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Se i risultati di questi due test sono negativi, la malattia celiaca è altamente improbabile

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DIAGNOSI

All’introduzione nella pratica clinica quotidiana di test sierologici altamente sensibili e specifici, in grado di semplificare molto i criteri diagnostici, sono da attribuire la maggiore frequenza e l’aumentata consapevolezza con cui la diagnosi di malattia celiaca viene oggi formulata. Prima, per poter identificare la celiachia, erano necessarie ben tre biopsie: esse, come stabilito dalla Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica e Nutrizione (ESPGAN), dovevano dimostrare: 1) atrofia villosa del tenue a dieta libera 2) normalizzazione o miglioramento a dieta aglutinata 3) deterioramento della morfologia villosa durante challenge con glutine. Nel 1990, però, i criteri per poter formulare la diagnosi sono stati snelliti (66): infatti, mentre essenziali sono rimasti la presenza di atrofia villosa a dieta libera e il miglioramento del quadro clinico dopo poche settimane dall’aver intrapreso la terapia dietetica, è ancora necessario ricorrere al challenge solamente qualora sussistano per svariati motivi, ad esempio per inadeguatezza del campione bioptico, dubbi sulla diagnosi iniziale di celiachia. Inoltre, le più recenti linee guida dell’ESPGHAN, diffuse nel 2012, hanno introdotto una importante novità per la popolazione pediatrica impegnata nel percorso diagnostico di celiachia: nei bambini con sintomi e segni suggestivi di malattia celiaca e valori sierologici di anticorpi anti transglutaminasi tissutale oltre dieci volte i valori di normalità, in considerazione della alta probabilità di avere un’atrofia villosa duodenale (Marsh 3), può essere presa in considerazione, in accordo con i genitori del piccolo paziente, la possibilità di non eseguire biopsie duodenali, ma di eseguire

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solamente ulteriori test di laboratorio (test genetico, ulteriore dosaggio di anticorpi anti endomisio) per rendere certa, in caso di loro positività, la diagnosi di sprue celiaca. A questo punto la dieta aglutinata potrà essere intrapresa e dovranno essere documentabili il miglioramento clinico del paziente e la riduzione dei valori sierologici di anticorpi (1).

Attualmente, il primo strumento diagnostico nel caso sussista il sospetto di celiachia è quello sierologico e consiste nel dosaggio delle Ig A anti-transglutaminasi (IgA-tTG) associato a quello delle Ig A totali; quest’ultimo è giustificato dall’alta prevalenza del deficit congenito di Ig A riscontrato nei pazienti celiaci. Se i risultati di questi due test sono negativi, la malattia celiaca è altamente improbabile;

qualora comunque il sospetto diagnostico permanga, si ricorre al test degli Ig A anti-endomisio (IgA-EMA). Se IgA-tTG o IgA-EMA sono positivi, il paziente dovrà sottoporsi all’endoscopia intestinale per formulare una diagnosi definitiva. Nel caso in cui le IgA-tTG siano invece negative, ma il livello sierico delle Ig A totali sia basso, è utile ricorrere al dosaggio delle tTG-Ig G. (67).

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Emergono, pertanto, due concetti fondamentali: la diagnosi non può basarsi esclusivamente sulla presenza di anticorpi perchè questi, sebbene altamente affidabili, non sono dotati di specificità e sensibilità assolute; inoltre, gli anticorpi anti-gliadina (AGA) non sono più usati routinariamente nel percorso diagnostico da fare nella popolazione adulta, poiché dimostrano un’accuratezza diagnostica inferiore a quella delle anti-tTG . Le IgG AGA hanno un'altissima sensibilità, ma sono gravati dal 30% di false positività in soggetti sani o con altre affezioni gastroenterologiche - diarrea protratta post enteritica o malattie infiammatorie croniche intestinali, ad esempio -, mentre gli anticorpi

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AGA IgA, pur essendo leggermente meno sensibili, hanno una specificità del 96-98%. Le specificità degli anti-endomisio e anti-tTG sono rispettivamente del 100% e del 95-99%, mentre le sensibilità si attestano al 90-95% per gli EMA e al 98% per gli anti-tTG (poiché infatti i falsi positivi delle IgA anti tTG occorrono dal 3 al 12% dei casi –ad esempio in pazienti con malattie infiammatorie croniche dell’intestino o infezioni intestinali, le IgA anti EMA, universalmente riconosciute come il test più specifico per celiachia, sono solitamente determinate nei pazienti IgA anti tTG-positivi come test di conferma prima di eseguire l’esame endoscopico corredate da biopsie); gli AGA, quindi, hanno nel complesso una performance molto inferiore (68) ed il loro dosaggio per identificare la celiachia dovrebbe essere confinato ai pazienti con età inferiore ai due anni di età. Il dosaggio degli anti-tTG presenta comunque il vantaggio, rispetto a quello degli EMA, eseguito con tecnica di immunofluorescenza indiretta e la cui interpretazione dipende dall’esperienza dell’operatore, di ricorrere alla tecnica ELISA, che notoriamente è non operatore-dipendente (69). Recenti studi hanno dimostrato che la deamidazione dei peptidi della gliadina ad opera della tTg gioca un ruolo fondamentale nella patogenesi di sprue celiaca, aumentando il legame dei peptidi modificati della gliadina alle molecole MCH di classe II e conseguentemente rendendo più efficace la stimolazione dei linfociti T gliadina-specifici: alla luce di ciò, è stato ipotizzato che anticorpi diretti contro i peptidi deamidati della gliadina dispongano di una specificità più alta per celiachia di quelli diretti contro i peptidi naive. Pertanto, tenuto conto dei problemi relativi ai possibili falsi positivi degli anti-tTg e della scarsa riproducibilità degli anti-endomisio, è stato da poco messo a punto un nuovo test ELISA per

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il dosaggio di anticorpi IgA e IgG diretti verso i peptidi deamidati della gliadina (DGP-AGA). Lo studio di Volta e collaboratori, teso a valutare la performance dei singoli test per malattia (70), ha provato che le IgA e le IgG DGP-AGA sono altamente sensibili (valore medio 84%) e specifiche (valore medio 94,4%) per celiachia. Questi risultati sono migliori di quelli degli anticorpi AGA tradizionali, la cui “era” deve essere considerata completamente finita. Sebbene l’accuratezza diagnostica degli anticorpi anti gliadina deamidata sia risultata leggermente inferiore rispetto a quella degli anticorpi anti-endomisio, i nuovi anticorpi in questione hanno il vantaggio di essere più riproducibili degli EMA (operatore-dipendenti, come già spiegato).

Comparati con le Ig anti tTG, poi, gli anticorpi DGP-AGA dispongono non di una migliore sensibilità, ma solo di una maggiore specificità, e ciò è particolarmente vero quando ci si riferisca alle IgG piuttosto che alle IgA anti gliadina deamidata. In conclusione, si prospetta che lo screening del futuro più efficace per celiachia sarà quello composto dal dosaggio simultaneo di IgA anti tTg e IgA e IgG anti gliadina deamidata.

Un’ altra doverosa considerazione da fare è che tutti i test sierologici dovrebbero essere eseguiti prima di intraprendere la dieta gluten-free, ed analogamente l’uso degli immunosoppressori dovrebbe essere evitato fino al completamento degli stessi, al fine di evitare risultati negativi in presenza di una reale malattia celiaca. Se poi il paziente avrà la necessità di intraprendere la dieta priva di glutine, essendo stato correttamente inquadrato come celiaco, la sierologia sarà a lui ancora utile, questa volta per monitorare non solo la propria compliance ad essa, ma anche la risposta alla terapia, attestata dalla completa

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negativizzazione dei valori di anticorpi nel sangue (67, 69).

Il test genetico, ossia la tipizzazione degli antigeni leucocitari umani con un metodo rapido basato sulla PCR e sull’uso di specifici primers, ha un alto valore predittivo negativo, ma basso valore predittivo positivo, essendo i genotipi HLA-DQ2 o DQ8 presenti nel 30% circa della popolazione normale: conseguentemente, nella diagnostica il test serve per escludere la malattia celiaca qualora sussistano dubbi riguardo alla sierologia e alla clinica, o il paziente aderisca di propria iniziativa ad una dieta gluten-free, rendendo così non diagnostica la eventuale negatività del dosaggio sierologico anticorpale. L’endoscopia con biopsia duodenale rimane il gold standard per la diagnosi della malattia celiaca ed è raccomandata prima del trattamento dietetico in tutti i pazienti con sierologia positiva, ad eccezione dei bambini con sintomi altamente suggestivi per celiachia e valori di anticorpi anti transglutaminasi fortemente elevati (vedi sopra). Le caratteristiche istologiche dell’enteropatia del tenue nel celiaco possono presentarsi con severità assai variabile, essere patchy, ed in una piccola quota di pazienti presentarsi solo nella regione bulbare del duodeno. Le biopsie (bx) dovrebbero pertanto essere prese, durante l’esofagogastroduodenoscopia (EGDS), dal bulbo (almeno una bx), e dalla seconda o terza porzione duodenale (almeno quattro bx). Anche Ravelli et al., in uno studio condotto su 110 individui, hanno riscontrato un grado crescente di danno mucosale nel duodeno distale, suggerendo un’accuratezza diagnostica migliore delle biopsie eseguite in tale sede. Inoltre, uno studio su 146 pazienti ha evidenziato che, di 71 con biopsie positive per celiachia, 3 avevano alterazioni solo nel digiuno. Da quanto riportato, si deduce

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l’indicazione ad effettuare biopsia digiunale nei casi di alto sospetto ed iniziale biopsia duodenale negativa (71). E’ senza dubbio importante, comunque, al fine di minimizzare gli errori e la variabilità nell’interpretazione delle biopsie duodenali, eseguire secondo una corretta metodologia il prelievo, l’orientamento, la fissazione, l’embedding, l’elaborazione e la colorazione del prelievo istologico:

infatti anche il patologo più esperto non sarà in grado assicurare un buon lavoro nel caso abbia a che fare con una biopsia malamente orientata o inadeguatamente processata. Un campione preparato in modo non adeguato, infatti, potrà ad esempio falsamente aumentare il rapporto villo/cripta e condurre così alla sottostima della severità della lesione istologica; un orientamento non accurato potrà poi provocare la distruzione o la parziale fusione dei villi adiacenti, fornendo così la sbagliata impressione di atrofia villosa parziale, o rendere il conteggio dei linfociti intraepiteliali più difficoltoso (72).

Esame bioptico a parte, durante l’EGDS, talune volte, sono apprezzabili nell’immediato quadri macroscopici già suggestivi di celiachia: hanno elevata specificità e valore predittivo positivo per atrofia villosa l'assenza o la riduzione di numero e di altezza delle pliche di Kerkring od una loro struttura festonata ("scalloping"), la micronodularità e l'aspetto a mosaico e/o ipotrofico della mucosa. Si sottolinea comunque il fatto che un quadro macroscopico normale non permette di escludere la patologia, a causa del limitato valore predittivo negativo di cui le alterazioni appena descritte godono.

Pertanto, come sempre, solo un attento follow-up che monitori, sia durante l’esposizione al glutine sia durante la sua assenza nella dieta, la evoluzione sintomatologica del paziente e il comportamento

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istologico della mucosa può permettere di superare i dubbi diagnostici derivati da quadri istopatologici vaghi.

Infine, ricordiamo che la malattia celiaca deve rientrare nella diagnosi differenziale delle possibili patologie che potrebbero spiegare alterazioni riscontrate agli esami ematochimici di routine:

l'ipertransaminasemia isolata, indice dell’ "epatite celiaca", la trombocitosi secondaria ad iposplenismo, l'anemia sideropenica o la sideropenia, associate alla ipoferritinemia o, ancora, bassi valori di colesterolo, albumina, elettroliti (malassorbimento) possono rappresentare infatti l'unica manifestazione di celiachia.

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