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LA PIANIFICAZIONE E IL PIANO REGOLATORE PORTUALE

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C A P I T O L O I I

LA PIANIFICAZIONE E IL PIANO REGOLATORE PORTUALE

2.1 LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA DEI PORTI.

Si è già ampiamente trattato di come l’evoluzione dei tempi, di pari passo con

l’evoluzione degli elementi facenti parte del porto ne abbiano ridefinito la concezione. Questo anche a seguito dell’importante e continuo intervento comunitario che nel frattempo ha indirizzato verso una liberalizzazione di ogni attività comprendendo anche quelle portuali. Tali trasformazioni hanno inciso profondamente nel quadro normativo, interessando in particolare il diritto pubblico dell’economia e il settore dei trasporti sui quali si è posizionata un’attenzione sempre maggiore da parte dell’Unione Europea. Di conseguenza, la nuova situazione normativa formatasi, pervasa dall’obiettivo della produttività e della libera concorrenza ha prodotto nuove forme di governo dei porti, ridisegnandone la pianificazione alla luce di questo nuovo e importante ruolo

nell’economia dell’Unione. Di qui un’evoluzione concettuale e disciplinare con un inedito modello di gestione del porto sufficientemente elastico ed imprenditoriale. Perciò in virtù di tutte le trasformazioni dell’ultimo ventennio ne esce un modello pervaso dalla cultura della concorrenza che sta portando sostanziali modifiche al tradizionale modello di gestione.

Oggi il porto non è più il mero luogo di passaggio, magazzinaggio e smistamento delle merci, ma centro di convergenza di forze commerciali, industriali e logistiche di richiamo di attività economiche non strettamente correlate a quelle tradizionali, anche allocate al di là dei confini del porto stesso e di rilevanza per il territorio. Nella accezione più moderna il porto non può essere scisso dalla comunità e dagli organi territoriali; riguardo la pianificazione e la programmazione, non può essere emarginato dal generale processo di ripartizione delle merci in quanto oggi si connota diversamente rispetto al passato nella filiera dei trasporti per effetto delle operazioni che precedono e seguono l’arrivo e la sosta delle merci.

Di conseguenza il porto dovrà essere lo snodo centrale della catena logistica che sottende al trasporto integrato e dovrà ottenere rilevanza nelle decisioni di politica economica del territorio, anche se per giocare questo ruolo deve poter contare su un sistema giuridico adeguato ai tempi.

In questo quadro, è evidente che le Autorità di sistema portuale assumano un importante ruolo di regolatore da cui deriva la più importante funzione attribuita a tale organo che è quella della pianificazione disciplinata prevalentemente all’art. 5 della l. n. 84/94.

Pertanto, la pianificazione è volta ad organizzare una strategia uniforme con l’obiettivo di sostenere il potenziamento delle infrastrutture portuali e dei suoi legami terrestri,

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potenziando l’accesso al porto sia via mare che via terra, fornendo in tal modo un importante contributo anche allo sviluppo economico del paese1.

In particolare si fa leva sulla necessità di rendere coerente il sistema portuale con la strategia portuale nazionale che viene elaborata presso la “Conferenza nazionale di coordinamento delle ADSP” che secondo l’attuale art. 14 del d.lgs. 169/2016 svolge funzioni di “armonizzazione e coordinamento a livello nazionale le scelte strategiche che

concernono i grandi investimenti infrastrutturali, le scelte di pianificazione urbanistica in ambito portuale, le strategie di marketing e promozione sui mercati internazionali del sistema portuale nazionale, operando, altresì, la verifica dei piani di sviluppo portuale”.

Sulla pianificazione “incidono principi di governance europei (principalmente sulla materia dei trasporti in cui si vuole realizzare una rete globale e centrale, cui si aggiunge come vedremo un forte interesse verso la tutela ambientale) e nazionali2, indirizzi politici e normativi, obiettivi e modelli”3. La stessa prende vita grazie all’apporto fornito dal

documento di indirizzo della pianificazione ed il piano regolatore portuale. In

considerazione di tutto ciò, appare indispensabile la funzione pianificatrice per quanto riguarda l’implementazione e lo sviluppo di quei motori per la crescita che sono i porti. L’importanza della pianificazione non può prescindere dalla individuazione del concetto di ambito portuale che è di complicata definizione non solo a livello concettuale, ma anche perché implica la definizione dei confini del mercato entro cui l’Autorità di sistema portuale esercita le sue prerogative di regolazione e promozione come prevede l’art. 16 della l. n. 84/94.

Dal concetto di ambito portuale “derivano importanti conseguenze riguardo

l’applicazione della speciale normativa del lavoro portuale o la determinazione del livello e della modalità di erogazione dei servizi di interesse generale, ma

particolarmente ai fini del panorama di incremento del traffico marittimo.4

Sempre riguardo al concetto di ambito portuale, è utile richiamare la sentenza della Cassazione civile n. 1961 del 2005 secondo la quale l’ambito portuale “è individuato e

definito non solo attraverso la delimitazione della circoscrizione territoriale dell’Autorità portuale e di classificazione del porto, ma si completa con il piano regolatore portuale”.

Ancora, nel succitato articolo 5, comma 1 della l. n. 84/94 non si ravvisa una precisa definizione di ambito portuale in quanto si stabilisce che “l’ambito e l’assetto

1 È sulla pianificazione portuale che puntano molto ancora oggi le Linee guida per la redazione dei piani

regolatori di sistema portuali del 2017

2 Secondo le linee guida del 2017 sui piani regolatori, la nuova pianificazione infrastrutturale nazionale

avviene per mezzo del Piano generale dei trasporti e della logistica, il Documento pluriennale di pianificazione e l’Accordo di partenariato 2014-2020 tra Italia e Commissione europea per l’impiego dei fondi strutturali e di investimento europei.

3 Linee guida 2017 sulla redazione dei piani regolatori di sistema portuale.

4 M.MARESCA, “La governance dei sistemi portuali tra diritto interno e diritto comunitario”, 2006, pag. 89

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complessivo del porto, comprensivo delle aree destinate alla produzione industriale, alla cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, siano rispettivamente delimitati e disegnati dal Piano regolatore portuale, che individua altresì le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree interessate”.

Se comunque la legge è stata in grado di individuare in qualche modo ciò che rientra nella nozione di ambito portuale, lo stesso non si può dire sulla nozione di circoscrizione portuale contenuta nell’ art. 6 della l. n. 84/94. Questo perché solamente al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti spetta il compito di individuare i limiti della

circoscrizione del territorio di competenza di ciascuna Autorità portuale. L’espressione “circoscrizione”, a differenza delle altre si riferisce precisamente all’ambito fisico-geografico ed è perciò qualificata come lo spazio di costa ricompresa tra confini

nettamente delineati, in cui sono presenti aree demaniali, opere portuali all’interno delle quali quali gli enti di gestione del porto esercitano le peculiari funzioni di

programmazione, indirizzo, coordinamento, promozione e controllo.

Alla base della pianificazione troviamo il concetto di porto da intendersi come insieme di elementi sia naturali che artificiali non solo di appartenenza demaniale in un’accezione di evoluzione sistematica grazie al suo continuo adeguarsi ai traffici. Pertanto, nella

definizione di ambito portuale si vanno ad includere aree private e anche demaniali, più precisamente tutte le aree occupate da installazioni ai fini di attività industriali e

cantieristiche serventi il porto, comprendendo anche aree libere che il piano regolatore destinerà al compimento, sviluppo e al servizio del porto.

In considerazione di tali aspetti si evince che il concetto di ambito portuale, in cui le Autorità estendono i propri poteri, non è più legato all’aspetto principalmente territoriale, ma funzionale alle varie esigenze del traffico marittimo e del porto stesso, infatti l’art. 18 della legge prevede che “la realizzazione e la gestione di opere attinenti alle attività

marittime e portuali collocate a mare nell’ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee anch’essi da considerarsi a tal fine ambito portuale, purché interessati dal traffico portuale e dalla prestazione di servizi portuali anche per la realizzazione di impianti destinati ad operazioni di imbarco e sbarco rispondenti alle funzioni proprie dello scalo marittimo”.

Il concetto di ambito portuale comporta ulteriormente, una questione spinosa, ovvero se esso debba comprendere solamente la circoscrizione territoriale, cioè le aree previste dall’art. 4, comma 4 della legge 84/1994 o possa riferirsi ad ulteriori ambiti purché strettamente collegati al porto. Questione risolta dalle “Linee guida del 2004 adottate dal Ministero delle infrastrutture e trasporti sulla “redazione dei piani regolatori portuali”, nelle quali si giunge a scindere l’ambito portuale in due sottoambiti: quello del “porto operativo” e quello dell’“interazione porto città”. Nel primo fanno parte “le aree portuali

propriamente dette, strettamente interconnesse alle funzioni portuali primarie (ormeggio delle navi, carico e scarico delle merci) a cui riconoscere propria identità ed

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autonomia”5. Il secondo, sempre secondo le linee guida, “comprende le attrezzature legate ai servizi portuali, ma anche, in alcuni casi, al commercio, alla direzionalità e alla cultura, attività propriamente urbane”; cioè gli innesti e gli affacci urbani tra il

porto e la città.

Chiarito quest’aspetto, possiamo accingerci a concludere affermando, in poche parole, che il piano regolatore individua l’ambito dei porti costituenti il sistema, all’interno del quale ha valenza il piano stesso.

2.2 I PIANI REGOLATORI DI SISTEMA PORTUALE

Il Piano regolatore portuale (oggi definito Piano regolatore di sistema portuale) delinea una delle competenze più importanti delle Autorità di sistema portuale ed è il

presupposto per la realizzazione delle opere nell’ambito del porto. Come già detto è disciplinato dall’art. 5 della legge di riforma del 94’ (oggi modificato dall’art. 1 del d.lgs. 232/2017) nella quale viene chiaramente evidenziata la sua funzione di circoscrivere e delineare “l’ambito e l’assetto complessivo del porto, ivi comprese le aree destinate alla

produzione industriale, all’attività cantieristica, e alle infrastrutture stradali e ferroviarie” dovendo anche provvedere ad individuare le “caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree interessate”.

Il piano regolatore portuale “si colloca nel novero dei piani speciali di competenza degli

enti diversi da Comune e Regione e costituisce lo strumento pianificatorio nell’ambito portuale, avente natura esclusivamente tecnica e finalizzato allo svolgimento delle attività portuali”.6

Effettivamente, il suo oggetto riguarda uno spazio abbastanza indefinito in quanto abbraccia le infrastrutture locali e uno sviluppo commerciale che va oltre una vera e propria delimitazione dello spazio porto.

Se è ormai fuori discussione la rilevanza assegnata ai porti e alla loro funzione

nell’economia globale dalle istituzioni europee e da quelle italiane altrettanto dovrebbe essere per lo strumento piano regolatore. Infatti, in riferimento alle considerazioni fin qui esposte non si può che constatare quanto il piano regolatore portuale sia lo strumento capace di far convergere i vari interessi in gioco che talvolta possono essere fortemente confliggenti e per questo risulta fondamentale per ogni idea di sviluppo degli scali marittimi.

Si deve approfittare perciò della capacità di tale strumento per superare così il precedente disinteresse che si aveva nei confronti dei piani regolatori come testimoniato da alcuni autori, in particolare Sirianni, secondo il quale “i piani regolatori portuali non hanno la

5 Linee guida sulla redazione dei piani regolatori portuali, adottate dal Ministero Infrastrutture e trasporti

nel 2004; B2. 2

6 Cfr. sent, C.d.S. n. 1538/2006, la quale afferma, in aggiunta, che il piano “determina nell’ambito portuale

l’assetto viario, la sistemazione degli edifici, la distribuzione degli impianti; esso è di competenza dell’Autorità portuale”.

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natura di piani urbanistici, non dettano norme e non hanno efficacia verso l’esterno”7.

Possiamo affermare con certezza di quanto lo strumento pianificatorio rappresenti una sintesi fondamentale tra i diversi interessi in gioco che talvolta possono essere oggetto di scontri.

Nonostante la funzione fondamentale svolta dal piano regolatore portuale per lo sviluppo economico, esso incontra la limitazione da parte art. 5, comma 2, della legge di riforma del 1994 secondo cui le “previsioni del piano regolatore portuale non possono

contrastare con gli strumenti urbanistici vigenti” (questo divieto di contrasto con gli

strumenti urbanistici è rimasto tuttora fermo anche con il nuovo d.lgs. 232 del 2017, come ribadito dal comma 2 sexies). Il divieto in esame risulta però derogabile solamente alla condizione che il Comune adotti una variante al proprio piano regolatore; dopodiché la Regione potrà approvare il piano regolatore solo contestualmente all’approvazione della propria variante.

Un’ ultima considerazione riguarda un argomento oggetto di dibattito, ovvero la natura del piano regolatore portuale da cui discende una particolare collocazione che lo differenzia dagli altri strumenti di pianificazione territoriale. Innanzitutto il piano

regolatore ricomprende “tutto l’ambito portuale nel suo complesso, una volta delineato e

predisposto preclude regolamentazioni generali o di settore; inoltre oltre volta che il Piano è stato approvato, anche al Comune è preclusa ogni trasformazione unilaterale del raggiunto assetto. Da ultimo, con il piano vengono raggiunte finalità di progresso economico e di carattere urbanistico”.8

Tutte queste caratteristiche, escludono il piano regolatore dalle categorie tipiche che si riferiscono agli strumenti di pianificazione territoriale o di settore. Con riferimento agli strumenti di pianificazione settoriali, anche se dimostrano alcune analogie con il PRP, non sono sufficienti per essere assimilabili al piano regolatore.

Si può concludere il discorso sulla natura affermando che in virtù delle tesi

panurbanistiche “il PRP sia strumento di governo del territorio atipico che può per certi

versi risultare assimilabile ai consueti modelli di governo del territorio ma che, nel suo complesso non è suscettibile di riconduzione ad alcuni di questi”.9

2.3 IL PROCEDIMENTO DEL PIANO REGOLATORE DI SISTEMA PORTUALE Prima di iniziare la trattazione sull’iter procedurale, è doveroso riferirsi al documento che lo precede, che lo guida e che lo indirizza, si tratta del cosiddetto “Documento di

indirizzo della pianificazione”. Questo fornisce l’indicazione degli indirizzi ed obiettivi che devono essere contenuti e raggiunti dal piano regolatore, “può realizzare un modello

ad hoc del processo di redazione e della successiva implementazione del piano regolatore, definisce parte dei contenuti del rapporto ambientale preliminare e

7 G.SIRIANNI, “L’ordinamento portuale”, Milano per Giuffré, 1981, pag. 68.

8 G.ACQUARONE, “Il piano regolatore delle Autorità portuali”, Milano per Giuffré, 2009, pag. 381. 9 Ibidem, pag. 381.

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costituisce, infine, strumento di supporto al raggiungimento di pre-intese con le Amministrazioni comunali interessate”10.

Una volta precisato ciò, si può tornare al procedimento del piano regolatore; si deve partire analizzando la fase anteriore all’adozione dello stesso, fase in cui si possono ravvisare tutti gli interessi in gioco, cioè la Conferenza dei servizi.

Siccome tale conferenza deve precedere l’intesa tra il Comune e l’ADSP, la sua disamina deve essere affrontata prioritariamente considerando che alcune delle valutazioni

espresse dai soggetti partecipanti potrebbero inibire la realizzazione del Piano regolatore. In assenza di una precisa normativa si ribadisce l’occasione e la necessità di attivare prima della stipula dell’intesa, un’innovativa e diversa fase procedimentale alla quale siano invitati tutti i soggetti pubblici aventi causa. Tali soggetti possono identificarsi nello Stato che entra in gioco riguardo al, profilo della logistica integrata, della attuazione e del finanziamento di infrastrutture, all’interno dell’ambito portuale e in funzione del suo collegamento con le reti stradali e ferroviarie nazionali ed internazionali, inoltre dell’ambiente e della sicurezza.

La Regione “che interviene per tutelare gli interessi urbanistici e paesaggistici e alla

individuazione degli impianti produttivi, oltre ad avere competenza sul procedimento di valutazione ambientale del piano posteriore alla sua adozione. La Provincia, poi partecipa alla formazione per i soli aspetti urbanistici e idrogeologici. Si aggiunge inoltre il coinvolgimento degli enti territoriali nella realizzazione di opere di infrastrutturazione esterne ma di interesse per lo scalo marittimo”11.

Risultano, pertanto diversi gli enti territoriali pubblici che debbono valutare le proprie competenze esaminando gli obiettivi dell’Autorità portuale per il cui parere dissenziente potrebbero verificarsi conseguenze negative riguardo l’adozione dello stesso piano.12

L’Autorità di sistema portuale potrebbe essere condizionata già in partenza nel predisporre il piano regolatore dal consenso preventivo da parte dell’amministrazione centrale, per cui è essenziale l’avere una visione preventiva globale che abbracci il porto e le aree limitrofe più o meno vicine al fine anche di evitare un accrescimento delle infrastrutture di accosto sproporzionato dove le merci imbarcate o sbarcate non trovino agevole transito.13.

10 Linee guida 2017 sulla redazione dei piani regolatori di sistema portuale, pag. 32. 11 Ibidem, pag. 289.

12 Come esempio, basti pensare “alla mancata individuazione annuale di grandi infrastrutture portuali da

parte del Ministero dei Trasporti, e sempre con riferimento alla posizione statale, all’omessa previsione di adeguate opere di raccordo tra il porto e le reti viarie o ferroviarie. Cit. G. Acquarone, “Il piano regolatore

delle Autorità portuali”, Milano per Giuffré, 2009, pag. 289.

13 Allo stesso tempo parrebbe inutile occupare una parte della zona riguardante l’ambito portuale con

impianti industriali dove non esistesse il consenso preventivo da parte degli enti competenti ad acconsentirne l’esercizio

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Per verificare l’attuabilità delle previsioni pianificatorie è necessario che il Segretario Generale dell’Autorità di sistema portuale che “elabora il piano regolatore di sistema

portuale”14inviti il Presidente dell’Autorità di indire una conferenza preliminare dei

servizi, anteriormente ad una conferenza decisoria e all’intesa tra città e porto Il nostro ordinamento riconosce tre tipologie di Conferenze, noi ci concentreremo su quella decisoria e quella preliminare.

Con riferimento a quest’ultima, è previsto dall’art. 14 comma 3 della l. n. 241/1990, nella sua versione più aggiornata (2016 con il d.lgs. 127), che tale conferenza possa essere convocata “per progetti particolarmente complessi, corredati da uno studio di fattibilità

e sia finalizzata ad indicare al richiedente, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivo, le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari pareri, intese concerti, nulla osta, autorizzazioni, concessioni o altri atti di assenso, comunque denominati”. Spiegandoci meglio, questa può “essere convocata su richiesta motivata di soggetti privati interessati a realizzare progetti di particolare complessità o insediamenti produttivi. Il privato sottopone uno studio di fattibilità alle amministrazioni competenti a rilasciare gli atti autorizzativi, i pareri e le intese ancor prima di

presentare formalmente le istanze necessarie”15.

Da ciò si ricava come la conferenza preliminare dei servizi non sia un’azione di semplificazione dell’azione amministrativa, bensì uno strumento di valutazione dei diversi interessi pubblici coinvolti. Si tratta perciò di una “modalità operativa volta sia a

realizzare il coordinamento tra le amministrazioni, sia a semplificare lo svolgimento del procedimento” 16 della conferenza stessa.

Emerge pertanto l’aspetto di maggior rilievo che è quello di riportare ad unitarietà le diverse e frazionate competenze distribuite tra vari organi per il fine di tutela di interessi pubblici. Alla luce di queste considerazioni pare opportuno precisare quanto sia stato difficoltoso raggiungere obiettivi di carattere generale anche utilizzando strumenti di coordinamento tra diverse amministrazioni, considerati i principi per cui le

amministrazioni potevano agire solamente tramite atti unilaterali spesso di natura autoritativa.

Affinché venga raggiunto un risultato condiviso concorrono due importanti modifiche contenute nelle l. n 15, 21 febbraio 2005, agli originari art. 14 e ss. della l. n. 241/1990 e appare rilevante che invece del criterio di “maggioranza”, “secondo cui ad ogni

amministrazione partecipante corrisponde un solo voto (criterio soggettivo) sia stato utilizzato quello di “prevalenza” che si riferisce invece al tipo e all’importanza delle attribuzioni di ciascuna amministrazione”17.

14 Cfr. art. 10 comma 4, lett. “f”, l. 84/1994.

15 M.CLARICH,“Manuale di diritto amministrativo”, Bologna per Il mulino, 2015, pag. 260. 16 M.CLARICH, “Manuale di diritto amministrativo”, Bologna per Il mulino, 2015, pag. 258.

17 V.CERULLI IRELLI, “Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa” in

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In sostanza, il raggiungimento di una posizione unitaria18, se per certi aspetti rende

condivisibili le tesi di coloro che hanno individuato in tale modello procedimentale “uno

strumento funzionale ad un accordo tra amministrazioni, dall’altro non consente comunque di condividere un suo inquadramento tra gli accordi pubblici data l’assenza di un formale incontro di volontà”.19

Infatti, i molteplici interessi presenti possono portare l’amministrazione precedente ad allargare la partecipazione alla conferenza preliminare anche a soggetti pubblici

marginalmente interessati con lo scopo di alterarne gli equilibri interni è così gravare sul risultato dei suoi lavori.

Altro aspetto da evidenziare è il principio per cui nei casi in cui non venissero evidenziati motivi particolarmente preclusivi alla realizzazione dell’iniziativa le amministrazioni che non si trovano in accordo debbono presentare le loro osservazioni di modifica il cui accoglimento ne potrebbe causare il cambiamento di giudizio (dissenso costruttivo). Soffermandosi brevemente sul dissenso da parte delle amministrazioni che curano interessi pubblici (come la tutela del territorio o del paesaggio), il nuovo articolo 14 quinquies della legge 241/1990, modificato dal d.lgs. 127/2016, prevede la possibilità di fare ricorso per tali amministrazioni al Presidente del Consiglio dei Ministri, “a

condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori. Per le amministrazioni statali l’opposizione è proposta dal Ministro competente”. Considerare qui il dissenso è fondamentale, perché sulla base di

esso può essere richiesta una Conferenza decisoria da parte di una delle amministrazione dissidenti20.

Così, ai nostri fini dovrebbe essere indetta “una conferenza a livello decisionale tra i vari

soggetti pubblici interessati, fatta eccezione per il Comune, con l’intento di ottenere un apparato stabile relativo alle infrastrutture per favorire lo sviluppo del porto. Inoltre, la stipula dell’intesa deve seguire i rapporti tra Comune e Autorità e presenta diversi aspetti che essendo particolarmente specifici e dettagliati, non necessitano di valutazione in sede di comparazione di altre problematiche”21.

Più precisamente, occorre sottolineare che né la conferenza preliminare, né quella decisoria eventualmente susseguente, sopprimono includendone il contenuto, il procedimento d’intesa tra Comune ed Autorità di sistema portuale.

Pertanto, la conferenza dei servizi rappresenta semplicemente un antecedente

indispensabile di verifica di sussistenza delle condizioni per raggiungere un confronto

18 Infatti, ciò che influenza l’idea di unitarietà è l’interesse nazionale come prevede la Costituzione, che è

ispirato a un principio di unitarietà, nonostante diverse aperture nei confronti di un decentramento legislativo e amministrativo.

19 Ibidem, pag. 296.

20 Da notare che la possibilità di richiedere la conferenza decisoria è posta in capo ai soggetti privati

interessati.

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degli interessi “città-porto” possibile in quanto verificata in via preventiva la realizzabilità di un funzionale scalo marittimo dotato di infrastrutture adeguate.

Da sottolineare che ottenuta una certa conformità di intenti, gli atti conclusivi se difformi dalla volontà già manifestata precedentemente diventerebbero illegittimi nel caso si discostassero dalla posizione espressa nell’ambito della conferenza e ciò avvenisse senza motivo. Alla conferenza partecipa, attraverso propri rappresentanti legittimati, ogni soggetto pubblico convocato e la medesima non costituisce un momento decisorio per cui è comunque necessaria da parte dei partecipanti l’adozione degli atti finali.

Infatti, le determinazioni finali sono convogliate in una conferenza decisoria (tranne nell’intesa con il Comune) che è l’ultima possibilità di esprimere eventuali opinioni in disaccordo sia espresse precedentemente o sollevate per la prima volta “in presenza di

significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento” (art. 14 bis, comma

4).

Precisamente, risulta più conforme ai principi ritenere l’eventuale disaccordo

sopraggiunto come espressione del potere di revoca esercitabile, come è noto, fino a che l’altro soggetto a ritiro non abbia dispiegato effetti definitivi nei confronti di terzi interessati.

Nel caso di unanimità di vedute per l’apparato degli interessi e quello di essi che risulti primario, l’amministrazione procedente avrà la possibilità di emanare un provvedimento finale in ottemperanza a quanto risultante dalla conferenza decisoria, il quale sostituirà ogni altro atto abilitativo.

Nel caso in cui all’interno della conferenza decisoria non ci sia unanimità, la medesima amministrazione si potrà avvalere degli strumenti atti a superare le eventuali contrarietà come dispone l’art. 14 quinquies della l. n. 241/1990. In tal caso, è infatti previsto che la determinazione di un interesse a livello nazionale e collegato a una grande infrastruttura permette il superamento di eventuali conflitti di competenza, sia legislativa che

amministrativa tra Stato e Regioni, determinando di conseguenza una forza decisiva negli atti di indirizzo politico.

D’altra parte, “la distinzione delle materie oggetto di riparto non può incontrare limiti

invalicabili, in quanto la legislazione esclusiva statale presenta una notevole

trasversalità, così da renderne particolarmente difficoltosa una precisa demarcazione. Ad ogni modo, il superato parallelismo tra le funzioni legislative e quelle amministrative, consente che quest’ultime, in forza dei ricordati principi di adeguatezza e sussidiarietà, possano essere attratte, dai poteri centrali nella propria sfera di competenza

amministrativa”.22

22 Ibidem, pag. 301.

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Il caso di opposizione di alcuni enti locali minori, riguardo infrastrutture viarie o ferroviarie, che incidono negativamente nell’ambito territoriale di entrambe, senza produrre alcun beneficio per la collettività è un esempio frequente di quanto affermato. Prima di concludere sulla Conferenza dei servizi è doveroso soffermarsi sul riparto di competenze tra Stato e Regioni circa le funzioni amministrative relative alla

realizzazione di grandi infrastrutture. Queste sono state attribuite di competenza centrale con la sentenza della Corte Costituzionale, 1° ottobre 2003, n. 303, anche se

l’approvazione finale di tali progetti è stata subordinata dalla medesima sentenza ad un’“intesa forte” tra Stato e Regioni. Sul tema del riparto delle competenze

amministrative per la realizzazione delle opere nei porti, ci sono sempre stati degli scontri accesi tra Stato e Regioni. Il problema si è aggravato con la difficoltosa riforma del 2001 sul titolo V della Costituzione che ha messo ancora più in mostra la difficoltà di contemperare l’esigenza statale con quella territoriale.

Difficile perciò uscire da questo labirinto intricato di competenze; non tutto però è

perduto, la soluzione a questo punto potrebbe venire dall’ultima legge di riforma dei porti con il d.lgs. 169 del 2016 all’art. 4 che revisiona e semplifica la cosiddetta classificazione dei porti. Questa permette così di rendere chiaro quale sia la competenza per la singola tipologia di porto, velocizzando altresì l’iter amministrativo.23

L’adempimento che segue la conclusione della procedura finora trattata, è l’Intesa tra l’autorità portuale e il Comune che rappresenta l’unico adempimento strumentale all’adozione del piano regolatore da parte del Comitato di gestione.

È prevista la verifica preliminare di quali siano gli interessi da tutelare prima della stesura del PRP, per cui anche se non contemplato dalla legge, si ritiene necessario un incontro tra i vari enti pubblici interessati così da poter esternare la propria posizione che potrebbe anche rivelarsi preclusiva rispetto alla stessa pianificazione.

L’intesa produce effetti vincolanti sia che la si consideri un nuovo modello di procedura riguardante la formazione della volontà sia le si attribuisca forma contrattuale, tanto che una volta ottenuta per i soggetti non è più possibile discostarsene.

Di fatti l’art. 5 della l. 84/1994 prevede che l’intesa sia insuperabile e presenti sostanziali differenze rispetto agli ordinari aspetti procedimentali che vengono normati dalla legge generale sull’azione amministrativa (in particolare il più volte modificato art. 14 della l. 241/1990) che permette di ottenere una decisione finale anche in caso di dissenso dei partecipanti.

Il fatto che la legge di riforma abbia previsto esclusivamente il modello consensuale può sembrare una visione marginale, ma determinata dal volere evitare i frequenti conflitti

23 Sul tema F.MONCERI, “La classificazione dei porti”, in “Federalismi.it”, 2019; L’autore aggiunge che “una

maggiore relazione tra classificazione ed attribuzione delle relative funzioni amministrative

conseguirebbe, con ogni probabilità, effetti utili alla semplificazione amministrativa, con possibili vantaggi per la competitività delle realtà portuali nazionali”.

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derivanti dalla creazione di nuovi scali marittimi o lo sviluppo di quelli esistenti, ad esempio le città-porto.

In effetti, “considerando il periodo storico in cui la legge di riforma è stata emanata il

ruolo predominante affidato ai Comuni per ciò che riguarda il piano regolatore portuale appare evidente, come risulta dalla protezione degli interessi urbanistici che ad oggi risultano riscontrabili nonostante la legge vigente e le successive modifiche

intervenute”24. Ciò vale per quanto riguarda i rapporti tra Amministrazione Comunale e

Autorità portuale ed è stato riaffermato a livello legislativo anche successivamente all’art. 14 della L. 7 agosto 1990, n. 241.

La maggioranza degli studiosi dei problemi del piano portuale non ne hanno comunque assegnato sufficiente importanza, “anche laddove sia stata accordata particolare

attenzione all’accordo tra pianificazione urbanistica e portuale”25

Anche coloro che si sono ravvicinati, non ne hanno approfondito la natura, avendo come unica preoccupazione quella di focalizzare i mezzi atti a superare l’eventuale mancato raggiungimento ai fini di eseguire le opere portuali in ogni caso, come da piano regolatore portuale.

“Appare quindi importante soffermarsi su tale istituto che va, innanzitutto collocato nella

categoria degli accordi pubblici procedimentali.26

È opportuno rimarcare però la difficoltà nel riconoscere la legittimità di tali accordi, dovuta all’incontro di volontà tra soggetti diversi; problema poi superato dall’ art. 15 L. 241/1990 secondo cui: “le amministrazioni possono sempre concludere tra loro accordi

per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”. Da ciò

si ricava l’esistenza di forme di accordi tra pubbliche amministrazioni definite “orizzontali”27.

Resta però tuttora vivo il dibattito circa la loro natura, tra posizioni favorevoli

all’inquadramento privatistico e altre favorevoli a quello privatistico; fonte di scontro è anche quella tra coloro che sostengono la loro natura contrattuale e quelli che la negano in base all’ assenza di patrimonialità di tali accordi.

Inoltre rimane forte la diatriba sul tema del recesso unilaterale da parte di uno dei due soggetti pubblici contraenti. A riguardo risulta difficile individuare “un criterio uniforme

riferibile ad ogni fattispecie, dovendosi perciò ricercare soluzioni caso per caso, specie con riferimento agli accordi di durata”.28

La tesi che nega la possibilità di recesso unilaterale trova sponda nell’art. 11, comma 4 della L. 241/1990 secondo il quale è possibile il recesso unilaterale dall’accordo per

24 G.ACQUARONE, “Il piano regolatore delle Autorità portuali”, Milano per Giuffré, pag. 287. 25 R.LONGOBARDI, “I porti marittimi”, pag. 126.

26 G.ACQUARONE, “Il piano regolatore delle Autorità portuali”, Milano per Giuffré, 2009, pag. 304. 27 Ibidem, pag. 306.

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sopravvenuti motivi di pubblico interesse, facendo però salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatosi in danno del privato. Quest’ultimo aspetto ha portato la dottrina “a negare totalmente il

recesso unilaterale, anche per motivi di pubblico interesse; ma considerazioni così restrittive non hanno fatto altro che svilire l’essenza “unitaria” tipica dell’intesa”.29.

Generalmente l’intesa è efficace fino a quando il Comitato di gestione non abbia adottato il piano (art. 5 L. 84/1994.), ciò comporta che prima che il progetto di piano sia

esaminato dallo stesso, si debba risolvere il problema di come rispettare la previsione dello stesso art. 5, comma 2 che vieta alle disposizioni del piano regolatore di contrastare con gli strumenti urbanistici vigenti. “Il caso problematico è sicuramente in caso di

violazione di quest’ultimo divieto, il che può comportare modifiche al progetto di piano portuale o impegno da parte del comune a modificare i propri strumenti di

urbanizzazione, tutto ciò in virtù del principio “pacta sunt servanda” che obbliga il Comune a eseguire le iniziative concordate in sede di intesa”.30

Altro quesito riguarda la durata dell’intesa, che secondo l’art. 27, comma 3, della L. 84/1994 perdura fino al loro aggiornamento, da effettuarsi in base alle procedure dell’articolo 5 della stessa legge, modificate nel 2017 e di cui parleremo nel corso del capitolo in esame. L’art. 27 appare però lacunoso nell’affermare quando si debba provvedere a tale aggiornamento, generando inevitabilmente problemi pratici, non dissimili da quelli che si pongono nel caso in cui strumenti urbanistici adottati non appaiono più attuali e debbano essere di conseguenza variati. Si permette così al Comune di approntare modifiche al piano regolatore portuale alla stregua dell’Autorità portuale. Risolta la problematica del recesso unilaterale dall’intesa e dell’efficacia della stessa, si deve infine riferirsi agli adempimenti dei soggetti contraenti nella stipula dell’intesa. In primis, il rappresentante del comune, fornito dei necessari poteri, deve manifestare la posizione dell’amministrazione di appartenenza. Se il rappresentante ritiene di poter mutare il proprio atteggiamento con opportune modifiche, deve avvalersi dell’istituto del dissenso costruttivo volto a superare i profili di contrasto. Si deve sottolineare come “la

delibera contenente la volontà dell’amministrazione municipale, si riferisca ad aspetti specifici come i rapporti tra città e scali marittimi che possono comunque bloccare l’intesa o addirittura il piano regolatore portuale”. 31

Infatti sussiste un interesse da parte dell’amministrazione comunale, che li consente di modificare il proprio atteggiamento, con riguardo all’interazione tra porto e città, riguardo aree che pur facenti parte del perimetro demaniale possono assumere

importanza in relazione a spazi che hanno dismesso la loro primaria funzione legata al porto e si sono dimostrate come riqualificabili da un punto di vista urbanistico, ad esempio per usi turistici o ricreativi. In tali aree viene evidenziata la difficoltà di

29 Ibidem, pag. 315. 30 Ibidem, pag. 316. 31 Ibidem, pag. 312.

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coniugare le esigenze legate allo sviluppo portuale e quelle relative ai centri urbani, per cui è doveroso riconoscere all’autorità comunale un interesse in tema di

regolamentazione e standard edilizi considerando l’importanza urbana che possono rivestire tali aree di interazione affinché si ottengano forme di utilizzazione del territorio razionali e rispettose dei cittadini

Di contro, l’interesse non sussisterebbe e l’autorità comunale non potrebbe essere esercitata nemmeno per le iniziative edilizie di privati che soddisfino interessi pubblici. “In effetti, appare evidente che il Comune non debba e non possa pronunciare il proprio

parere riguardo l’ubicazione delle strutture facenti parte dell’ambito portuale e

parimenti, non risulta ammissibile che possa essere negata l’intesa per quanto riguarda le opere a servizio della stessa crescita del porto anche considerando che lo stesso non si presenta come zona soggetta a potestà pianificatoria concorrente tra le due

Amministrazioni, ma come esclusiva dell’Autorità portuale.32.

Ci resta da esaminare il caso in cui sia il Comune ad introdurre elementi confliggenti con le statuizioni urbanistiche marittime, a questi è data la possibilità di potere contrastare l’approvazione del piano urbanistico generale. In particolare “tale potere di contrasto è

presente in ogni legge regionale urbanistica ed è uno strumento con cui

l’amministrazione raccoglie le opinioni di ogni soggetto interessato alla pianificazione sia soggetto pubblico che privato”.33

Per quanto riguarda la fase immediatamente successiva alla fase dell’intesa di cui sopra, è intervenuto il nuovo d.lgs. 169 del 2016 con l’articolo 6 che ha così modificato il precedente articolo 5 della legge 84/1994, semplificando l’iter dal punto di vista strettamente tecnico, ma lo stesso non avviene a livello generale, in quanto è sempre “richiesta un’intesa tra i vari Comuni interessati, ma anche l’irrobustimento delle

attribuzioni statali in materia. Il rafforzamento dell’ingerenza statale è ancora più evidente nel caso di mancata intesa Stato/Regione, perché in tale caso si prevede il ricorso alla Conferenza dei servizi”34.

Innanzitutto l’art. 6 prevede che “il piano regolatore è adottato dal comitato di gestione,

previa intesa col comune o i comuni interessati; il piano è inviato per il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici che si esprime entro 45 giorni dal ricevimento dell’atto. Decorso inutilmente tale termine, il piano si considera approvato in senso positivo”. Elemento innovativo dell’ultima riforma è il ruolo che viene attribuito al

Comitato di gestione nel mantenere saldo il rapporto che deve sussistere tra l’ADSP ed il Comune territorialmente competente, affinché si possano raggiungere due obiettivi connessi: “la riqualificazione e recupero delle periferie della città a ridosso del porto e

dall’altro, la pianificazione e progettazione dell’area portuale tramite l’adozione di criteri urbanistici e di gestione più moderni ed efficienti”35

32 G.ACQUARONE, “Il piano regolatore portuale”, 2009, pag. 287 e ss. 33 Ibidem, pag. 313

34 F.MONCERI, “La classificazione dei porti” in “Federalismi.it”, 2019.

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I piani regolatori di sistema portuale, in vista della loro approvazione definitiva, sono soggetti a due procedure: la prima riguarda il parere espresso dal Consiglio superiore dei lavori pubblici entro 45 giorni dal ricevimento del piano adottato dal Comitato di

gestione. La seconda procedura è quella di valutazione ambientale strategica (VAS)36,

secondo le previsioni del d.lgs. 152 del 2006. Ai fini della nostra ricerca volta a bilanciare l’esigenza di sviluppo infrastrutturale e della logistica con la tutela

dell’ambiente intorno al porto, è fondamentale uno strumento come quello di VAS per potenziare la pianificazione portuale verso uno sviluppo sempre più sostenibile nel porto.37

Prima di vedere le 3 fasi che lo compongono, si deve evidenziare il fatto che lo sviluppo sostenibile non si attui solo in base a verifiche successive al funzionamento di una certa opera, ma deve attuarsi anche nelle fasi precedenti, come quelle della progettazione. Pertanto la procedura di VAS è anticipata dalla redazione del Rapporto preliminare, nel quale l’Autorità competente si accorda, a seguito di consultazione, con i soggetti che sono competenti in materia ambientale. In tale rapporto il piano regolatore viene altresì sottoposto a verifica di assoggettabilità a VAS, durante la quale si verifica se il piano o il programma possa avere o meno effetti ambientali significativi. Da notare che tale verifica di assoggettabilità è possibile solo nel caso di modifiche minori che possono interessare anche piccole aree ad uso locale.

La fase in esame termina con la consultazione preliminare, la quale dà vita alla procedura di VAS che a sua volta si compone di 3 fasi.

La prima consiste “nella redazione del rapporto ambientale da parte del soggetto

proponente o dell’Autorità procedente a seguito di consultazione con l’Autorità

competente o altri soggetti competenti in materia ambientale38”. La seconda fase (art. 14)

riguarda la “pubblicazione da parte dell’Autorità competente di un avviso in Gazzetta

ufficiale e al pubblico contenente il titolo della proposta di piano o di programma, il soggetto proponente o l’Autorità procedente. Entro sessanta giorni dalla pubblicazione, chiunque ha interesse può prenderne visione”. L’ultima fase consiste nella valutazione

finale del rapporto ambientale da parte dall’Autorità competente, la quale svolge attività istruttoria circa la documentazione ricevuta. Dopodiché, entro novanta giorni dalla pubblicazione dell’avviso di cui sopra, esprimendo parere motivato

36 Si deve ricordare che la procedura di VAS si integra con quella di VIA (valutazione di impatto

ambientale) che è una procedura di recente riformata con il d.lgs. 120 del 2020 e che si riferisce alle singole opere che vengono realizzate all’interno di ciascun porto. Noi non ci concentreremo su questa, in quanto ai nostri fini rileva solamente la pianificazione portuale nel suo aspetto più globale e generale.

37 Sul tema importante è la direttiva ce 42 del 2001 che prevede nel preambolo che per “uno sviluppo

durevole e sostenibile è importante valutare i probabili effetti di piani e programmi sull’ambiente; la

valutazione ambientale è un fondamentale strumento per l’integrazione delle considerazioni di carattere ambientale nell’elaborazione e nell’adozione di taluni piani e programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente negli stati membri”.

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Sull’approvazione definitiva si procede, dopo che è stato espresso in senso positivo parere da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici e sia stata esaurita

positivamente la procedura di VAS. Il piano è approvato in via definitiva dalla Regione interessata entro trenta giorni dal termine della procedura VAS. Questo in base allo spirito della riforma del 2001 sul titolo V della Costituzione in cui si attribuisce la materia dei porti alla competenza concorrente Stato e Regione.

Sulle varianti al piano regolatore, queste seguono lo stesso procedimento per l’adozione del PRdsP, questo perché siccome “il piano regolatore è adottato dall’Autorità portuale, previa intesa con i Comuni interessati, l’adozione e le modifiche dei piani comunali e dei piani speciali, come quello portuale, non sono possibili modifiche senza una previa intesa con le Autorità coinvolte”39; questo vale allo stesso modo per la procedura di VAS.

Per concludere il tema fondamentale della pianificazione portuale ed aprire le porte verso lo sviluppo sostenibile del porto (che vedremo nell’ultimo capitolo), si deve far

riferimento al “Documento di pianificazione energetica ed ambientale (DEASP)”, adottato dalle singole Autorità di sistema portuale, sulla base delle linee guida delineate dal Ministero del Territorio e del Mare di concerto con quello delle Infrastrutture e trasporti. Fondamentale è il suo scopo, ribadito dalle linee guida ad esso dedicate40, che è

quello della “definizione di indirizzi strategici per l’implementazione di specifiche misure

al fine di migliorare l’efficienza energetica e di promuovere l’uso delle energie rinnovabili in ambito portuale”.

Sarà così possibile svolgere una valutazione attuale e prospettica del fabbisogno energetico del sistema portuale, fornendo gli strumenti per garantire nel tempo una concreta sostenibilità ambientale degli scali marittimi e allo stesso tempo individuare escamotage tecnici ed innovativi in grado di garantire l’uso efficiente delle fonti di energia e perseguire l’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2.

Per poter affrontare questa sfida, un documento come quello della pianificazione energetica impone che esso comprenda una serie di elementi come la predisposizione delle misure e strumenti per realizzare concretamente gli obiettivi prefissati, anche delineando una strategia complessiva fatta di tappe intermedie e obiettivi parziali da raggiungere. Fondamentale è poi la preventiva valutazione di fattibilità

tecnico-economica per ciascuno di essi, unitamente alla possibilità di procedere all’analisi costi-benefici. Da ultimo la supervisione e la verifica sugli esiti e risultati derivanti dai vari interventi realizzati.

39 C.ANGELONE, “Piani regolatori portuali e strumenti urbanistici: coesistenza di funzioni”, in “Diritto

marittimo”, 2007, pag. 438.

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