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Quanto tempo bisogna fermarsi dopo un incidente con feriti?

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Quanto tempo bisogna fermarsi dopo un incidente con feriti?

Autore: Redazione | 09/06/2019

Incidente stradale con o senza feriti: gli obblighi dei conducenti. Il reato di fuga e quello di omissione di soccorso.

Immagina un tamponamento tra due auto. Il responsabile, colui cioè che proviene da dietro, non si accorge che la macchina davanti si è appena fermata per lasciar

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passare un pedone. Distratto dall’uso del cellulare, gli va così addosso. All’esito dello scontro, il tamponato resta seduto sul proprio sedile, ancora stravolto dall’urto; il danneggiante, invece, gli va incontro. Si scusa, si dichiara disponibile a riparargli l’auto, gli offre anche del denaro in contanti. L’altro invece, ancora confuso, preferisce essere accompagnato al pronto soccorso per gli accertamenti.

Il responsabile sostiene di non poterlo fare, di dover scappare al lavoro. Gli lascia il proprio numero di telefono, chiama la polizia e poi se ne va seccato, convinto che l’altro stia esagerando nel lamentare dolori al collo e alla schiena. Dopo qualche mese però gli arriva una citazione a giudizio per il reato di fuga. A detta delle autorità, è scappato dopo l’incidente stradale, cosa che comporterebbe una responsabilità penale.

L’uomo prova a difendersi: fa rilevare di essersi fermato, di aver parlato con l’altro conducente, di avergli offerto il risarcimento, di essere stato lui a chiamare la polizia. Si dice anche pronto a richiedere i tabulati alla compagnia telefonica. Ma, secondo il pubblico ministero, questo non rileva: rileva il fatto che, al momento dell’arrivo della polizia, lui non era presente sul posto. Chi ha ragione? Quanto tempo bisogna fermarsi dopo un incidente con feriti? La questione è stata analizzata da una recente sentenza della Cassazione [1].

La pronuncia è particolarmente interessante perché fissa la distinzione tra il reato di fuga e il reato di omissione di soccorso, entrambi previsti dal Codice della strada. Vediamo dunque come si deve comportare un automobilista a seguito di un incidente stradale con feriti.

Leggi l’approfondimento nell’articolo Non fermarsi dopo incidente senza o con feriti.

Incidente: cosa fare se non ci sono feriti

In un incidente stradale senza feriti, gli automobilisti hanno l’obbligo di scambiarsi le rispettive generalità, gli estremi della patente e dell’assicurazione. Questo al fine di consentire, al danneggiato incolpevole, di chiedere il risarcimento alla propria compagnia. Se il responsabile scappa senza fornire i propri dati, il danneggiato sarà risarcito dal Fondo di Garanzia Vittime della strada, mentre il primo subisce una semplice sanzione amministrativa (un po’ come quella per la guida in eccesso di velocità). L’importo della sanzione va da 296 a 1.184 euro. Se però il danno procurato all’altra auto è grave può scattare anche l’obbligo di

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sottoporre a revisione l’auto e la sospensione della patente da 15 giorni a due mesi.

Incidente: cosa fare se ci sono feriti

Ci sono due obblighi che gravano sul responsabile dell’incidente stradale. La loro violazione è sanzionata da due norme penali differenti. Vediamole qui di seguito.

Il reato di fuga

Se ci sono feriti, le cose si complicano. Il danneggiante ha innanzitutto l’obbligo di fermarsi e attendere l’intervento delle autorità per consentire la sua identificazione e la redazione del verbale con la ricostruzione delle modalità dell’incidente. Lo scopo quindi è prestare collaborazione con polizia e carabinieri. Ecco perché, se ancora ti chiedi «quanto tempo bisogna fermarsi dopo un incidente con feriti?» la risposta è molto semplice: finché non te lo dice l’agente intervenuto sul posto. Non conta il fatto che le lesioni all’altro conducente siano del tutto lievi o insignificanti, che questi sia lucido e non dà segni di stare male.

Il dovere di fermarsi deve, in buona sostanza, durare per tutto il tempo necessario ai fini della conduzione delle prime indagini volte all’identificazione del conducente e del veicolo condotto.

L’obbligo spetta solo su chi ha la colpa dell’incidente e non sull’altro conducente.

Per cui se quest’ultimo se ne va, il responsabile può pure allontanarsi.

Chi viola questa regola però non commette un semplice illecito amministrativo, ma un reato. Siamo cioè nel “penale”; si rischia la reclusione da 6 mesi a 3 anni, nonché la sospensione della patente di guida da 1 a 3 anni.

Il reato di fuga scatta anche quando si ritiene che l’altro conducente non si sia fatto nulla, e ci si allontana col consenso di quest’ultimo. L’obbligo di fermarsi, infatti, è necessario non tanto quando c’è un soggetto con necessità di soccorso, ma per il semplice fatto che bisogna attendere le autorità che dovranno stilare il verbale.

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Il reato di omissione di soccorso

Il reato di omissione di soccorso implica, invece, il dovere di prestare assistenza a chi, dopo l’incidente, si trova in stato di bisogno. Questo reato, a differenza del precedente, presuppone un bisogno effettivo del soggetto investito.

Chiaramente, il responsabile non dovrà improvvisarsi medico, fare respirazione bocca a bocca o altre manovre; dovrà tuttavia fare in modo da mettere in sicurezza la strada (in modo che il danneggiato eventualmente a terra non venga investito da altri veicoli) e chiamare immediatamente il 118 o le altre autorità competenti. Insomma, prestare soccorso non richiama un concetto di soccorso medico, ma logistico e volto a garantire l’altrui sicurezza in attesa dell’ambulanza.

Sempre secondo la Cassazione [2] la mancanza di parcheggio non giustifica l’automobilista per l’omissione di soccorso.

Note

[1] Cass. sent. n. 25142/19 del 6.06.2019.

Sentenza

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 marzo – 6 giugno 2019, n. 25142 Presidente Menichetti – Relatore Dawan Ritenuto in fatto 1. La Corte di

appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale che, ritenuta N.M.

responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 189, comma 6, ((omissis) ) la condannava alla pena di mesi 6 di reclusione, disponendo altresì la

sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per anni uno. Pena sospesa e non menzione. 2. In particolare, l’imputata, avendo provocato un incidente stradale tamponando l’autovettura che la precedeva,

condotta da una donna in stato di gravidanza, con a bordo un bambino in tenerissima età, si era limitata ad offrire una somma di denaro senza fornire le proprie generalità e senza attendere l’arrivo della Polizia Municipale, preferendo,

invece, allontanarsi repentinamente dal luogo del sinistro. 3. Avverso la prefata sentenza l’imputata, a mezzo del difensore, interpone ricorso per cassazione, articolando un unico motivo con cui deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 189 C.d.S., comma 6, e vizio di motivazione. Premessa la distinzione tra le due fattispecie rispettivamente previste al comma 6 e al comma 7 del predetto art.

189, sostiene che l’applicabilità del comma 6 è legittima solo allorché, avvenuto l’urto, il responsabile non si sia affatto fermato. Le sentenze del merito, tuttavia, non ne traggono le ovvie conseguenze. L’assunto del giudice dell’appello sulla

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condotta dolosa della N. è smentito dalla stessa pronuncia del primo grado allorché questa affermava il dubbio sulla consapevolezza che la S. avesse bisogno di

assistenza. La Corte di appello avrebbe dovuto raccogliere questo dubbio, escludendo in conseguenza l’elemento soggettivo del reato e pervenendo all’assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p., comma 2. Diversamente opinando, infatti,

non si sarebbe potuti pervenire, in primo grado, all’assoluzione per la

contestazione di cui all’art. 189 C.d.S., comma 7, la quale poggia non sull’assenza di feriti bensì nella più ampia assenza di consapevolezza che la persona offesa S.

avesse bisogno di assistenza e quindi dell’evidenza di danno alcuno. La pronuncia di primo grado escludeva persino la ricorrenza del dolo eventuale che invece la sentenza di appello sembra introdurre ex novo. Si evidenzia la tenuità dei danni riportati dai veicoli e dalle persone coinvolte. Nessun accertamento è stato svolto

sul nesso causale tra l’incidente e i danni che si assumono dal primo scaturiti.

Trattasi, peraltro, di danni non indennizzabili stante che i danni indennizzabili sono solo quelli risultanti e provati con indagini strumentali o di evidenza clinica.

Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché si risolve in una censura in fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa

valutazione delle risultanze processuali non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque manifestamente infondato. 2. Questa Corte ha ripetutamente chiarito che il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione dell’assistenza occorrente, previsti rispettivamente dall’art.

189 C.d.S., commi 6 e 7, hanno diversa oggettività giuridica, essendo la prima previsione finalizzata a garantire l’identificazione dei soggetti coinvolti

nell’investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la seconda è finalizzata a garantire che le persone ferite non rimangano prive della necessaria

assistenza (Sez. 4, n. 42308 del 07/06/2017, Massucco, Rv. 270885; Sez. 4, n.

23177 del 15/03/2016, Trinke, Rv. 266969; Sez. 4, n. 6306 del 15/01/2008, Grosso, Rv. 239038). Si è inoltre costantemente affermato che l’elemento soggettivo del

reato previsto dall’art. 189, comma 6, è integrato anche in presenza del dolo eventuale, ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di incidente

comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall’incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di fermarsi. Dunque, per

le modalità di verificazione del sinistro e per le complessive circostanze della vicenda, l’agente deve rappresentarsi la semplice possibilità che dall’incidente sia

derivato un danno alle persone (Sez. 4, n. 16982 del 12/03/2013, Borselli, Rv.

255429; Sez. 4, n. 17220 del 06/03/2012, Turcan, Rv. 252374; Sez. 4, n. 34335 del 03/06/2009, Rizzante, Rv. 245354). Ciò posto, mentre nel reato di "fuga" previsto

dall’art. 189 C.d.S., comma 6, è sufficiente che si verifichi un incidente

riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, senza che debba riscontrarsi l’esistenza di un effettivo danno alle

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persone, per il reato di omissione di assistenza, di cui al comma 7, dello stesso articolo, si richiede che sia effettivo il bisogno dell’investito. Effettività che si reputa insussistente nel caso di assenza di lesioni o di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario l’intervento dell’obbligato. Certamente,

l’assenza di lesioni o morte o la presenza di un soccorso prestato da altri non possono essere conosciute ex post dall’investitore, dovendo questi essersene reso

conto in base ad obiettiva constatazione prima dell’allontanamento (Sez. 4, n.

5416 del 25/11/1999 (dep. 09/05/2000), Sitia e altri, Rv. 216465; Sez. 4, n. 4380 del 02/12/1994 (dep. 24/04/1995), Prestigiacomo, Rv. 201501). Quanto più specificatamente al reato di cui all’art. 189, comma 6, per il quale la N. ha riportato

condanna, trattasi di un reato omissivo di pericolo, il cui elemento materiale consiste, come si è già osservato, nell’allontanarsi dell’agente dal luogo dell’investimento così da impedire o comunque, ostacolare l’accertamento della propria identità personale, l’individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione

delle modalità dell’incidente. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che integra il reato di cui all’art. 189 C.d.S., comma 1 e 6, (cosiddetto reato di "fuga"),

la condotta di colui che - in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone - effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea (nella specie "per pochi istanti"), senza consentire

la propria identificazione, nè quella del veicolo. Infatti il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del

veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire nè l’identificazione del conducente, nè quella del veicolo, nè lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica (Sez. 4, n.

9128 del 02/02/2012, Boffa, Rv. 252734: fattispecie in cui la Corte ha affermato la responsabilità di un conducente che, dopo il sinistro, si era limitato ad abbassare il

finestrino pronunciando la frase: "tutto bene"). 3. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi e non è incorsa in alcun vizio di motivazione.

Quanto al reato di cui all’art. 189 C.d.S., comma 6, ha affermato, in particolare, che proprio la semplice offerta di una somma di denaro (alla quale peraltro non è stato

dato alcun seguito), senza peraltro fornire le proprie generalità ed attendere l’arrivo della Polizia Municipale, testimonia che l’imputata era pienamente

consapevole di aver arrecato un danno e che non voleva assumersi la

responsabilità di quanto accaduto; e che la versione difensiva, secondo la quale la donna si sarebbe allontanata a causa del comportamento intimidatorio ed aggressivo della persona offesa, non risulta affatto credibile stante l’interesse di quest’ultima a che la N. rimanesse sul luogo dell’incidente in attesa degli operanti

ai quali fornire le proprie generalità. 4. In conclusione, il ricorso va dichiarato

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inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della

Cassa delle ammende.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 maggio – 5 giugno 2019, n. 24934 Presidente Piccialli – Relatore Picardi Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado con cui C.P. è stato condannato alla pena di anni 1 di reclusione (pena base per il reato più grave di cui

all’art. 189 C.d.S., comma 7, di anni 1 di reclusione, aumentata di mesi 4 per la recidiva e di mesi 2 per la continuazione interna e esterna, diminuita di 1/3 per il

rito) per i reati di cui all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, per non aver ottemperato all’obbligo di fermarsi e prestare assistenza alla persona ferita, dopo aver provocato, con la sua condotta di guida un incidente dal quale derivavano lesioni (capo A) e di cui all’art. 590 c.p., per aver cagionato lesioni (trauma discorsivo del

rachide cervicale e contusivo della regione sternale) a D.F.P. , tamponando il suo veicolo, fermo al semaforo rosso, con colpa consistita nella violazione dell’art. 141

C.d.S. (capo B) - (omissis) . 2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l’imputato che ha dedotto:

1) la carenza di motivazione in ordine alle censure di appello concernenti la responsabilità per il capo A) ed in particolare l’insussistenza dell’elemento soggettivo, atteso che l’assistenza di cui necessitava la persona ferita non era

immediatamente percepibile da alcuno; 2) la mancata pronuncia in ordine al motivo di gravame concernente la dinamica del sinistro, riconducibile, nella prospettazione difensiva, all’imperizia della stessa persona offesa, la quale ha

arrestato la marcia improvvisamente e senza plausibili ragioni dopo essere ripartita dalla posizione di sosta imposta dal semaforo rosso. Considerato in diritto

1. Il ricorso non può essere accolto. 2. Il primo motivo è destituito di fondamento.

Dalla sentenza di appello risulta che lo stesso imputato non ha contestato la sua percezione del sinistro e dei possibili danni alle persone cagionati, avendo dedotto

che la mancata fermata è derivata dall’assenza di parcheggio e, quindi, avendo implicitamente confermato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui

all’art. 189 C.d.S., già accertata dal primo giudice, il quale ha sottolineato che, nelle prospettazioni difensive proposte, C. si sarebbe fermato a circa 100 metri dal

sinistro e addirittura sarebbe tornato indietro ed avrebbe visto l’ambulanza (più precisamente, come si legge nella sentenza di primo grado, "nella memoria difensiva depositata in data 15.06.2016, si afferma che...l’imputato, tornato sul posto, avrebbe notato la presenza della Polizia locale e dell’ambulanza e, ritenuto

che la persona offesa stesse ricevendo adeguate cure, nonché temendo di poter subire delle contestazioni a causa della sua patente revocata, aveva deciso di

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riallontanarsi"). In definitiva, entrambi i giudici di merito hanno evidenziato che la difesa dell’imputato si è limitata al tentativo di giustificare la propria condotta, senza, tuttavia, negare in modo effettivo e sostanziale la percezione del sinistro e

dei possibili danni da esso derivati. Del resto, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, l’elemento soggettivo del reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente in caso di incidente (art. 189 C.d.S., comma

7), può essere integrato anche dal dolo eventuale, ravvisabile in capo all’agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, o anche

solo la possibilità, che dall’incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperi all’obbligo di prestare assistenza ai feriti (Sez. 4, n. 33772 del 15/06/2017 ud. - dep. 11/07/2017, Rv. 271046 - 01; già Sez.

4, n. 17220 del 06/03/2012 ud. - dep. 09/05/2012, Rv. 252374 - 01, secondo cui nel reato di "fuga" previsto dall’art. 189 C.d.S., l’elemento soggettivo può essere integrato anche dal dolo eventuale, ossia dalla consapevolezza del verificarsi di un

incidente riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, senza che debba riscontrarsi l’esistenza di un effettivo danno alle persone.). 3. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto meramente

ripetitivo della doglianza formulata in appello ed adeguatamente respinta dal giudice dell’impugnazione, il quale si è lungamente soffermato sulle risultanze istruttorie e sulla ricostruzione della dinamica del sinistro, che è stato ricondotto alla condotta imprudente dell’imputato, il quale, procedendo a velocità inadeguata,

non è riuscito ad arrestare il proprio veicolo, così tamponando quello della persona offesa, arrestatasi al semaforo rosso. Occorre, difatti, sottolineare che, in tema di

ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l’aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di

una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013 ud., dep. 21/02/2013, rv. 254584; v. anche Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016 ud., dep. 14/09/2016, rv. 267611 che precisa che i motivi di ricorso per cassazione possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di

appello ma solo entro i limiti in cui ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione che si riferisca al provvedimento impugnato e si confronti con la sua motivazione). 4. In conclusione,

il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, della sanzione pecuniaria di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

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