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Il problema della sicurezza alimentare è oggetto di studio e di interventi di sviluppo a partire dalla seconda metà del Novecento

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Academic year: 2021

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IL CONCETTO DI SICUREZZA ALIMENTARE

Nel maggio 2007, alla trentatreesima sessione del Commitee on World Food Security, la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite [FAO] ha emesso un’ultima dichiarazione per affermare una visione di sicurezza alimentare e di un “mondo senza fame”:

“un mondo in cui la maggior parte delle persone sono capaci, da sé, di ottenere il cibo che necessitano per una vita attiva e sana, e dove reti di sicurezza sociale assicurano a coloro che mancano di risorse di avere comunque abbastanza cibo” (FAO, 2007)

È ormai sempre più riconosciuto che “la sicurezza alimentare dipende più da condizioni socio-economiche che da quelle agro-climatiche, e dall’accesso al cibo più che dalla sua produzione o dalla disponibilità materiale” (FAO, 2003).

Il problema della sicurezza alimentare è oggetto di studio e di interventi di sviluppo a partire dalla seconda metà del Novecento. Il concetto emerge negli anni Sessanta come abilità di rispondere alla domanda aggregata di cibo, con un’enfasi su un aumento della quantità di cibo disponibile. Negli anni Ottanta, a fronte dell’evidente insufficienza dell’aumento di produttività di cibo perseguita tramite l’introduzione di nuove

tecnologie agricole, nel dibattito sulla sicurezza alimentare al problema della quantità di cibo si affianca il problema dell’assicurare un accesso al cibo (Maxwell, 1996). Si tratta di un triplice cambiamento di paradigma: (i) dall’assicurare l’acquisizione di cibo a breve termine l’obiettivo prioritario si sposta sul livelihood, sul complesso dei mezzi di sussistenza, e sulla sua sostenibilità come condizione necessaria e, entro alcuni limiti, sufficiente per la sicurezza alimentare; (ii) il conseguente maggior interesse rivolto al processi di lungo termine rispetto alla ricerca di soluzioni immediate; (iii) il considerare oltre alle misure oggettive della sicurezza alimentare anche le dimensioni soggettive del problema.

Alla luce di questa nuova visione, si può stabilire una scomposizione del problema della sicurezza alimentare in tre fattori strettamente interconnessi (Lacy & Busch, 1986; Lacy et al., 2003):

i. La disponibilità di cibo (availability), fattore essenzialmente quantitativo visto in primo luogo in termini di livello produttivo sufficiente a sostenere la vita umana nel breve e nel lungo periodo. Tale definizione ha due ulteriori implicazioni: (i) la necessità di mantenere un certo livello produttivo anche di fronte ad eventi eccezionali come alterazioni climatiche, disastri naturali e tensioni civili, (ii) la necessità di considerare non solo il mero nutrimento della popolazione, ma anche il mantenimento della capacità produttiva;

ii. l’adeguatezza del cibo (adequacy), fattore essenzialmente qualitativo e relativo alla composizione della dieta, che deve essere equilibrata e diversificata. Tale definizione implica l’importanza di monitorare gli effetti di lungo termine dei cambiamenti nella composizione della dieta;

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iii. l’accessibilità del cibo (accessibility), fattore legato non solo a problematiche di trasporto e marketing, ma anche e soprattutto ai mezzi tramite i quali ci si procura il cibo. Interessante a questo proposito citare Lacy et al. (2003): “per le popolazioni povere i mercati non sono mezzi efficaci per la distribuzione di cibo.

La sicurezza alimentare per i poveri richiede un attento esame dei valori e delle strutture sociali prevalenti per fornire un equo accesso al cibo”.

Il perseguimento della sicurezza alimentare appare quindi, idealmente, come una combinazione di interventi integrati, rispondenti al tempo stesso alle problematiche della produttività in termini quantitativi e qualitativi, della sostenibilità ambientale, della sostenibilità sociale. L’equità socio-economica a varie scale, dalla famiglia alle comunità, dalle differenze regionali alle disuguaglianze internazionali, è sempre più riconosciuta come determinante di uno stato di sicurezza alimentare e di sostenibilità, e quindi come oggetto prioritario degli sforzi di ricerca e di sviluppo nell’ottica di un miglioramento della “capacità di carico” della Terra (Daily & Ehrlich, 1996)

Dagli ulteriori sviluppi del concetto di sicurezza alimentare, negli anni Novanta emerge l’approccio della Community Food Security, mirante a “sistemi alimentari

decentralizzati, sostenibili nel lungo periodo, che supportino i bisogni collettivi piuttosto che quelli individuali, efficienti nel garantire un equo accesso al cibo, e creati da processi decisionali democratici” (Anderson & Cook, 1999). Tale concetto segna un ulteriore cambiamento nell’approccio alla sicurezza alimentare, ponendo l’attenzione prioritaria sulle “comunità” e quindi sulla scala locale. Questo implica da una parte un’applicabilità di questo approccio ad ogni comunità, superando quindi l’equazione “Obiettivo

Sicurezza Alimentare = Paesi in Via di Sviluppo”, dall’altra l’inserimento di una nuova dimensione critica nel perseguimento/mantenimento della sicurezza alimentare, che è la dimensione del processo sociale, e in particolare la democraticità dei processi

decisionali.

LA SICUREZZA ALIMENTARE NEL VENTUNESIMO SECOLO

All’inizio del Ventunesimo Secolo il problema della sicurezza alimentare si inserisce in un contesto di crisi estremamente articolata e complessa di cui è arduo intravedere una trasformazione positiva in tempi rapidi. L’impossibilità di trovare risposte condivise ai cambiamenti climatici, le mastodontiche fluttuazioni dei prezzi dei generi alimentari, la crisi economico-finanziaria che si sta attraversando nell’ultimo anno, la degenerazione dei conflitti in corso in diverse regioni del mondo pongono il genere umano di fronte alla necessità di un cambiamento urgente e profondo delle relazioni sociali e delle relazioni con la Natura, che possiamo riassumere con il monito tracciato nelle ultime parole de “Il Secolo Breve” di Eric Hobsbawm (1994):

“viviamo in un Mondo catturato, sradicato e trasformato e trasformato dal titanico processo tecnico-scientifico dello sviluppo del capitalismo, che ha dominato i due o tre secoli passati. […] il futuro non potrà essere una continuazione del passato e vi sono segni che noi siamo giunti ad un punto di crisi storica. […] Se l’Umanità deve avere un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato e il presente”.

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crescita esponenziale ed in un tale contesto di crisi. Un urgente ripensamento degli approcci a queste dimensioni si rivela tuttavia indispensabile per rispondere ad un contesto critico e imprevedibile. Le politiche di aiuto allo sviluppo agricolo negli ultimi cinque decenni hanno prodotto risultati estremamente contraddittori, come l’aggravarsi di problematiche ambientali, la generazione di nuove forme di povertà indotta e

disuguaglianze, che ci pongono di fronte all’urgenza di pensare, pianificare ed implementare non solo delle forme d’intervento diverse, ma anche dei modi

radicalmente diversi di interpretare la realtà, sulla base della consapevolezza del fatto che, citando Albert Einstein, “non si può pensare di risolvere i problemi con lo stesso set mentale che li ha generati”.

Vi è crescente consenso sul fatto che il “set mentale” che ha generato, o quanto meno contribuito al mantenimento di determinati problemi globali, sia riconducibile ad un modello di ricerca e d’intervento puramente riduzionista, basato (i) sull’ipotesi

dell’esistenza di una realtà oggettiva, (ii) sulla possibilità esclusiva della scienza di capire e di modificare la realtà, (iii) sulla possibilità di prevedere il comportamento del tutto in funzione della trasformazione di una parte. Le ipotesi riduzioniste al confronto con il carattere complesso ed evolutivo della problematica dello sviluppo agricolo e della sicurezza alimentare generano dei paradossi che richiedono un profondo ripensamento epistemologico. Emerge quindi l’urgenza della costruzione di un framework che ci permetta di capire e di intervenire sulla realtà riconoscendone appieno il carattere complesso ed evolutivo. SI tratta in particolare di affiancare, completandolo, ad un approccio riduzionista basato sullo studio dei singoli componenti in cui è scomponibile un sistema e che permette di agire sui nessi causali isolati dal contesto generale, un approccio sistemico che “coglie l’articolazione delle grandi funzioni che permettono l’emergere di una finalità globale, in interdipendenza con un ambiente” (Passet, 1996)

BASI DI UN APPROCCIO ALLA COMPLESSITÀ

Una situazione rientra nel campo della complessità epistemologica ogni qual volta gli obiettivi di un osservatore influenzano il risultato dell’osservazione. Le basi di questo

“set mentale” di approccio alla complessità sono (i) il riconoscimento di una pluralità di livelli di scala non equivalenti nell’osservazione del problema, (ii) il riconoscimento di una pluralità di identità non equivalenti del problema, (iii) il riconoscimento della pluralità degli osservatori, (iv) la consapevolezza della complessità del tempo. Le situazioni di complessità si caratterizzano quindi per (a) un elevato grado di incertezza e di imprevedibilità, (b) una pluralità di visioni divergenti egualmente legittime, (c) elevati interessi in gioco e (d) decisioni urgenti. A fronte di queste problematiche, vi è

un’evidenza logica ed empirica del fatto che un approccio puramente riduzionista non può fornire risposte esaurienti.

La problematica dello sviluppo rurale sostenibile e della sicurezza alimentare rientra appieno nel campo della complessità epistemologica. Risulta quindi necessario formalizzare e implementare degli approcci adeguati all’analisi e all’intervento ed

improntati ad una logica di gestione adattativa delle risorse naturali. A questo proposito occorre sottolineare due punti fondamentali:

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 La necessità di un framework concettuale sistemico che permetta di abbracciare la pluralità dei livelli di scala e la natura e la dinamica delle interazioni trova una risposta nell’agro-ecologia e nello studio della gestione degli agro-ecosistemi;

 La necessità di nuove forme di gestione della conoscenza che permettano di abbracciare la pluralità delle identità e, in particolare, il riconoscimento della

conoscenza locale e tradizionale, nell’ottica della concezione di innovazioni efficaci e sostenibili, trova una risposta nell’approccio dei sistemi di conoscenza (Agricultural Knowledge Systems) e nella sua evoluzione;

La necessità di implementare sistemi di gestione adattativa delle risorse naturali trova una potenziale risposta in forme di interazione tra gli attori legati alla conoscenza che si articolino sulla base di un’alternanza nell’uso di due strumenti: dei sistemi di supporto alla discussione e dei sistemi di supporto alla decisione.

PIANO DEL LAVORO

SCOPO, IPOTESI E OBIETTIVI DELLO STUDIO

Questo lavoro vuol costituire un contributo ad una ridefinizione delle priorità degli approcci di ricerca e di sviluppo rurale nell’ottica di favorire innovazioni efficaci nel perseguimento della sicurezza alimentare.

Si assume l’ipotesi che, in un contesto mutevole e complesso, adeguate forme di gestione della conoscenza determinano lo sviluppo di innovazioni sostenibili. Tali innovazioni sostenibili andrebbero finalizzate al favorire forme di gestione adattativa delle risorse naturali.

Obiettivo generale dello studio è quello di definire le potenzialità applicative di un approccio metodologico di ricerca-azione nell’ottica di favorire l’emergere di dinamiche d’uso della conoscenza che generino innovazioni volte a sostenere una gestione

sostenibile delle risorse naturali.

Obiettivi specifici del lavoro sono:

 identificare a livello generale delle condizioni da rispettare per favorire dei processi di innovazione miranti alla gestione adattativa delle risorse naturali e alla sicurezza alimentare;

 analizzare un caso di studio di ricerca-azione sulla gestione delle risorse naturali in un contesto di insicurezza alimentare endemica qual è quello dell’Africa semiarida;

 discutere risultati e processo del caso di studio in relazione alle condizioni determinanti della gestione adattativa delle risorse naturali.

NOZIONE DI RICERCA-AZIONE

Si intende per ricerca - azione un modo di concepire la ricerca che si pone l'obiettivo non

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introdurre, nella pratica stessa, dei cambiamenti migliorativi. La prospettiva della ricerca – azione si è rivelata produttiva anche in campo formativo, in quanto permette ai

soggetti in formazione di essere "attori" del processo formativo.

La ricerca-azione è (a) lo studio sistematico e riflessivo delle azioni di un individuo e (b) degli effetti di queste azioni in un contesto, lo studio è finalizzato a (c) produrre degli avanzamenti verso un futuro desiderato, (d) coerentemente con dei valori di

riferimento. Si tratta di un metodo scientifico dal momento che favorisce dei cambiamenti e osserva gli effetti attraverso un processo sistematico di analisi dell’evidenza, producendo risultati pratici, pertinenti e generalizzabili in teorie. La

ricerca-azione si differenzia da altre forme di ricerca in virtù di un minor interesse rivolto all’universalità dei risultati e di un maggior valore posto sulla pertinenza dei risultati stessi per il ricercatore e per i collaboratori locali, favorendo dei processi di

apprendimento sociale (Center for Collaborative Action Research, Pepperdine University).

Il presente studio esplorerà l’applicazione di un approccio di ricerca-azione alla gestione delle risorse naturali nella prospettiva del perseguimento della sicurezza alimentare:

a. le azioni oggetto dello studio sono le pratiche degli agricoltori, b. il contesto è l’agro-ecosistema,

c. il futuro desiderato è quello del raggiungere le condizioni per la sicurezza alimentare,

d. i valori di riferimento sono i principi dell’agro-ecologia e della gestione sostenibile degli agro-ecosistemi.

METODOLOGIA GENERALE

Il presente studio si inserisce nell’ambito tematico dell’agro-ecologia e dello sviluppo rurale, e si configura come un lavoro di meta-ricerca, una “ricerca sulla ricerca” agraria per lo sviluppo rurale e la sicurezza alimentare.

Nel presente studio dei discorsi epistemologici riguardanti l’approccio alla complessità dei sistemi e l’agro-ecologia, dei discorsi socio-economici e di policy internazionale relativi alla gestione della conoscenza, dei discorsi sociologici sul cambiamento e sullo sviluppo locale e dei discorsi di ordine metodologico saranno messi a confronto con una problematica socio-agro-ambientale specifica in seno alla quale è stata condotta

un’esperienza di ricerca-azione.

Dall’analisi della problematica teorica saranno tratte delle proposte specifiche per un ri- orientamento della ricerca agraria. Dall’analisi del caso di studio saranno evidenziate le problematiche specifiche del contesto di riferimento. In conclusione, i risultati e il processo del caso di studio saranno incrociati con le indicazioni tratte dall’analisi teorica al fine di definire, tramite ulteriori approfondimenti tematici e metodologici, le

potenzialità e i limiti, il livello di generalizzabilità e di specificità dell’applicazione di un approccio di ricerca-azione ad una realtà rurale, la rispondenza o meno alle indicazioni

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emerse dallo studio teorico, i margini di miglioramento in termini di focus, approccio e metodologie.

CASO DI STUDIO

Il caso di studio tratta dell’applicazione di un approccio di ricerca-azione in un villaggio rurale del Mali centrale nell’ambito di un programma internazionale di innovazione metodologica promosso dall’International Fund for Agricultural Development (IFAD) delle Nazioni Unite, basato sul rafforzamento delle capacità locali e su rafforzamento dei legami tra attori implicati nella gestione delle risorse naturali per lo sviluppo rurale e la sicurezza alimentare.

L’IFAD ha affiancato a due programmi di ricerca sulla gestione delle sementi e sulla gestione dei sistemi agroforestali, affidati rispettivamente a Bioversity International (già IPGRI) e al World Agroforestry Centre (ICRAF), una Componente Inter-Universitaria (CIU) che, con il supporto di ENDA, una Ong internazionale specializzata sull’innovazione metodologica, dal 2004 al 2008 ha riunito Università di tre Paesi europei (Belgio, Svizzera e Italia) e di quattro Paesi africani (Senegal, Mali, Burkina Faso e Niger). La CIU ha proseguito ed esteso un’esperienza di notevole successo: un partenariato tra progetti di sviluppo IFAD, villaggi e università già in corso nella regione di Aguiè, in Niger, dal 2000. Questa esperienza pilota, ricordata sotto l’acronimo di PAIIP (Programma di Appoggio alle Iniziative e alle Innovazioni Contadine), si sviluppava intorno alle tesi di laurea e di dottorato degli studenti delle università, tesi svolte sul campo, nei villaggi, in una logica di partenariato con i contadini e con gli operatori di sviluppo

La nostra esperienza nel contesto della CIU, nell’anno 2007, è iniziata con un percorso di formazione metodologica cui è seguita la preparazione di un progetto di ricerca e uno stage di tre mesi in Mali, con il villaggio di Saméné come caso di studio. La problematica generale della nostra ricerca è quella del programma di ricerca IFAD/WorldAgroforestry:

il rafforzamento delle capacità degli agricoltori nella gestione dei Parchi Agroforestali.

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