo-lica6. Pertanto, la psoriasi è oggi considerata un’affezione sistemica e viene classificata tra

le patologie infiammatorie immunomediate (IMID, dall’inglese Immune Mediated

Inflam-matory Disease), che rappresentano un ampio spettro di malattie infiammatorie croniche

derivanti da un disordine immunologico7.

La psoriasi è una patologia caratterizzata da decorso imprevedibile e grande variabilità interindividuale relativamente alla presentazione delle lesioni ed alla gravità del quadro clinico: in alcuni pazienti, infatti, si assiste solo allo sviluppo di poche e piccole chiazze localizzate che procurano un modesto fastidio, mentre in altri le lesioni arrivano a dan-neggiare l’intera superficie del corpo, con una seria compromissione della qualità della vita, della socialità e della capacità di svolgere le normali attività quotidiane e lavorative. Al fine di contrastare la stigmatizzazione delle persone che convivono con la psoriasi e per

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5 diffondere la conoscenza di questa patologia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nella propria 67° assemblea tenutasi a maggio 2014, ha adottato una risoluzione nella quale la psoriasi e l’artrite psoriasica sono riconosciute come “malattia cronica, non tra-smissibile, dolorosa, deturpante e invalidante per la quale non esiste una cura”. Viene ri-conosciuto in particolare l’elevato onere psico-sociale della malattia, legato alle specifiche caratteristiche della malattia, alle sue manifestazioni e alla sua natura cronica, che gene-rano conseguenze negative dal punto di vista sia fisico che sociale e relazionale in molti pazienti. Viene poi evidenziato come spesso le persone affette da psoriasi affrontino si-tuazioni di disagio anche a causa di ritardi ed errori nella diagnosi, insufficiente accesso alle cure, opzioni di trattamento talvolta inadeguate e mancanza di omogeneità nel per-corso terapeutico. È quindi necessario un costante impegno per migliorare la gestione del paziente psoriasico soffermandosi, oltre che sulle cure specialistiche da offrire, anche su-gli aspetti di formazione dei medici e di informazione dei pazienti8.

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6

3. CENNI STORICI

La psoriasi è una patologia probabilmente nota fin dall’antichità, ma è stata per molti secoli confusa, come tutte le patologie a carattere desquamante e le dermatosi infiam-matorie in genere, con la lebbra. Il termine “psoriasi” deriva dal greco “psora”, che signi-fica “prurito” e contiene a sua volta la radice dell’indoeuropeo “psan”, che descrive l’azione del grattare, in riferimento al prurito che è il più comune sintomo della malattia. Tale termine fu coniato dal grande medico greco Galeno (129-201 d.C. circa), e compare in due diverse occasioni nei suoi scritti, ma non è possibile definire se e in che misura il suo significato fosse sovrapponibile a quello attuale.

Una datazione precisa della comparsa della psoriasi nei testi antichi non è possibile. Tracce di verosimili descrizioni della malattia si ritrovano in alcuni papiri egizi risalenti al 2500-2000 a.C., in cui si avanzano anche suggerimenti terapeutici a base di escrementi di cani, di gatti, di animali di grossa taglia, di catrami ed altre sostanze bituminose, mentre nei codici Assiro-Babilonesi (1900 a.C. circa) si delineano malattie squamo-crostose simili alla psoriasi. Una descrizione abbastanza accurata della malattia viene formulata anche da Ippocrate (460-377 a.C. circa) nel suo Corpus Ippocraticus, mentre l’enciclopedista e medico romano Aulo Cornelio Celso (14 a.C.-37 d.C. circa) nella sua opera De Medicina indica la psoriasi come una variante dell’impetigine, fornendo poi una descrizione della malattia assolutamente tipica per l’aspetto, la localizzazione e l’evoluzione delle lesioni e suggerendo una cura con preparati a base di zolfo9.

Possibili riferimenti alla malattia sono presenti anche nella Bibbia, principalmente nel Levitico, e nella Torah ebraica, dove una piaga cutanea con caratteristiche simili a quelle della psoriasi viene definita come “Tzaraath”, sebbene si ritenga probabile che tale ter-mine, che assume significati diversi in passaggi diversi, venisse usato per indicare qualsiasi affezione capace di manifestarsi con eruzioni cutanee, piuttosto che in riferimento ad una patologia specifica. In entrambi i testi sacri, le manifestazioni in questione sono

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7 generalmente interpretate come una forma di punizione divina, o comunque in un’acce-zione fortemente negativa che è sopravvissuta indenne fino all’epoca medievale, quando non di rado i soggetti affetti da lebbra, psoriasi ed altre patologie cutanee deturpanti fini-vano sul rogo10.

Il problema della stigmatizzazione e della presunta contagiosità della psoriasi e delle malattie cutanee in genere, ha contribuito ad alimentare la discriminazione e l’emargina-zione dei malati fino all’età moderna, come testimoniato anche dall’istitul’emargina-zione di noso-comi come il San Gallicano di Roma, risalente alla prima metà del 1700 e specializzato nell’accoglienza di malati affetti da patologie della cute, in quanto potenzialmente conta-giosi.

Soltanto a partire dal XVIII e XIX secolo, con la nascita della dermatologia moderna, si inizia a distinguere la psoriasi dalle altre patologie che interessano la cute.

Nel 1808 l’inglese Robert Willan (1757-1812) nel suo trattato “On cutaneous disease” è il primo ad identificare la psoriasi come entità nosologica a sé stante, da lui definita

“Lepra Vulgaris” o “Lepra Willani”, di cui descrive 4 varianti cliniche (diffusa, guttata,

gi-rata e invetegi-rata) a seconda delle dimensioni e delle peculiarità delle lesioni9. Ulteriori

descrizioni cliniche di casi di psoriasi sono attribuite all’inglese Thomas Bateman (1778-1821) e al francese Jean Louis Alibert (1766-1837), che usa l’espressione “lèpre

squa-meuse” per definire un caso di psoriasi associata ad artrite, senza però correlarle tra loro.

È infatti soltanto nel 1860 che Ernest Bazin (1807-1878) conia l’espressione “psoriasis

ar-thritique”, intuendo la possibile esistenza di un’associazione tra i quali clinici osservati, ma

deve passare più di un secolo per definire correttamente, con l’avvento della microscopia elettronica, le caratteristiche dell’artropatia psoriasica e differenziarla da altre patologie, come l’artrite reumatoide11.

Il moderno termine “Psoriasis” viene introdotto nel 1840 dal dermatologo austriaco Ferdinand von Hebra, che nel suo “Atlante delle malattie della pelle” (“Atlas der

Hautkrankeiten”) descrive dettagliatamente le caratteristiche cliniche della malattia,

di-stinguendola definitivamente dalla lebbra.

Nel 1876 l’austriaco Heinrich Auspitz (1835-1886) descrive l’omonimo segno, che con-siste nella comparsa di microemorragie puntiformi in seguito all’asportazione delle

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8 squame che sovrastano le lesioni psoriasiche, e la cui ricerca costituisce ancora oggi una semplice ma utile manovra per la diagnosi differenziale della psoriasi.

Ad Heinrich Koebner (1838-1904) si deve invece tra il 1869 ed il 1872 la scoperta dell’omonimo fenomeno, noto anche come isomorfismo reattivo, tipico sebbene non pa-tognomonico della psoriasi, che consiste nella comparsa di lesioni psoriasiche nelle zone cutanee interessate da eventi traumatici (escoriazioni, ferite, tatuaggi, ecc.) ed è chiara-mente dimostrabile nel 25-30% dei malati.

All’americano Lucius Duncan-Bulkley (1845-1928) è infine legata l’individuazione della cosiddetta pellicola che porta il suo nome: una superficie argentea iperriflettente eviden-ziabile a seguito dell’asportazione della parte meno superficiale delle squame psoriasi-che9.

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4. EPIDEMIOLOGIA

4.1 Prevalenza

L’epidemiologia della psoriasi rappresenta un aspetto ancora complessivamente poco chiaro della malattia, dal momento che i dati disponibili sono recenti e per lo più modesti. Come riportato da vari studi, la prevalenza e l’incidenza della malattia mostrano una mar-cata variabilità a livello sia inter- che intranazionale, a causa di fattori genetici, geografici ed ambientali, come l’esposizione a vari tipi di antigeni. Per spiegare tale variabilità tutta-via devono essere tenuti in considerazione anche alcuni problemi derivanti dalle diffe-renze metodologiche tra i vari studi, che comprendono l’impiego di diverse definizioni di prevalenza (istantanea in alcuni studi, periodale o lifetime in altri a seconda delle diverse necessità di indagine epidemiologica), l’applicazione di diversi criteri per l’inclusione dei pazienti (ad esempio, diagnosi di psoriasi posta dallo specialista dermatologo piuttosto che dal medico di medicina generale), la diversa provenienza dei dati analizzati (registri ospedalieri, cliniche dermatologiche, indagini sulla popolazione generale)12. D’altra parte,

sussiste anche il rischio di sottostima dei risultati delle varie indagini, principalmente a causa del ritardo nella diagnosi, che si attesta in media sui 2 e sui 5 anni dalla comparsa dei sintomi per la psoriasi e per l’artropatia psoriasica, rispettivamente13.

A livello globale, in accordo con il World Psoriasis Day Consortium, si stima che la pso-riasi colpisca fino al 3% della popolazione, interessando pertanto oltre 125 milioni di per-sone14.

I tassi di prevalenza riportati negli studi provenienti dai vari Paesi del mondo oscillano tra lo 0,09% degli abitanti delle isole Samoa e l’11,8% dei residenti delle regioni artiche, ma mediamente si attestano intorno all’1-3%. La prevalenza della psoriasi nella popola-zione generale è del 2-3% tra i caucasici, mentre risulta minore tra gli orientali e soprat-tutto tra i neri, indipendentemente dalla collocazione geografica. In generale, la preva-lenza della malattia è più elevata nelle regioni del globo più distanti dall’equatore, con

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10 significative eccezioni in alcuni gruppi etnici, come gli aborigeni dell’America meridionale e i Lapponi del popolo Sami della Norvegia, in cui il tasso di prevalenza è molto basso.

Per quanto riguarda il Nord America, i dati disponibili provengono soprattutto dagli Stati Uniti, dove un primo studio condotto nel 1978 (studio HANES I) riportò un tasso di prevalenza della psoriasi nella popolazione generale dello 0,5%. Studi più recenti hanno riscontrato un tasso del 3,15%, con differenze significative a seconda dell’etnia di origine dei pazienti (2,5% tra i caucasici, a fronte dell’1,3% riscontrato tra gli afroamericani), men-tre i dati provenienti da Canada e Messico attestano una prevalenza del 4,7 e del 3%, rispettivamente. In Sud America, la prevalenza è dello 0,7% in Guatemala e Honduras, e tra lo 0,2 e lo 0,9% in Nicaragua, a fronte dei tassi più elevati riscontrati in altri Paesi del subcontinente (1,3% in Brasile e in Giamaica, 2% in Venezuela, 4,2% in Paraguay, 5,1% nelle isole di Trinidad e Tobago).

In Asia i tassi di prevalenza riscontrati dagli studi disponibili, per quanto meno nume-rosi, appaiono mediamente inferiori (0,05-1,23% in Cina, 0,29-1,18% in Giappone, 0,5-2,3% in India, 1,1-5,5% in Malaysia, 3,1% in Kuwait, 1,51-5,3% in Arabia Saudita), mentre quelli riportati dagli studi condotti in Africa sono ancora più bassi (0,08-0,9% in Nigeria, 0,4% in Ghana, 0,05% in Mali, 0,3% in Angola, 3,5% in Kenya, 2,8% in Uganda, 3% in Egitto e in Tanzania).

In Europa, numerosi studi mostrano una prevalenza più elevata rispetto ad altre re-gioni del globo. I tassi osservati, compresi ovunque tra lo 0,6 ed il 6,5%, mostrano i valori più elevati nei Paesi dell’Europa settentrionale e quelli più bassi nei Paesi dell’Europa me-ridionale (1,4% in Svezia, 1,5-2,8% nel Regno Unito, 6,5% in Germania, 2% in Ungheria, 1,8% nei Paesi Bassi, 3,5-5,2% in Francia, 1,43% in Spagna, 1,55% in Croazia)15.

In Italia lo studio PraKtis (Prevalence of Actinic Keratosis Italian Study), condotto nel 2003 su oltre 3600 soggetti di età maggiore di 45 anni e volto a stabilire la prevalenza delle cheratosi attiniche e di altre patologie dermatologiche selezionate nella popolazione generale italiana, ha inizialmente riscontrato un tasso di prevalenza della psoriasi del 3,1%16.

Uno studio più recente, condotto su un campione di oltre 3500 famiglie rappresenta-tivo della popolazione generale nazionale ha riscontrato una prevalenza del 2,9%, con un

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11 range interregionale compreso tra lo 0,8% della Sardegna ed il 4,5% delle Regioni centrali (Lazio, Abruzzo, Molise). In particolare, è emerso come la prevalenza della psoriasi nelle suddette regioni centrali risulti rispettivamente maggiore di 5,6 e 2,8 volte rispetto alla prevalenza rilevata in Sardegna e nelle Regioni meridionali prese in esame (Calabria, Pu-glia, Basilicata), riflettendo un gradiente di distribuzione nord-sud non dissimile da quello osservato a livello europeo e probabilmente dipendente da fattori sia genetici che am-bientali, tra cui ad esempio la dieta e il diverso tasso di esposizione ai raggi UV contenuti nella radiazione solare17.

4.2 Incidenza

Gli studi sull’incidenza della psoriasi sono meno numerosi di quelli relativi alla preva-lenza e presentano una notevole complessità, dovuta principalmente alla mancanza di criteri epidemiologici ben definiti ed al decorso imprevedibile della malattia, ma i dati di-sponibili sono concordi nell’indicare una tendenza all’aumento dell’incidenza quanto meno nei Paesi industrializzati. I dati provenienti dagli Stati Uniti derivano soprattutto da studi osservazionali basati sul database del Rochester Epidemiology Project, che dal 1966 ha contribuito allo studio di molte malattie anche non dermatologiche. In particolare, un primo studio condotto da Bell e coll. nel 1980 ha rilevato un’incidenza cumulativa aggiu-stata per età e per sesso di 60,4 casi per 100000 abitanti all’anno, mentre uno studio suc-cessivo, condotto da Shbeeb e coll. e basato sulla rilevazione di tutti i casi di psoriasi dia-gnosticati negli USA nel periodo compreso tra il 1982 ed il 1991, ha invece attestato un’in-cidenza di 107,7 per 100000. Uno studio ancora più recente, condotto da Icen e coll. nel 2009, ha confermato la tendenza all’aumento dell’incidenza, che è passata dai 50,8 casi per 100000 osservati nel periodo 1970-1974 ai 100,5 per 100000 osservati nel periodo 1995-199918.

In Europa i dati disponibili provengono da pochi Paesi. Nel Regno Unito, sulla base di uno studio basato sullo United Kingdom General Practice Research Database, Huerta e coll. hanno stimato un’incidenza cumulativa di psoriasi di 140 casi per 100000 abitanti all’anno nel periodo tra il 1996 ed il 199719. In Italia, uno studio osservazionale di durata

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12 100000 abitanti all’anno, rispettivamente nel 2001 e nel 200520. L’incidenza in età

pedia-trica, secondo uno studio osservazionale statunitense di durata quasi trentennale (dal 1970 al 1999) si attesta sui 40,8 casi per 100000 abitanti all’anno e mostra una tendenza statisticamente significativa ad aumentare nel corso del periodo di osservazione21. Uno

studio italiano condotto dal 2006 al 2012, invece, indica un’incidenza di psoriasi in età pediatrica di 60 e 57 casi per 100000 abitanti all’anno, rispettivamente nel 2006 e nel 201222.

Per quanto riguarda la distribuzione dell’incidenza per età e sesso, è noto che la pso-riasi può presentarsi in qualsiasi momento della vita (sono documentati anche rari casi di psoriasi congenita)23, ma Henseler e Christophers in uno storico studio condotto nel 1985

in Germania su 2147 pazienti hanno rivelato che l’età di insorgenza della malattia mostra una distribuzione bimodale, con un primo picco a 16 anni per le femmine e 22 anni per i maschi e un secondo picco più tardivo a 57 anni per i maschi e 60 anni per le femmine24.

Questi diversi picchi di insorgenza secondo molti Autori corrispondono, come confermato da studi successivi sugli antigeni MHC di classe I e II, a due diversi tipi di psoriasi, noti rispettivamente come psoriasi di tipo I e di tipo II. La psoriasi di tipo I comprende le forme con esordio sotto i 40 anni, che rappresentano oltre i ¾ dei casi, presentano una forte associazione (nel 60% dei casi) con alcuni antigeni HLA (in particolare HLA-Cw6, -B13, -B37 e -B57), tendono a presentarsi in forma più severa ed estesa sulla superficie cutanea, an-dando incontro più frequentemente a recidive, e possono essere considerate come forme ereditarie (l’aumento del rischio relativo di sviluppo di psoriasi è pari a 10 volte per i sog-getti eterozigoti per l’allele HLA-Cw6 e 20 volte per i sogsog-getti omozigoti). La psoriasi di tipo II comprende invece le forme con esordio più tardivo, che rappresentano meno del 25% restante dei casi e sono considerate forme sporadiche dal momento che non mo-strano familiarità se non raramente e presentano solo una debole associazione con gli antigeni HLA-Cw2 e HLA-B725.

Approssimativamente il 75% dei pazienti sviluppa la malattia prima dei 40 anni. L’età mediana di insorgenza è di 25 anni per le femmine e 28 per i maschi. Non sembra esserci predisposizione in base al sesso dal momento che la prevalenza della malattia nell’età

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13 adulta è sovrapponibile tra maschi e femmine, ma l’esordio in età giovanile è tipicamente più precoce in queste ultime26.

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5. EZIOLOGIA E GENETICA

5.1 Una patologia complessa

Esiste ormai una forte evidenza che la psoriasi sia una patologia infiammatoria cronica multisistemica ad eziologia multifattoriale complessa, caratterizzata da una notevole ete-rogeneità genetica, clinica ed istologica, anche a livello delle singole lesioni psoriasiche. Lo sviluppo della malattia è legato ad una serie di complesse interazioni tra il background genetico del soggetto, il sistema immunitario, la presenza di autoantigeni e molteplici fat-tori ambientali scatenanti. Sembra assodato che la disregolazione dell’immunità e della risposta epidermica a certi stimoli svolga un ruolo fondamentale nella genesi e nel man-tenimento di questo disturbo, le cui alterazioni istopatologiche più evidenti sono l’iper-plasia epidermica e la presenza di uno stato infiammatorio cronico che non è limitato alla cute ma interessa tutto l’organismo, rendendosi responsabile dello sviluppo di varie co-morbidità e di un certo aumento della mortalità nel paziente psoriasico. A lungo si è di-scusso se l’evento primario in questo processo fosse rappresentato dall’attivazione dei cheratinociti o dei linfociti, ma negli ultimi 20 anni numerose evidenze hanno permesso di correlare lo sviluppo delle manifestazioni cliniche della psoriasi all’azione delle cito-chine proinfiammatorie sintetizzate da molteplici tipi cellulari, tra cui linfociti T (che svol-gono il ruolo principale) ma anche cheratinociti, fibroblasti, dendrociti, cellule endoteliali e cellule dendritiche. In particolare, è stato chiarito come la psoriasi rappresenti una pa-tologia mediata da cellule T patogenetiche che producono elevati livelli di IL-17, principal-mente in risposta alla stimolazione da parte di IL-23, ponendo l’asse IL-23/IL-17 al centro della patogenesi della malattia e della ricerca per lo sviluppo di nuove terapie efficaci nel controllo delle manifestazioni cliniche della psoriasi27.

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5.2 I primi studi

La componente genetica svolge un ruolo fondamentale nella patogenesi della psoriasi, come suggerito da molteplici evidenze. La frequenza del riscontro di familiarità per la ma-lattia è compresa tra il 2 ed il 91% dei casi. In uno studio italiano, una storia familiare di psoriasi è riportata all’anamnesi dal 45,9% dei pazienti intervistati, con maggiore fre-quenza nei soggetti in cui l’esordio della malattia si colloca prima dei 30 anni28. I primi

studi di aggregazione familiare proposero un modello di ereditarietà monogenica a tra-smissione autosomica dominante con una penetranza del 60% circa, ottenuta sulla base della percentuale di genitori sani con figli affetti da psoriasi29. Tuttavia, da un successivo

studio condotto da Watson e coll. risultò che la probabilità di insorgenza della psoriasi nei figli di pazienti affetti era intorno al 50% se ad essere malati erano entrambi i genitori, del 16,4% se un solo genitore era malato e del 7,8% se i genitori erano sani ma la malattia si era manifestata nelle generazioni precedenti. Dato che il numero di figli affetti nati da genitori sani era troppo alto per essere spiegato dall’ereditarietà di un unico gene domi-nante, sebbene a penetranza incompleta, fu proposto un modello di ereditarietà polige-nica e multifattoriale in base al quale lo sviluppo della malattia dipende dalla complessa interazione tra più fattori genici predisponenti e vari fattori ambientali scatenanti30.

Non è ancora chiaro se la penetranza delle manifestazioni cliniche della psoriasi possa essere influenzata dal genere del genitore affetto. Alcuni studi infatti attestano che, nei casi in cui è il padre ad essere malato, la probabilità che la malattia si manifesti nei figli sia significativamente maggiore rispetto ai casi in cui ad essere affetta è la madre. La trasmis-sione da parte paterna della componente genetica della malattia si assocerebbe anche ad un’età di insorgenza ridotta e ad un decorso nella prole più severo (particolarmente in caso di trasmissione padre-figlia), suggerendo l’esistenza di fenomeni epigenetici di im-printing ed anticipazione genetica nell’ereditarietà dei geni coinvolti31,32. Altri studi,

tutta-via, non hanno riscontrato differenze significative nell’espressione clinica della malattia in relazione al pattern materno o paterno di trasmissione genica. Pertanto, sono necessari ulteriori studi per comprendere se e in che modo l’epigenetica possa condizionare l’espressione fenotipica della malattia e quali geni siano specificamente interessati da tali fenomeni33. Numerosi studi condotti sui gemelli mostrano come il rischio di sviluppare la

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16 malattia sia da 2 a 3 volte più alto tra i gemelli monozigoti rispetto a quelli dizigoti, con una concordanza nei gemelli monozigoti del 35-72%, a fronte del 12-23% riscontrato nei gemelli dizigoti34.

5.3 Genetica molecolare

Successive indagini di genetica molecolare, in particolare con l’avvento degli studi di associazione genome-wide (GWAS) hanno portato ad evidenziare oltre 60 loci genici di suscettibilità per lo sviluppo di psoriasi, localizzati su oltre 15 cromosomi diversi35. Tra

questi, i 9 loci considerati più probabilmente correlati alla malattia sono stati designati con l’acronimo PSORS (da PSORiasis Susceptibility locus) e sono stati numerati da 1 fino a 9. Il più importante di essi è il locus PSORS1, che è localizzato in prossimità del gene HLA-B sul braccio corto del cromosoma 6 (6p21.3), all’interno del complesso maggiore di isto-compatibilità (MHC), evidenziando quanto i meccanismi immunitari possano essere im-portanti nella patogenesi della psoriasi. Il locus PSORS1 comprende un cluster di 8 geni, tra cui il gene HLA-C, il gene CCHCR1 ed il gene CDSN, che sono trasmessi in linkage

dise-quilibrium con HLA-C36,37. Quest’ultimo codifica per una proteina MHC di classe 1 coinvolta

nella presentazione dell’antigene ai linfociti CD8+ e nella regolazione delle cellule NK; in particolare la sua variante HLA-Cw6, presente nel 55-80% dei pazienti psoriasici di razza bianca, a fronte del 20% della popolazione generale, si associa ad esordio precoce della malattia, maggiore estensione delle lesioni a livello cutaneo e maggiore suscettibilità alle riacutizzazioni in seguito ad infezioni streptococciche. Il probabile ruolo svolto dagli aplo-tipi di HLA nella presentazione degli antigeni al sistema immunitario rappresenterebbe il

trait d’union tra predisposizione genetica dell’individuo e ruolo del sistema immunitario

nella patogenesi della psoriasi, dal momento che, come è noto, l’innesco dell’attivazione linfocitaria è dipendente dalla presentazione dell’antigene da parte delle molecole MHC di classe I o II38. Recentemente, inoltre, a suffragio dell’ipotesi del contributo di fenomeni

autoimmunitari all’innesco del processo infiammatorio cronico che caratterizza la pso-riasi, è stata dimostrata la capacità del prodotto molecolare dell’allele HLA-Cw6 di pre-sentare ai linfociti T CD8+ alcuni antigeni self, che pertanto agirebbero da autoantigeni. Tra questi, in particolare, si segnalano la catelicidina LL37, secreta da cheratinociti,

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17 macrofagi e neutrofili, e il fattore ADAMTSL5, espresso da melanociti e cheratinociti. En-trambi sono sintetizzati in misura maggiore sotto la stimolazione di IL17 e risultano ipere-spressi nelle lesioni dei pazienti psoriasici39,40. Il gene CCHCR1 (Coiled-Coil alpha-Helical Rod protein 1, in precedenza noto come gene HCR) codifica invece per una proteina il cui

danneggiamento è associato, nei topi geneticamente modificati, all’incremento della sin-tesi delle citocheratine K6, K16 e K17 e all’alterazione dell’espressione di altri geni che esita in un’abnorme proliferazione dei cheratinociti dello strato basale dell’epidermide, di cui tale proteina probabilmente agisce come regolatore negativo41. Il gene CDSN, infine,

codifica per la corneodesmina, una proteina di unione desmosomiale presente nello strato granulare e nello strato corneo dell’epidermide che risulta iperespressa nei pazienti affetti da psoriasi volgare42.

Il locus PSORS2 mappa sul cromosoma 17q25.3 e sembra essere il più importante locus di suscettibilità non-MHC. Contiene il gene CARD14, che codifica per una proteina nor-malmente espressa dai cheratinociti epidermici, in particolare a livello dello strato basale, dove modula l’infiammazione promuovendo l’attivazione della via di trasduzione del fat-tore NF-kB. Mutazioni di tipo gain-of-function del gene CARD14 possono determinare l’at-tivazione costitutiva di tale fattore, promuovendo una maggiore sintesi e secrezione di citochine proinfiammatorie a livello cutaneo43.

Il locus PSORS 4 mappa sul cromosoma 1q21 e corrisponde al Complesso di Differen-ziamento Epidermico (EDC), una sequenza genomica filogeneticamente conservata che comprende oltre 20 geni implicati nella differenziazione terminale dei cheratinociti. La delezione dei geni LCE3B e LCE3C, compresi nell’EDC, presenta una forte associazione con la psoriasi, suggerendo che l’alterazione della funzione di barriera della cute possa svol-gere un ruolo nella patogenesi della malattia44.

Uno studio condotto recentemente su una coorte di pazienti danesi ha stabilito una possibile correlazione tra il rischio di sviluppare la psoriasi e la presenza di un maggior numero di copie geniche nel cluster delle β-defensine localizzato sul cromosoma 8p23.1, sebbene siano necessari ulteriori studi per definire il ruolo esatto dei polimorfismi quan-titativi del genoma nella patogenesi della malattia. Le β-defensine sono una famiglia di peptidi antimicrobici dell’immunità innata; sono secrete da varie cellule epiteliali

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18 dell’organismo non appartenenti al tratto digestivo, tra cui i cheratinociti epidermici, e svolgono alcune azioni simili a quelle di molte citochine. In particolare, è noto che le β-defensine hBD-2, hBD-3 e hBD-4, codificate da geni che mappano sul cluster in questione, attraverso l’attivazione di p38 e della via di ERK1/2-MAPK, sono in grado (come anche il peptide LL-37) di stimolare i cheratinociti a produrre e secernere citochine proinfiamma-torie sicuramente coinvolte nell’eziopatogenesi della psoriasi, come IL-8, IL-18 e IL-2045,46.

Dei numerosi geni di suscettibilità individuati grazie ai GWAS, molti codificano per pro-teine che prendono parte ad uno stesso limitato numero di vie di signaling legate a feno-meni immunitari. Tra questi, sono presenti geni implicati nella presentazione degli anti-geni ai linfociti (come ERAP1, che codifica per una aminopeptidasi del reticolo endopla-smatico che interviene nel rimaneggiamento dei peptidi che vengono poi esposti sulle molecole MHC di classe I), geni coinvolti nei meccanismi antivirali dell’immunità innata (come IFIH1, DDX58, TYK2 e RNF114), e geni coinvolti nei processi di differenziazione e attivazione dei linfociti Th17, che producono elevati livelli di IL-17. A sottolineare l’impor-tanza del ruolo patogenetico svolto da queste cellule, si segnala l’individuazione di varianti alleliche correlate alla psoriasi nei geni IL23A e IL12B, che codificano per le 2 subunità di IL-23, citochina che guida la polarizzazione dei linfociti T verso la linea Th17 e rappresenta il principale induttore della sintesi di IL-17. Mutazioni correlate alla malattia sono state individuate anche nel gene per il recettore di IL-23 (IL23R) e nei geni TRAF31P2 e NFKBIZ, che codificano entrambi per proteine coinvolte nella trasduzione del segnale a valle dell’interazione tra IL-17 e il suo recettore35. Un recente studio ha inoltre dimostrato che

numerosi geni chiave per la trasduzione intracellulare del segnale a valle di IL-17 (come LCN2, S100A7, C/EBPδ, ma anche i geni per IL-1β, con funzione proinfiammatoria, e per IL-19, capace di indurre iperplasia dell’epidermide) vanno incontro ad upregulation nei pazienti psoriasici anche a livello della cute non lesionale, che non presenta differenze significative dal punto di vista clinico rispetto alla cute dei soggetti sani, ma a livello mi-croscopico mostra una maggiore infiltrazione di cellule CD3+ e CD8+ e cellule dendritiche mature con fenotipo LAMP+47. L’impiego, negli ultimi anni, di terapie con farmaci

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19 comprovata efficacia clinica e rappresenta un’ulteriore significativa conferma della cen-tralità del ruolo proinfiammatorio dell’asse IL-23/Th17 nella patogenesi della psoriasi48.

Con l’avvento della tecnica del sequenziamento whole-genome shotgun (WGS), che consente di determinare l’intera sequenza di un genoma in un’unica analisi, è stato pos-sibile genotipizzare alcune delle forme meno comuni di psoriasi, come le varianti pusto-lose, al fine di comprendere le eventuali basi genetiche della minore efficacia terapeutica che i farmaci biotecnologici tendono a mostrare nel trattamento di tali forme. In partico-lare, è stato accertato che la variante pustolosa palmo-plantare non presenta alcuna as-sociazione con l’allele HLA-Cw6, né con nessun’altra variante allelica di HLA-C o degli altri geni del locus PSORS1, al contrario delle più comuni forme volgare e guttata49.

Due studi pubblicati nel 2011 invece hanno indagato dal punto di vista genotipico la variante generalizzata della psoriasi pustolosa, focalizzandosi sul gene IL36RN, che codi-fica una proteina che lega il recettore dell’interleuchina 36 (IL36R), una citochina proin-fiammatoria, bloccando l’attivazione della relativa via di signaling. Mutazioni di tipo

loss-of-function a carico del gene in questione sono state riscontrate in molti dei pazienti

af-fetti e sono associate alla trasduzione incontrollata di segnali proinfiammatori ad opera di IL-3650,51. Mutazioni a carico del gene AP1S3, anch’esso correlato alla psoriasi pustolosa,

sono state individuate in un’ulteriore quota di pazienti affetti. Dal momento che vari di-fetti in quest’ultimo gene sono associati ad un incremento eccessivo della produzione di IL-36, è possibile che l’alterazione dell’omeostasi di questa citochina svolga un ruolo di primo piano nello sviluppo della psoriasi pustolosa52. Studi più recenti hanno inoltre

ri-scontrato che il gene di IL-36 risulta iperespresso nei pazienti affetti da psoriasi volgare, e che gli effetti dell’attivazione delle cellule Th17 sono amplificati dalla presenza di alti livelli di IL36. Pertanto, non si esclude che questa citochina, la cui inibizione farmacologica ha già mostrato un significativo effetto antiinfiammatorio sulle lesioni cutanee dei pazienti esaminati, contribuisca anche alla patogenesi della forma più comune di psoriasi e possa rappresentare in futuro un nuovo bersaglio terapeutico nel trattamento della psoriasi vol-gare e della psoriasi pustolosa53.

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6. IMMUNOPATOGENESI

6.1 Il modello patogenetico attuale

Numerosi studi hanno ormai permesso di comprendere come lo sviluppo ed il mante-nimento della psoriasi siano profondamente legati ad una disregolazione del sistema im-munitario, con un’importante componente autoimmune, che si innesca a seguito com-plesse interazioni tra il background genetico predisponente dell’individuo e una serie di fattori ambientali e comportamentali scatenanti (traumi, infezioni, stress, tabagismo, as-sunzione di farmaci, ecc.). L’evento centrale dell’intera cascata infiammatoria che sot-tende alla patogenesi della malattia è un’anomala attivazione sia della branca innata che della branca adattativa del sistema immunitario, che porta allo sviluppo di un tessuto lin-foide organizzato formato da linfociti T, cellule dendritiche, granulociti e macrofagi a li-vello dermico ed epidermico. In questo processo, si assiste inizialmente all’attivazione delle cellule dendritiche plasmocitoidi, che producono TNF-α, e/o all’attivazione di cellule T autoreattive producenti IFN-γ. Queste citochine (in particolare TNF-α) promuovono la maturazione delle cellule dendritiche mieloidi residenti nel derma, che assumono un fe-notipo fortemente proinfiammatorio ed iniziano a rilasciare ingenti quantità di citochine e mediatori specifici (come IL-20, IL-23, ossido nitrico e lo stesso TNF-α) che amplificano il processo. Tra queste molecole, un ruolo fondamentale è attribuito a IL-23, che pro-muove la differenziazione dei linfociti T CD4+ naïve in cellule Th17 e stimola sia esse che molte altre cellule (tra cui linfociti T γδ, cellule linfoidi innate, ma anche mastociti e neu-trofili) a produrre IL-17. Quest’ultima citochina, in sinergia con IL-22 e TNF-α, promuove lo sviluppo di una serie di alterazioni della proliferazione e del differenziamento dei che-ratinociti, da cui dipende la formazione delle lesioni psoriasiche, e li stimola a rilasciare chemochine ed altre molecole infiammatorie (come i peptidi antimicrobici) che richia-mano ulteriori cellule dell’immunità e mantengono l’infiammazione a livello cutaneo27.

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21 L’asse IL-23/Th17 è oggi considerato al centro della patogenesi della psoriasi, come mostrato nella fig. 1, ed integra il modello, noto da tempo, secondo il quale le interazioni tra cellule Th1, linfociti T citotossici e cellule dendritiche portano allo sviluppo delle lesioni tipiche della malattia. La sua importanza è confermata da molteplici evidenze, a partire dall’associazione tra le varianti alleliche dei geni per IL-23R, IL-12B ed IL-23A e la diversa suscettibilità allo sviluppo della psoriasi. La conferma definitiva è poi emersa dai risultati dei trials clinici basati sulla somministrazione di anticorpi monoclonali anti IL-17 (secu-kinumab e ixekizumab) e anti IL-17RA (brodalumab), che hanno mostrato un’efficacia si-gnificativamente maggiore dei farmaci anti TNF-α e anti IL-12/IL-23 nel controllo delle manifestazioni cutanee della malattia54.

6.2 Cellule e patogenesi

6.2.1 Cellule dendritiche

La popolazione delle cellule dendritiche a livello cutaneo comprende le cellule dendri-tiche dell’epidermide (cellule di Langerhans) e le cellule dendridendri-tiche dermiche, distinte in mieloidi e plasmocitoidi. Le cellule dendritiche plasmocitoidi sono presenti soprattutto nelle lesioni in fase più precoce, mentre sono quasi assenti nelle lesioni croniche55. Sono

le principali cellule produttrici di interferon alpha (IFN-α), una citochina la cui secrezione rappresenta uno degli eventi più precoci nella cascata infiammatoria dell’immunità innata che porta alla genesi delle lesioni psoriasiche. IFN-α induce l’attivazione delle cellule den-dritiche mieloidi, da cui dipende l’innesco di risposte linfocitarie di tipo Th156. Favorisce

inoltre la presentazione di autoantigeni tessuto-specifici da parte delle suddette cellule e promuove l’attivazione di STAT4, che amplifica il rilascio di IFN-α stesso e pertanto delle risposte Th157.

L’attivazione delle cellule dendritiche plasmocitoidi è mediata dalla stimolazione dei

toll-like receptors 9 (TLR-9) ad opera di complessi formati dal peptide antimicrobico LL-37,

dalle catelicidine dell’immunità innata e dal DNA58. In particolare, è stata accertata la

ca-pacità del peptide LL-37 di legarsi al DNA e formare con esso strutture aggregate che ven-gono poi internalizzate per mezzo di endosomi dalle cellule dendritiche ed innescano una

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22 massiccia produzione di IFN-α attraverso la stimolazione di TLR-9, interferendo con i mec-canismi di mantenimento della tolleranza innata verso il DNA-self. Questo suggerisce un ruolo fondamentale del peptide LL-37 nell’attivazione delle cellule dendritiche plasmoci-toidi residenti nelle sedi di danno tissutale, dove si ha morte cellulare e conseguente rila-scio di ulteriore DNA-self, che autoalimenta l’intero processo59. Inoltre, studi recenti

hanno dimostrato che il peptide LL-37 agisce come un vero e proprio autoantigene, dal momento che in più del 46% dei pazienti psoriasici analizzati viene riconosciuto da speci-fiche cellule T circolanti, appartenenti sia al comparto CD4+ che al comparto CD8+, che producono e rilasciano IFN-γ e citochine Th17 sia in circolo che nei tessuti39.

Il principale fattore chemiotattico che agisce sulle cellule dendritiche plasmocitoidi è la chemerina (con il suo recettore ChemR23), che nella cute psoriasica è prodotta princi-palmente dai fibroblasti. Analisi condotte sulla cute pre-psoriasica sana adiacente a lesioni in placche attive hanno dimostrato che l’espressione delle chemerina si verifica già nel derma pre-lesionale, laddove le cellule dendritiche plasmocitoidi iniziano ad accumularsi, ed è strettamente correlata con l’infiltrazione di cellule dendritiche plasmocitoidi, granu-lociti neutrofili e mastociti dermici. Quindi, il reclutamento delle cellule dendritiche pla-smocitoidi attraverso la precoce attivazione dell’asse chemerina/ChemR23 e la produ-zione di IFN-α rappresentano gli eventi più precoci che precedono l’espansione delle cel-lule T60.

Le cellule dendritiche mieloidi rappresentano il più importante collegamento tra la branca innata e la branca adattativa dell’immunità. Infatti, sono le cellule principali su cui agiscono i mediatori solubili prodotti dagli effettori dell’immunità innata (cellule dendri-tiche plasmocitoidi, macrofagi, cheratinociti, cellule NK) e, in risposta a tali mediatori, pro-muovono l’attivazione e la proliferazione delle cellule T e la produzione di citochine Th1 e Th17, rispettivamente attraverso la secrezione di IL-12 e IL-23. Sono caratterizzate da fe-notipo CD11c+ ed includono un sottotipo di cellule infiammatorie chiamate tumor

necro-sis factor (TNF)-inducible nitric oxide synthase (iNOS)-producing dendritic cells (Tip-DCs).

Nella cute psoriasica si distinguono due popolazioni di cellule dendritiche mieloidi: le cel-lule CD11c+ BDCA-1(+), fenotipicamente simili a quelle della cute sana, e le celcel-lule CD11c+ BDCA-1(-), comprendenti le Tip-DCs, che esprimono un fenotipo più immaturo, sono

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23 presenti in numero 30 volte maggiore rispetto alla cute sana e secernono citochine pro-infiammatorie, come TNF-α, 6, 20 e soprattutto 23, che promuove la sintesi di IL-17 e ne amplifica la risposta. Entrambi i sottotipi di cellule dendritiche mieloidi inducono la proliferazione dei linfociti T e li polarizzano verso il fenotipo Th1 o Th17, che manten-gono l’infiammazione attraverso l’attivazione dei cheratinociti e il rilascio di mediatori specifici61,62.

6.2.2 Linfociti T

I linfociti T sono le cellule che rivestono il ruolo principale nella patogenesi della pso-riasi. L’infiltrazione della cute da parte di questi precede lo sviluppo dell’iperplasia epider-mica tipica della placca psoriasica: la maggior parte dei linfociti che migrano nel derma è rappresentata da cellule CD4+ con funzione helper, mentre nell’epidermide si riscontrano soprattutto cellule CD8+ citotossiche. Questi linfociti sono caratterizzati dall’espressione, sulla loro superficie di membrana, del CD45RO, che indica il loro status di cellule effettrici e di memoria. Molti esprimono anche il CD25 (recettore di IL-2) e HLA-DR, indici rispetti-vamente di attivazione precoce e ritardata63.

Sulla base del pattern di citochine prodotto, sono stati individuati diversi subset di lin-fociti T che prendono parte alla patogenesi della psoriasi: i più importanti sono i Th1 (che producono TNF-α e IFN-γ), i Th17 (che producono IL-17A, IL-17F e IL-22) e i Th22 (che producono IL-22 e TNF-α).

Fino a non molto tempo fa la psoriasi era considerata una patologia cutanea mediata dalle cellule Th1. Negli ultimi anni, invece, l’attenzione si è concentrata sui linfociti Th17 e sulle citochine da essi prodotte, che svolgono un ruolo chiave nel processo infiammato-rio che porta allo sviluppo della placca psoriasica, dove si riscontra in particolare un mar-cato aumento di IL-17. Le cellule Th17 sono importanti per la produzione di IL-17A, IL-17F, IL-22 e IL-26, che promuovono lo sviluppo di risposte infiammatorie da parte dei cherati-nociti, come dimostrato anche da uno studio condotto su un modello di cute ricostruita a partire da colture cellulari di cheratinociti umani64. IL-17 agisce sul suo recettore bersaglio,

espresso da molte cellule, tra cui cheratinociti, cellule endoteliali e fibroblasti, e induce la sintesi e il rilascio di mediatori proinfiammatori attraverso l’attivazione della via di trasdu-zione del fattore trascrizionale NF-kB65.

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24 Lo sviluppo delle cellule Th17 richiede l’espressione nel linfocita naïve del fattore di trascrizione nucleare RORγt ed è promosso in particolare da IL-23, una citochina composta da due subunità (p19 e p40, quest’ultima condivisa con IL-12) che risulta fondamentale nell’innesco e nella perpetuazione della cascata infiammatoria tipica della psoriasi. IL-23 agisce legandosi al suo recettore, espresso da cellule T di memoria, cellule NK, cellule den-dritiche e monociti, e inducendo così la sintesi di citochine come IL-17A e IL-17F, ma anche IL-22 e IFN-γ66,67. Recentemente è stato dimostrato che anche la presenza di bassi livelli di

TGFβ-1, citochina che svolge un’azione sinergica con IL-1β, IL-6, IL-21 e IL-23 nel promuo-vere l’espressione di IL-23R, è necessaria per indurre la differenziazione dei linfociti naïve in cellule effettrici Th17. Al contrario, la presenza di TGFβ-1 ad alti livelli e l’assenza di citochine infiammatorie sembrerebbero inibire la differenziazione dei Th17, spostando l’equilibrio verso lo sviluppo delle cellule T regolatorie (Treg), coinvolte soprattutto nella soppressione delle risposte immunitarie e nella regolazione della tolleranza periferica68.

Le cellule Treg appartengono al compartimento CD4+ e sono caratterizzate dall’espres-sione di CD25, CTLA4 e FoxP3. Nella psoriasi non sembrano in grado di limitare in maniera sufficiente l’attivazione e l’espansione delle cellule T patogenetiche, mostrando una defi-citaria funzione soppressoria forse legata ad un’eccessiva presenza di IL-6 a livello cuta-neo69. Studi recenti hanno infatti dimostrato che IL-6 consente ai linfociti T della memoria

ed effettori di sfuggire ai meccanismi soppressori dei Treg70. IL-6 è marcatamente

aumen-tata nella cute psoriasica, dove è prodotta da molteplici cellule diverse (cheratinociti, ma-crofagi, fibroblasti, cellule dendritiche, cellule endoteliali) sotto lo stimolo infiammatorio di IL-1, TNF-α, IL-17 e IL-36. I livelli plasmatici di IL-6 sembrano correlare con la severità clinica della malattia e il loro monitoraggio è stato proposto come marcatore dell’attività infiammatoria della psoriasi e come indicatore della risposta alla terapia. IL-6 promuove la differenziazione dei linfociti naïve in cellule Th17, amplifica la produzione delle cito-chine Th1/Th17 e favorisce lo sviluppo dell’iperplasia dell’epidermide, mediata principal-mente da IL-22 e in misura minore da IL-20. Sembra avere un ruolo nella patogenesi sia della psoriasi volgare che della psoriasi pustolosa, in cui favorisce il reclutamento dei neu-trofili nelle sedi di formazione delle pustole, e non si esclude che in futuro possa rappre-sentare un nuovo bersaglio terapeutico nel trattamento di queste forme della malattia71.

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25 Gli studi più recenti hanno permesso di focalizzare l’attenzione sulle ulteriori fonti cel-lulari produttrici di IL-17, rivelando ad esempio che molte delle cellule T che producono IL-17 nella psoriasi esprimono un TCR di tipo γ/δ. Queste cellule sono caratterizzate dall’espressione costitutiva di IL-23R e del fattore trascrizionale RORγt e, in risposta alla stimolazione da parte di IL-23 o di IL-1β, sono in grado di produrre IL-17 e IL-22 in misura nettamente maggiore rispetto ai linfociti con TCR di tipo α/β72. Nella placca psoriasica è

stata riscontrata anche la presenza di una popolazione di linfociti T CD8+ con funzione citotossica capaci di produrre citochine di tipo Th17 (come IL-17, IL-21 e IL-22) in aggiunta alle consuete citochine Th1 (come TNF-α e IFN-γ) normalmente prodotte da queste cel-lule, il cui ruolo nella patogenesi della psoriasi non è ancora compreso nel dettaglio73.

I linfociti Th1 intervengono nella difesa contro le infezioni da patogeni intracellulari, come i virus e alcuni batteri, ma sono coinvolti anche in qualità di cellule effettrici in di-verse patologie autoimmuni. La loro differenziazione è indotta principalmente da IL-12 e richiede l’espressione di fattori trascrizionali come STAT4 e T-bet74. Il loro ruolo nella

pa-togenesi della psoriasi è stato considerato predominante fino a non molti anni fa, sulla base del riscontro, nella cute lesionale psoriasica, di un marcato aumento del numero di cellule Th1 e dei livelli di IFN-γ75. Gli studi più recenti hanno portato a ridefinire il ruolo

delle cellule Th1, evidenziandone il coinvolgimento soprattutto nelle fasi iniziali della ca-scata infiammatoria della psoriasi. In particolare, in base al modello patogenetico attuale l’IFN-γ prodotto dalle cellule Th1 agisce subito a monte dell’asse IL-23/Th17, stimolando le cellule dendritiche mieloidi a produrre IL-23, da cui dipende la successiva differenzia-zione ed espansione dei linfociti Th1776.

I linfociti Th22 rivestono un ruolo importante nell’infiammazione e nella regolazione dell’omeostasi cutanea. Nell’uomo, queste cellule sono localizzate a livello cutaneo e si-milmente ai linfociti Th17 esprimono IL-23R, tuttavia producono principalmente IL-22 (ed altre citochine, come IL-13 e TNF-α), in assenza di IL-1777. Nei pazienti psoriasici è stata

dimostrata la presenza di alti livelli plasmatici di IL-22 ed è stata stabilita una correlazione tra questi e la severità della malattia. Il ruolo di IL-22 nella patogenesi della psoriasi è legato all’attivazione dei cheratinociti e all’induzione delle principali caratteristiche

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26 istopatologiche delle tipiche lesioni psoriasiche (iperplasia, acantosi e paracheratosi dell’epidermide)78. In particolare, IL-22 induce la sintesi di peptidi antimicrobici da parte

dei cheratinociti, favorendo lo sviluppo di una barriera di difesa biologica contro i micror-ganismi a livello cutaneo; inibisce la differenziazione terminale dei cheratinociti; induce la produzione di metalloproteinasi correlate alla degradazione dei tessuti, come MMP1 e MMP3, e recluta i neutrofili a livello cutaneo inducendo la produzione di specifiche che-mochine79. Il fenotipo Th22 è stimolato da IL-6, TNF-α e dalle cellule dendritiche

plasmo-citoidi e, attraverso l’innesco di sinergismi con le citochine prodotte da altre cellule (come IL-17 e IL-20) interviene nello sviluppo della placca psoriasica. Il suo coinvolgimento è sup-portato da alcune evidenze: in un modello murino di psoriasi indotta da Imiquimod, in-fatti, il deficit di IL-22 è associato ad una marcata riduzione dello sviluppo di acantosi e di lesioni compatibili con la malattia, mentre l’impiego di anticorpi anti IL-22 è associato alla comparsa di lesioni di grado molto lieve e, in alcuni casi, al mancato sviluppo della malat-tia, suggerendo un possibile ruolo di questa citochina come bersaglio terapeutico80.

Re-centemente, una fonte di IL-22 è stata individuata nelle cellule linfoidi innate (ILCs) espri-menti recettori di citotossicità naturali (NCR+), che sono scarsamente rappresentate nella cute sana e risultano invece molto più numerose nei soggetti psoriasici81. Secondo alcuni

autori queste cellule, che mostrano una tendenza alla riduzione in corso di terapia con farmaci anti TNF-α, potrebbero rappresentare un valido biomarcatore dell’attività di ma-lattia della psoriasi, mentre il loro ruolo patogenetico deve ancora essere dimostrato27.

Uno studio del 2014, infine, ha evidenziato come le cellule Th22 (e le Tc17, che rappre-sentano l’omologo citotossico dei Th17) rimangano funzionali a livello delle sedi lesionali anche a distanza di anni dalla risoluzione clinica delle placche psoriasiche, potendo forse svolgere un ruolo nelle ricorrenze della malattia82.

Anche altri subset di cellule T helper prendono parte alla patogenesi della psoriasi, fondamentalmente amplificando gli effetti dell’attivazione dei principali pathways immu-nitari coinvolti. Ad esempio, le cellule Th9 rappresentano un subset di linfociti presenti sia nella cute sana che in alcune patologie infiammatorie, come la psoriasi e la dermatite ato-pica. Nella placca psoriasica il numero di queste cellule, così come i livelli di espressione del gene per IL-9, risultano marcatamente aumentati rispetto alla cute del soggetto sano.

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27 Le cellule Th9 presentano fenotipo CLA+ e, in seguito all’attivazione, producono massicce quantità di IL-9. Questa citochina agisce per via autocrina, stimolando il rilascio di ulteriore IL-9, e per via paracrina, stimolando vari subset di linfociti (come i Th1 e i Th17) a produrre citochine infiammatorie, tra cui IFN-γ e IL-17, potendo quindi avere un ruolo nell’inizia-zione e nel mantenimento dell’infiammanell’inizia-zione a livello cutaneo83,84.

6.2.3 Cheratinociti

La psoriasi è caratterizzata da una marcata iperplasia dell’epidermide, associata ad anomalie nel differenziamento dei cheratinociti. Nelle lesioni psoriasiche, infatti, il nu-mero di cellule presenti nel comparto germinativo quasi raddoppia, passando dalle circa 27000 cellule/mm2 della cute sana alle 52000 cellule/mm2 della cute patologica, e si ha

un aumento della percentuale di cellule in fase di replicazione attiva rispetto al numero totale di cellule presenti in tale comparto (dal 60% della cute sana al 100% della cute pa-tologica)85. La durata del ciclo vitale di un cheratinocita è di 26-28 giorni, di cui circa 14

rappresentano il tempo durante il quale la cellula migra dallo strato basale allo strato cor-neo dell’epidermide, differenziandosi terminalmente a corcor-neocita, e i restanti rappresen-tano il tempo in cui il corneocita resta in sede prima di essere perduto attraverso la de-squamazione della cute. Nella psoriasi la durata dell’intero processo è ridotta di circa 8 volte, passando dai normali 28 giorni ad appena 96 ore, e i cheratinociti, non disponendo di un tempo adeguato per la maturazione, sviluppano molteplici anomalie nella loro se-quenza di differenziamento, che contribuiscono al fenotipo delle lesioni psoriasiche86. La

microscopia elettronica, infatti, mostra la presenza di diverse alterazioni ultrastrutturali, come la riduzione di desmosomi, tonofilamenti e granuli di sostanza cheratoialina; la pre-senza di vescicole pinocitiche e fessure anomale a livello della lamina basale; l’aumento delle gap junctions e l’allungamento dei microvilli sulla membrana87. A livello molecolare,

i cheratinociti presentano un’alterazione dell’espressione di molte proteine, tra cui la cal-granulina A e B, la psoriasina e la psoriasis-associated fatty acid binding protein (PA-FABP) che sono implicate nell’aumento della replicazione cellulare. Le citocheratine K1 e K10, specifiche del processo di differenziazione terminale dei cheratinociti, sono ampiamente sostituite dalle cheratine K6 e K16, associate all’iperproliferazione, mentre l’involucrina e la K transglutaminasi sono espresse precocemente a partire dallo strato basale. È presente

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28 paracheratosi e si apprezzano mitosi cellulari negli strati soprabasali dell’epidermide, il cui spessore è aumentato88. Gli eterodimeri delle integrine α2β1, α3β1 e α6β4 perdono la

loro distribuzione polarizzata sulla superficie di membrana, determinando un’alterazione dell’adesione intercellulare, e mostrano un anomalo ancoraggio alle proteine del cito-scheletro89.

Il ruolo dei cheratinociti nella psoriasi, secondo il corrente modello patogenetico, è quello di rispondere alle citochine rilasciate dalle cellule dell’immunità, come IL-17 e le citochine della famiglia di IL-20, dando luogo ad un’abnorme proliferazione e differenzia-zione, e rilasciando essi stessi una serie di citochine proinfiammatorie come IL-1, IL-6, TNF-α e chemochine come CXCL8, CXCL10 e CCL20.

I cheratinociti danneggiati dall’esposizione ad insulti di vario tipo (ad esempio traumi o infezioni), d’altra parte, sono la principale fonte di rilascio del peptide LL-37 e di altri peptidi antimicrobici dell’immunità innata, come le β-defensine e la psoriasina (o proteina S100A7), che richiamano per chemiotassi le cellule dell’immunità, come le cellule dendri-tiche e i linfociti T, e le stimolano a produrre le citochine che mantengono la cascata in-fiammatoria della psoriasi90.

6.2.4 Granulociti neutrofili

I granulociti neutrofili infiltrano il derma nelle fasi precoci della formazione della placca psoriasica. Successivamente, migrano nell’epidermide e si aggregano a formare i microa-scessi di Munro-Sabouraud, che rappresentano una delle principali caratteristiche istopa-tologiche della psoriasi91. Rappresentano una consistente fonte di produzione di

media-tori infiammamedia-tori, ed è stato dimostrato che IL-17, di cui esprimono il recettore sulla pro-pria superficie di membrana, ne promuove la sopravvivenza, il reclutamento e l’attiva-zione. È stato dimostrato che IL-17 è contenuta nei neutrofili all’interno di apposite vesci-cole citoplasmatiche, e che potrebbe agire per via autocrina sui neutrofili stessi per am-plificare i suoi effetti. Il rilascio di IL-17 è legato alla formazione delle neutrophil

extracel-lular traps (NETs) indotta dall’attivazione del fattore trascrizionale RORγt da parte di IL-23

e IL-6. Non è chiaro però se i neutrofili siano in grado di produrre direttamente IL-17, dal momento che il relativo mRNA non risulta rilevabile, ed è stato proposto che queste cel-lule rappresentino una riserva di IL-17 prodotta da altri tipi cellulari92-94.

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29 Dal momento che i neutrofili non rispondono soltanto alla stimolazione da parte di IL-23 ma anche di altre citochine, risulta evidente che il rilascio di IL-17 attraverso la forma-zione delle NETs possa non essere strettamente IL-23 dipendente. Questo potrebbe avere un ruolo importante nello sviluppo della psoriasi pustolosa palmo-plantare e delle pusto-losi palmo-plantari in genere, dove si ha, a livello della cute lesionale, un elevato numero di neutrofili IL-17+ associato ad un’infiltrazione molto modesta di cellule dendritiche mie-loidi produttrici di IL-2395.

6.2.5 Mastociti

Anche i mastociti probabilmente prendono parte alla patogenesi della psoriasi in quanto infiltrano la cute durante le fasi iniziali della formazione della placca psoriasica. In tale sede danno luogo alla produzione della chemerina, che promuove chemiotattica-mente il richiamo delle cellule dendritiche plasmocitoidi e dei neutrofili, e rilasciano me-diatori proinfiammatori come IL-22, di cui secondo un recente studio sono una delle prin-cipali fonti di produzione a livello della cute lesionale sia nella psoriasi che nella dermatite atopica57,96. Alcuni studi hanno evidenziato anche l’espressione nei mastociti di mRNA per

IL-17, suggerendo che queste cellule siano in grado di produrre la citochina e di rilasciarla poi attraverso la degranulazione e la formazione di NETs in risposta alla stimolazione di IL-23 e di IL-1β, ma il loro esatto contributo alla produzione complessiva di IL-17 deve ancora essere accertato92.

6.2.6 Cellule NK e NKT

Un contributo alla patogenesi della malattia è infine attribuito anche ad altre cellule, come macrofagi e cellule NK e NKT.

I macrofagi hanno origine dai monociti circolanti, i quali abbandonano il torrente cir-colatorio grazie all’interazione tra CCR2, che nel paziente psoriasico è espresso in misura maggiore sulla loro membrana, e la proteina chemiotattica MCP-1, espressa dai cherati-nociti in risposta alla stimolazione da parte di TNF-α e IFN-γ97. Una volta arrivati nella sede

bersaglio, si differenziano terminalmente in macrofagi. In particolare, è stato individuato un sottogruppo di macrofagi con fenotipo CD68+/CD163+ che tendono a concentrarsi a livello del derma durante la formazione della placca psoriasica. Queste cellule sono

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30 caratterizzate dalla sovraespressione di molti geni correlati alla psoriasi (come HLA-DR, STAT1 e CXCL9), esprimono molecole di costimolazione come CD40 e CD86 e producono citochine proinfiammatorie come TNF-α e iNOS98.

Le cellule NK e NKT costituiscono un eterogeneo gruppo di cellule dell’immunità che mostrano un significativo incremento a livello della placca psoriasica (mentre il loro nu-mero in circolo si presenta ridotto rispetto al soggetto sano) e sono verosimilmente coin-volte nella sua patogenesi. Le cellule NK sono un subset di linfociti citotossici caratterizzati dall’espressione di marcatori come CD16, CD56, CD57, CD94 e CD158a, mentre le cellule NKT sono caratterizzate da fenotipo CD161+ ed esprimono anche CD3 e TCR di tipo α/β, presentando caratteristiche simili sia alle cellule NK che ai comuni linfociti T. Entrambi questi tipi cellulari sono in grado di produrre citochine infiammatorie sicuramente coin-volte nella patogenesi della psoriasi, come IFN-γ, TNF-α e IL-22. Le cellule NKT, in partico-lare, esprimono anche alcuni recettori per chemochine (come CXCR3, CCR5 e CCR6) che ne facilitano il reclutamento a livello della cute lesionale, dove forse contribuiscono al mantenimento dell’infiammazione99-101.

6.3 Angiogenesi

Anche l’innesco di fenomeni di angiogenesi ha un ruolo nella patogenesi della psoriasi, dal momento che la proliferazione dei cheratinociti che dà origine all’iperplasia dell’epi-dermide è associata, fin dalle fasi più precoci dello sviluppo della placca psoriasica, ad un’alterazione del pattern vascolare del derma superficiale. In particolare, si apprezzano una marcata dilatazione, un aumento della permeabilità vascolare e della tortuosità e una massiccia proliferazione endoteliale a livello dei capillari venosi del derma papillare. All’esame della cute si è visto che la comparsa di queste alterazioni del microcircolo pre-cede lo sviluppo dell’infiammazione, rappresentando perciò una delle prime modificazioni apprezzabili nelle sedi di formazione delle placche psoriasiche, e la loro risoluzione è as-sociata alla remissione clinica delle lesioni.

Studi istologici hanno dimostrato che lo sviluppo delle suddette alterazioni del micro-circolo è indotto principalmente dal fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), i cui livelli sia nelle sedi lesionali sia in circolo sono significativamente aumentati nel

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31 paziente psoriasico (in particolare durante le fasi di esacerbazione della malattia) e mo-strano una stretta correlazione con i valori del PASI.

Nei soggetti con psoriasi volgare cronica VEGF è prodotto principalmente dai cherati-nociti, sia a livello delle placche che della cute non lesionale, sotto la potente stimolazione paracrina del TGF-α, ed agisce su specifici recettori (VEGFR1 e VEGFR2) che risultano ipe-respressi a livello dell’endotelio vascolare del derma papillare.

Il gene per VEGF mappa sul cromosoma 6p21, nelle vicinanze del locus PSORS1, e i suoi polimorfismi permettono di distinguere i pazienti psoriasici in due classi a seconda dei livelli di VEGF prodotto. L’assetto genotipico dei cosiddetti “forti produttori” di VEGF si associa ad un esordio precoce della psoriasi e ad un decorso più severo della malattia, suggerendo che questo fattore di crescita possa rappresentare un potenziale bersaglio terapeutico102.

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