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Persona offesa dal reato: quadro normativo di riferimento e brevi cenni storici

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Introduzione

Per lungo tempo lo spazio giuridico riguardante la vittima di rea- to è stato caratterizzato da un fenomeno di marginalizzazione processuale in cui la sollecitudine per la persona offesa guardava quasi esclusivamente agli interessi civilistici di cui era portatrice nell‟ambito del processo stesso o allo studio del ruolo causale a- vuto nella commissione del reato. Tale concezione ha portato al- cuni autori italiani e francesi a qualificare la vittima come la

“grande oubliée” del processo penale 1incentrato, per lo più, sulla dialettica tra pubblico ministero, rappresentante dell‟accusa, e il colpevole del reato. A partire dagli anni Ottanta, su spinta delle istanze europee e internazionali, la vittima del reato inizierà a ri- scoprire la centralità della sua posizione durante tutto l‟arco pro- cedimentale. Il palcoscenico sul quale si è innescato tale processo di riscoperta tenta di ottenere il riconoscimento di un ruolo chiaro e definito quale dimostrazione di una mutata sensibilità dei mo- delli processuali penali nazionali che prendono in considerazione la sua fragilità e sofferenza. Alla luce dunque di queste prime considerazioni l‟attenzione attribuita alla vittima del reato e ̀ ine- sorabilmente destinata a crescere e a guadagnarsi un posto anche all‟interno delle dinamiche processuali interne, sebbene ad oggi, come vedremo, il suo ruolo presenti ancora contorni incerti: basti pensare al diritto processuale penale italiano il quale (come anche quello francese) non impiega il termine “vittima” – utilizzato piuttosto in contesti extraprocessuali, in particolare criminologici, ma resti ancorato al dualismo tra la nozione di persona offesa dal reato o partie lesée - titolare dell‟interesse protetto dalla norma pe- nale – e la parte civile o partie civile – titolare del diritto civilistico ad ottenere il risarcimento dei danni prodotti dal reato. Guardan-

1Verin, La victime et le systè me pénal, in Rev. Sc. Crim., 1980, p.764

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do alle spinte europee sarà possibile richiamare da un lato, la Raccomandazione (85) 11 sulla posizione della vittima nella sfera del diritto e della procedura penale e la Convenzione europea sul risarcimento alle vittime di reati violenti che hanno affermato un importante principio, in base al quale la tutela della vittima rap- presenta un dovere imprescindibile di solidarieta ̀ sociale; dall'al- tro, la Decisione Quadro 2001/220/GAI ha tradotto le norme di soft law in regole cogenti per gli Stati europei. Ma ancora, ruolo di gran lunga piu ̀ importante per la valorizzazione della vittima co- me soggetto meritevole di protezione nell 'ambito del processo penale è stato, ed è tuttora, quello della giurisprudenza delle due Corti. Le pronunce della Corte di Giustizia hanno contribuito a definire la nozione di vittima e i contorni dei suoi diritti nel pro- cedimento, mentre le sentenze della Corte europea dei diritti dell‟uomo hanno delineato le coordinate di un delicato equilibrio tra i diritti della vittima, soprattutto quella vulnerabile, e quelli dell‟imputato. Tali iniziative europee, accompagnate dall‟adozione di altrettanti interventi normativi mirati a tutare le vittime di determinate tipologie di delitti, quali ad esempio la Convenzione di Istanbul e Lanzarote, confermano come la pro- gressiva ammissione della vittima nella dinamica processuale e , più in generale , la mutata attenzione verso la posizione di quest‟ultima in ambito penale costituiscano una priorita ̀ assoluta dell‟Unione. In particolare, quest‟ultima, con la direttiva 2012/29 UE, è intervenuta, come si vedrà, al fine di stabilire norme mini- me in materia di diritti, protezione e assistenza alla vittima di rea- to nel rispetto del principio di sussidiarietà previsto all‟art. 5 TUE, reputando infatti che tale obbiettivo non potesse essere raggiunto in maniera sufficiente dagli Stati membri (cfr. considerando 67) e che, invece, potesse essere conseguito meglio a livello

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dell‟Unione . Tali “norme minime” vanno a costituire il nucleo di facoltà, diritti e garanzie minime a favore della vittima ritenuto come indefettibile dall‟Unione stessa e che muove , in via piu ̀ ge- nerale, dal ripensamento del reato, non solo come torto inferto al- la societa ̀, ma bensi ̀ come violazione dei diritti individuali delle vittime. Da subito e ̀ apparso chiaro come il nuovo intervento a- vrebbe avuto il suo trionfo solo tramite una concreta e uniforme implementazione in tutti gli Stati membri, i quali hanno il compi- to di trasformare il linguaggio dei principi (tipico delle fonti so- vranazionali) in regole precise, di possibile applicazione in un preciso contesto della Direttiva, recepita in Italia tramite il d.lgs.

15 dicembre 2015, n. 212,. Finalizzato all‟attuazione della diretti- va 2012/29/UE, il decreto costituisce un segnale importante di volontà del legislatore di mutare il modello processuale penale che finora, nonostante alcuni interventi normativi mirati a tutela- re le vittime di particolari reati , si è limitato ad attribuire alla vit- tima del reato un‟importanza superficiale. Eccezion fatta , altresì, per alcuni interventi normativi mirati , è stato soprattutto lo stru- mento dell‟interpretazione conforme alle indicazioni convenzio- nali che ha permesso all‟ordinamento giuridico italiano di suppli- re alle esigenze di tutela degli interessi della persona offesa e di protezione della stessa dai rischi di vittimizzazione secondaria. Al contrario il legislatore delegato chiamato a trasporre una discipli- na di carattere piu ̀ generale, ha deciso di intervenire su alcuni a- spetti indicati dalla direttiva , ma tace su altri , e soprattutto non introducendo, come si vedrà , nessun riferimento semantico al termine “vittima”, confermando dunque la volonta ̀ di continuare ad utilizzare il termine piu ̀ tecnico di persona offesa dal reato per evitare un rischio di privatizzazione della giustizia penale2.

B. NASCIMBENE- M. CONDINAZZI La tutela della vittima del reato nel processo penale

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CAPITOLO I

Persona offesa dal reato: quadro normativo di riferimento e brevi cenni storici

Sommario: 1. I n t r o d u z i o n e - 2 . L a v i t t i m a d i r e a t o n e l l ' o r - d i n a m e n t o i t a l i a n o . - 3 . E x c u r s u s s t o r i c o : d a l c o d i c e R o c - c o a l c o d i c e d e l 1 9 8 8 – 4 . V i t t i m a d i r e a t o e l a C o s t i t u - z i o n e 5 . P e r s o n a o f f e s a : r u o l o e s p a z i d i t u t e l a a d e s s a r i - s e r v a t i n e l l ' a t t u a l e a s s e t t o p r o c e s s u a l p e n a l i s t i c o . P e r s o - n a g g i o a n c o r a “ d i m e n t i c a t o ” o f u t u r o p r o t a g o n i s t a t r a i v a r i a t t o r i p r i n c i p a l i s u l l a s c e n a ? ( C e n n i ) .

1. Introduzione

Un'analisi volta a determinare il progressivo emergere del ruolo della persona offesa all'interno del processo penale presuppone il soffermarsi sul più generico termine “vittima”3, ponendolo anche a confronto con quello di “persona offesa”: quest'ultimo è infatti, tra i due, il più citato e richiamato sia nel codice penale sia nel codice di rito, pur mancandone una definizione terminologica.

Circoscrivere tale concetto non è un'operazione semplice.

È necessario, tuttavia, rintracciare una definizione unitaria non solo per il crescente peso che ha assunto nel corso degli anni tale figura ma anche per l'importanza che modelli uniformi possano essere alla base, nel dibattito sia interno che sovranazionale, di una riflessione sui nuovi metodi di tutela predisposti dalle fonti di matrice europea 4 . Per questo motivo la dottrina

italiano e francese: riflessioni comparate sull’attuazione della direttiva 2012/29/UE in Giurisprudenza di Diritto dell’Unione Europea – Casi Scelti.

3S. TESSA, La persona offesa dal reato nel processo penale, Torino,1996, p.1

4M. VENTUROLI, La tutela della vittima nelle fonti Europee, in Diritto Penale Contemporaneo,

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processualpenalistica ha più volte cercato di definire i concetti con cui si fa riferimento alla “vittima” del reato, fino a giungere alla individuazione della persona offesa come il soggetto titolare del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice violata.

La definizione della vittima non può prescindere, dunque, dall'esaltazione dell'aspetto lesivo della condotta che ha consentito di poter affermare che in ogni reato risulterà sempre presente una persona offesa anche quando non è possibile coglierla in tutta evidenza56.

2. La vittima di reato nell'ordinamento italiano

In prima battuta, per poter comprendere fin da subito cosa si possa intendere per vittima di un fatto penalmente rilevante, occorre prendere le mosse da quella concezione “emotiva” che in passato aveva cercato di porre l'accento sulla neutralizzazione di qualsiasi sentimento di vendetta che poteva sorgere nell'offeso.

Questo in virtù di una visione estremamente limpida di giustizia penale e della correlata importanza della funzione rieducativa della pena al fine di riportarla a quella visione che ad oggi sembra aver fatto risvegliare l'attenzione nei confronti di chi subisce una lesione da reato, un pregiudizio, fisico o mentale, determinato direttamente da condotte che abbiano violato norme penali7.

Se consideriamo come la scienza del diritto esiga un linguaggio rigorosamente tecnico ci rendiamo subito conto di quanto il concetto di vittima appaia decisamente vago e indefinito.

3.4.2012 p. 88.

5 F. CARNELUTTI, Lezioni sul processo penale, 1,2 Roma, 1949 p. 166, il quale a tal proposito parla di “invisibilità della vittima”, piuttosto che di “inesistenza”.

6G. LAMONICA- L. LO VASCO, Le prerogative della vittima nel processo penale, in www.archiviopenale.it, Fascicolo n. 2 Maggio-Agosto 2013.

7E .N. LAROCCA, La Tutela Della Vittima, in A. GAITO – D CHINNICI, Regole europee e processo penale, Torino, 2016,pp. 106-111.

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Con riferimento al sistema processualpenalistico italiano i soggetti che possono subire gli effetti della condotta penalmente rilevante sono la persona offesa dal reato, il soggetto passivo e il danneggiato. In realtà questi tre concetti, i quali vengono ricondotti a quello di vittima, non sempre sono riferibili alla medesima figura.

L'importanza di questa distinzione ai fini processuali è palese: la giurisprudenza e la dottrina tendono ormai concordemente ad attribuire la legittimazione ad esercitare l'azione risarcitoria e/o restitutoria nel processo penale, mediante la costituzione di parte civile, alla sola persona danneggiata dal reato, indipendentemente dalla titolarità o meno dell'interesse giuridicamente protetto dalla norma penale. L'autonomia di queste posizioni trova poi ulteriore conferma nel sistema del nuovo codice di rito.

Nel delineare i profili generali dei diritti e delle facoltà esercitabili dalla persona offesa dal reato, il legislatore si è preoccupato infatti di modellarne la capacità processuale, mediante un espresso richiamo agli articoli 120 e 121 c.p sul regime previsto dalla normativa di parte sostanziale per l'esercizio del diritto di querela (art 90 c.p.p) 8.

Conformemente dunque alla triplice dimensione entro cui può essere apprezzato il ruolo svolto dalla persona offesa all'interno del sistema processualpenalistico, tuttavia, il nuovo codice ne amplia artificiosamente e in duplice senso la morfologia soggettiva consentendo da una parte l'ingresso ai cosiddetti enti esponenziali mediante una qualificazione normativa che, attraverso una fictio

8 Posto dunque che la proponibilità della querela è condizionata a requisiti soggettivi assai meno rigidi di quelli richiesti per far valere all'interno del processo penale pretese di natura civilistica (art 77 c.p.p) mediante l'esercizio della relativa azione, se ne deve concludere che “questi diritti e facoltà- e in particolare quelli, più estesi ed incisivi, esplicabili nella fase delle indagini preliminari- non sono funzionali essenzialmente per l'esercizio dell'azione civile di danno, ma alla persecuzione penale del reo, e costituiscono quindi specifica manifestazione del ruolo accusatorio della persona offesa”

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iuris, considera gli stessi quali persone offese legittimandoli quindi all'esercizio dei relativi diritti e facoltà;dall'altra parte considerando il rilievo che la tendenziale coincidenza fra persona offesa e danneggiato dal reato è destinata ad assumere, il legislatore ha proceduto ad un'ulteriore operazione estensiva, mediante l'inserzione di una clausola generale che attribuisce l'esercizio dei diritti e delle facoltà riconosciuti alla persona offesa, quando quest'ultima è deceduta in conseguenza del reato, ai prossimi congiunti9.

Per definizione condivisa quando parliamo di persona offesa si intende “il titolare dell'interesse specificatamente tutelato dalla norma incriminatrice, la cui lesione ed esposizione al pericolo costituisce l'essenza stessa del reato”10.

Così definito tale concetto può coincidere con quello di soggetto passivo della condotta penalmente rilevante che si distingue, in quanto singola persona fisica o giuridica, dallo Stato perché titolare dell'interesse pubblico al rispetto delle regole e dell'ordine costituito.

Possiamo inoltre aggiungere che quando si parla di persona offesa si intende qualsiasi soggetto che abbia subito un danno in conseguenza di un reato, ma non chiunque abbia sopportato un pregiudizio; offeso dal reato è dunque il titolare dell'interesse la cui lesione vada a costituire l'essenza stessa di questo e pertanto va tenuto distinto dal danneggiato. Per compiere questa operazione è necessario partire della distinzione, propria della teoria generale del reato, tra danno criminale e danno civile, ovvero tra offesa e danno risarcibile, i quali, come è stato osservato, costituiscono due cerchi non sempre coincidenti. Il danno

9L. BRESCIANI,Persona offesa dal reato, in Digesto Pen., X, Torino, 1995, passim.

10M.G. AIMONETTO, Voce persona offesa dal reato, in Enc. Dir., XXXIII, Milano, 1983, passim.

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criminale, o offesa, consiste nella lesione o messa in pericolo dell'interesse protetto dalla norma penale e, una volta verificatosi a seguito dell'illecito, non è più eliminabile (quod factum est, infectum fieri nequit); il danno civile, o risarcibile, è invece rappresentato dalle conseguenze nocive del reato e, a differenza del primo, può essere riparato mediante il ripristino dello statusquo ante o la corresponsione di un risarcimento.

Tale distinzione consente quindi di enucleare le due diverse nozioni di persona offesa e danneggiato dal reato. Nel primo caso si fa riferimento al soggetto passivo del cosiddetto danno criminale, titolare dell'interesse protetto e leso dall'azione criminosa; nel secondo, invece, si allude a colui che subisce un danno civile e quindi risarcibile, in conseguenza di una lesione di un proprio diritto soggettivo generato dalla condotta che costituisce reato11.

Alla persona offesa, anche se titolare dell'interesse giuridico protetto dalla norma penale violata, è attribuibile, qualora decida di intervenire nel processo, la qualifica di “soggetto” e non quella di “parte”. Al contrario infatti del danneggiato che si sia costituisco parte civile, la persona offesa resta infatti soggetto del processo per tutta la durata del procedimento rivestendo un ruolo al quale il codice di rito attribuisce poteri di “impulso” e di

“controllo” dell'operato del pubblico ministero e del giudice12. Come precedentemente detto, le due figure possono anche coincidere – anzi di regola si verifica- e ciò accade quando a subire il danno risarcibile sia la stessa persona offesa; non è detto, comunque, che ciò debba necessariamente accadere.

Danneggiato, infatti, può essere chiunque abbia subito un

11F. ANTOLISEI, L'offesa e il danno nel reato, Bergamo, 1930, p.104.

12P.P. PAULESU, Voce Persona offesa dal reato, in Enc, Dir. Annali, II, Milano, 2008, pp. 593- 594.

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pregiudizio patrimoniale o morale a causa di un reato, pur senza essere il titolare dell'interesse penalmente protetto (ad esempio, nell'omicidio, i congiunti, gli eredi o anche i creditori della vittima possono aver sofferto un danno in seguito al comportamento criminoso, ma la persona offesa è l'ucciso, titolare dell'interesse tutelato dalla norma penale e leso dal delitto).

La diversificazione sul piano giuridico dei concetti di “persona offesa” e di “persona danneggiata”, e delle situazioni ad esse correlate, trova la sua ratio nel fatto che l'offesa insita nel reato, il cosidetto danno criminale, non equivale al danno risarcibile:

oggetto del risarcimento, infatti, non è ogni pregiudizio derivante dal reato, ma solamente le perdite economiche e le sofferenze fisiche e morali che conseguono all'azione criminosa. Mentre l'offesa inerente ad ogni reato comprende anche dei mali che non costituiscono l'oggetto del risarcimento (ad esempio, la distruzione del bene della vita nell'omicidio), il danno civile abbraccia anche pregiudizi che sono inerenti al reato ma che si pongono come conseguenze di esso (ad esempio le perdite economiche derivanti da un sequestro di persona) 13.

La distinzione quindi tra persona offesa e danneggiato dal reato è rilevante ai fini dell'attribuzione della legittimazione risarcitoria nel processo penale mediante la costituzione di parte civile:

giurisprudenza e dottrina attribuiscono tale legittimazione alla sola persona offesa danneggiata dal reato indipendentemente dalla titolarità dell'interesse giuridicamente protetto dalla norma penale 14. La possibilità di esercitare tale azione civile nel processo

13F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, a cura di L. Conti, Milano, 1982, p. 725 ss.

14Cfr. L. BRESCIANI, op.cit., p 530. Sul punto occorre rilevare come siano andate progressivamente dissolvendosi le opinioni che circoscrivevano l'esperibilità dell'azione civile in sede penale al solo danneggiato che fosse anche titolare dell'interesse leso o messo in pericolo dal reato (v. in tal senso A. GIARDA, La persona offesa dal reato nel processo penale, Milano 1971, p 29 ss, nonché N.LEVI, La parte civile nel processo penale

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penale è giustificata dall'unicità del fatto storico, produttivo sia dell'illecito civile che penale.

Il prevedere la costituzione di parte civile non evidenzia, tuttavia, una preferenza da parte del legislatore nei confronti del processo penale su quello civile. Il codice del 1988 introduce, infatti, il principio della separazione e dell‟ autonomia15 della giurisdizione civile e penale. Quindi, salvo circoscritte eccezioni se il danneggiato esercita l'azione civile di danno nella sede naturale il giudizio civile procede autonomamente anche in pendenza del processo penale, avente ad oggetto lo stesso fatto storico.

Giova inoltre evidenziare che con la recentissima Riforma Orlando converita in legge 23.06.2017, n.103 sono state introdotte delle rilevanti modifiche in tema di estinzione di reato per condotte riparatorie. In estrema sintesi la novella legislativa introduce nel codice penale il nuovo art 162 ter c.p rubricato “estinzione di reato per condotte riparatorie” a sensi del quale il giudice potrà dichiarare estinto il reato nei casi di procedibilità a querela, sentite le parti e la persona offesa, qualora l‟imputato avrà riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato e eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose dello stesso. Altresì il risarcimento del danno potrà essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall‟imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo. Non si manca di rilevare come nella circostanza in cui dimostri di non aver potuto

italiano, Padova, 1936, p. 246 ss.).

15Il codice del 1930, invece, si caratterizzava per la necessaria pregiudizialità delprocesso penale rispetto a quello civile di danno. Quest'ultimo infatti, ai sensi, dell'articolo 24, comma 2, rimaneva sospeso fino alla formazione del giudicato penale. Vd. G. Conso, V.Grevi, M.Bargis, Compendio di procedura penale,sesta edizione Padova, Cedam, 2012 p. 120.

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adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l‟imputato potrà chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglierà la richiesta, potrà ordinare la sospensione del processo e fissare dunque la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Nel caso in cui le condotte riparatorie diano esito positivo il giudice dichiarerà estinto il reato16.

Dal plesso normativo appena descritto è necessario sottolineare come l‟ambito di applicazione del art.162 ter c.p sia destinato a trovare applicazione esclusivamente con riferimento ai reati procedibili a querela soggetta a remissione escludendone dal novero non solo i reati estinguibili mediante riparazione integrale del danno ma anche i reati perseguibili d‟ufficio e quelli procedibili a querela irretrattabile. Tale scelta legislativa così come si legge nella Relazione tecnica del testo originario è quella di

“deflazionere il numero di procedimenti penali e comunque realizzare una rapida definizione degli stessi, determinando effetti di risparmio in termini di spese processuali e di impiego di risorse umane”; una predilezione questa ispirata dunque a scopi di politica criminale diretti a produrre risultati deflattivi del carico penalema alcontempo circoscritta ad un ampito applicativo troppo ristretto tale da minare la potenzialità innovativa della norma con il pericolo di lasciare che il nuovo articolo sia soltanto un mero strumento conferito al giudice per fronteggiare la prepotente

16Sul punto vd. S. ZIRULIA, La nuava prescrizione e le altre modifiche al codice penale, in www.penalecontemporaneo.it 20.06.2017 p.1 ss; D.N.CASCINI Il nuovo art.162 ter c.p: esempio di “restorative justice” o istituto orientato ad una semplice funzione deflattiva? In www.archiviopenale.it 13.07.2017 p.1 ss.

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insistenza della volontà puitiva del querelante.

3. Excursus storico: dal codice Rocco al codice del 1988

In ordine a quanto appena detto, il ruolo progressivamente assunto dalla persona offesa assume ancor più valore se si pensa a quello che era lo scenario dei primi decenni del secolo scorso.

Una scena dove nel processo veniva attribuito un ruolo di assoluta preminenza all'imputato, la cui condotta criminale veniva considerata come lesiva unicamente dell'interesse all'ordine sociale17. In questa ottica, il codice Rocco del 1930 andò a delineare dunque una figura di persona offesa priva di qualsiasi tutela soggettiva, definita dalla autorevole dottrina come “un postulante senza diritti” nella necessità di perseguire quel primario interesse dell'accertamento della verità nel pubblico interesse andando così a relegare limitati diritti all'offeso. Giova citare, inoltre, l'emblematico articolo 306 c.p.p dove veniva riconosciuto all'offeso la possibilità di presentare memorie, indicare elementi di prova e proporre indagini per l'accertamento della verità; un potere dunque, nella logica del nostro legislatore del 1930, volto da un lato ad ottenere una sorta di cooperazione di parte con l'organo inquirente mentre dall'altra “la disponibilità stessa” dell'offeso come mezzo di prova testimoniale 18. Una posizione poco consona a quella di un processo di parte in senso stretto in quanto questa veniva totalmente privata di un adeguato contraddittorio destreggiandola così tra una partecipazione in veste di

“collaboratrice” giudiziaria o alternativamente in veste di

“testimone” per l'accertamento della verità.

17G. CONSO-V. GREVI, op.cit. p.135.

18ORDINE DEGLI AVVOCATI DI CAGLIARI, Vittime di reato dalla direttiva 2012/29/UE al D.LGS. 2012/2015. Problemi e prospettive applicative, Cagliari 29 e 30 Aprile 2016,

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Alla base di questa duplice finalizzazione – alla quale rimaneva comunque, estranea ogni forma di tutela di interessi personali – si individuava facilmente un comune denominatore: la “tendenziale proiezione verso l'accertamento della verità nel pubblico interesse”19.

In altre parole, il contributo processuale della persona offesa, legato in via esclusiva al momento dell'istruzione – ovvero dell'accertamento – si poneva in maniera servente rispetto all'avvenimento probatorio. E ciò era intrinsecamente coerente con la scelta a monte dell'ideologia inquisitoria, che si traduceva in un modello processuale connotato dall'omogeneità finalistica delle fasi, nonché dalla assenza di un segmento temporale e normativo deputato al sindacato giurisdizionale sulle determinazioni del pubblico ministero.

La L. 18 giugno 1955, n. 517, all'art. 14, infatti estendeva la partecipazione “autorizzata” agli atti non coperti da segreto istruttorio (esperimenti giudiziari, perizie, perquisizioni, ricognizioni) all'offeso, oltre che all'imputato e alla parte civile, subordinandola, però, talvolta, a una valutazione di necessarietà da parte del giudici, talaltra, all'istanza del pubblico ministero o dei difensori.

Di conseguenza, la partecipazione dell'offeso restava sempre pur sempre legata all'avvenimento probatorio20; una conclusione questa che usciva riconfermata dalla costatazione che pur essendo consentita la presenza al compimento di quelle attività istruttorie, il soggetto sembrava, comunque, escluso da un “potere d'intervento concreto nella dialettica processuale”21.

19G. CONSO, La persona offesa dal reato tra interesse pubblico e interessi privati, in Giust. Pen., Roma, 1979, l. p28.

20G. TRANCHINA, Persona Offesa dal reato, in Enc. Giur. Treccani, Milano, 1988, passim.

21A. GIARDA, La persona offesa dal reato nel processo penale, cit.,p 298.

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La situazione non subisce particolari cambiamenti neanche quando due successive leggi (L. 5 dicembre 1969, n. 932 e L.15 dicembre 1972, n.773) sembrano rivalutare il ruolo della persona offesa rendendola destinataria dell'avviso di procedimento – divenuto, poi, comunicazione giudiziaria – voluto allo scopo di dare notizia, a chi ne avesse interesse in qualità di parte privata, dell'esistenza di un processo penale e di consentire l'esercizio di eventuali diritti in relazione agli atti da compiere in esso.

Dunque, l'offeso era considerato non come titolare del bene penalmente protetto, ma come soggetto danneggiato per effetto del reato e, come tale, quindi, titolare di una pretesa di natura risarcitoria. Insomma, l'avviso aveva lo scopo di informare l'offeso-danneggiato dell'avvenuta instaurazione di un procedimento in cui gli era permesso intervenire in vista dell'esercizio di una azione di risarcimento del danno sofferto22. Si sono dovute attendere le due leggi delega del 1974 e del 1987 per l'attribuzione di un ruolo attivo alla persona offesa, la cui dinamicità nasceva intrinsecamente connessa all'esigenza di un controllo giurisdizionale sulle determinazioni del pubblico ministero23. In realtà erano mutate le premesse metodologiche; la regola di riferimento del dibattito dottrinario 24 e giurisprudenziale25 non era più la discrezionalità dell'azione penale, ma il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale sancito dall‟art. 112Cost.

La prima legge delega, L. 3 aprile 1974 n.108, assegnava al Governo il potere di emanare, entro due anni, un nuovo codice di

22In questi termini, A.GIARDA, la persona offesa nel reato nel processo penale, cit., p 289.

23C. IASEVOLI, Persona offesa dal reato, in Enc. Giur. Treccani, 2007.

24G. LEONE La costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell'Assemblea costituente, V, Roma, Camera dei deputati, 1970, p. 4146.

25C. Cost, 16 dicembre 1970, n.190, in Giur.cost.,1970, p 2179; C.,Cost.,12 novembre 1974, in Giur.Cost.,1974, p.2861.

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procedura penale che attuasse i principi della Carta Costituzionale e si adeguasse alle norme delle Convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale. Esso, inoltre, doveva attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio26.

Nel 1978 fu pubblicato un progetto preliminare del nuovo codice che, però, non si concretizzò nella sua emanazione e trascorsero ulteriori nove anni perchè si giungesse all'approvazione di una nuova legge delega, la L. 16 febbraio 1987, n.81. Anche in questa legge delega, come nella precedente, il Parlamento indicava al Governo le direttive cui il nuovo codice di procedura penale si sarebbe dovuto attenere, tra le quali vi erano l'impellenza di adeguare il processo penale in Italia al modello delineato nelle convenzioni internazionali e l'esigenza di impedirne il procedimento penale attorno a un sistema fondamentalmente accusatorio.

Coerentemente allo sviluppo della logica del sistema accusatorio, la persona offesa acquisisce la qualifica di soggetto processuale, con riconoscimento di sempre maggiori diritti e facoltà, superando così l'impostazione originaria del codice del 1930, nel quale la possibilità per la persona offesa di contribuire all'accertamento della verità non le conferiva alcun altro diritto nel procedimento 27. Nel contesto di un sistema accusatorio, l'esito del processo costituisce il frutto di “un'attiva partecipazione di tutti i soggetti processuali che intervengono con la loro personalità e da diverse prospettive in ogni momento dello sviluppo procedimentale”28:

26L. 3 Aprile 1974, n.108. Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, in G.U. n.108 del 26.04.1974.

27G. SPANGHER, Soggetti (artt. 1-108 ), in AA. VV., Profili del nuovo codice di procedura penale, a cura di Conso e Grevi, Padova, 1991, p.66.

28G. UBERTIS, Fatto e valore nel sistema probatorio penale, Milano, Giuffrè Editore, 1979, p.93.

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una sua più compiuta attuazione passa, dunque, anche per un più significativo apprezzamento dell'interesse di cui è portatrice la vittima del reato, così da evitare, all'interno della dialettica processuale, un'esclusiva polarizzazione del ruolo dell'accusa intorno alla figura del pubblico ministero 29.

La legge delega n. 81/1987 ha, innanzitutto, confermato quei poteri di controllo e di impulso relativi all'esercizio dell'azione penale 30 che già avevano efficacemente contribuito a ridisegnare il ruolo nello schema delineato dalla prima legge delega per la stesura del nuovo codice di rito e, superando le ambiguità della L.

108/1974, 31 la quale faceva riferimento alle sole “parti private”, ha altresì attribuito alla persona offesa specifiche facoltà inerenti allo svolgimento del processo.

Il punto 3 dell'art. 2, L. 81/1987, infatti, prevede espressamente la facoltà della persona offesa, oltre a quella del pubblico ministero, delle altri parti e dei difensori, di indicare elementi di prova e di presentare memorie in ogni stato o grado del procedimento, rimuovendo così il limite che comprimeva la sfera di azione della persona offesa all'interno della fase predibattimentale.

La situazione è definitivamente mutata con l'entrata in vigore del

29L. BRESCIANI, Persona offesa dal reato, op. cit., p.530.

30Il “Punto” 51 dell'art.2, l.16-2-1987, n.81 prevede la facoltà della persona offesa dal reato di richiedere che non si proceda ad archiviazione senza avvisarla e il conseguente obbligo del pubblico ministero di comunicare alla stessa la richiesta di archiviazione;

inoltre, prevede la facoltà della persona offesa, entro un congruo termine dalla comunicazione, di formulare al giudice istanza motivata di fissazione dell'udienza preliminare e il derivante obbligo del giudice di accogliere tale istanza quando non ritiene di dover disporre direttamente l'archiviazione.

31Il “punto” 46 dell'art.2, l.108/1974, prevedeva espressamente l'attribuzione della facoltà di presentare memorie e di indicare elementi di prova, oltre che all'imputato, alle sole

“parti private”. Nonostante i rilievi avanzati dalla Commissione consultiva, tuttavia, gli estensori del progetto preliminare, nel dare attuazione a questa direttiva, decisero di optare – in virtù di una attenta ricostruzione dei lavori preparatori della prima legge delega, da cui emergeva abbastanza chiaramente la volontà di lasciare al legislatore delegato un “margine di discrezionalità”, che gli permettesse di “ricomprendere tra le parti in senso lato la persona offesa” - per un'interpretazione estensiva, che ne circoscriveva la portata alle sole “parti costituite”. V. Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, G.U. 24-10-1988, n. 250, Suppl.ord., n.2,p.112.

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vigente codice di rito, approvato con il D.P.R n 447 del 1988, con cui si è cercato di sanare quella netta contrapposizione tra la nozione di persona offesa e reato tant'è che la prima è stata dilatata mediante il riconoscimento di tale status a soggetti che non sono titolari del bene giuridico tutelato dalla norma penale, tra i quali i prossimi congiunti dell'offeso deceduto in conseguenza del reato.

Allo stesso tempo è stato reso ancora più incisivo il suo ruolo posto che la persona offesa, che resta tale per tutta la durata del procedimento penale, assume poteri di impulso e di controllo dell'operato del pubblico ministero e o del giudice come, a titolo esemplificativo, il potere di presentare memorie, indicare elementi di prova o di opporsi alla archiviazione richiesta dal pubblico ministero. Altresì in concomitanza con l'avvenuta rivalutazione del ruolo della persona offesa, il legislatore del 1988 ha ritenuto opportuno distinguere la sua posizione da quella della parte civile, cercando di caratterizzare con maggior chiarezza quest'ultima come la parte che interviene nel processo penale per far valere la propria pretesa risarcitoria o restitutoria. L'intento del nostro legislatore è stato quello di reagire a pratiche distorsive, incoraggiate senza dubbio dagli scarsi poteri riconosciuti alla persona offesa, dal codice abrogato, dai quali trasparivano costituzioni di parti civili che in realtà non facevano altro che occultare persone offese dal reato, preoccupate sopratutto di riuscire a svolgere un ruolo attivo sul versante dell'accusa.

Vi è un ulteriore profilo che non può essere obliato circa il ruolo, esclusivamente di controllo o comunque di sollecitazione, che la persona offesa riveste all'interno del procedimento penale relativamente ai reati di competenza del giudice di pace dove, indipendentemente dal fatto che essa stessa risulti essere anche danneggiata, può sollecitare attivamente la promozione

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dell'azione penale proponendo ricorso immediato al giudice e addirittura impugnando anche agli effetti penali la sentenza di assoluzione dell'imputato.32Tra gli altri poteri inoltre, ai sensi dell‟art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000, che disciplina l‟esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto, la persona offesa può esercitare un vero e proprio diritto di veto quando abbia un reale e concreto interesse alla prosecuzione del procedimento secondo le forme ordinarie. Altresì, ai sensi dell‟art.

35 d.lgs n. 274 del 2000, che disciplina l‟estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, la persona offesa ricopre ancora un ruolo di rilievo in merito alla dichiarazione di estinzione del reato in quanto il giudice è tenuto ad ascoltarla per verificare che l‟imputato abbia realmente riparato il danno elimando le conseguenze dannose o pericolose dello stesso. Nell‟eventualità in cui il giudice verifichi che le attività riparatorie abbiano avuto esito positivo, sentite appunto le parti e la persona offesa, dichiarerà con sentenza l‟estinzione del reato enunciandone la causa nel dispositivo. Merita precisare però che in tale circostanza non è indispensabile il consenso delle parti ed è pertanto possibile che il giudice dichiari l‟estinzione del reato anche qualora la persona offesa si opponga33.

Queste considerazioni non meritano di essere sottovalutate in quanto in molti dei reati della competenza di questo giudice vi sono spesso delitti che cagionano soprattutto danni di natura non patrimoniale, per i quali risulta essere di ampio interesse per la persona offesa non solo l'attivarsi per l'accertamento della responsabilità penale dell'imputato ma anche il raggiungere la prova sul quantum del danno non patrimoniale, sperando dunque

32J. MONDUCCI, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza Vol. III – N.1 – Gennaio – Aprile 2009 pp. 32-38.

33P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano 2015 p. 784-785.

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in una liquidazione già in sede penale.

A tale specifico riguardo va sottolineato che le ragioni della tradizionale refrattarietà del processo penale a prendere in considerazione le istanze del titolare dell'interesse leso dal reato sono molteplici. La prima ragione è di ordine ideologico, e consiste nel rendere il processo impermeabile alle pulsioni giustizialiste solitamente presenti in chi ha subito l'offesa34.

La tendenza a circoscrivere le prerogative della persona offesa è sempre stata motivata, infatti, con la necessità di assicurare una sorta di autotutela del processo dal rischio di ritorsioni e vendette.

Una seconda ragione è di tipo squisitamente tecnico: conferire al soggetto poteri autonomi ed eccessivamente pregnanti, specialmente in campo probatorio, significherebbe rafforzare il polo accusatorio e indebolire quello difensivo, così alterando la par condicio tra le parti.

La terza è una ragione di tipo prasseologico, poiché si regge sul dato empiricamente consolidato e già richiamato dell'ordinaria identità tra titolare del bene leso protetto dalla norma e il danneggiato dal reato35.

La commistione tra offesa penale e danno civile, invero, ha rappresentato una delle maggiori ragioni che hanno determinato le coordinate precedentemente tracciate.

Essa ha in qualche misura finito col rendere malvista la vittima, che nella percezione degli operatori giudiziari si trasforma in una sorta di intruso all'interno del processo penale, impegnato a monetizzare il suo dolore più che a chiedere giustizia.

Emerge così il volto più sgradevole della vittima che appare quasi innaturale e tiranna, puntando pressochè solo all'iniziativa

34P.P. PAULESU, voce Persona offesa da reato, in Enc. Dir., Ann. II, Milano, 2008 p.594.

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risarcitoria contro l'imputato36

Lo schema concettuale che si delinea pare anche trovare conforto all'interno del testo costituzionale, privo di ogni riferimento esplicito all'offeso del reato e ove si legge, all‟art. 24 Cost., che

“tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti”, un'espressione che sembra proprio riferirsi solo a chi abbia subito un danno da illecito penale37.

4. Studi penalistici e teorie criminologiche: dall’oblio della vittima alla sua riscoperta

Le ragioni dello scarso interesse che, fino a qualche anno fa, riguardavano la posizione della vittima del reato non sono ancora del tutto chiare. Il fenomeno riguardava non solo gli studi penalistici ma ancora più le teorie criminologiche, che assumevano come loro compito principale quello di determinare i tipi predisposti al comportamento criminale, ma non stabilivano altresì il dovuto collegamento con la vittima.

Volgendo lo sguardo alle società primitive il rapporto tra criminale e vittima rifletteva essenzialmente la lotta per il potere assumendo perciò, una particolare forma di importanza, il diritto dell‟individuo a farsi vendetta. Successivamente, con il costituirsi di strutture sociali complesse, quali lafamiglia, il clan ele tribù, il momento della reazione al delitto sì trasferì dall‟individuo al gruppo. Con il passare dei secoli, proprio per evitare vendette private, cominciò ad essere utilizzato un compenso monetario o comunque economico a favore della vittima. Tale compenso

36A. AMODIO, Mille e una toga. Il penalista tra cronaca e favola, Giuffrè, 2010, p.104.

37P.P. PAULESU, op.cit., p. 595.

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variava a seconda della natura del delitto, dell‟età, del rango, del sesso e del prestigio di cui godeva la parte offesa. In questo modo l‟influenza del potere dello Stato aumentò, con il risultato che una parte del compenso veniva reclamato dalla comunità, dal capo o dal re, quale commissione per aver ottenuto una riconciliazione fra le parti, mentre un‟altra andava alla vittima.

I diritti dell‟offeso così vennero in seguito, posto che lo Stato aveva monopolizzato l‟istituto della pena, separati dal diritto penale:

l‟obbligo di pagare i danni dovuti alla vittima, fu posto nell‟ambito del diritto civile.

Il delitto divenne così un‟offesa di natura pubblicistica e la pena una risposta statale a questa offesa, con la conseguenza che la posizione della vittima privata passò in secondo piano38.

Viene così correttamente riferito il processo di marginalizzazione della vittima alla progressiva pubblicizzazione del diritto e della procedura penale.

La vittima del reato rimarrà, come visto, in questa situazione di oblio per secoli. Nemmeno l‟Illuminismo, riuscì a mutare questa prospettiva, sebbene con esso si siano affermati il principio di legalità morale e una concezione complessivamente garantista, in cui si inseriscono l‟abolizione della tortura e della pena di morte, ispirata a tre principi: la necessìtà di proporzione tra reato e pena;

la necessìtà di rendere più umano il trattamento del reo; la necessìtà di rendere la pena funzionale alla sua rieducazione.

In realtà tutto ciò operò nel senso opposto andando a valorizzare la tutela del reo a scapitodella vittima.

Sulla stessa scia di pensiero di muoveva la Scuola Classica39, la

38 M. BARTOLINO, Il reo e la persona offesa. Il diritto penale minorile, nel Trattato di diritto penale da Grasso, Padovani e Pagliaro, Milano, Giuffrè Editore, 2009, p.231.

39 Tra i più noti esponenti della Scuola Classica vengono ricordati Giovanni Carmignani (1768-1847), Pellegrino Rossi (1787-1848)e Francesco Carrara (1805-1888). La Scuola

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quale non considerava la vittima in concreto poiché riteneva che la condanna e la sanzione fossero capaci di annullare il delitto, ripristinando l‟ordine giuridico violato e assicurando i diritti della vittima. Tuttavia, tale restaurazione del delitto operava solo nell‟astratto e non c‟era niente di più concreto del danno subitodal soggetto passivo del reato.

La Scuola Positiva 40 , di contro, cerca di allontanarsi dall‟astrattismo proprio della Scuola Classica, adottando una maggior considerazione della vittima. Difatti il ruolo di quest‟ultima viene recuperato sotto due diverse prospettive:

inanzittuto, si è iniziato a parlare del risarcimento del danno da parte dello Stato; poi, a causa della concezione deterministica propria dei positivisti, nell‟ottica della considerazione della vittima come possibile concausa del verificarsi del reato.

Per quanto riguarda il risarcimento, questo viene visto come una

“funzione sociale spettante allo Stato nell‟interesse diretto del privato offeso ma anche nell‟interesse indiretto e meno efficace della difesa sociale”. In tal modo si comincia ad affermare l‟idea

Classica, partendo dal postulato del libero arbitrio, cioè dell‟uomo assolutamente libero nella scelta delle proprie azioni, poneva a fondamento del diritto penale la responsabilità morale del soggetto quale rimproverabilità del male commesso e, di conseguenza, la pena era considerata come retribuzione per il male compiuto e priva di funzionalità risociliative. Essa doveva essere afflittiva, proporzionata, determinata e inderogabile. Il delitto era visto come un‟entità di diritto e non di fatto: un‟astrazione, rigidamente dogmatica, che comportava la valutazione della colpevolezza del soggetto senza tenere conto della condizioni individuali e sociali inferenti al suo agire. G. PONTI, I.M. BESTOS, Compendio di criminologia, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2008, p. 59 ss.

40 Tra i massimi esponenti della Scuola Positiva vi son i penalisti Enrico Ferri (1856-1929) e Raffaele Garofalo (1852-1934) che riconoscevano come loro caposcuola Cesare Lombroso (1835-1909). La Scuola Positiva concentrava i suoi studi sul crimine muovendo dal soggetto attivo, il reo e considerando, poi, tutta la sfera psico-sociale attorno ad esso.

La responsabilità morale veniva sostituità dalla responsabilità sociale. Il reato era visto quindi come fatto sociale, come la risultante di un triplice ordine di fattori: fisici, pschici e sociali, e la sanzione penale non doveva avere finalità punitive ma doveva mirare alla neutralizzazione e in secondo luogo alla rieducazione del criminale dovendo essere pertanto indirizzata in funzione della responsabilità del criminale. Non era più considerata dunque come retribuzione per la colpa commessa o come strumento di dissuasione del delititto mediante intimazione, ma come strumento di difesa sociale, considerando più la personalità del criminale che non il tipo di delitto commesso. G.

PONTI, I.M. BESTOS, Compendio di criminologia, cit., p.72 ss.

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che la vittima di un delitto debba essere sempre indennizzata poiché il delitto non può essere annullato e il risarcimento del danno da esso prodotto è l‟unico rimedio che lo Stato possa attuare a diretta tutela dell‟offeso. Ad ogni modo tale risarciento deve comunque essere garantito dallo Stato, il quale avrà poi, il diritto di rivalsa nei confronti dell‟autore del fatto di reato. Nel caso in cui quest‟ultimo risulti insolvibile sarà costretto a pagare con il sacrificio della propria libertà. Obbligando dunque il reo allavoro, il risarcimento va a porsi sullo stesso piano della pena, rafforzandone l‟efficacia deterrenete divenendo così uno strumento repressivo nei confronti del reo.

Risulta chiaro, perciò, come la soluzione prospettata dai Positivisti plasmi una misura di carattere sostanzialmente repressivo, lontano dai moderni strumenti di riparazione pubblica anglossassoni, i quali, pur avendo caratteresanzionatorio, non si traducono mai in un aggravamento delle conseguenze della sanzione per il reo. Anticipando, inoltre, gli studi della vittimologia, la Scuola Positiva ha analizzato la vittima anche sotto un diverso profilo: la valorizzazione del ruolo del soggetto passivo nella genesi e nella realizzazione del reato.

Ad ogni modo la vittima è considerata non tanto, come soggetto a sé quanto piuttosto come soggetto, che interferisce, in qualche modo, con la responsabilità del reo, e di conseguenza, come strumento per misurare la pericolosità di quest‟ultimo.

In conclusione non si manca di rilevare come la Scuola Positiva abbia riportato alla ribalta la vittima del reato all‟interno di un sistema imperniato sulla difesa sociale in senso repressivo e calato in un contesto accentuatamente deterministico. Saranno questi i limiti che imporranno alla moderna vittimologia di fare un salto di qualità nello studio della materia, per poter rimettere al centro

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dellaquestione penale le esigenze concrete dalla vittima.

5. Vittima di reato e la Costituzione

Nel 1988, quando in Italia si provvide all'adozione del codice Vassalli, l'Europa stava ancora andando in cerca della propria identità: si dovrà aspettare il 1992 per vederla finalmente riunita in un'unica realtà istituzionale, investita di maggiori poteri anche in materia penale. Andando dunque a recepire i principi che si stavano affermando nella legislazione e giurisprudenza europea successivamente, il legislatore italiano, con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n.2, incorpora nel dettato dell'articolo 111 Cost.

i principi del “fair trial”, in base ai quali un processo per definirsi

“equo” deve svolgersi nel “contraddittorio con le parti davanti ad un giudice terzo ed imparziale” e deve rispettare pienamente i diritti dell'accusato. Appare perciò che dei passi in avanti compiuti dal codice Vassalli, con il riconoscimento alla persona offesa della dignità di soggetto autonomo nell'iter processuale non resta alcuna traccia di riforma nel testo costituzionale e di quella che era considerata come la norma più all'avanguardia e aperta alle esigenze della giustizia penale contemporanea risulta ancora una volta del tutto incentrata sulla tutela delle parti e in particolar modo allo stesso imputato senza alcun riferimento alla figura dell'offeso 41.

A due anni dalla riscrittura dell'articolo 111 Cost, l'Unione europea provvide all'adozione della decisione quadro

41Neanche il riferimento alle “parti” per quanto attiene alle modalità di svolgimento del contraddittorio può porre rimedio a questa lacuna. La persona offesa non assurge al ruolo di parte nel procedimento e, di conseguenza, il testo dell'articolo 111 Cost non può essere oggetto di una interpretazione estensiva in grado di ricomprendere anche la vittima del reato.

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2001/220/GAI 42, dedicata alla valorizzazione del ruolo della vittima nel procedimento penale. Per colmare inoltre i deficit della Carta fondamentale e recepire le istanze sovranazionali venne avanzato in Italia un ulteriore progetto di riforma costituzionale.

Il disegno costituzionale del 2008 43 prevedeva l'inserimento all'interno dell'articolo 111 Cost di un nuovo comma “la vittima del reato e la persona danneggiata sono tutelate dallo Stato Italiano nei modi e nelle forme previste dalla legge”. Nonostante i buoni propositi e l'apertura dimostrata verso i dettami europei, la proposta di riforma del 2008 è naufragata nella mancata attuazione senza lasciare alcuna traccia di sé nel testo costituzionale. Tuttavia, nonostante l'attuale silenzio perdurante della nostra fonte suprema, non si può affermare che i diritti delle vittime siano privi di rilievo costituzionale e che per questa ragione debbano essere ignorati dal legislatore; in realtà ad essi deve attribuirsi un valore costituzionalmente rilevante attraverso il riferimento alle nozioni di dignità ed eguaglianza consacrate agli art 2 e 3.Cost. Pertanto lo Stato, mediante il riconoscimento di diritti alle vittime, non fa altro che adempiere a quei doveri solidaristici previsti in Costituzione nonché realizzare la piena attuazione del principio di eguaglianza44.

6. Persona offesa: ruolo e spazi di tutela ad essa riservati nell'attuale assetto processualpenalistico. Personaggio ancora

42Decisione quadro 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale con la quale il Consiglio si propone di riconoscere alla vittima un ruolo di primo piano nell'ambito del procedimento penale e di salvaguardarne l'integrità e la sicurezza mediante la predisposizione di misure di assistenza e protezione che l'accompagnino prima, dopo e durante il procedimento.

43Disegno di legge costituzionale, Senato della Repubblica, 8 maggio 2008, in www.senato.it.

44 F. MANTOVANI, Diritto Penale. Parte Generale, Padova 2001 p.862.

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“dimenticato” o futuro protagonista tra i vari attori principali sulla scena? (Cenni)

Al fine di individuare l‟attuale posizione della persona offesa all'interno del nostro sistema, in seguito alle varie modifiche eseguite nel corso degli ultimi anni nonchè frutto di numerose raccomandazioni e sollecitazioni sovranazionali, occorre partire dalla già citata decisione quadro 2001/220/GAI relativa al ruolo della vittima nel procedimento penale.45

Abbiamo precedentemente osservato come per lungo tempo l'offeso sia stato ampiamente trascurato e valorizzato solo nell'ottica di un‟ eventuale costituzione di parte civile,

per favorire unicamente il momento repressivo coinvolgente la figura dell'imputato.

Il codice di rito riconosce oggi alla vittima, all'articolo 90 c.p.p, il diritto di presentare memorie mediante le quali possono essere avanzate istanze, illustrate questioni o toccati temi rilevanti per il processo in corso e il potere di indicare elementi di prova.

In un sistema processuale come il nostro, che separa nettamente le penetranti istanze civilistiche attraverso la costituzione di parte civile da quelle riconosciute alla persona offesa, tali poteri probatori e di impulso rischiano però di essere utilizzati spesso in maniera distorta e strumentale allo scopo di celare, dietro la costituzione di parte civile, una ricerca di tutela della persona offesa dal reato nonché di titolare del bene giuridico protetto dalla norma penale violata.

Volendo inquadrare al meglio lo status quaestionis occorre soffermarci dunque su alcuni principali approdi legislativi-

45Sul punto si veda, D.VISPO, “La riscoperta del ruolo della persona offesa nel sistema processuale penalistico italiano: tra istanze vittimologiche e sollecitazioni internazionali” in www.lalegislazionepenale.eu, 26.02.2016, p.1 ss.

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sovranazionali e interni- che hanno maggiormente influito sul ruolo e diritti della persona offesa. Tra i vari provvedimenti sovranazionali occorre senz‟altro segnalare la Direttiva 2012/29/UE46 che ha istituito norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, prendendo atto della circostanza per cui il reato non determina solo un “torto” per la società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime. La stessa stabilisce per la prima volta una serie di guarentigie ad un soggetto processuale la cui tutela è stata progressivamente ampliata nell'ambito dell'Unione Europea. A titolo esemplificativo possiamo menzionare il diritto ad ottenere e rendere fruibile qualsiasi informazione utile per l'esercizio dei diritti, il diritto ad una partecipazione “consapevole” al processo penale attraverso il diritto ad essere sentiti (art.10)47, ad opporsi alla decisione di non esercitare l'azione penale (art.11), di ottenere ristoro economico, fino a toccare, nella parte in cui si dedica ai diritti partecipativi, alcune garanzie relative alla “giustizia riparativa”.

Sulla scia della sopracitata direttiva si inserisce la manovra legislativa interna attuata in tema di violenza di genere ad opera del D.L 14 agosto 2013 n.93 convertito in L. 15 ottobre 2013 n.11948, intervento ancora inadeguato rispetto alle richieste fatte dalla Direttiva 2012/29/UE ma che, comunque, va a rafforzare le forme di tutela della persona offesa anche all'interno del sottosistema

46Direttiva 2012/29/UE del 25 novembre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la DQ 2001/220/GAI. Sul punto si veda, L.LAURICELLA, Nuove prospettive per le vittime del reato nel processo penale italianoin “Il reato lungo gli impervi sentieri del processo, a cura di De Francesco e Marzaduri, Atti dell’incontro di studi, Pisa,26 Febbraio 2016, p. 178 e ss.

47Sul punto, E. N. LA ROCCA, op.cit, pp. 116-120.

48La legge 119 del 2013 sul contrasto alla violenza di genere ha infatti introdotto nel settore del diritto penale sia sostanziale che processuale una serie di misure, preventive e repressive, per combattere la violenza contro le donne, già individuate e descritte, insieme ai minori come vittime vulnerabili per eccellenza.

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cautelare, andandone ad ampliare l'ambito informativo e consentendo l'accesso della vittima del reato nel procedimento relativo alla revoca e alla sostituzione di un provvedimento cautelare, mediante la creazione di un diritto di interpello. Infine, in linea con quella prospettiva di rafforzamento dei poteri di intervento inaugurata con la suddetta l. 119/2013, occorre citare il d.lgs. 212/2015 con cui, nel dicembre 2015, è stata attuata la Direttiva 2012/29/UE. Tale intervento normativo, come verrà illustrato successivamente 49, mira a rafforzare il ruolo della persona offesa sulla scorta di quanto richiesto dall‟Europa che ha sollecitato più volte l‟Italia ad adeguarsi ad altri paesi dell‟U.E.

(Spagna, Portogallo, Francia) in cui il ruolo della vittima è ampiamente valorizzato e tutelato.

Tale provvedimento tocca vari aspetti del codice di rito e si colloca all‟interno di quella road map dei diritti tracciata dall‟U.E che in maniera settoriale ha introdotto norme a tutela della persona offesa. Basti pensare alle Convenzioni di Istanbul e di Lanzarote e alle direttive relative alla prevenzione e repressione della tratta di essere umani, all‟ordine di protezione europeo e alla lotta contro l‟abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori.

Si tratta comunque di interventi frammentari e, sotto questo aspetto, il d.lgs. 15 dicembre 2015 n.

212 mira, quantomeno negli intenti, a realizzare una sistematicità che mai si è avuta in materia50.

49 V. Infra, Cap. IV.

50M. BOUCHARD, Prime osservazioni al decreto legislativo sulle vittime di reato, in www.questionegiustizia.it, 14.01.2016.

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CAPITOLO II

Nozione e inquadramento della vittima in ambito internazionale ed europeo

1 . I n t r o d u z i o n e . 2 . L a C o n v e n z i o n e d i L a n z a r o t e . - 3 . L a C o n v e n z i o n e d i I s t a n b u l – 4 . Q u a d r o n o r m a t i v o d e l l a v i t t i m a d e l r e a t o i n a m b i t o e u r o p e o – 5 . L a t u t e - l a d e l l e v i t t i m e d i r e a t i s p e c i f i c i : l e f o n t i n o r m a t i v e a c a r a t t e r e p a r t i c o l a r e . – 6 . L a d i r e t t i v a 2 0 1 2 / 2 9 / U E i n m a t e r i a d i d i r i t t i , a s s i s t e n z a e p r o t e z i o n e d e l l e v i t - t i m e d i r e a t o .

1. Introduzione

Il panorama europeo riguardante la tutela giuridica della vittima è alquanto intricato e variegato.

Il termine vittima presta il fianco a numerose ambiguità, se confrontato con la terminologia nazionale dove si è adusi utilizzare i concetti di “persona offesa”, “danneggiato dal reato” e

“parte civile”, che solo parzialmente coincidono con quello di vittima.

Gli atti Europei, come dimostrano ad esempio i due combinati disposti del Considerando n. 6 e dell'articolo 9 della Decisione quadro 2001/220 GAI, nonché del Considerando n.37 e dell'articolo 16 della direttiva 2012/29/UE, nelle definizioni che danno, sembrano ricomprendere sia il significato di “persona offesa” che quello di “danneggiato”.

Entrambi prevedono la presenza della vittima già dall'inizio del procedimento penale, al pari della nostra persona offesa, ma

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contemplano anche il diritto di ottenere una decisione del giudice in materia di risarcimento del danno, al pari di quanto stabilito per il danneggiato che si costituisce parte civile 51.

Di fronte ad un panorama che, come tra poco vedremo, si presenta assai sfaccettato, il fil rougeè rappresentato dal comune intento di riconoscere alla vittima un ruolo significativo nelle scelte di politica criminale dei vari Stati, con l'intento di spostare la centralità delle esigenze difensive dell'accusato in favore di una maggior tutela dell'offeso sia da un punto di vista sostanziale che processuale.

In quest‟ottica ricostruttiva le fonti ONU, che nonostante possiedano il merito di aver coltivato le basi per una nuova considerazione della vittima, si connotano per una blanda forza normativa che spesso si traduce in un contenuto di sapore soprattutto dispositivo. Basti pensare alla Dichiarazione sui principi fondamentali della giustizia relativi alle vittime della criminalità e alle vittime dell'abuso di potere, dove compaiono interessanti riferimenti ai diritti procedimentali dell'offeso, all‟assistenza stragiudiziale dello stesso, alla protezione dell'incolumità della vittima e dei suoi familiari, nonché giustizia riparativa 52.

2. La Convenzione di Lanzarote.

Nel corso dei decenni sono state emanate dal Consiglio D'Europa numerose Carte e Convenzioni tra cui la Convenzione di Lanzarote del 25 ottobre 200753 contro lo sfruttamento e e gli abusi

51N. PASCUCCI, Osservazioni sulla vittima minorenne in ambito europeo, in Cass. Pen, n. 11- 2013, p. 4219

52V. BONINI, Protezione della vittima e limitazioni della libertà personale, p. 5 del dattiloscritto in corso di pubblicazione.

53Per un approfondimento sul tema si veda, S. MARTELLI, Le convenzioni di Lanzarote e

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sessuali in conseguenza della quale l'Italia, con legge n. 172/2012, ha modificato alcune disposizioni del codice penale e del codice di procedura penale.

La Convenzione, richiamando esplicitamente la decisione quadro 2001/220 GAI, è stata stipulata con il chiaro intento di rafforzare la protezione offerta dalla Convenzione di New York e dal suo protocollo opzionale, sviluppandone e completandone le norme (art.42).54

In particolare, al pari dei suddetti accordi internazionali, si dispone che gli Stati prendano le misure necessarie per garantire assistenza, a breve e a lungo termine, ai minorenni vittime di abusi, nonché ai loro familiari, finalizzata ad un ristabilimento fisico e psicosociale, tenendo in debita considerazione le opinioni, e le preoccupazioni del fanciullo.

Come del resto impone la vocazione sovranazionale dello strumento normativo, punto di partenza imprescindibile nella tessitura della trama convenzionale non può che essere la delimitazione del novero dei soggetti destinatari delle misure in essa contenute. A tal fine pertanto viene definito con il termine bambino ogni persona di età inferiore ai diciotto anni (art.3,lett., a) mentre con il termine vittima vengono disegnati tutti i soggetti passivi di sfruttamento e abuso sessuale (art. 3, lett., c).

Ponendosi dunque in perfetta linea con una impostazione già diffusa nei testi sovranazionali dedicati alle “vittime” la Convenzione si muove lungo due assi processuali portanti: “fare del processo penale uno strumento di tutela della vittima e allo

Istanbul: un quadro d’insieme, in L.LUPARIA, Lo statuto europeo delle vittime di reato, modelli di tutela tra diritti dell'unione e buone pratiche nazionali, 2015, pp. 31-38.

54Si tratta rispettivamente della “Convenzione sui diritti del fanciullo” firmata a New York il 20 novembre 1989 e del Protocollo opzionale alla Convenzione dei diritti del fanciullo sulla vendita dei bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia inscenante bambini, stipulato a New York nel 2000.

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