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INTRODUZIONE Riflessioni preliminari sul genere distopico

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INTRODUZIONE

Riflessioni preliminari sul genere distopico

A grandi linee, con il termine “genere letterario” si intende una determinata tipologia di scrittura che comprende opere aventi caratteristiche distintive comuni, come può essere il racconto, una narrazione breve in prosa che narra di fatti ispirati a eventi storici o fantastici, oppure il romanzo, che tratta, anche in questo caso, di fatti che possono essere realistici o di fantasia, ma, al contrario della short-story, ha un intreccio più ricco e sviluppato. Più nello specifico, per ogni genere letterario possiamo individuare anche diversi sottogeneri; per le opere che andrò ad analizzare, la sottocategoria di riferimento è nota come “distopia”.

La distopia è una forma di letteratura convergente in modo variabile con l’ambito del “fantascientifico” , in quanto spesso rappresenta e descrive una realtà proiettata nel futuro che, al contrario dell’utopia, si prefigura in situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici spiccatamente negativi1. Il termine “distopia” deriva dal greco: il prefisso dys- veicola la negazione, mentre topos rimanda al luogo. Ne deriva quindi un non-luogo, un terreno non fertile dal punto di vista sociale e culturale2. La distopia si connota come un luogo lontano vuoi nel tempo, vuoi nello spazio, rispetto all’epoca di composizione del testo. Ciò che cerca di fare l’autore, o l’autrice, del genere distopico, è descrivere nel dettaglio una società che non esiste, ma che è peggiore della società nella quale viviamo realmente. Sergio Quinzio, teologo italiano vissuto nel Novecento, dichiara come, estremizzando i lati negativi della società umana attraverso l’immaginazione, si possa esorcizzare l’angoscia:

1

Treccani, Distopia, http://www.treccani.it/vocabolario/distopia2/ [consultato il 22 Agosto 2017].

2

Roberta Cafuri, “L’arte tra distopie e utopie”, http: // http://www.dadarivista.com/Singoli-articoli/2012-utopia/p3.pdf , [consultato il 22 Agosto 2017] p. 35.

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Pensare apocalitticamente, è l’unico modo di pensare davvero l’orrore del mondo dal quale Dio è assente. Orrore che invece eludiamo nel momento in cui non osiamo confrontarci con la possibilità di una vera

alternativa, l’unica della sua tragicità, ad esso adeguata3.

In questo modo, pur rappresentando storie ambientate in un futuro lontano, si induce il lettore a riflettere e ad interrogarsi sulla propria condizione e sui problemi della vita attuale.

L’autore di distopie si concentra inoltre su un protagonista il cui travaglio interiore rispecchia il disagio profondo alimentato dal mondo dilaniato nel quale vive. La distopia si presta anche ad accogliere il “rimosso” politico, in quanto non è affatto distaccata dalla storia: ogni costruzione distopica porta, più o meno esplicitamente, i segni del suo tempo, degli eventi che hanno reso possibile i suoi contorni immaginari. Margaret Atwood, celebre autrice canadese che ha composto anche alcuni romanzi distopici, ribadisce che la letteratura distopica spesso fornisce una presentazione estremizzata (e proiettata nel futuro) di un disagio sociale o politico ancorato al periodo storico nel quale si sta scrivendo l’opera:

What aspects of this life interest such writers? To no one’s surprise, their concerns turn out to be much the same as those of society. There are, of course, the superficial matters of clothing and cuisine, partial nudity and vegetarianism making regular appearance. But the main problems are the distribution of wealth; labor relations; power structures; the protection of the powerless, if any; relations between the sexes; popular control; urban planning, often in the form of an interest in drains and sewers; the rearing of children, illness and its ethics; insanity ditto, the censorship of artists and suchlike riffraff and antisocial elements; individual privacy and its invasion; the redefinition

of language; and the administration of justice4.

La nascita del genere distopico contemporaneo è stata a lungo collocata ai primi del Novecento, sulla scia di quel senso di catastrofe e di amara disillusione che seguì la Prima Guerra Mondiale. Studi più recenti, invece, individuano i primi segnali della distopia in un tempo antecedente, ovvero il

3

Sergio Quinzio, “Metaphorein”, Quaderni internazionali di critica e di sociologia della cultura, n.9, Pironti, Napoli 1984, cit. in Beatrice Battaglia, La critica alla cultura occidentale nella letteratura distopica inglese, Longo, Ravenna 2006, p. 59.

4

Margaret Atwood, “Writing Utopia”, in Writing with Intent: Essays, Reviews, Personal Prose: 1983-2005, Carroll and Graff Publishers, New York 2005, pp. 92-100 (p. 94).

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periodo della Rivoluzione Francese. La piena maturità del genere distopico si colloca comunque verso la prima metà del Novecento5. Esempi magistrali di letteratura distopica novecentesca sono il famoso romanzo di George Orwell,

Nineteen Eighty-Four, Brave New World di Aldous Huxley e We di Evgenij

Ivanovič Zamjatin.

Nineteen Eighty-Four fu redatto nel 1948 e poi pubblicato nel 1949. Il

titolo indica l’anno in cui sarebbero ambientati i fatti nel romanzo, ma lo si ricava invertendo le ultime due cifre dell’anno di stesura della bozza finale. Il mondo descritto da Orwell, dopo varie rivoluzioni e una guerra atomica, appare diviso in tre parti: Oceania, Eurasia ed Estasia. Gli avvenimenti si svolgono a Londra, città immaginata come afferente ad Oceania. L’ambientazione, però, è molto più grigia e cupa rispetto alla visione reale della capitale del Regno Unito. La descrizione di Oceania, infatti, si ispira in gran parte ai regimi totalitari sovietici e nazisti6; i nomi dei quattro ministeri presenti nel suo territorio, corrispondono antifrasticamente ai princìpi del sistema proclamati dal Partito, ovvero la potenza che governa Oceania: Truth,

Peace, Love e Plenty, parole qui scisse rispetto al loro contenuto letterale. Il Ministry of Peace è infatti incaricato di amministrare le guerre, il Ministry of Plenty gestisce la carenza di viveri, mentre il Ministry of Love rimanda a una

polizia segreta che assicura la sorveglianza e punisce i colpevoli di tradimento nei confronti del regime. Il protagonista del romanzo si chiama Winston Smith ed è un funzionario del Ministry of Truth, dove ha il compito di “aggiornare”, ossia falsificare e emendare i vecchi numeri del Times affinché corrispondano alla versione della storia avallata dall’autorità. La potenza che comanda e controlla tutti gli abitanti è chiamata Big Brother, cui culto, accompagnato dal motto “Big Brother is watching you”7 è proiettato in ogni luogo e sovrasta l’esistenza pubblica e privata di ognuno. Gli abitanti sono rigorosamente sorvegliati da telecamere e microfoni che spiano tutti in ogni

5

Manuela Ceretta, “Sulla distopia”, in Storia del pensiero politico, vol. 2, il Mulino, Bologna 2012, pp. 297-310 (p. 306).

6

Beatrice Battaglia, La critica alla cultura occidentale nella letteratura distopica inglese, cit., p.117.

7

George Orwell, Nineteen Eighty-Four ,http://gutenberg.net.au/plusfifty-n-z.html [consultato il 15 Ottobre 2017] p. 262.

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istante. La società è inoltre fondata sull’odio verso i nemici, ovvero coloro che cospirano contro il regime; è obbligatorio partecipare regolarmente a sedute collettive di “odio” che si svolgono in ogni istituzione. La vita è inflessibilmente pubblica, senza intimità familiare o rapporti d’amore.

La vicenda del romanzo si snoda intorno al conflitto tra il protagonista e l’ordine sociale. Winston, infatti, tiene di nascosto un diario segreto dove ammette di non amare veramente il Big Brother. Un giorno, durante una manifestazione contro un oppositore del Big Brother stesso, egli si innamora di una giovane, Julia, con la quale inizia ad avere una relazione clandestina (la dittatura infatti impedisce di avere relazioni intime che non siano a scopo di procreazione). I due, dopo essersi schierati anche contro il regime dittatoriale del Big Brother, vengono catturati e torturati, e, dopo un vero e proprio lavaggio del cervello, Winston sembra optare per un'esistenza insulsa e insignificante, finendo poi per adorare quel Grande Fratello verso il quale si era visceralmente ribellato:

He was in the public dock, confessing everything, implicating everybody. […] He had won the victory over himself. He loved Big

Brother8.

Questo piccolo riassunto non descrive a pieno lo svolgimento della trama di Nineteen Eighty-Four, ma serve per comprendere meglio le caratteristiche del romanzo distopico. Nineteen Eighty-Four rappresenta un mondo formalizzato, ma svuotato di senso e valori, in cui gli uomini vengono privati di tutto e dove prevale soltanto la violenza autoritaria, mentre tutt'intorno non c’è che tristezza, diffidenza e odio. Queste sono caratteristiche chiave che informano il mondo distopico, diametrale rispetto all’utopia, la quale invece rappresenta un mondo ideale dove regnano l’amore e la giustizia. Il linguaggio utilizzato da Orwell esprime con incisività il disagio, la sofferenza e la privazione, così da mettere in rilievo il valore di ciò che il potere sta distruggendo. Si nota, in particolare, come l’immagine del Big Brother sia opprimente nei confronti dei suoi “sudditi”. Lo stesso protagonista è sempre

8

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sovrastato da un perenne senso di isolamento, impotenza e paura a causa dell’onnipresenza del Grande Fratello. Nineteen Eighty-Four contiene quindi un atto di accusa contro la cultura dittatoriale della divisione gerarchica, dell’intolleranza di uno stato in guerra perenne9. In particolare, la denuncia di Orwell riguarda una critica verso regimi totalitari che si fingono dalla parte del popolo, ma che in realtà manipolano la verità e governano in modo assolutistico.

Brave New World, invece, è un’opera del 1932 scritta da Aldous Huxley.

L’opera è ambientata nel 632 A.F, ovvero After Ford (nome che rimanda a Henry Ford, il grande magnante statunitense che co-fondò la Ford Motor Company), scansione temporale con cui si vuole indicare la nuova era meccanica che dista circa sei secoli dalla nostra epoca. Grazie a questa nuova era del progresso, si sarebbe creata una civiltà in cui regnano abbondanza, ordine e debellamento di malattie. Mediante i progressi genetici, l’individuo è ormai generato in provetta e reso idoneo per le funzioni sociali che lo attendono. La società è suddivisa in varie classi che si distinguono in base al quoziente intellettivo, con una gerarchia scandita in Alpha, Beta, Gamma, Delta e Epsilon. Gli Alpha si dedicano ad attività intellettuali e sono destinati al comando; i Beta ricoprono incarichi amministrativi, mentre le classi inferiori (composte da Gamma, Delta e Epsilon) si occupano di manovalanza. Gli individui sono del tutto disumanizzati, privi di sentimenti e empatia. Anche in questo caso, l’amore e la famiglia si sono dissolti. A causa di un errore di programmazione, però, a volte gli individui vengono creati “male” e questa è la sorte del protagonista del romanzo. Si tratta di un Alpha di nome Bernard Marx, il quale cerca la solitudine e non si rispecchia negli slogan di felicità e condivisione imposti dal regime. Durante un viaggio nel New Mexico con la sua compagna, Lenina Crowne, egli scopre una riserva dove vivono, in una sorta di campo di concentramento, alcuni nativi americani. Qui incontra Linda e il figlio di lei, John. Linda è una Beta che aveva visitato la riserva molti anni prima, ma che, avendo scoperto durante il viaggio di essere

9

Beatrice Battaglia, La critica alla cultura occidentale nella letteratura distopica inglese, cit., p.113.

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incinta e non potendo tornare nella società per la vergogna di una gravidanza, ha deciso di rimanere nella riserva stessa. John è sempre vissuto in questo territorio “grigio” e ha letto solo nei libri di città e di società “civilizzate”. Bernard compie quindi un viaggio verso Londra insieme a John, il quale vuole conoscere a tutti i costi questo mondo tanto lontano dalla sua realtà e da lui immaginato attraverso la letteratura. Entrato però in contatto con questa società “perfetta” della quale aveva solo sentito parlare, John resta traumatizzato dal Mondo Nuovo per il quale non era stato programmato, e alla fine si suicida.

L’opera di Huxley rappresenta anch’essa un mondo terrificante che si nasconde dietro un assetto sociale perfettamente ordinato, in cui l’oppressione esercitata dallo stato tirannico, più presente nell’opera di Orwell, si trasforma qui in una completa perdita di umanità. Gli uomini, infatti, sono creati e controllati sulla base di una precisa evoluzione psicologica ed eugenetica. È proprio il controllo mentale che in questo caso garantisce il dominio sulle persone: le nascite sono rigidamente coordinate dallo Stato, sulla base di precisi criteri di selezione; non è ammessa l’individualità, perché questo permetterebbe alle persone di coltivare una propria identità; e non è concessa l’infelicità, poiché essa porterebbe gli individui a mostrare dei sentimenti e quindi a non essere più perfetti. Efraim Sicher, Professore di Letteratura Inglese presso l’Università di Ben Gurion del Negev, ha sottolineato come l’orrore di questo mondo poggi sul fatto che l’uomo si disumanizza, si allontana completamente dalla propria essenza per assomigliare il più possibile alle macchine e agli oggetti del progresso tecnologico del quale ormai è succube:

It is Huxley's conviction in Brave New World that practically the whole of modern western development has been a steady descent into nightmare. Progress has been a grotesque and cruel illusion. The most characteristic and vaunted achievements of the West--the scientific revolution of the seventeenth century and the industrial revolution of the nineteenth--have been the building blocks of the sterile graveyard of twentieth-century civilization. Science and Reason, the twin components of practically all progressive and utopian conceptions since the seventeenth century, are only too clearly in the ascendant. But

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instead of producing the heaven on earth that the utopians confidently

predicted, they have succeeded only in creating a hell10.

Sia in Nineteen Eighty-Four, sia in Brave New World, gli autori si concentrano in particolare sulle dinamiche di una visione totalitaria. Questa società sembra essere accettata da tutti, ad eccezione di uno o due personaggi, ossia i protagonisti, che entrano in conflitto con l’ordine sociale oppressivo. Tra i due romanzi esistono però delle differenze, come osserva ad esempio Bernard Bergonzi in The Situation of the Novel: Huxley attaccherebbe il mito del progresso tecnologico e scientifico, mentre Orwell si concentrerebbe di più sulla visione di un dominio perfetto e livellante concepita come degenerazione del comunismo.

Huxley's Brave New World reflects the advent of characteristically modern totalitarian societies. the technological development of leisure industries. and an awareness of the possibilities of genetic manipulation.

Nineteen Eighty-Four reflects a similar concern with totalitarianism.

particularly the Stalinist variety, and also indicates the intellectual and

moral corruption of the latter years of the Second World War11.

Opera dalla quale sia Huxley, sia Orwell sembrano aver preso spunto è

We dello scrittore russo Evgenij Ivanovič Zamjatin. Il romanzo è stato

pubblicato per la prima volta nel 1924 e tradotto in varie lingue (lo stesso Orwell lo recensì quando fu pubblicato in lingua francese). L’opera è ambientata in un futuro in cui si intrecciano totalitarismo e conformismo, e la storia si svolge in un tempo non ben specificato, in uno Stato chiamato “One State”. La storia è narrata in prima persona dal protagonista, D-503, il quale tiene un diario; gli esseri umani risultano del tutto anonimi, tanto da non avere più nemmeno un nome e da essere contrassegnati con dei numeri. I nomi maschili sono composti da una consonante e una serie di numeri, mentre i nomi femminili da una vocale in apertura e una sequenza numerica. Gli abitanti di questo Stato sono costretti a vivere nel “Crystal Palace”, un luogo

10

Efraim Sicher, “The Last Utopia: Entropy and Revolution in the Poetics of Evgeny Zamjatin”, History of European Ideas, Vol. 13, No. 3, 1991, pp. 225-237, (p. 225) http://www.tandfonline.com/toc/rhei20/13/3?nav=tocList& [consultato il 18 Ottobre 2017].

11

Bernard Bergonzi, The Situation of the Novel, Second Edition, The Macmillan Press, London 1979, pp. 177-178.

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costruito in vetro (palese reminiscenza del maestoso edificio che ospitò in Inghilterra la Great Exhibition del 1851), dove essi vengono spiati quotidianamente dalla polizia segreta. I cittadini vivono un’esistenza meccanica e priva di sentimenti; sono governati dal Benefactor (anche in questo caso i nomi hanno valenze antifrastiche), il quale si occupa di mantenere una civiltà incentrata su criteri razionali e sul soffocamento dell’individualità.

Scopo dello Stato è inoltre costruire una navicella spaziale denominata

Integral, con cui diffondere il “beneficio della ragione” negli altri pianeti e

estendere il potere della comunità del “Noi”. Lo stesso protagonista è uno dei costruttori della navicella. Un giorno, D-503 incontra una donna, I-330, e se ne innamora; la ragazza fa parte di un movimento complottista contro il regime e riuscirà a condurre il protagonista fuori dalla costruzione di vetro, in modo da mostrargli uno scenario di natura selvaggia e incontaminata. Ciò suscita uno sconvolgimento in D-503 (infatti, per One State, chi prova sentimenti individuali e personali è ritenuto “non sano”), che si sottopone quindi ad un trattamento volto a inibire sentimenti o opinioni personali. In questo modo, egli finisce per tradire I-330 e i membri del movimento complottista, che vengono condannati a morte. Il finale del romanzo è ambiguo e non è chiaro se la visione di Zamjatin sia ottimista o pessimista, poiché esplode una rivolta facente capo al movimento anticonformista, che comincia a prendere sempre più forza e, addirittura, riesce a rompere il muro di vetro che divide lo Stato dal mondo naturale. D-503, ormai privo di sentimenti, spera comunque che il Benefactor riesca a riprendere il potere ed a ripristinare la “ragione”.

Zamjatin lanciò un monito contro alcune pericolose tendenze contemporanee e, in particolare, denunciò il totalitarismo sul quale si fondava l’Unione Sovietica. L’unica resistenza al totalitarismo è rappresentata nell’opera da un individuo che si ribella alla dittatura, dinamica che fornirà un modello per un genere distopico più evoluto e, per certi versi, anche più

(9)

drammatico. Vi è poi una seconda componente che, invece, anatomizza le dinamiche di una società basata eccessivamente sulla scienza e sulla tecnica12.

Huxley condivide con Zamjatin la preoccupazione per il totale asservimento dell’uomo alle esigenze di una società fondata sulla tecnologia. Entrambi si concentrano in particolare sui rischi di questo stampo prettamente scientifico e tecnologico. Nel caso di Zamjatin, però, nel mondo futuro prevale il tentativo di subordinare l’uomo alle leggi della matematica e della tecnica, mentre per Huxley l’umanità è sottomessa alle leggi della biologia e della genetica. Altra differenza è che Huxley tratteggia un mondo più apocalittico, mentre per Zamjatin la minaccia principale si concentra nell’ideologia del terrore. Dal canto suo, Orwell si affianca a Zamjatin per il tema della tirannia ideologica. Altro elemento in comune tra Orwell e Zamjatin è il rapporto che si sviluppa all’interno dell’opera tra il protagonista e una donna, vista come più intraprendente dell’uomo. Entrambi i romanzi immortalano personaggi ben caratterizzati che cercano di sopravvivere in un universo criptico e complesso.

I punti in comune delle tre opere, che rappresentano i tre grandi classici moderni della letteratura distopica, consistono nelle visioni anti-totalitaristiche e scettiche sullo sviluppo tecnologico disancorato dall’apporto umano e da un senso etico di convivenza e relazionalità. Significativo è in quest’ottica un passo di Nineteen Eighty-Four:

A world of trampling and being trampled upon, a world which will grow not less but more merciless as it refines itself. Progress in our world will be progress towards more pain. The old civilizations claimed that they

were founded on love or justice. Ours is founded upon hatred13.

Nei testi distopici, spesso al centro dell’azione figura un protagonista che pianifica una ribellione contro il sistema totalitario, dal quale, la maggior parte delle volte, viene però sopraffatto e sconfitto (di qui il senso drammatico

12

Susan Layton, “Zamjatin and Literary Modernism”, in The Slavic and East European Journal, Vol. 17, No. 3 (Autumn, 1973), pp. 279-287 (p.280), http://www.jstor.org/stable/306504 [consultato il 18 Ottobre 2017].

13

George Orwell, Nineteen Eighty-Four, http://gutenberg.net.au/plusfifty-n-z.html [consultato il 15 Ottobre 2017] p.243.

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stesso della narrazione distopica). Vi predominano una visione ossessivamente statica del reale e una denuncia del livellamento sterile della persona e della sua individualità. Da ciò deriva un senso di tragica oppressione, di determinismo che non lascia speranze di un effettivo ravvedimento.

Un’ altra caratteristica presente, in vari casi, nel genere distopico è il ricorso alla fantasia per suscitare nel lettore una reazione emotiva che, però, non è mai disgiunta da una riflessione filosofica ed etica sugli argomenti trattati. La distopia fungerebbe dunque da avvertimento, sarebbe un monito che gli scrittori lasciano ai contemporanei affinché non inseguano sogni utopici, ma aprano gli occhi sulle dinamiche sociali in atto. L’obiettivo polemico della distopia è proprio quello di schierarsi contro certe tendenze preoccupanti della società e di smascherare l’orrore nascosto dietro i sistemi politici in vigore, in particolare legati alla corruzione del potere. Questa critica è chiaramente definita anche in Nineteen Einghty-Four:

Always there will be the intoxication of power, constantly increasing and constantly growing subtler. Always, at every moment, there will be the thrill of victory, the sensation of trampling on an enemy who is helpless. If you want a picture of the future, imagine a boot stamping on

a human face— for ever14.

In ambito critico italiano, Beatrice Battaglia ha mostrato quanto la distopia poggi anche sulla capacità di evocare il senso e la direzione della vita quotidiana in rapporto a paure e bisogni primordiali. La dimensione temporale spesso è multipla e dilatata, cosicché il rapporto con il passato si delinea come un nucleo semantico importante:

La distopia più autentica ha il potere di toccare le corde biologiche al fondo della coscienza collettiva: le grandi distopie hanno il potere di rinvigorire l’istinto, vale a dire il potere di richiamare il passato (che per noi oggi è la natura) in modo da provocare un confronto inconscio o uno scontro emotivo con il presente. Non è quindi la descrizione o la discussione del sistema sociale e politico il punto di vista da cui valutare la distopia, bensì la capacità di questa letteratura di esprimere la qualità, l’atmosfera, la trama della vita quotidiana, e in particolare di quella

14

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interiore, così da far emergere il malessere, la scontentezza e insieme

con essi la memoria dei nostri bisogni ancestrali15.

Il passato serve quindi per misurare la nostra umanità o, in altri casi, una sana “primitività” da cui trarre consapevolezza del nostro essere nel mondo:

Per questi scrittori distopici il passato rappresenta, quando non la guida e l’ispirazione per il futuro, certo la pietra di paragone su cui misurare la nostra umanità e da cui trarre la consapevolezza del nostro essere nel mondo, di fronte al fatto innegabile che, come osservano Horckheimer e Adorno, per quante pene e tormenti abbia contenuto il nostro passato preistorico, non possiamo concepire una felicità che non viva della sua

immagine16.

Oltre al genere distopico più tradizionale, che affonda le radici prevalentemente nel dibattito contro il totalitarismo, si è sviluppata una distopia di fisionomia più recente: quella post-apocalittica. Qui, in sostanza, la società come la conosciamo noi non esiste più e il mondo appare completamente distrutto da disastri naturali, guerre e corto-circuiti della tecnologia. Come risultato, la popolazione si è notevolmente ridotta nel numero e si è regredita dal punto di vista morale. L’ambientazione temporale del romanzo a volte si colloca in epoca immediatamente successiva alla catastrofe, ma sembra sempre esserci una sorta di “perdita di memoria” nei confronti del passato. La vita pre-apocalittica tende ad assorgere a leggenda o mito, con una crescente difficoltà nel ricordarsi di una civiltà precedente ai disastri naturali. Anche le relazioni umane spesso vengono intrecciate solo se a scopo di sopravvivenza, a discapito della gioia personale, che scompare nel mondo disastrato nel quale si sta vivendo. La presenza degli animali è ridotta al minimo, poiché solitamente sono estinti; i pochi presenti, di solito, derivano da mutazioni genetiche, per cui incarnano la negatività dell’intervento dell’uomo sulle leggi della Natura tramite esperimenti scientifici o l’uso di armi biologiche. Si tratta, anche per questo filone distopico, di una critica nei confronti di eventi storici attuali, che in questo caso chiamano in causa

15

Beatrice Battaglia, La critica alla cultura occidentale nella letteratura distopica inglese, Longo, Ravenna 2006, pp. 33-34.

16

(12)

l’inquinamento, la deforestazione, gli esperimenti scientifici, i cambiamenti climatici e la produzione di armi nucleari.

Un libro che può essere preso ad esempio di letteratura distopica post-apocalittica è The Road di Cormac Mccarthy. Il romanzo, pubblicato nel 2006, quando l’autore statunitense aveva settantaquattro anni, ha vinto nel 2007 il Pulitzer Prize per la narrativa. La storia si svolge in un’America dove è scomparsa ogni traccia di civiltà. Il conflitto dal quale parte il romanzo è un disastro nucleare che ha determinato un inverno perenne e spazzato via tutto dalla Terra: non c'è elettricità, non c'è benzina, non ci sono fabbriche o negozi o automobili, non ci sono più nemmeno gli animali. Anche l'umanità è rimasta decimata e i pochi sopravvissuti sono ridotti ad uno stato di vita primitiva, senza energia o strumenti tecnologici. Ovviamente, regna l’anarchia in questo nuovo mondo distrutto dalla catastrofe nucleare. I protagonisti della storia sono un padre e un figlio senza nome: il ragazzo chiama il padre “Papa”, mentre il padre si riferisce al figlio come “The boy”. Insieme, i due percorrono una lunga strada verso l’oceano per sopravvivere al rigido inverno perenne e trasportano i loro pochi averi, tra cui una mappa ormai distrutta e una pistola con soli due colpi, in un carrello della spesa malandato, in un viaggio in cui tentano di procurarsi cibo e di ripararsi dalla rigidità del clima. Cercano inoltre di stare lontani dagli altri esseri umani, la maggior parte delle quali è diventata cannibale. The Road si conclude in modo drammatico, con la morte del padre tra le braccia del giovane a causa di una grave bronchite; rimane però un barlume di speranza allorché il figlio viene trovato da un gruppo di uomini ancora speranzosi in merito alla nascita di una nuova civiltà.

La critica fondamentale mossa da questo romanzo di Mccarthy riguarda ovviamente l’orrore di una condizione umana annientata dalle violenze e dall’ecocidio perpetrati dalla società occidentale e dall’uomo contemporaneo. Anche se nel testo non compare un’aspettativa di vita migliore e la meta da raggiungere è sempre grigia e cupa, si continua a sperare in un minimo di miglioramento, in un rinnovamento della Natura, capace forse di rinascere dopo l’apocalisse. La Natura ricorda qui una creatura antica che incarna il

(13)

mistero della vita e della sua evoluzione, ma che è stata distrutta dall’egoismo e dal cieco scientismo dell’uomo17.

I romanzi post-apocalittici si soffermano sui disastri naturali causati dall’uomo e che obbligano i protagonisti a trovar un modo per sopravvivere, soli e abbandonati dal resto ai loro simili. Lo scenario post-apocalittico di solito rappresenta deserti sconfinati e vedute di città completamente distrutte, ambientazioni che si ispirano comunque a contesti storici, come la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, che aveva raso al suolo le città, ucciso migliaia di persone e contaminato individui e ambienti nei decenni a seguire.

Negli sviluppi più recenti del genere distopico si distinguono anche due categorie che coinvolgono la speculative fiction e una branca della science

fiction, nelle quali rientrano opere letterarie che includono elementi

soprannaturali o fantastici (soprattutto per quanto riguarda la fantascienza), ma anche situazioni inverosimili, stranianti. Anche in questo caso si richiamano spesso luoghi futuri, a prima vista lontani dal nostro presente. La differenza sostanziale tra questi due sottogeneri è però che la speculative

fiction si concentra più su fatti probabili, più facilmente preventivabili e

soggetti a diventare materia di riflessione etica, mentre la science fiction distopica grava maggiormente intorno a elementi palesemente finzionali. La

speculative fiction si origina su una posizione storicizzata, che riguarda sia un

passato riconoscibile, sia un futuro immaginario. La science fiction distopica dialoga con la psicologia, il vissuto infantile e le fantasie che albergano nella mente degli adulti. P.L. Thomas nota come i personaggi rispecchino in modo rilevante le caratteristiche chiave della science fiction, divenendo esempi della reazione umana ai mutamenti disastrosi:

Science fiction, like fantasy, often builds and develops entire and seemingly new worlds (sometimes as thin disguises for our own world and often genuinely speculative or uniquely alternative existences) with characters that exist in extended narratives that readers and viewers can

come to know and love (or hate)18.

17

Willard P. Greenwood, Reading Cormac McCarthy, Abc Clio, Santa Barbara, California 2009, p. 80.

18

P.L. Thomas, Science Fiction and Speculative Fiction: Challenging Genres, Furman

(14)

Nel momento in cui dialogano con la distopia, la speculative fiction e la

science fiction trattano comunque anch’esse di questioni sociali e politiche

che toccano sempre implicitamente l’attualità.

L’ibridazione dei generi che ha fortemente contraddistinto il canone postmoderno ha lasciato il segno anche nella macro-area in cui si situano utopia, distopia, speculative fiction e science fiction, tra le quali negli ultimi decenni si è instaurato un dialogo sempre più fitto, cosicché si sono generate contraddizioni e confluenze. La vecchia distinzione tra i due tradizionali generi “antagonisti”, ossia utopia e distopia, non può insomma essere più applicata19. L’unione tra questi due generi è associata in particolare alla condivisione dell’ “intenzione”, ovvero della denuncia politica e sociale nei confronti di una realtà sentita come opprimente e disumana.

Nel genere distopico entrano a far parte anche certi feminist novels, ovvero opere narrative che hanno come protagonista una figura femminile che si ribella alle autorità patriarcali, il cui potere si coniuga o si aggiunge a quello esercitato dalla società distopica. Per sopravvivere ad una società androcentrica, la protagonista, di solito, è costretta a sottomettersi, in modo tale da conformarsi alle aspettative comunitarie. In questo modo ella assume una sorta di doppia coscienza, divisa tra ciò che la società le impone e il suo vero carattere, elemento che le permette di studiare un piano di azione e di resistenza.

In questo caso la distopia, che sembrava essere in genere praticato da autori di sesso maschile, mostra, invece, delle aperture alle scrittrici, in quanto capaci di dar voce alla lotta della donna contro un mondo fondamentalmente maschile e misogino. Questi romanzi si distinguono dalle altre opere distopiche tradizionali non tanto per la trama, quanto piuttosto per come gli elementi distopici vengono sviluppati. Nell’articolo di una docente di Letteratura Inglese presso l’Università di Erfurt (in Germania), Dunja M.

19

Dunja M. Mohr, “Transgressive Utopian Dystopias: The Postmodern Reappearance of Utopia in the Disguise of Dystopia”, http://www.zaa.uni-tuebingen.de/wp-content/uploads/05-Mohr-5-24.pdf , [consultato il 23 Agosto 2017] p. 7.

(15)

Mohr, si osserva come i testi femministi creino un intreccio tra utopia e distopia:

Feminist texts – sometimes situated in a sf frame – hybridize utopia and dystopia, and present them as interactive hemispheres rather than distinct poles, contesting the standard (classical) reading of utopia and dystopia as two discrete literary subgenres and exposing the artificiality

of such rigid classifications20.

In particolare, Margaret Atwood, autrice di una delle opere che andrò ad analizzare in seguito (The Handmaid’s Tale, caso esemplare di incontro tra

speculative fiction e feminist dystopia), ha fornito un quadro in cui la

terminologia non appare più rigida o a senso unico, ma multipolare. La

science fiction, per Margaret Atwood, è un genere che enuclea situazioni

impossibili da concretizzare nel presente, come, per esempio, viaggiare nel tempo, scontrarsi o allearsi con popolazioni extraterrestri o utilizzare tecnologie non ancora sviluppate e ipersofisticate. Al contrario, The

Handmaid’s Tale descrive fatti che potrebbero realmente accadere o che

addirittura si sono già verificati in passato in modo simile:

So I think of The Handmaid’s Tale not as science fiction but as speculative fiction; and, more particularly, as that negative form of

Utopian fiction that has come to be known as the Dystopia.21

I testi distopici femministi contemporanei dialogano in modo critico e revisionistico con la distopia tradizionale. Ci sono state molte distopie femministe pubblicate negli ultimi trent’anni nelle quali si nota l’emergere di una contro-scrittura utopica a vari livelli, con una sensibilità per tematiche quali la costruzione sociale del genere, ben lontana rispetto dalle rappresentazioni dei personaggi femminili che si ritrovano in Brave New

World e in Nineteen Eighy-Four22. Dunja M. Mohr coglie una netta distinzione tra la donna filtrata secondo i canoni della tradizione distopica

20

Ibidem, p. 7.

21

Margaret Atwood, “Writing Utopia”, in Writing with Intent: Essays, Reviews, Personal Prose: 1983-2005 (2005), cit. in P. L. Thomas, Science Fiction and Speculative Fiction, Challenging Genres, cit., p. 2.

22

(16)

maschile e il ritratto di una donna che lotta con intraprendenza contro una cultura spiccatamente androcentrica, che viene decostruita nelle sue opposizioni binarie:

The thematic concerns of these ‘dystopias’ involve transgressions of subject/object, male/female, human/ animal and human/alien or

human/non-human, master/slave, nature/nurture, nature/culture,

mind/body, sanity/madness, self/other, literacy/orality, codes/

stereotypes, the relation between myth/history with regard to the

(im)possibility of a representation of reality and truth(s)23.

Le distopie femminili si distinguono anche per la conclusione, poiché presentano, la maggior parte delle volte, dei finali aperti, che rimandano sia alla possibilità che si confermi la situazione di pericolo, sia alla speranza della riuscita e della vittoria della protagonista24.

Le opere che andrò ad analizzare, e di cui fornisco qui di seguito una prima traccia analitica, The Handmaid’s Tale di Margaret Atwood e The

Hunger Games di Suzanne Collins, incorporano tematiche riconducibili anche

alla feminist dystopia.

0.1 La marca distopica di The Handmaid’s Tale

Come si è detto, la narrazione distopica è in gran parte una risposta sintomatica a timori percepiti collettivamente e su larga scala; The

Handmaid’s Tale, uscito nel 1985, riflette in particolare le ansie e le

preoccupazioni dell’Occidente tecnologico e capitalistico del tardo Novecento.

In questo romanzo non è difficile individuare riflessi dell’America degli anni ’80, un’America reduce dalla crisi economica del decennio precedente, e prima ancora dalla Guerra Fredda. L’opera è ambientata deducibilmente nel Nord America, nell’area del New England, tra il XX e il XXI secolo. L’intreccio converge sulla città immaginaria di Gilead, fondata sulla scia di

23

Dunja M. Mohr, “Transgressive Utopian Dystopias: The Postmodern Reappearance of Utopia in the Disguise of Dystopia”, http://www.zaa.uni-tuebingen.de/wp-content/uploads/05-Mohr-5-24.pdf [consultato il 23 Agosto 2017] p. 12.

24

(17)

un golpe militare attribuito inizialmente a terroristi islamici, ma in realtà frutto di un colpo di stato interno al paese, orchestrato da correnti conservatrici e fondamentaliste. Questo colpo di stato mostra infatti una matrice patriarcale e di rigorismo puritano che conduce all’istituzione di un nuovo governo ispirato a interpretazioni fortemente ideologizzate delle Sacre Scritture. La religione diventa in questo caso uno strumento di oppressione e controllo sociale, con conseguenze più aspre per le donne, a cui vengono attribuiti meccanicamente ruoli di mogli, domestiche, prostitute o madri surrogate. Quindi un’ulteriore tematica che sembra mettere in evidenza la Atwood in questo romanzo è il pericolo dell’estremismo religioso e del pensiero unico.

Altra tematica che può essere assimilata al genere distopico, declinato sul fronte apocalittico della catastrofe, è quella che riguarda l’inquinamento. Si tratta di un inquinamento simile a quello odierno, che si abbatte su terra, acqua e aria, al punto da compromettere la sopravvivenza della specie umana stessa, che rischia di estinguersi per sterilità. L’oligarchia dittatoriale di Gilead seleziona quindi un gruppo di donne fertili che ribattezza “Handmaids” e alle quali assegna la funzione di procreare, in modo da dare un figlio a coppie mature, collocate in strati sociali elevati. Le “ancelle” non hanno diritti sui loro corpi o sulle loro proprietà e sono completamente dipendenti dagli uomini. Molte appartenenti a questa classe sociale sono donne ancora in età fertile che, prima della fondazione della città di Gilead, erano sposate e magari avevano avuto figli. La stessa protagonista, a noi nota come “Offred”, aveva un compagno di nome Luke, del quale spesso parla nei suoi monologhi notturni. Dalla loro unione era nata una figlia della quale la protagonista ha perso totalmente le tracce. Si nota comunque come l’essere umano, e in particolare la figura femminile, risulti schiacciato da un sistema livellante che non conosce più come rilevanti i diritti individuali. Passione, sentimento o amore non esistono più, almeno non ufficialmente. La protagonista stessa si definisce con l’immagine cruda di “un utero con le gambe”, sineddoche e icona del suo essere funzionalizzato:

(18)

I'm a cloud, congealed around a central object, the shape of a pear, which is hard and more real than I am and glows red within its translucent wrapping. Inside it is a space, huge as the sky at night and dark and curved like that, though black-red rather than black. Pinpoints of light swell, sparkle, burst and shrivel within it, countless as stars. Every month there is a moon, gigantic, round, heavy, an omen. It transits, pauses, continues on and passes out of sight, and I see despair coming towards me like famine. To feel that empty, again, again. I listen to my heart, wave upon wave, salty and red, continuing on and on,

marking time25.

È un passo molto evocativo, come se Offred volesse, con la metafora, compensare l’aridità di Gilead.

Il nome “Offred” ricorda la parola “Afraid”, ma anche “Offered”, visto che la protagonista viene “offerta” allo Stato come soggetto che può ancora procreare; il termine potrebbe anche leggersi come “Off-red”, a segnale l’identità contraddistinta dall’abito rosso, divisa assegnata alle “ancelle”. In modo più letterale, ma non meno significativo, “Offred” è un composto che deriva da “Of Fred”, ovvero dal nome dell’uomo di alta casta con cui ha rapporti sessuali regolati dal volere politico. Tutte le Handmaids a Gilead vengono ribattezzate con il nome del proprio padrone, o Comandante, che di fatto decide del loro destino. Non si conosce il vero nome della protagonista anche se si può supporre sia “June” perché, alla fine del primo capitolo dell’opera, troviamo un elenco di nomi di giovani donne che vengono poi ripresi all’interno del testo, tranne quello di June, forse la protagonista stessa, narratrice autodiegetica. Offred deciderà di lasciare testimonianze che denunciano gli orrori di questo stato totalitario grazie a delle registrazioni su audiocassette (a Gilead è infatti proibito leggere e scrivere), testimonianze su cui cadrà però un’ombra di dubbio.

Offred riesce a trovare un modo per alleviare la propria dura esistenza anche grazie alla coppia alla quale è affidata; con il Commander, in particolare, istituirà un rapporto di confidenza e spesso si incontrano di nascosto nel suo studio per giocare a scarabeo, così da poter nuovamente scoprire le potenzialità creative del linguaggio. La moglie del Commander, Serena Joy, temendo che il marito non sia fertile e che non possa darle il figlio

25

(19)

che tanto vorrebbe, lascia che Offred si incontri di nascosto con l’autista Nick, con il quale la protagonista intreccia in effetti una relazione amorosa.

Il finale del romanzo rimane aperto. Offred viene caricata con forza su un furgone da quelli che sembrano essere alcuni membri del Mayday, un movimento clandestino di resistenza, ma non ci sono notizie di lei dopo che è salita sulla vettura, per cui non si può essere certi se sia riuscita a fuggire alla tirannia o ne sia schiacciata. Un tocco ancora più cupo emerge nell’appendice paratestuale del romanzo, in cui l’azione è proiettata nel giugno del 2195, in occasione di un convegno che una comunità accademica internazionale tiene a molti decenni di distanza dalla caduta di Gilead, che viene studiata come interessante fenomeno storico-sociale. Crescent Moon è l’organizzatrice dell’incontro, professoressa presso l’Università di Nunavit (forse corrispettivo dello stato canadese di Nunavut). L’ospite a cui la docente lascia la parola viene dal cuore della cultura occidentale, ossia Cambridge, nel Regno Unito, ma ha un nome ibrido: James Darcy Pieixoto. Pieixoto si è occupato di trascrivere il racconto con un collega e di riordinarlo.Ormai Gilead non esiste più, ma dal modo talora dubbioso e condiscendente del professore, si deduce che egli non sia estraneo a pregiudizi maschili. Pieixoto non considera le cassette un documento a causa della mancanza di dati oggettivi, ovvero sottolinea il carattere di assemblaggio e disposizione causale delle testimonianze, cosicché il racconto di Offred perde il suo valore di denuncia e autenticità. Lo stesso titolo dell’opera sarebbe stato attribuito dai due accademici, i quali oltretutto si divertono a giocare sul termine “tale”, omofono della parola “tail”, termine che in senso dispregiativo può indicare il fondoschiena femminile. Il risultato di questa previsione a posteriori sembra essere un’ulteriore violenza nei confronti di Offred, con un pubblico che, durante la conferenza, sembra non disprezzare l’orientamento sessista degli accademici.

(20)

0.2 La distopia in The Hunger Games

L’opera che ha reso Suzanne Collins famosa in tutto il mondo è The

Hunger Games, il cui primo libro è uscito nel 2008. Si tratta di una trilogia

che ha come protagonista una ragazza adolescente di nome Katniss Everdeen. L’ingrediente distopico di questa rimanda nuovamente ai mali del capitalismo e della tecnologia occidentali, alle politiche del neoimperialismo americano e a una gioventù “bruciata” nel corso di conflitti legati sia a guerre, sia a movimenti di protesta civile26. Il contesto è quello di una dittatura facente capo a un élite ricca e spietata, incarnata da Capitol City (doppio ironico del Campidoglio), capitale di una società fittizia di nome Panem.

Il termine “Panem” dichiara ironicamente un’espressione latina: panem et

circenses, ovvero “pane e divertimento”, da intendersi come riferimento ai

due desideri della bassa plebe che, se soddisfatti, avrebbero consentito ai potenti di governare senza fastidiose intromissioni. L’espressione è stata coniata da Decimo Giunio Giovenale, poeta satirico latino vissuto tra il 55 d.C. e il 127 d.C. Ai tempi dell’Impero Romano i governanti erano soliti adottare strategie demagogiche per cui il popolo veniva “distratto” dalla vita politica grazie all’offerta di regolari partite di grano o all’organizzazione di spettacoli pubblici, in particolare i combattimenti all’interno delle arene tra i gladiatori, le lotte contro gli animali e le corse con le bighe. In alcuni casi la distribuzione del cibo e la cura degli spettacoli erano organizzati dai magistrati o da coloro che erano interessati a fare carriera politica. Con il passare del tempo, con questo termine si è inteso denunciare una politica gestita tramite l’inganno: la truffa di un governante che riesce ad ottenere ciò che vuole distogliendo l’attenzione dei suoi sudditi rispetto a questioni cruciali. Questa spiegazione è presente anche nel terzo romanzo della serie,

Mockingjay:

26

Philip Kirby, “The Girl on Fire: The Hunger Games, Feminist Geopolitics and the

Contemporary Female Action Hero” ,

http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/14650045.2014.984835, [consultato il 24 Agosto 2017] p. 465 .

(21)

It's a saying from thousands of years ago, written in a language called Latin about a place called Rome […] Panem et Circenses translates into 'Bread and Circuses.' The writer was saying that in return for full bellies and entertainment, his people had given up their political responsibilities

and therefore their power27.

La Collins immagina dunque una dittatura dove si obbligano i dodici distretti proletari in cui è organizzato lo Stato di Panem (situato in un territorio che ricorda le Montagne Rocciose, nella regione degli Appalachi) ad offrire due “tributi umani” (una coppia di adolescenti) in una cerimonia annuale nota come The Reaping, ovvero “la mietitura”, in cui ovvio stravolgimento del significato del raccolto delle messi.

Gli “Hunger Games”, appunto “Giochi della Fame”, sono chiamati in questo modo per indicare lo scopo della gara: imporre ai concorrenti di sopravvivere all’interno dell’arena con le loro forze, mangiando e bevendo ciò che trovano, senza farsi uccidere dagli altri partecipanti. Il patimento della fame non si ritrova solo all’interno dell’arena degli Hunger Games, ma soprattutto lo si nota tra i vari distretti. Lo Stato di Panem, infatti, si assicura di scongiurare eventuali ribellioni riducendo alla fame e alla miseria i suoi cittadini: indebolire il popolo significa quindi difficili anche troncare sul nascere eventuali ribellioni.

La componente fantascientifica affiora per la presenza di creature modellate artificialmente dagli scienziati di Capitol City, come i Tracker

Jacker, vespe killers create per eliminare i ribelli prima del consolidamento

della dittatura:

These killer wasps were spawned in a lab and strategically placed, like land mines, around the districts during the war. Larger than regular wasps, they have a distinctive solid gold body and a sting that raises a lump the size of a plum on contact. Most people can’t tolerate more than a few stings. Some die at once. If you live, the hallucinations brought on by the venom have actually driven people to madness. And there’s another thing, these wasps will hunt down anyone who disturbs their

27

Suzanne Collins, Mockingjay: the Final Book of the Hunger Games, https://www.anderson5.net/cms/lib02/SC01001931/Centricity/Domain/222/Mocking%20Jay. pdf [consultato il 30 Ottobre 2017] p. 128.

(22)

nest and attempts to kill them. That’s where the tracker part of the name

comes from28.

I Muttations sono invece simili a lupi, creati però con i corpi di coloro che hanno partecipato agli Hunger Games:

Muttations. No question about it. I’ve never seen these mutts, but they’re no natural-born animals. They resemble huge wolves, but what wolf lands and then balances easily on its hind legs? What wolf waves

the rest of the pack forward with its front paw as though it had a wrist?29

Mockingjay, invece, è un uccello ibrido che, come un pappagallo evoluto,

ha la capacità di riportare intere conversazioni umane. Questo animale diventerà poi anche icona della rivolta iniziata dalla protagonista e simbolo presente in tutte e tre le copertine della trilogia, dove spicca un Mockingjay circondato da un cerchio dorato:

They’re funny birds and something of a slap in the face to the Capitol. During the rebellion, the Capitol bred a series of genetically altered animals as weapons. The common term for them was muttations, or sometimes mutts for short. One was a special bird called a jabberjay that had the ability to memorize and repeat whole human conversations. They were homing birds, exclusively male, that were released into regions where the Capitol’s enemies were known to be hiding. After the birds gathered words, they’d fly back to centers to be recorded. It took people awhile to realize what was going on in the districts, how private conversations were being transmitted. Then, of course, the rebels fed the Capitol endless lies, and the joke was on it. So the centers were shut

down and the birds were abandoned to die off in the wild30.

La dittatura di Panem sarebbe nata in Nord America dopo la distruzione del paese a causa della siccità, degli uragani, degli incendi e della lotta brutale per accaparrarsi le poche risorse rimaste. Quindi, anche in questo caso, il configurarsi del luogo distopico è caratterizzato da una tragica devastazione del mondo a causa soprattutto della follia e dell’abbrutimento dell’essere umano. Dopo un primo momento di pace apparente e prosperità, successivo alla nascita di Capitol City e dei suoi tredici distretti, si assiste ad un periodo

28

Suzanne Collins, The Hunger Games, Scholastic Press, New York 2009, pp. 185-186.

29

Ibidem, p. 331.

30

(23)

di ribellione nei quali dodici distretti verranno poi sconfitti dalla capitale, con il tredicesimo completamente distrutto.

La società che ne deriva risulta suddivisa in dodici distretti, ognuno dei quali si occupa di una determinata gestione economica che permette di mantenere un equilibro all’interno della struttura di Panem; il primo distretto è il più ricco, mentre il dodicesimo è il più povero. Il Distretto 12, per esempio, nel quale vive la protagonista, è tenuto a procurare energia attraverso le miniere di carbone, mentre il Distretto 11 è destinato all’agricoltura. La descrizione di quest’ultimo ambiente riporta alla mente la Guerra Civile Americana di metà Ottocento, se non addirittura l’epoca dello schiavismo, dal momento che gli abitanti di questo distretto sono tutti di colore e si occupano delle piantagioni31.

Come punizione per la rivolta, ognuno dei dodici distretti rimasti deve fornire ogni anno due candidati che abbiamo un’età compresa tra i dodici e i diciotto anni: un ragazzo e una ragazza, reificati al punto da essere chiamati

Tributes (contaminazione del lessema “Tribuno” di cui nell’opera si perdono

le valenze originarie di prestigio politico, il termine “tributo”, infatti si riferiva originariamente ad un pagamento che uno Stato meno potente doveva retribuire ai suoi “vicini” più potenti). I ventiquattro Tributi verranno poi rinchiusi in un’ampia arena all’aperto per varie settimane e dovranno combattere tra loro sino alla morte. L’ultimo “Tributo” che rimane in piedi vince, come un antico gladiatore in combattimento al Colosseo. La struttura degli Hunger Games ricalca una sorta di reality show con tanto di interviste ai concorrenti e commenti in studio televisivo durante la gara.

La protagonista partecipa ai settantaquattresimi “Hunger Games” offrendosi volontaria al posto della sorellina dodicenne, Prim, che è stata sorteggiata. Riesce a sopravvivere ai giochi insieme al compagno di Distretto, Peeta Mellark; alla fine, per non essere costretta ad uccidere Peeta, Katniss decide di utilizzare delle bacche velenose per togliersi la vita insieme al

31

Philip Kirby, “The Girl on Fire: The Hunger Games, Feminist Geopolitics and the

Contemporary Female Action Hero” ,

http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/14650045.2014.984835, [consultato il 24 Agosto 2017] p. 465.

(24)

compagno. Può sembrare quasi un riferimento alla famosissima opera di Shakespeare, Romeo and Juliet, in quanto entrambi i protagonisti finirebbero uccisi, teoricamente, per amore reciproco, dal momento in cui viene loro impedito di stare insieme. Nella realtà, però, lo scopo di Katniss è quello di far credere al pubblico di essersi innamorata di Peeta, con uno stratagemma che dovrebbe salvare entrambi.

A questo punto, di fronte all’eventualità di un ex-equo, coloro che organizzano i giochi, ovvero i Gamemarkers, proclamano la vittoria di entrambi. Katniss è tuttavia in pericolo, poiché gli organizzatori di queste Olimpiadi della Fame sono furiosi per essere stati messi in ridicolo da un semplice stratagemma. L'unica salvezza per la ragazza adesso sarà fingersi perdutamente innamorata di Peeta e convincere tutta Panem del fatto di aver agito soltanto per amore. Ma molti abitanti colgono nel gesto di lei il segnale di un atto di rivolta e questo fa scoppiare dei dissidi nei vari distretti. Ciò condurrà ad una ribellione di massa contro Capitol City e, dopo varie battaglie che costeranno la vita a molti personaggi, verrà siglata la sconfitta del President Snow. Nell'epilogo, Katniss e Peeta appaiono sposati e con due figli, un maschio e una femmina, simmetria perfetta che lascia intuire come i due ragazzi siano riusciti a superare il dramma vissuto e a conquistarsi la possibilità di condurre una vita finalmente normale.

The Handmaid’s Tale e The Hunger Games, seppur di spessore diverso e

appartenenti a periodi storici distinti, scritti a circa trent’anni di distanza l’uno dall’altro, hanno vari elementi in comune. Da notare è anzitutto come il luogo distopico sia specchio della degenerazione umana dell’ambiente sulla scia di guerre e lotte per il predominio. In secondo luogo, si registra quanto le protagoniste femminili siano forti, pur avendo età diverse e storie individuali distinte (Offred è una donna adulta che già ha avuto una figlia prima del costituirsi di Gilead, mentre Katniss è una sedicenne costretta a lavorare per mantenere la famiglia dopo la morte del padre) Offred e Katniss appaiono piene di volontà e in grado di ribellarsi contro una società che le tiene prigioniere, sia perché subordinate in un regime di dittatura, sia perché donne.

(25)

Esse tentano di salvaguardare la propria personalità e la propria integrità anche all’interno di una società che tende ad annientare l’individuo. Si ribellano alla dittatura anche con semplici gesti, come l’utilizzo da parte di Offred del burro come crema idratante, o come la volontà di Katniss di rimanere a tutti i costi viva durante lo svolgimento degli Hunger Games, senza mai sottostare alle difficoltà imposte dai Gamemakers.

Entrambe le protagoniste sono al contempo costrette a fare “concessioni” alla dittatura per sopravvivere, ma cercano anche di ritagliarsi una propria via di fuga, con comportamenti astuti e guardinghi, oppure di sfida aperta.

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