• Non ci sono risultati.

Discussione I risultati ottenuti dallo studio effettuato sui pazienti dell’ambulatorio per le Malattie Neuromuscolari di Pisa, hanno permesso di studiare, all’interno del campione esaminato, quattro principali mutazioni

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Discussione I risultati ottenuti dallo studio effettuato sui pazienti dell’ambulatorio per le Malattie Neuromuscolari di Pisa, hanno permesso di studiare, all’interno del campione esaminato, quattro principali mutazioni"

Copied!
13
0
0

Testo completo

(1)

60

6. Discussione

I risultati ottenuti dallo studio effettuato sui pazienti dell’ambulatorio per le Malattie Neuromuscolari di Pisa, hanno permesso di studiare, all’interno del campione esaminato, quattro principali mutazioni. In particolare è stato eseguito uno studio di prevalenza sul campione in esame confrontandolo con i dati epidemiologici riportati in letteratura; è stato inoltre analizzato il rapporto genotipo- fenotipo per ciascuna delle mutazioni prese in esame, al fine di delineare una possibile associazione tra caratteristiche cliniche e singole mutazioni e di descrivere l’eventuale presenza o assenza di variabilità fenotipica, sia per quanto riguarda i casi sporadici di malattia, sia per quanto riguarda i quadri familiari. Tali considerazioni sono state poi discusse con quanto descritto in letteratura. Inoltre, data l’evidenza di una particolare modalità di trasmissione, la famiglia n° 1 è stata oggetto di ulteriori approfondimenti.

Le mutazioni individuate sono state:

- Mutazione pE121G. Questa mutazione è stata descritta solamente due volte in letteratura.

Apparentemente si trasmette con modalità autosomica dominante (56), e in tutti e due i casi descritti il fenotipo associato presenta caratteristiche simili. In entrambi i casi infatti, i pazienti sono giunti all’osservazione dei medici qualche anno dopo l’esordio dei sintomi, localizzati inizialmente a livello degli arti inferiori e compatibili quindi con una forma di SLA periferica Lower Limbs, e solo successivamente sono stati lentamente interessati gli arti superiori. I pazienti mostravano segni di coinvolgimento sia di I che di II motoneurone (56). Il decorso della malattia in entrambi casi si è dimostrato lentamente progressivo; in un caso il decesso si è verificato dopo 14 anni di malattia (62), nel secondo il paziente era vivente, con oltre 96

(2)

61

mesi di malattia. In tutti e due i pazienti si è verificata una tardiva comparsa di segni bulbari (56, 62). In nessuno dei due si riscontrava demenza, né familiarità.

Tra i pazienti dello studio la mutazione è stata individuata in un solo caso, anche qui causativo di forma sporadica di malattia; la paziente infatti non riferiva familiarità per SLA. Dal punto di vista fenotipico, il quadro clinico della paziente si mostra caratterizzato da un decorso lentamente progressivo, confermando quanto già descritto in precedenza riguardo a tale mutazione, che sembrerebbe responsabile di un fenotipo mild: attualmente la paziente, dopo 156 mesi di malattia, deambula con necessità di appoggio monolaterale, non presenta segni di interessamento bulbare, non ha insufficienza respiratoria né necessita ventilazione assistita.

Si riscontrano alcune differenze rispetto ai due casi precedentemente descritti: un esordio di più precoce, poiché la paziente del presente studio presentava i primi segni di malattia all’età di 58 anni con un quadro clinico periferico Upper Limbs, mentre negli altri due pazienti l’esordio si è verificato tra sesta e settima decade, con sintomi compatibili con una forma sempre periferica ma di tipo Lower Limbs.

- Mutazione G93D. Nelle mutazioni G93D del gene SOD1, come già espresso, si possono verificare sostituzioni della glicina con altri aminoacidi, determinando una maggiore tendenza della proteina a formare di aggregati. La variabilità fenotipica inter ed intrafamiliare è stata già descritta in letteratura, riconoscendo fenotipi estremamente differenti sia in termini di età di esordio, che di forma clinica, che di aggressività, sia tra i casi sporadici (59) che familiari (57, 58).

Tra i pazienti analizzati una sola paziente è risultata positiva alla mutazione. Il caso clinico in questione presentava età alla diagnosi di 18 anni, con un quadro clinico iniziale rappresentato, in maniera atipica, da sintomatologia algica ad un arto inferiore che rapidamente è stata seguita dalla comparsa di ipotrofia e ipostenia. La paziente ha inoltre presentato nel corso della malattia, come comorbidità, un’importante osteoporosi, non secondaria a immobilità né

(3)

62

a disordini del metabolismo calcio- fosforo, né a disturbi endocrinologici. Tale comorbilità non è mai stata descritta in letteratura, né per questa mutazione, né per altre mutazioni SOD1 o altre mutazioni SLA-associate.

- Mutazione D90A Esistono più di 140 mutazioni SOD1 e tutte tranne la mutazione D90A sono caratterizzate da una modalità di trasmissione autosomica dominante. La mutazione D90Aè infatti l’unica finora descritta in letteratura con una modalità di trasmissione sia recessiva che dominante (59). E’ la più frequente in Europa tra le mutazioni SOD1, con una prevalenza del 50% nella popolazione europea (61), tanto che l’allele D90A è presente come comune polimorfismo nello 0.5-5% della popolazione Scandinava, nella quale si trasmette sia in modalità autosomica recessiva che, più raramente, dominante. Nel resto della popolazione mondiale solo pochi casi di malattia sono stati finora descritti come associati a mutazione D90A a trasmissione autosomica dominante (63). Dal punto di vista biochimico la mutazione determinerebbe la alterazione strutturale di un residuo localizzato alla periferia della proteina SOD1, influenzando o l’interazione dimerica o direttamente la funzione del sito catalitico, portando a un “acquisto di funzione” tossica. Per ottenere una tossicità patologica sarebbe necessaria la presenza di entrambi gli alleli mutati e questo spiegherebbe perchè la mutazione D90A, diversamente dalle altre mutazioni del gene SOD1 si possa comportare come recessiva. Una mutazione che si manifesti con caratteri di trasmissibilità diversi in diverse famiglie può tuttavia apparire una contraddizione in termini. Precedenti studi hanno spiegato con la teoria dell’ “effetto fondatore” il differente atteggiamento (dominante o recessivo) della mutazione D90A nella popolazione europea a seconda dell’origine etnica. E’ stato infatti ipotizzato che la mutazione D90A abbia normalmente una trasmissione di tipo dominante, come le altre mutazioni SOD1, ma che nelle famiglie in cui si trasmette in modo recessivo, fattori genetici protettivi possano agire per ridurre la penetranza dell’allele mutato. Se questo fosse il caso, tutte le famiglie recessive dovrebbero condividere un comune fondatore

(4)

63

geografico, che avrebbe favorito l’acquisizione di tale protettività, con almeno un fondatore alternativo per le famiglie dominanti. In un lavoro del 1998, Al Chalabi e colleghi, eseguirono uno studio di aplotipi su 28 famiglie D90A osservando che le 20 famiglie recessive condividevano lo stesso fondatore (apparentemente legato alle migrazioni dei vichinghi circa 1000 anni fa) indipendentemente dalla provenienza geografica, mentre più fondatori erano alla base delle 8 famiglie dominanti; questo implicherebbe che la mutazione sia dominante di default, come le altre mutazioni SOD1 e che l’aplotipo recessivo sia legato a fattori genetici acquisiti modificanti, localizzati in una regione circoscritta del gene, strettamente legata al locus di SOD1 nell’allele recessivo (64).

In letteratura sono già stati descritti casi di SLA familiare dovuta alla mutazione D90A del gene SOD1, che dimostrano come in Italia quest’ultima, nei casi familiari, abbia principalmente, una trasmissibilità di tipo autosomica recessiva, associata ad un fenotipo di tipo mild (65). In Francia invece, sono stati descritte diverse famiglie con SLA associata a mutazione D90A: in alcune la mutazione si comportava come autosomica dominante, in altre come recessiva (66). I pazienti con tale mutazione in omozigosi, mostrano un fenotipo caratterizzato da una lenta progressione di malattia (65). La malattia in questi pazienti ha infatti un’evoluzione in due fasi; nella prima fase, o pre-paretica, i pazienti mostrano segni prevalentemente sensitivi, come algie alla schiena, alle caviglie, alle ginocchia, che spariscono al sopraggiungere della seconda fase, o fase paretica . Al contrario, quando la malattia si trasmette in eterozigosi, il decorso è più rapido e il fenotipo solitamente più aggressivo (63).

Diversamente da quanto descritto in letteratura la mutazione D90A nel nostro campione non risulta essere la più frequente, e la sua prevalenza è dello 0.25. In due casi la mutazione era presente in omozigosi, con una prevalenza dello 0.1, negli altri casi in eterozigosi, con una prevalenza dello 0.18. Il nostro campione quindi presenta più pazienti in eterozigosi, con una incidenza superiore rispetto a quanto descritto nella popolazione europea e italiana, dove i

(5)

64

casi dominanti vengono descritti come rari, sia per quanto riguarda i casi sporadici che familiari.

I due pazienti in omozigosi hanno avuto i primi sintomi uno all’età di 40 anni, l’altro a 66, con una importante differenza per quanto riguarda l’età di esordio. In entrambi la sintomatologia iniziale era di tipo periferico Upper Limbs, e la malattia è stata caratterizzata da un decorso lentamente progressivo, in accordo con quanto descritto in letteratura, che nel primo caso si è protratta fino ad oggi; la paziente è infatti in vita, con 63 mesi di malattia; è tetraplegica e anartrica, ha avuto la necessità di confezionamento di PEG circa 3 anni dopo l’esordio della malattia e attualmente è dipendente dalla ventilazione meccanica non invasiva.

I pazienti in eterozigosi hanno mostrato una maggiore variabilità fenotipica. L’esordio si è presentato in un’età compresa tra i 42 e i 68 anni, in due casi i sintomi iniziali erano compatibili con una forma periferica Upper Limbs e negli altri due con una forma Lower Limbs. Anche l’aggressività del quadro clinico è risultata essere molto differente tra i vari pazienti, con una durata di malattia compresa tra i 48 e 190, descrivendo quindi progressioni di malattia molto differenti.

In un solo caso, la sorella di una paziente affetta da SLA con mutazione D90A in eterozigosi ha deciso, previa consulenza genetica e dopo consenso informato scritto, di effettuare l’analisi molecolare del gene SOD1, risultando positiva per la mutazione D90A, sempre in eterozigosi. Nonostante questo, ad oggi, all’età di 84 anni, la parente non ha mostrato ancora segni di malattia.

E’ già stata descritta presente in letteratura una famiglia italiana con un soggetto malato di SLA con mutazione D90A in eterozigosi, e due soggetti positivi per la stessa mutazione ma asintomatici (67) tale comportamento sembra il medesimo riscontrato nei casi sopradescritti in cui due sorelle eterozigoti per la mutazione si presentavano una affetta, l’altra sana all’età di 84 anni. Tale anomalia potrebbe spiegarsi formulando alcune ipotesi: una prima possibilità è che la mutazione si presenti come autosomica dominante a penetranza incompleta, teoria non

(6)

65

compatibile con tutte le conoscenze riguardanti la mutazione D90A; una seconda è effettivamente l’allele possa comportarsi contemporaneamente sia come dominante che recessivo, ipotizzando magari la presenza di un differente background genetico che si comporti come permissivo o come protettivo nei confronti dell’espressione della malattia.

Un’altra possibilità è che nella nostra famiglia la mutazione si comporti comunque in modo recessivo, come ci si aspetta in Italia, e che quindi nella nostra paziente la mutazione D90A non sia causativa, ma che entrambe le pazienti siano in effetti portatrici della mutazione, e che sia presente invece un’altra mutazione causativa, non indagata, presente solo nella familiare sintomatica. Interessante sarebbe l’estensione dello spettro dei geni da indagare, a partire forse da gene c90rf72, che attualmente sappiamo essere causa del 0.4-21 % dei casi di SLA sporadica (68).

- Mutazione G41S. La mutazione G41S del gene SOD1 è stata inizialmente descritta in famiglie italiane, in particolare toscane, tra cui la famiglia n°3 del presente studio, come caratterizzata da una modalità di trasmissione autosomica dominante. E’ stato dimostrato che per queste famiglie, in maniera analoga a quanto precedentemente descritto per altre mutazioni SOD1, tra cui la D90A, esiste un “effetto fondatore”, e che quindi nonostante non esistano tra i loro componenti legami di parentela, queste condividono un background genetico comune. In particolare, attraverso uno studio genetico di aplotipi condotto tra i componenti delle famiglie in questione, sia affetti da SLA che sani, è stato dimostrato che la mutazione è comparsa circa 45 generazioni fa, e che i pazienti affetti, anche se appartenenti a famiglie differenti, condividevano gli stessi alleli. Questo risulterebbe compatibile con le caratteristiche cliniche della mutazione, costantemente associata ad un fenotipo uniforme e aggressivo, e a un decorso rapidamente progressivo. I pazienti con tale mutazione mostrano generalmente un esordio spinale periferico, interessamento sia di I che II motoneurone, rapida comparsa di interessamento bulbare, decesso in breve tempo. Nelle fasi più avanzate di

(7)

66

malattia può comparire anche demenza (61). Successivamente è stata descritta un’altra famiglia di origini franco-polacche, con mutazione G41S, sulla quale è stato condotto uno studio sui microsatelliti, per analizzare la provenienza epidemiologica della mutazione, e per capire se anche questa potesse condividere lo stesso fondatore comune della mutazione riscontrata nelle famiglie toscane. I risultati di tale studio hanno dimostrato invece che in questo caso la mutazione G41S era derivata da un evento di acquisizione sporadica, e risultava quindi indipendente rispetto alle famiglie italiane. (60).

Nei pazienti esaminati nel presente studio di tesi la mutazione risulta essere la più frequente, con una prevalenza dello 0.37. In tutti i pazienti la clinica era compatibile con quanto descritto in letteratura. L’età d’esordio è compresa tra quarta e sesta decade, con un solo caso ad esordio precoce, all’età di 25 anni. In questo ultimo caso il paziente è deceduto dopo soli 21 mesi di malattia. Un paziente ha avuto necessità di tracheotomia dopo soli 11 mesi dall’esordio, un altro è deceduto dopo soli 10 mesi, con un’ evoluzione di malattia in entrambi i casi rapidamente progressiva. Tutti i pazienti hanno mostrato un esordio clinico di tipo spinale periferico, interessamento di entrambi i motoneuroni all’esordio, rapida comparsa di coinvolgimento bulbare, decorso aggressivo, in accordo con le caratteristiche fenotipiche descritte in letteratura come associate alla mutazione G41S.

Tra i pazienti positivi per tale mutazione vi sono 4 famiglie.

Della famiglia n°1 fanno parte quattro nostri pazienti. I sintomi in questi soggetti sono esorditi in età differenti, tra i 41 e i 60 anni, in tutti i casi il quadro clinico era compatibile con una forma periferica che in due casi era di tipo Lower Limbs e negli altri due di tipo Upper. Due pazienti sono deceduti dopo pochi anni di malattia; gli altri due sono vivi, dopo 31 mesi e 51 mesi di malattia. In quest’ultimo caso il paziente è stato sottoposto a tracheotomia dopo soli 10 mesi dall’insorgenza dei primi sintomi, mentre l’ altra paziente ancora in vita mostra una progressione di malattia più lenta.

(8)

67

Due pazienti fanno parte della famiglia n°2. Entrambi presentavano sintomi iniziali compatibili con una forma periferica Lower Limbs, che in un caso è esordita quando il paziente aveva 54 anni, nell’altro quando ne aveva 67. I pazienti sono entrambi deceduti: nel primo caso il decorso della malattia si è protratto per 13 mesi e il paziente mostrava un quadro di demenza associato ai sintomi motori, mentre nel secondo la paziente è deceduta dopo 31 mesi di malattia.

Della famiglia n°3 solo un caso è giunto alla nostra attenzione. La paziente mostrava i primi sintomi all’età di 56 anni, compatibili con una forma periferica Upper Limbs, ed è deceduta.

I risultati dello studio di prevalenza sottolinea come il fenotipo dei pazienti affetti, sia nei casi familiari che sporadici sia effettivamente aggressivo e sostanzialmente uniforme, confermando i dati descritti finora in letteratura.

Nella famiglia n°4, i 2 pazienti giunti alla nostra attenzione hanno mostrato un quadro clinico particolarmente aggressivo, risultando quindi conforme al fenotipo associato a tale mutazione.

I dati riguardo le caratteristiche fenotipiche associate alla mutazione risultano conformi a quanto riportato in letteratura fino ad oggi.

L’analisi delle famiglie ha messo in evidenza che in 2 famiglie la modalità di trasmissione della malattia, definita ad oggi come autosomica dominante, è stata rispettata. Infatti, nella famiglia n° 3 (vedi figura 3) la modalità di trasmissione è compatibile con quanto descritto in

letteratura, e nella famiglia n°2 (vedi figura 2) non è stato possibile definire con esattezza la modalità di trasmissione perché i dati anamnestici di un familiare della II generazione, teoricamente portatore, risultano incompleti. Sappiamo infatti che il soggetto in questione è deceduto all’età di 76 anni per insufficienza respiratoria, che potrebbe risultare secondaria ad un eventuale quadro di SLA non diagnosticato, ipotizzando una modalità di trasmissione autosomica dominante, ma che era anche affetto da Ca laringeo, anch’esso compatibile con tale sintomatologia.

(9)

68

Nelle altre 2 famiglie invece, è risultata evidente una anomalia rispetto a quanto riportato in letteratura, in particolare in entrambe si sono verificati salti generazionali nell’espressione di malattia. Infatti, nella famiglia n°4 (vedi figura 4), dai dati che abbiamo raccolto, risulta che D.D. ha un genitore sano, ma portatore della mutazione (III b), che ha a sua volta un nonno

malato (Ib) e una zia materna malata (IIb ), ma non un genitore affetto (IIc). Inoltre non è chiaro se la madre (IIa) di T.L. fosse o meno malata, in quanto dalle notizie anamnestiche raccolte si evince che aveva importanti disturbi della deambulazione, ma che è deceduta in tarda età. Tale famiglia è stata descritta insieme ad altre in un lavoro pubblicato 2010 in collaborazione con l’Università di Siena (61).

Anche nella famiglia n°1 (vedi figura1), dai dati che abbiamo raccolto risulta evidente che in due casi un figlio malato non abbia nessun genitore affetto dalla malattia. In particolare, il padre di M., Ma., 72 anni, ad oggi non mostra alcun sintomo di SLA, nonostante il figlio e la madre ne risultino colpiti, e il padre di C.V. risulta deceduto all’età di 80 anni per altre cause.

Per questo motivo, avendo già effettuato a fini diagnostici l’analisi molecolare del gene SOD1 sui campioni di DNA di M. e S., è stato effettuato lo stesso esame anche sul DNA di Ma., su richiesta del probando, previo consenso informato, che risulta ugualmente positivo per la mutazione p.G41S del gene SOD1, andando quindi ad eludere le leggi della ereditarietà autosomica dominante che si ritiene caratterizzino la trasmissione della mutazione in analisi.

Questa anomalia nella modalità di trasmissione nella famiglia n°4, è già stata studiata nel lavoro del 2010, così come un comportamento simile è stato riscontrato nella famiglia di origine franco-polacca, caratterizzata anch’essa dalla presenza di salti generazionali nell’espressione di malattia; in entrambi i casi, all’interno della stessa famiglia si presentavano pazienti sintomatici e soggetti sani ma positivi per la mutazione stessa (60, 61).

Risulta evidente, di fronte a tali dati, che in entrambi questi casi di SLA familiare le leggi dell’ereditarietà mendeliana non siano del tutto rispettate. Una possibile ipotesi che possa spiegare tale comportamento è che la mutazione G41S sia caratterizzata da una modalità di

(10)

69

trasmissione autosomica dominante a penetranza incompleta (60, 61). Tuttavia, l’aggressività della forma clinica associata a tale mutazione, rende poco giustificabile la possibilità di una penetranza incompleta, e quindi dell’esistenza di portatori sani, in cui l’espressione della proteina mutata e quindi della malattia, possano essere del tutto silenziate da altri fattori.

L’ipotesi di una penetranza incompleta può essere invece sostenuta dal fatto che altre mutazioni dello stesso gene che si basano su un meccanismo di trasmissione a penetranza incompleta, tra cui anche la G93D (57), sono associate a un fenotipo meno aggressivo. Un’

altra possibile ipotesi è che G41S sia comunque una mutazione a trasmissione autosomica dominante, e che quindi in questo caso sia di per sé necessaria e sufficiente per il manifestarsi della malattia, ma sia associata ad una espressività variabile in termini di esordio di malattia, e che questo le conferisca caratteristiche solo apparenti di penetranza incompleta. In entrambi questi casi e qualsiasi sia il meccanismo molecolare che ne sostiene l’ipotesi, l’attività patogena del gene SOD1 mutato sarebbe influenzata da più fattori modulanti, di tipo ambientale, genetico ed epigenetico che slatentizzerebbero la presenza della mutazione con un effetto soglia, variabile da paziente a paziente (69). Tali fattori modulerebbero l’espressione della mutazione sia in maniera permissiva che protettiva. Tra i fattori protettivi, a questo proposito, è stato ipotizzato un possibile ruolo neuroprotettivo degli ormoni sessuali femminili, basato sul fatto che i soggetti portatori sani nel precedente studio sulla famiglia n°4 erano di sesso femminile (61). Nella famiglia n°3 analizzata nel presente studio, in base alla ricostruzione anamnestica, i soggetti affetti maschi risultano effettivamente in numero maggiore rispetto alle femmine, ma i soggetti sani positivi alla mutazione sarebbero in entrambi i casi di sesso maschile. E’ vero però che l’unica paziente femmina malata nella famiglia, C.S., presenta un fenotipo ad oggi meno aggressivo rispetto agli altri componenti.

La coesistenza di una concorrente mutazione patogenetica in altri geni coinvolti nel determinismo della SLA, per esempio il c9orf72, e quindi indipendente dalla mutazione SOD1 nelle famiglie affette, ma in grado di modulare l’espressione fenotipica della mutazione

(11)

70

G41S, potrebbe rappresentare un ulteriore esempio di fattore modulante, in questo caso permissivo. Questa teoria sarebbe supportata dall’ipotesi già avanzata in letteratura che la patogenesi della SLA possa essere di tipo oligo- o multi-genico, coinvolgendo più geni nello stesso individuo. A questo proposito, per cercare di chiarire l’espressione della malattia nei soggetti mutati, è stata quindi effettuata anche l’analisi molecolare del gene c9orf72, sul DNA di tre componenti della famiglia n°1, Ma., M., S., previa valutazione genetica clinica e dopo aver ottenuto un consenso informato scritto, per studiare la presenza di un’eventuale alterazione della trasmissibilità della mutazione G41S legata alla presenza oppure all’entità dell’espansione dell’esanucleotide.

La mutazione del gene c9orf72, determina una espansione dell’ esanucleotide GGGGCCC, situato all’interno dell’introne 1 del gene stesso, situato sul braccio corto del cromosoma 9, e rappresenta la più frequente causa genetica di SLA (68), sia per quanto riguarda i casi sporadici che familiari. L’espansione del c9orf72 è stata inoltre associata ad altre malattie neurodegenerative, in particolare la Demenza Frontotemporale, ma anche la malattia di Parkinson, corea di Hungtinton e sembra essere coinvolta anche nella patogenesi dell’Alzheimer (70). Il gene è associato a fenotipi estremamente variabili. I suoi meccanismi patogenetici non sono del tutto noti, ma si ritiene che la presenza della mutazione favorisca l’accumulo di foci anomali di RNA all’interno della cellula, la cui quantità e quindi il conseguente danno tossico, sembrerebbe correlato con la lunghezza delle sequenze espanse.

Un numero di ripetizioni massimo di 30 viene attualmente utilizzato come valore soglia per definire un soggetto sano, anche se il limite preciso non è ancora stato individuato; nella maggior parte dei soggetti sani comunque, le ripetizioni rimangono inferiori ad una soglia di 10. I pazienti affetti mostrano invece oltre 400 ripetizioni, fino anche a qualche migliaia. Le modalità di trasmissione del gene non sono ancora state chiarite, tuttavia recenti studi hanno dimostrato che le espansioni tendono ad aumentare nel numero di ripetizioni di generazione in generazione. In particolare alcune evidenze hanno permesso di individuare nelle sequenze di

(12)

71

lunghezza intermedia, circa 70 ripetizioni, una struttura più instabile e quindi una maggiore tendenza ad aumentare la loro espansione nel passaggio generazionale, anche di molte ripetizioni; al contrario le sequenze più lunghe risulterebbero più stabili e la loro lunghezza tenderebbe ad aumentare meno da genitore a figlio. Inoltre è stato dimostrato come in diversi tessuti di uno stesso individuo si possano riscontrare lunghezze diverse delle sequenze espanse del c9orf72 ipotizzando che questa caratteristica possa in qualche modo influenzare l’espressione fenotipica della malattia (70).

La ricerca in una famiglia con ricorrenza di malattia, di ulteriori possibili geni modificatori o di varianti geniche associate a mutazioni SOD1 anche localizzate all’interno dello stesso gene è stata effettuata poche volte in altri studi. Questo innovativo approccio, che consiste nello studiare famiglie mutate come modello di ricerca, ed è stato introdotto per la prima volta da Broom et al. nel 2008, ha lo scopo di ricercare possibili varianti geniche associate a mutazioni SOD1 che potessero spiegarne la variabilità fenotipica, in termini di sopravvivenza. In tale

lavoro è stata sequenziata una regione aplotipica condivisa da pazienti SLA con mutazione A4V e D90A. Questo studio ha permesso di identificare 9 nuovi polimorfismi di singoli nucleotidi (SNPs), nessuno specificamente associato alle suddette mutazioni (71).

Successivamente, altri geni sono stati candidati come possibili modificatori, in particolare geni che è noto essere coinvolti in alcuni meccanismi patogenetici della malattia. Nel 2011 Luigetti et al, in un paziente SLA con mutazione D93G associata ad un fenotipo insolitamente aggressivo, hanno effettuato l’analisi molecolare di ANG, PGRN, TARDBP, FUS, VCP, CHRNA3, CHRNA4, e CHRNB4, individuando una nuova mutazione missenso, in eterozigosi,

del gene ANG e hanno quindi ipotizzato che quest’ultima potesse influenzare gli effetti deleteri della mutazione G93D nel gene SOD1 (72). Nello stesso anno, Penco et al, hanno ampliato tale approccio investigativo, estendendo la ricerca a polimorfismi del gene VEGF su 7 membri di una famiglia con mutazione G93D, senza risultati sostanziali (58).

(13)

72

Nella presente tesi è stato dato credito a una possibile associazione tra mutazione G41S del gene SOD1 con mutazione del gene c9orf72 e quindi con l’entità dell’espansione dell’esanucleotide, quale fattore che potesse influenzare la variabilità fenotipica e/o l’espressione della malattia. Nonostante lo studio non abbia rilevato una associazione tra espressione di malattia e espansione esanucleotidica, considerato peraltro l’esiguo campione di studio, e le poche conoscenze su c9orf72 presenti in letteratura, sarà senz’altro utile proseguire le ricerche in tal senso, in prima istanza allargando il campione di soggetti analizzati, aspetto non semplice considerando la rarità della malattia e, all’interno di questa, il limitato numero di pazienti con mutazione SOD1. Una maggiore conoscenza, su casistiche più ampie, in questo ambito, unitamente ad una analisi genetico-molecolare in altri geni candidati, sia di tipo modulante che a patogenesi nota nella SLA, permetterebbe di ottenere informazioni più complete riguardo i meccanismi patogenetici che stanno alla base della malattia e approfondire le relazioni genotipo- fenotipo nella stessa.

Riferimenti

Documenti correlati

En vertu de l’article 10 de la loi n°71-10 du 25 janvier 1971 relative aux conditions d’entrée, de séjour et d’établissement des étrangers, « l’étranger peut être

establishment, it still has to evolve and to be supported by the Italian government, in order to facilitate and promote the culture of cooperating and sharing between small and

Também em Saramago é possível destacar esta característica, não só nos últimos romances, mas também nas mencionadas re-Escrituras bíblicas: o “jogo dos

degli operatori ha meno di 40 anni e circa il 70% è collocata in regioni dell’Italia meridionale. Il settore dei call center è caratterizzato da un alto numero di

exceed the bounds of this paper. European University Institute. Available Open Access on Cadmus, European University Institute Research Repository... is then, after

Il terzo capitolo prende in esame il paradigma della “Rivoluzione verde” e dell’agricoltura scientifica nella produzione alimentare e l’instaurarsi di una sovranità alimentare

Indeed, taking the Chicago-based Polish daily Zgoda as an example, between 1907 and 1912 the proportion of editorials dealing wih the American issues was about

L’analisi spettrale dei segnali ottenuti ha prodotto buoni risultati, sebbene si siano ri- scontrati tempi di registrazione che per questo tipo di analisi risultano troppo brevi: un