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DELLE FONTI DEL DIRITTO

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DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE

caPo i

DELLE FONTI DEL DIRITTO Le fonti del diritto sono gli atti (fonti-atto) o i fatti (fonti-fatto) che producono, modificano o abrogano determinate norme giuridiche:

– i primi sono emanati in forma scritta dalle pubbliche autorità in base a specifiche procedu- re: fonti di produzione (che si distinguono dalle fonti di cognizione, ossia gli strumenti mediante i quali tali norme vengono portate a conoscenza dei cittadini);

– i secondi, invece, sorgono spontaneamente in seno alla collettività, attraverso l’osservanza di una condotta costante nel tempo e producono norme non scritte (consuetudine).

Le norme giuridiche sono regole del diritto positivo ed hanno carattere precettivo e sanzio- natorio, ossia stabiliscono che certi comporta- menti possono (ovvero devono) o non possono (ovvero non devono) tenersi.

La norma giuridica si compone, infatti, di due parti:

– il precetto, in base al quale un determina- to comportamento è lecito o meno (comando nei reati omissivi, divieto nei reati commissivi);

– la sanzione, ossia la minaccia di una pena in caso di violazione del precetto.

Tuttavia esistono casi in cui alcune norme giuridiche sono prive di sanzioni: parliamo delle norme imperfette (es.: alcune norme costituzio- nali che regolano i comportamenti di Parlamen- to, Governo e Presidente della Repubblica).

I caratteri essenziali delle regole giuridiche (che le distinguono dalle regole del diritto natu- rale) sono, secondo una classificazione dottrina- ria e giurisprudenziale universalmente accettata, i seguenti:

a) generalità: si applicano a tutti quelli che si trovano in una situazione da esse disciplinata;

b) astrattezza: prevedono in astratto la discipli- na di situazioni eguali a quelle in esse contenute;

c) novità: devono tendenzialmente innovare l’ordinamento giuridico;

d) esteriorità: oggetto della loro disciplina è l’esterno operare degli individui;

e) bilateralità: prevedono un’interdipenden- za tra situazioni soggettive di vantaggio e situa- zioni soggettive di svantaggio;

f) imperatività (o cogenza): contengono un precetto la cui attuazione è garantita da un siste- ma sanzionatorio che fa leva su di un’applicazio- ne coattiva da parte dell’autorità pubblica;

g) relatività o derogabilità: la loro applica- zione può anche essere disattesa dagli interessati.

L’ordinamento giuridico, pertanto, va inteso come il complesso di norme poste da un’autorità sovraordinata che determina, oltre ad un sistema di garanzie, anche vincoli e limiti per le libertà individuali.

Le norme, quindi, interagendo tra loro, deli- neano le regole a cui ogni individuo deve unifor- mare la propria condotta allo scopo di assicura- re l’ordinato svolgimento della vita sociale e dei rapporti tra i singoli (diritto oggettivo).

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. Indicazione delle fonti. – Sono fon-

ti (70, 87, 121, 138, Cost.) del diritto:

1) le leggi (2, 10 ss.);

2) i regolamenti (3, 4);

3) le norme corporative (

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);

4) gli usi (8 ss.).

(1) Il R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721, soppressione degli organi corporativi centrali, del comitato inter- ministeriale prezzi e del comitato interministeriale per l’autarchia, ha soppresso l’ordinamento corporativo fascista.

Il diritto di cui finora si è parlato è il diritto oggettivo ossia il complesso di regole poste dal- le norme giuridiche per disciplinare la vita di una comunità: è questo l’ordinamento giuridico, l’in- sieme delle norme poste da un’autorità sovraordi- nata che determina, oltre ad un sistema di garan- zie, anche vincoli e limiti per le libertà individuali.

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Distinte da tale nozione del diritto sono le di- verse situazioni giuridiche soggettive che da esso possono promanare: il potere, il dovere, l’onore, il diritto soggettivo, l’interesse legittimo. L’ordi- namento giuridico costituisce, in altre parole, la fonte di legittimazione di tali situazioni.

Non è agevole definire il diritto, ma senz’altro sono identificabili le sue tre fondamentali funzioni:

a) distribuzione e utilizzazione delle risorse (diritto privato);

b) repressione di comportamenti socialmente pericolosi (diritto penale);

c) istituzione e organizzazione dei pubblici poteri (diritto costituzionale e amministrativo).

In pratica, però, tale classificazione risulta or- mai superata, dato che le attuali fonti del dirit- to sono ben più numerose e molti sono i sogget- ti deputati a produrle. Pertanto occorre stabilire il rapporto che intercorre tra esse e nello stesso tempo scongiurare una sovrapposizione tra le medesime (antinomie delle fonti).

A tale scopo si adoperano alcuni criteri:

a) criterio di gerarchia, che non va confuso con l’ordine di applicazione delle norme:

– le fonti del diritto appartengono a gradi di- versi;

– prevale la fonte sovraordinata;

– sussiste il controllo di validità rispetto alla fonte sovraordinata (esso può essere diffuso, co- me negli USA o accertato come in Italia median- te la Corte costituzionale);

– le norme di grado inferiore non possono mai modificare o abrogare quelle di grado superiore, né tantomeno contenere norme in contrasto con esse;

b) criterio di competenza:

– le fonti appartengono al medesimo grado ma si attribuisce una materia ad ogni fonte;

– prevale la fonte competente per materia (Stato/Regione, Stato/Unione europea);

c) criterio temporale:

– le fonti appartengono al medesimo grado e sono entrambi competenti per materia;

– la fonte emanata in una fase successiva abro- ga quella precedente (lex posterior derogat legi pri- ori). Tale abrogazione può essere espressa o tacita;

d) criterio di specialità:

– le fonti appartengono al medesimo grado e sono entrambe competenti per materia, ma una è generale e l’altra è speciale;

– la fonte speciale prevale su quella generale.

Attuali fonti del nostro ordinamento giuridi- co sono:

a) Costituzione, Leggi di revisione costi- tuzionale e altre leggi costituzionali (comprese quelle di approvazione degli statuti delle regio- ni speciali);

b) fonti primarie: trattato CE, direttive e re- golamenti comunitari; regolamenti degli organi costituzionali (Camera, Senato, Corte costituzio- nale), leggi ordinarie; decreti legge; statuti delle regioni ordinarie; leggi regionali e delle province autonome; decreti legislativi attuativi degli statu- ti delle regioni speciali; referendum abrogativo;

c) fonti subprimarie: leggi regionali delega- te; decreti delegati del Governo; statuti degli enti locali;

d) fonti secondarie: regolamenti, ordinanze, statuti di enti a statuto di specie;

e) fonti fatto: consuetudine, usi ed equità (ma solo quando è richiamata dalla legge [1371, 1374, 1733, 2047, comma 2, 2118]);

f) contratti collettivi di diritto comune (stipu- lati dalle associazioni sindacali al fine di regolare in via uniforme i rapporti di lavoro delle categorie rappresentate). Secondo la Cassazione i contrat- ti collettivi di lavoro di diritto comune non sono fonte di diritto, né in tal senso depone l’art. 425 c.p.c. che attribuisce al giudice la facoltà di acqui- sire d’ufficio i testi dei contratti ed accordi collet- tivi applicabili nella causa, poiché tale norma at- tiene all’ambito dell’acquisizione della prova nel rito del lavoro e non costituisce deroga al princi- pio iura novit curia, valido per le norme di diritto e non per le norme contrattuali collettive; ne con- segue la non deducibilità in Cassazione, della vio- lazione delle norme poste da detti contratti collet- tivi (così Cassazione n. 10914 del 2000);

g) le linee guida dell’ANAC in materia di contratti pubblici: il D.Lgs. n. 50 del 2016 rinvia, in funzione integrativa, alle suddette linee guida per la regolamentazione di alcuni aspetti di detta- glio accanto alla disciplina dettata dal Codice de- gli Appalti Pubblici. Le linee guida sono vinco- lanti: si distinguono, così, dal cd. “soft laws” (di cui sono esempi i bandi-tipo e i capitolati-tipo), che – pur avendo natura normativa – possono es- sere disapplicate dalla stazione appaltante previa adeguata motivazione;

h) giurisprudenza (benché nel nostro ordina- mento giuridico sia assente il principio di vinco- latività dei precedenti, le sentenze formano, nel corso del tempo, orientamenti costanti, per cui le massime, ovvero i principi di diritto applicati nelle medesime pronunzie, tendono ad assume-

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Codice civile (preleggi)

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re il canone di regole giuridiche autonome con-

cretamente operanti all’interno della collettività).

Le circolari contenendo istruzioni, ordini di servizio, direttive impartite dalle autorità ammini- strative centrali o gerarchicamente superiori agli enti o organi periferici o subordinati, con la fun- zione di indirizzare in modo uniforme l’attività di tali enti o organi inferiori, sono atti meramente in- terni della Pubblica Amministrazione (c.d. norme interne), che esauriscono la loro portata ed effica- cia giuridica nei rapporti tra i suddetti organismi ed i loro funzionari e non possono, quindi, spie- gare alcun effetto giuridico nei confronti di sog- getti estranei all’Amministrazione, né acquistare efficacia vincolante per quest’ultima, neppure co- me mezzo di interpretazione di norme giuridiche, non costituendo pertanto fonte di diritti a favore di terzi, né di obblighi a carico dell’Amministrazione (così Cassazione n. 2092 del 1983).

L’articolo 1 della legge X stabilisce: “È vietato uscire in moto la sera”. Il decreto ministeriale Y al- l’articolo 2 dispone: “È prevista la pena pecuniaria di 100 euro per chiunque circoli in moto dalle ore 20 alle ore 24 per le strade della città”. Tale ultima disposizione è da ritenersi illegittima perché con- traria alla norma gerarchicamente sovraordinata.

u  Il principio “iura novit curia”, laddove ele- va a dovere del giudice la ricerca del “diritto”, si riferisce alle vere e proprie fonti di diritto og- gettivo, cioè a quei precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giu- ridicità, dovendosi escludere dall’ambito della sua operatività, sia i precetti aventi carattere normativo, ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico, ma non normativo (come gli atti di autonomia privata, o gli atti ammi- nistrativi), sia quelli aventi forza normativa pu- ramente interna (come gli statuti degli enti e i regolamenti interni) (6933/1999, rv 528288).

u  Nel caso di nascita indesiderata nei con- fronti del nascituro si ritiene violato il dettato dell’art. 32 della Costituzione, intesa la salute non soltanto nella sua dimensione statica di assenza di malattia, ma come condizione dina- mico/funzionale di benessere psicofisico – come testualmente si legge nell’art. 1 lettera o) del D.Lgs. n. 81 del 2008. Deve ancora ritenersi consumata: - la violazione della più generale norma dell’art. 2 della Costituzione, apparendo innegabile la limitazione del diritto del minore

allo svolgimento della propria personalità sia come singolo sia nelle formazioni sociali; - del- l’art. 3 della Costituzione, nella misura in cui si renderà sempre più evidente la limitazione al pieno sviluppo della persona; - degli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione, volta che l’arrivo del minore in una dimensione familiare "alterata"

impedisce o rende più ardua la concreta e co- stante attuazione dei diritti-doveri dei genitori sanciti dal dettato costituzionale, che tutela la vita familiare nel suo libero e sereno svolgimen- to sotto il profilo dell’istruzione, educazione, mantenimento dei figli. Pertanto l’interesse giuridicamente protetto, del quale viene ri- chiesta tutela da parte del minore alla luce dei testè richiamati articoli della Carta fondamen- tale, è quello che gli consente di alleviare, sul piano risarcitorio, la propria condizione di vita, destinata a una non del tutto libera estrinse- cazione secondo gli auspici dal Costituente: il quale ha identificato l’intangibile essenza del- la Carta fondamentale nei diritti inviolabili da esercitarsi dall’individuo come singolo e nelle formazioni sociali ove svolgere la propria per- sonalità, nel pieno sviluppo della persona uma- na, nell’istituzione familiare, nella salute. Non assume, pertanto, alcun rilievo "giuridico" la dimensione prenatale del minore, quella nel corso della quale la madre avrebbe, se infor- mata, esercitato il diritto all’interruzione della gravidanza. Se l’esercizio di questo diritto fosse stato assicurato alla gestante, la dimensione del non essere del nascituro impedisce di attribuirle qualsivoglia rilevanza giuridica (16754/2012).

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. Leggi. – La formazione delle leggi (1,

n. 1) e l’emanazione degli atti del Governo aventi forza di legge sono disciplinate da leg- gi di carattere costituzionale (70 ss., 87, 128 Cost.).

Stabilito che nel nostro ordinamento la Co- stituzione è la norma primaria per eccellenza (di carattere rigido, perché modificabile solo attra- verso un procedimento speciale e non mediante leggi ordinarie, bensì mediante leggi costituzio- nali ex art. 138 Cost.), con il termine legge pos- siamo identificare:

a) la legge costituzionale, che ha il mede- simo rango e stessa competenza della carta co- stituzionale;

b) la legge ordinaria, che è un atto normati- vo approvato dal Parlamento ed è promulgata dal Presidente della Repubblica;

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c) la legge regionale, approvata dal Consiglio regionale, ha validità per il solo territorio regio- nale ed opera nel rispetto dei principi contenuti nell’art. 117 Cost. Va comunque precisato che la riforma costituzionale operata con la legge cost.

n. 3/2001 ha realizzato nel nostro Paese una for- ma di federalismo mediante l’attribuzione alle au- tonomie territoriali di più ampi poteri legislativi e amministrativi rispetto a quelli precedentemen- te previsti. A tale scopo il legislatore costituente ha capovolto l’intero criterio di ripartizione del- la potestà legislativa fra Stato e Regioni previsto dal sistema previgente. Prima della modifica l’art.

117 Cost. si limitava ad indicare le sole materie in cui la Regione poteva emanare norme legislative

«nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni» riservando in modo tacito, con un criterio residuale, alla legislazione esclusi- va dello Stato, ogni altra materia non indicata fra le materie in cui le Regioni avevano potestà le- gislativa concorrente. La nuova versione dell’art.

117 Cost., come riscritto dall’art. 3 della legge co- stituzionale n. 3/2001, rovescia, appunto, il crite- rio di ripartizione della potestà legislativa fra Stato e Regioni precedentemente previsto: oltre ad indi- care positivamente le materie riservate alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, sancisce po- sitivamente le sole materie riservate alla legisla- zione esclusiva dello Stato, da ritenere certamen- te sottratte alla potestà legislativa delle Regioni, assegnando invece a quest’ultima, con un criterio residuale (federalismo), «la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente ri- servata alla legislazione dello Stato». Alla L. cost.

n. 3/2001, ha fatto seguito la L. n. 131/2003 (c.d.

legge La Loggia), di attuazione, in base alla quale:

– l’attività legislativa dello Stato e delle re- gioni è esercitata nel rispetto dei vincoli presta- biliti;

– la normativa statale nelle materie apparte- nenti alla legislazione regionale e quella regio- nale nelle materie appartenenti allo Stato, con- tinuano ad applicarsi fino all’entrata in vigore, rispettivamente, delle disposizioni regionali e sta- tali in materia. A riguardo il Governo è stato de- legato ad emanare una serie di decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nel rispetto dei principi di esclusività, adeguatezza, chiarez- za, proporzionalità ed omogeneità, allo scopo di orientare l’iniziativa legislativa di Stato e regioni;

– il Governo è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi allo scopo di raccogliere in testi unici compilativi le residue disposizioni le- gislative, per ambiti omogenei nelle materie di legislazione concorrente, apportandovi modifi- che di carattere formale, necessarie a garantire coordinamento e coerenza terminologica;

– le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, concorrono direttamente, nelle mate- rie di loro competenza legislativa, alla formazio- ne di atti comunitari e provvedono direttamente all’attuazione e all’esecuzione di accordi interna- zionali ratificati;

d) la legge provinciale delle province auto- nome di Trento e Bolzano.

Per quanto concerne gli atti di Governo aven- ti forza di legge, va innanzitutto precisato che il governo è privo di potere legislativo (non può fa- re leggi); tuttavia solo in determinati casi, espres- samente stabiliti dalla Costituzione (artt. 76 e 77 cost.), può emanare atti aventi forza di legge:

e) i decreti legge, emessi in casi di necessità ed urgenza, hanno efficacia immediata, ma van- no convertiti in legge entro 60 gg. dall’emana- zione, pena la loro decadenza;

f) i decreti legislativi, sono deliberati dal go- verno su delega legislativa del Parlamento che ne fissa anche i criteri di applicabilità.

u  La Corte cost., ha il potere di accertare la sussistenza in concreto dei presupposti della ne- cessità ed urgenza previsti dall’art. 77 cost. per l’adozione dei decreti-legge, configurando l’e- ventuale mancanza di detti presupposti tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto – quanto un vizio “in procedendo” della legge di conversione (Corte cost. 128/2008).

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. Regolamenti. – Il potere regolamen-

tare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale.

Il potere regolamentare di altre autorità è esercitato nei limiti delle rispettive compe- tenze, in conformità delle leggi particolari (4, 77, 87 Cost.).

I regolamenti sono norme giuridiche adottate dal potere esecutivo (Consiglio dei Ministri, Mini- stri). Questi non possono contenere disposizioni in contrasto con le leggi (la loro illegittimità li rende- rebbe annullabili da parte della giurisdizione am-

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Codice civile (preleggi)

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ministrativa) ma, pur ricoprendo il ruolo di fonti

secondarie (atti amministrativi), innovano l’ordi- namento giuridico, nei limiti stabiliti dalla legge.

Sono emanati nella forma di decreti del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo parere del Consiglio di Stato.

I regolamenti possono essere emanati anche da autorità della pubblica amministrazione su- bordinate al potere esecutivo (es: prefetti), ovve- ro dagli enti pubblici territoriali (regioni, provin- ce, comuni).

Attualmente distinguiamo (L. n. 400 del 1988):

– regolamenti esecutivi di leggi e decreti le- gislativi: mediante i quali si intende dare concre- ta attuazione alla norma legislativa cui essi fanno riferimento;

– regolamenti delegati o di deroga: non im- portano una delega al Governo di funzioni legi- slative, pertanto l’atto che in tal caso viene ema- nato da quest’ultimo non è un decreto avente forza di legge. La facoltà regolamentare che in tal modo viene attribuita può, nei limiti ristretti della stessa delega, importare deroga alla legge (delegificazione);

– regolamenti indipendenti: emanati in una materia nella quale non vi sia una disciplina di grado primario e sempreché non si versi in mate- ria comunque riservata alla legge. Poiché al go- verno centrale deve riconoscersi una istituziona- le e generale sfera di autonomia normativa, nel rispetto di una adeguata base legale e dei precetti legislativi attributivi di competenza per settori di materie e delle norme primarie indicanti gli sco- pi primari da realizzarsi, ben può ammettersi che possa emanare regolamenti indipendenti in mate- rie non già disciplinate dalla legge;

– regolamenti interni e di organizzazione:

esauriscono la loro efficacia all’interno degli stes- si enti da cui promanano, pertanto si deve esclu- dere che essi possano produrre prescrizioni aventi vigore e forza cogente di norme giuridiche;

– regolamenti di recepimento di accordi col- lettivi di lavoro: rientrano in parte nella categoria dei regolamenti di organizzazione.

Esistono, però, alcune materie che il potere esecutivo non può disciplinare mediante regola- menti, perché la Costituzione ha stabilito che que- ste vadano disciplinate unicamente mediante la legge: è questo il principio della riserva di legge.

Lo scopo principale di tale preclusione è quello di garantire che su alcune materie debba pronunciarsi e legiferare solo il Parlamento, ossia l’organo che è espressione della sovranità popolare. Anche gli at-

ti aventi forza di legge (che appartengono al pote- re esecutivo) possono disciplinare materie protette dalla riserva di legge, ma sempre sotto stretto con- trollo del Parlamento (potere legislativo).

I regolamenti comunitari, infine, sono atti normativi emanati dall’Unione europea aventi contenuto normativo generale, al pari delle leggi statali, direttamente applicabili all’interno degli Stati membri e immediatamente vincolanti per questi ultimi e per i cittadini, senza necessità di norme interne di adattamento o ricezione.

u  Gli atti amministrativi, anche quando ab- biano contenuto normativo, non possono for- mare oggetto di “interpretazione autentica”

neppure ad opera dello stesso organo che li ha emessi (1271/1999, rv 523258).

u  Una fonte di rango regolamentare di ese- cuzione ed attuazione di una fonte legislativa può essere abrogata tacitamente da una fonte legislativa soltanto in via riflessa, cioè se questa fonte successiva abbia effetti abrogativi taciti od espressi dalla fonte legislativa, in esecuzione o attuazione della quale quella regolamentare sia stata emanata, e sempre che quest’ultima abbia contenuti tali che la sua permanenza ri- sulti incompatibile con la sopravvenuta vigenza della nuova legge. Ne consegue che, dovendo escludersi che la disciplina dell’art. 1182 c.c.

abbia potuto abrogare tacitamente quella sui pagamenti dello Stato di cui al R.D. n. 2440 del 1923, tenuto conto che lex posterior generalis non derogat legi priori speciali, deve escludersi che per effetto dell’entrata in vigore del suddet- to art. 1182, siano state tacitamente abrogate le disposizioni regolamentari costituenti esecuzio- ne od attuazione del citato R.D. (R.D. n. 827 del 1924 e R.D. n. 1759 del 1926) e le loro modifiche nel tempo, in punto di luogo del pagamento da parte dell’Amministrazione (13252/2006).

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. Limiti della disciplina regolamen- tare. – I regolamenti non possono contenere

norme contrarie alle disposizioni delle leggi.

I regolamenti emanati a norma del se- condo comma dell’art. 3 non possono nem- meno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo.

Connesso al principio della riserva di legge è quello di legalità, che può essere letto secondo due distinti profili:

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