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Collana diretta da Catia Giaconi, Pier Giuseppe Rossi, Simone Aparecida Capellini

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Academic year: 2022

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Collana diretta da

Catia GiaConi, Pier GiusePPe rossi, simone aPareCida CaPellini

la collana “traiettorie inclusive” vuole dare voce alle diverse propo- ste di ricerca che si articolano intorno ai paradigmi dell’inclusione e della personalizzazione, per approfondire i temi relativi alle disabili- tà, ai Bisogni educativi Speciali, alle forme di disagio e di devianza.

Si ritiene, infatti, che inclusione e personalizzazione reifichino una prospettiva efficace per affrontare la complessa situazione socio- culturale attuale, garantendo un dialogo tra le diversità.

i contesti in cui tale tematica è declinata sono quelli della scuola, dell’università e del mondo del lavoro. Contemporaneamente sono esplorati i vari domini della qualità della vita prendendo in esame anche le problematiche connesse con la vita familiare, con le di- namiche affettive e con il tempo libero. Una particolare attenzione inoltre sarà rivolta alle comunità educative e alle esperienze che stanno tracciando nuove piste nell’ottica dell’inclusione sociale e della qualità della vita.

la collana presenta due tipologie di testi. Gli “Approfondimenti”

permetteranno di mettere a fuoco i nodi concettuali oggi al centro del dibattito della comunità scientifica sia nazionale, sia internazionale.

i “Quaderni Operativi”, invece, documenteranno esperienze, pro- getti e buone prassi e forniranno strumenti di lavoro per professioni- sti e operatori del settore.

la collana si rivolge a tutti i professionisti che, a diversi livelli, si

occupano di processi inclusivi e formativi.

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direzione

Catia Giaconi (Università di Macerata),

Pier Giuseppe Rossi (Università di Macerata), Simone Aparecida Capellini (Università San Paolo Brasile).

CoMitato SCientifiCo

Paola Aiello (Università di Salerno)

Gianluca Amatori (Università europea, roma) Fabio Bocci (Università roma3)

Stefano Bonometti (Università di Campobasso) Elena Bortolotti (Università di trieste)

Roberta Caldin (Università di Bologna) Lucio Cottini (Università di Udine)

Noemi Del Bianco (Università di Macerata) Filippo Dettori (Università di Sassari) Laura Fedeli (Università di Macerata) Alain Goussot (Università di Bologna)

Pasquale Moliterni (Università di roma-foro italico) Annalisa Morganti (Università di Perugia)

Liliana Passerino (Università Porto alegre, Brasile) Valentina Pennazio (Università di Macerata) Loredana Perla (Università di Bari)

Maria Beatriz Rodrigues (Università Porto alegre, Brasile) Maurizio Sibilio (Università di Salerno)

Arianna Taddei (Università di Macerata) Andrea Traverso (Università di Genova) Tamara Zappaterra (Università di firenze)

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COPY 15,5X23 1-02-2016 8:56 Pagina 1

Nuove storie di resilienza per non vivere infelici e scontenti

A cura di

Noemi Del BiANco, AlDo cAlDArelli, ilAriA D’ANgelo, mANuelA crescimBeNi

l’escluso 2

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Progetto grafico di copertina: Alessandro Petrini

Copyright © 2019 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy.

Ristampa Anno

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 2019 2020 2021 2022 2023 2024 2025 2026 2027 2028 L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sui diritti d’autore.

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in futuro sviluppata).

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22

aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni

Editoriali (www.clearedi.org; e-mail autorizzazioni@clearedi.org).

Stampa: Logo srl, sede legale: Via Marco Polo 8, 35010 Borgoricco (Pd)

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Indice

Premessa, di Catia Giaconi, Simone Aparecida

Capellini

pag. 9

Introduzione, di Noemi Del Bianco, Aldo Caldarelli, Ilaria D'Angelo, Manuela Crescimbeni, Arianna

Taddei, Catia Giaconi, Simone Aparecida Capellini

» 11

Parte prima

Pedagogia speciale, narrazioni e metodologie di ricerca

1. La pedagogia speciale incontra e attraversa le narrazioni: riflessioni e prospettive sulle metodologie di ricerca, di Catia Giaconi, Simone

Aparecida Capellini, Aldo Caldarelli, Arianna

Taddei

» 23

2. L'intervista narrativa con persone con disabilità:

criticità metodologiche e prospettive di ricerca, di

Noemi Del Bianco, Ilaria D'Angelo

» 35 3. L'analisi delle interviste narrative: criticità e

prospettive , di Catia Giaconi, Noemi Del Bianco,

Arianna Taddei, Simone Aparecida Capellini

» 57

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4. Videoricerca e narrazioni: una proposta di mix-

method per la pedagogia speciale, di Catia Giaconi, Aldo Caldarelli, Noemi Del Bianco,

Arianna Taddei, Simone Aparecida Capellini

» 71

Parte seconda Approfondimenti tematici

5. Voci narranti per l'affermazione dei diritti umani

delle persone con disabilità, di Arianna Taddei » 87 6. Essere nonni di un bambino con Disturbo dello

Spettro Autistico. Rapporti intergenerazionali tra sfide e bisogni di Gianluca Amatori, Fortunata

Katya Folino e Caterina Bossio

» 103 7. Raccontarsi madri: avere o perdere un figlio quali

fattori di inclusione o esclusione sociale di Grazia

Romanazzi

» 117

8. Narrarsi adulti: progettare spazi e tempi per adolescenti con disabilità intellettive, di Noemi

Del Bianco

» 135

9. In direzione ostinata e contraria. L'approccio narrativo in un percorso di Educazione (ricerca) al pensiero creativo con ragazzi con Sindrome di Asperger e Disturbo dello Spettro Autistico ad

alto funzionamento, di Francesca Salis » 155 10. Elementi distintivi delle narrazioni: alla ricerca

degli archetipi, di Aldo Caldarelli » 177

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Parte terza

Storie di resilienza: la parola ai protagonisti

1. Intervista a Maria Pina Bellusci » 191

2. Intervista a Marida Corradetti » 193

3. Intervista a Elisa Giommarini » 196

4. Intervista a Giampiero Griffo » 198

5. Intervista a Marcello Maggi » 204

6. Intervista a Anna Massa » 206

7. Intervista a Benedetta Rapanelli » 208

8. Intervista a Giuseppina Rubechini » 210

9. Intervista a Chiara Santini e ai suoi genitori » 212

10. Intervista a Vitaliano Scoccia » 215

11. Intervista a Tanya Torcolacci » 218

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8. Narrarsi adulti: progettare spazi e tempi per adolescenti con disabilità intellettiva

di Noemi Del Bianco

Introduzione

Muovendo dal riconoscimento delle inclinazioni e delle attitudini soggettive, in funzione sia del ben-essere personale che delle opportunità di sviluppo e di crescita collettiva (Chiappetta Cajola, Traversetti, 2018), la proposta progettuale che viene delineata nel presente contributo si iscrive all’interno di un quadro epistemologico volto a predisporre strategie pedagogiche, in grado di comprendere ed includere tutte le diversità.

Poiché i contesti educativi in cui sono presenti le disabilità conducono a

«toccare con mano i limiti della natura e delle capacità umane, ma anche riscontrare ampie potenzialità di ripresa e di compensazione» (Pavone, 2014, p. 183), il nostro sguardo è volto alla concreta realizzazione di traiettorie educative che siano significative e di significato per persone con disabilità intellettive e le loro famiglie. Nella dimensione teorica e valoriale di una continua reciprocità tra il soggetto con disabilità intellettiva e gli ambienti con cui lo stesso si relaziona (Luckasson et al., 2002), si vogliono sottolineare le opportunità e i supporti necessari per la realizzazione dell’individuo quale «essere sociale» (Morin, 2015, p. 36).

Entro i confini di una cornice pedagogica che considera sia le emergenze che i ragazzi con disabilità intellettive possono trovarsi ad affrontare al termine della scuola dell’obbligo, sia le preoccupazioni delle loro famiglie durante questa fase di vita, la nostra attenzione si concentra sulle possibili azioni che i servizi socio-pedagogici possono mettere in campo. Nel dettaglio, le principali motivazioni che hanno spinto il nostro interesse verso la concreta realizzazione di un contesto capace di rispondere a tali esigenze e necessità, possono essere identificate in due direzioni: da un lato, si vogliono delineare prospettive di sviluppo personali e sociali per l’adolescente in crescita, attraverso un bagaglio di competenze e capacità necessarie per affrontare la vita futura; dall’altro, si vuole offrire un

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concreto supporto alle incertezze che le famiglie si trovano ad affrontare durante la delicata fase esistenziale del figlio, in transito dall’adolescenza all’adultità. Partendo da tali riflessioni, due realtà del territorio maceratese, in modo sinergico, hanno dato vita ad un servizio specifico per adolescenti con disabilità intellettive. L’Università degli Studi di Macerata (mettendo in campo competenze teorico-pratiche delle discipline pedagogiche, soprattutto della pedagogia speciale) e l’Anffas di Macerata (offrendo lo spaccato operativo e spendibile della linea attuativa, quale associazione di famiglie e persone con disabilità intellettive e relazionali) hanno insieme avviato una proposta progettuale, dal nome “Mongolfiera”, in grado di

“stringersi” e “dilatarsi” intorno alle complessità legate al periodo adolescenziale di persone con disabilità intellettive e delle loro famiglie.

1. Adolescenti con disabilità intellettive: emergenze pedagogiche

La linea pedagogica propria di questo lavoro è volta a tracciare una prospettiva che si sviluppi in due dimensioni: da una parte, sincronica, in quanto tende a recuperare il concetto di educabilità dell’esperienza esistenziale presente del soggetto (la fase adolescenziale sarà il nodo centrale della riflessione); dall’altra, vuole evidenziare il carattere diacronico ed ecologico delle azioni educative, che si collocano in una proiezione che guarda verso il futuro (la realizzazione dell’adultità) (Ianes, 2004).

Considerare un orizzonte così articolato ha permesso di orientare gli interventi educativi proposti nel segno della Qualità della Vita (Schalock, Verdugo, 2006) della persona con disabilità, in quanto il concetto di progetto di vita e quello di corso di vita assumono una sinergica connessione: «Questo significa che l’intervento educativo in una certa fase della vita di una persona con disabilità, ad esempio adolescenza o maturità, richiede certamente un’attenzione alla specificità di quella fase, ma anche una relazione con le fasi precedenti e una proiezione al futuro, alle fasi successive» (Medeghini, 2006, p. 16). Come ricordano Montobbio e Lepri (2000), i processi che conducono verso l’adultità «[…] non si costruiscono in modo storico ad una certa età anagrafica, ma sono la risultante di un percorso educativo-affettivo ed esponenziale che prende l’avvio precocemente proprio da un immaginario e da un progetto che si realizza passo dopo passo, giorno dopo giorno, a condizione che si sia capito bene in quale direzione andare e quali passi compiere» (Montobbio, Lepri, 2000,

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p. 26). Per tali ragioni, la prospettiva presentata vuole tessere relazioni significative tra la fase di vita adolescenziale e quella adulta, al fine di implementare i possibili esiti raggiungibili.

Consapevoli della varietà di definizioni che la letteratura scientifica presenta per delineare il periodo adolescenziale (WHO, 1997; APA, 2002), il cuore di questa trattazione non vuole circoscriversi nell’identificazione di descrizioni in merito, ma suggerire, piuttosto, azioni che sappiano concretamente rispondere alle esigenze e ai bisogni delle persone con disabilità intellettive, e delle loro famiglie, durante tale periodo di vita.

Ogni giovane adulto è chiamato ad affrontare se stesso e la propria identità, attraverso nuovi obiettivi, motivazioni, valori e interessi che guideranno le scelte future, nella continua ricerca di coerenza e continuità del proprio percorso di vita (Confalonieri, 2009). Concordiamo con Canevaro (2009), che quando si parla di adolescenza «giustamente si parla di “transizione”. Françoise Dolto aveva utilizzato l’espressione “sindrome dell’aragosta” per indicare una fase della vita adolescenziale caratterizzata dalla perdita di un guscio protettivo, nell’attesa di formarne uno nuovo. La Dolto, […] con quell’immagine intendeva indicare un difficile periodo di transizione che chi cresce vive nella paura: di non avere difese (il guscio

“infantile” è caduto, il guscio “adulto” non c’è ancora…); di ogni nuova proposta, scambiando un’ombra per un pericolo imminente; di ogni incontro, perché ognuno potrebbe essere travestito da amico ma rappresentare un pericoloso concorrente» (Canevaro, 2009, p. 421).

Il periodo della transizione, che certamente vive anche il giovane con disabilità intellettiva, si identifica come necessario momento di “collaudo”, fondamentale per il percorso che conduce alla mutazione «tra un guscio perduto e un altro che ancora non c’è» (Canevaro, 2009, p. 421). Il giovane adolescente passando da una posizione di emarginazione sociale infantile ad una di riconoscimento sociale, in cui acquisisce uno status specifico, riesce ad avviarsi verso i ruoli che caratterizzano l’età adulta (Scabini, Iafrate, 2003). Tale passaggio, sia per l’adolescente con disabilità intellettiva che per la sua famiglia, si contraddistingue per la sua intricata complessità, come vedremo nel paragrafo successivo, ma diviene una tappa necessaria in termini di crescita. Far vivere questo momento di “transito”

significa, pertanto, evitare che il soggetto rimanga prigioniero di un ruolo infantile o venga proiettato immediatamente verso quello dell’adulto.

Per queste ragioni, pensare al progetto di vita e progettare interventi educativi durante la fase adolescenziale consente di far “sperimentare” ad ogni persona le strategie necessarie per il raggiungimento del proprio sviluppo, affrontando le difficili contraddizioni insite in ogni percorso di

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crescita. Come sostiene Medeghini (2006) far evitare all’adolescente con disabilità intellettiva questo necessario momento di vita significa «togliere la disabilità da un indifferenziato temporale in cui si trova inserita: infatti spesso è presente una certa omogeneità esistenziale contrassegnata da fatti sempre uguali e dall’impossibilità del cambiamento, oppure da un concetto di sviluppo fissato su una certa fase, quella di eterno bambino, o ancora dall’attesa di quelle transizioni che segnano la vita delle persone (il lavoro, il matrimonio, i figli)» (Medeghini, 2006, p. 16).

1.1. Il vuoto dopo la scuola

Entrando nel vivo delle complessità che connotano la fase adolescenziale di persone con disabilità intellettive le difficoltà che si possono presentare al soggetto e alla sua famiglia hanno sfumature plurali.

Considerando il punto di vista delle famiglie le preoccupazioni principali non si esauriscono in problemi identitari o di autostima (Erickson, 1968; Rosenberg et al., 1995) legati all’età, ma si proiettano verso la fase di vita successiva, ovvero l’adultità. Il problema che emerge, durante l’adolescenza di un figlio con disabilità, riguarda la relazione che si determina tra la dimensione istituzionalmente standardizzata (quale la scuola) e la personalizzazione dei passaggi di età e dei relativi status successivi (Medeghini, 2006). La prospettiva del futuro, spesso connaturata dall’incertezza, fa sorgere nelle famiglie interrogativi di rilevante spessore pedagogico, quali: “Che cosa succederà a mio figlio dopo la scuola? Sarà pronto per affrontare i contesti quotidiani di vita e di lavoro?”. Il percorso di vita fino alla giovinezza viene strutturato entro i sicuri confini contestuali dell’istituzione scolastica: «la scuola permette ai famigliari di essere fiduciosi, di avere la speranza di costruire un futuro per i propri figli […] È spesso l’unica certezza che permette di coltivare il sogno di un futuro. È l’unico mattone certo per la costruzione di un Progetto di vita […]» (De Piano, 2015, pp. 294-304).

La famiglia fino ad un certo punto della vita esistenziale del figlio può contare sulla scuola, «ma cosa accade dopo? La risposta è semplice: di solito non accade nulla» (Ibidem). Al termine del percorso scolastico, i ragazzi con disabilità, e le loro famiglie, spesso si trovano in un vuoto progettuale. La conclusione della scuola, piuttosto che essere il trampolino di lancio verso l’età adulta, rischia di rappresentare un “salto nel vuoto”:

l’adolescente, soprattutto con disabilità intellettiva, viene “costretto” nel mondo assistenzialistico familiare oppure viene “catapultato” in ambienti,

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come Istituti o Comunità, per necessità e non in seguito a percorsi pensati, condivisi e costruiti “con” e “per” la persona stessa (Giaconi, 2015).

Tale situazione viene a realizzarsi poiché alla fine degli anni scolastici, i giovani con disabilità e le loro famiglie non sempre riescono a trovare un adeguato ed efficiente sistema integrato di agenzie che consenta loro l’ampliamento degli spazi autonomi di partecipazione e integrazione nella società (Giaconi, 2015). De Piano (2015) chiarisce che sono milioni le persone che dopo la scuola si trovano in parte isolate, ai margini della società, destinate all’invisibilità.

Nel passaggio dalla giovinezza alla fase di vita adulta, uno dei problemi maggiormente riscontrabili è quello che Medeghini (2006) chiama “eccesso di settorializzazione” rintracciabile sia nella progettazione dei percorsi di vita, sia nelle proposte delle esperienze. Concordiamo con l’autore nel sostenere che l’ottica della settorializzazione, privilegiando un singolo segmento dell’esperienza (ad esempio la scuola o l’extrascuola), un contesto (la classe o il gruppo dei pari) o un periodo particolare della vita (infanzia o maturità), introduce elementi di frammentarietà; a discapito della trama di relazioni fra persone, fra persone e contesti e fra questi e contesti più ampi, fondamentali per la costruzione di un progetto di vita dalla valenza “ecologica”.

Per tali motivi, la direzione verso cui agire, progettando azioni pedagogiche mirate, anche con una certa urgenza, è quella che sappia andare oltre il periodo della comfort-zone scolastica, in una prospettiva in grado di intrecciarsi con le reti istituzionali e le politiche sociali, nella definizione di un progetto di vita a lungo termine.

Attuare una linea di azione orientata in questa prospettiva significa allargare e rendere più ricca la rete delle opportunità contestuali di relazione e di supporto in cui il soggetto può essere inserito. Predisporre strategie durante i periodi scolastici, in previsione del periodo successivo alla scuola, significa, quindi, potenziare il dialogo costante tra famiglie e territorio in un’ottica di integrazione sociale e lavorativa. Per costruire un ponte tra l’adolescenza e l’adultità diviene necessario comporre un puzzle fatto di esperienze comuni, un ampliamento di orizzonte rispetto agli

“attori” che vengono coinvolti, nella condivisione di obiettivi e modalità.

La scuola, la famiglia, i Servizi (sociosanitari, sociali, per l’impiego, educatori, ecc.), le risorse informali associative, ricreative e culturali di un territorio e di una comunità, i parenti, gli amici, i vicini di casa, i negozianti, ecc., possono contribuire insieme alla realizzazione di un approccio rivolto al progetto di vita; qualitativamente orientato sia nella fase adolescenziale, che nella proiezione verso la vita adulta. Dalla

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costruzione di tali relazioni e reciprocità la progettazione delle traiettorie esistenziali acquisisce una connotazione prospettica trasversale, divenendo un’azione concreta, un programma solido che nasce da un’impresa collettiva (Pavone, 2009). In quest’ottica le progettazioni dei percorsi di vita possono oscillare tra azioni di macro e micro-pianificazione (Giaconi, 2015), consentendo di connettere insieme i macro contesti esperienziali che inevitabilmente si intrecciano con le micro relazioni presenti negli stessi. In questo legame le potenzialità educative si dilatano fino a formare una fitta rete di reciprocità che coinvolge non solo l’interazione con le persone ritenute in una situazione di bisogno con le realtà esterne, ma alimenta gli scambi e i confronti con i contesti e le dimensioni sociali di cui la stessa è parte.

1.2. Vita indipendente e inclusione sociale: sogno o realtà?

Considerare il periodo esistenziale dell’adolescente con disabilità intellettiva, inevitabilmente costellato di tentativi che riusciranno più o meno bene, riguarda la crescita personale e sociale della persona ed ha quale fine principale il raggiungimento della sua stessa Qualità della Vita (Schalock, Verdugo, 2006). Sen (2001) sottolinea che una prospettiva di vita qualitativa dipenda anche dalla partecipazione sociale, dall’accessibilità delle informazioni, dal lavoro, dai diritti della persona con disabilità; occasioni che, per il loro connettersi con i diversi ambiti di vita in cui il soggetto si sperimenta, riflettono un grado più o meno ampio di possibilità di azione e relazione nella società. In questa prospettiva, la progettualità educativa che connota la fase della giovinezza è inscindibile dalla Qualità della Vita personale.

Nel concreto, la direzione pedagogica che è possibile intraprendere nella progettazione di un percorso di vita qualitativamente orientato anche durante l’adolescenza, può abbracciare due macro dimensioni, in grado di configurare una prospettiva univoca e auspicabile: la vita indipendente e l’inclusione nella comunità. Previste, nello specifico, dall’Art. 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006), queste due aree identificano lo strumento per l’esercizio del diritto ad una Vita di Qualità in tutte le persone con disabilità, quindi anche intellettive. Tenendo conto dell’evoluzione demografica e della considerevole longevità delle persone con tali disabilità, diviene necessario predisporre traiettorie volte a sviluppare un maggiore senso di autoefficacia ed autonomia, consentendo di attingere, durante l’adolescenza, al conseguimento di competenze

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importanti per vivere in contesti di esperienza comuni, che potrebbero determinarsi durante la condizione adulta.

Nel percorso verso l’adultità concordiamo con Vicari (2007) sull’importanza di «riconoscere, accettare e dare spazio al diventare adulto di una persona che, anche se ha una disabilità intellettiva, non è e non può essere considerata un eterno bambino. Ciò porta con sé la necessità di prestare maggiore attenzione ai bisogni dell’età adulta, ma anche la richiesta di guardare ai bambini di oggi come agli adulti di domani. E pensando al domani diventa urgente credere in un’autonomia possibile anche per loro» (Vicari, 2007, p. 94). Aumentare le capacità di gestione indipendente incide nella vita delle persone con disabilità, in ottica sia del miglioramento della Qualità della Vita generale della persona, che della sua partecipazione sociale (Sigafoos et al., 2005; Dollar, Fredrick, Alberto &

Luke, 2012), oltre ad essere ciò che la maggior parte degli adulti con disabilità intellettive desiderano (Kuijken et al., 2016). La letteratura scientifica suggerisce, inoltre, che una maggiore indipendenza contribuisca a ridurre considerevolmente i supporti da parte di professionisti e familiari (Dawson et al., 2016; Vilaseca et al., 2017), rendendo la loro presa in carico di minore entità. Le abilità che consentono di far fronte ad una vita indipendente da adulto, necessitano di una preparazione che può essere avviata attraverso un lavoro preventivo durante la maturazione. Come ricorda Canevaro (2009), «l’autonomia, come la vita indipendente, deve essere una proposta per tutti, senza discriminazioni. E dobbiamo capire che, come ogni proposta, può essere favorita oppure ostacolata dal tempo storico in cui si trova a vivere» (Canevaro, 2009, p. 420). Le possibilità offerte da una vita indipendente non sono, quindi, riservate solamente a pochi, poiché non vuol significare fare a meno degli altri, ma concerne, piuttosto, il modo di fare le cose, coincidendo con il «vivere per accompagnare ed essere accompagnati» (Canevaro, 2009, p. 436). Sono queste azioni di accompagnamento, che nei contesti di vita possono essere messe in atto durante il momento adolescenziale, per avviare anche il soggetto con disabilità intellettiva verso occasioni possibili di vita indipendente nell’adultità.

Poiché «l’interazione tra due principali domini della vita: relazioni interpersonali e partecipazione della comunità» (Simplican, Leader, Kosciulek, Leahy, 2015, p. 18) concorre a sviluppare la Qualità della Vita percepita dal soggetto (Davis 2010; Clarke, Camilleri, Goding, 2015), l’ulteriore dimensione da tener presente, durante la progettazione di percorsi rivolti ad adolescenti con disabilità intellettiva, è «l’idea di persona

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intesa come individuo in relazione con l’altro attraverso la mediazione del ruolo sociale» (Lepri, 2016, p. 19).

Le “Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità”

del 2009 ricordano che: «Crescere è […] un avvenimento individuale che affonda le sue radici nei rapporti con gli altri e non si può parlare di sviluppo del potenziale umano o di centralità della persona considerandola avulsa da un sistema di relazioni la cui qualità e la cui ricchezza è il patrimonio fondamentale della crescita di ognuno» (Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, 2009, p. 3). A tal proposito Bourdieu (1994) sottolineava che la traiettoria di vita può essere identificabile come una serie di piazzamenti e spostamenti nello spazio sociale, rappresentando l’insieme delle relazioni fra una persona e le altre persone che, presenti nello stesso campo, si confrontano con lo stesso spazio delle possibilità. Sebbene le definizioni siano variegate, concordiamo con Canevaro (2009) che l’inclusione sociale sia da intendersi come quel «metodo e prospettiva in grado di realizzare un processo di conoscenza e di riconoscimento reciproco, in cui le ragioni di ciascuno si incontrino in un percorso di crescita comune» (Canevaro, 2009, p. 428). Il concetto di inclusione riguarda, in modo generico, le attività, le relazioni e gli ambienti che costituiscono la vita sociale delle persone con disabilità (Simplican et al., 2015), ed è stato ampiamente utilizzato per capire cosa significhi vivere con successo all’interno delle comunità (Hall, 2005;

Power, 2013; Bigby, Wiesel, 2011). Le ricerche in tale direzione mostrano che l’inclusione sociale di persone con disabilità intellettive sia di difficile attuazione: solitamente le loro reti sociali sono di piccole dimensioni, e queste tendono ad essere costellate da altre persone con disabilità o dal personale di supporto (Amado et al., 2013), con poche interazioni di persone senza disabilità (Dusseljee, Rijken, Cardol, Curfs, Greonewegen, 2011).

Queste ultime evidenze aprono ad un importante elemento di riflessione che concerne l’ambito sociale, ovvero l’urgenza di ancorare il progetto di vita alla costruzione di occasioni sociali, per far appropriare la persona con disabilità intellettiva di un ruolo all’interno della società: «questo obbliga quindi ad interrogarsi sulle possibilità di accrescere le esperienze istituzionali, sociali, lavorative e, conseguentemente, di arricchire l’esistenza delle persone con disabilità di fasi e transizioni non necessariamente normative» (Medeghini, 2006, p. 17). Giaconi (2015) sottolinea che la relazione con la complessità sociale non viene a determinarsi se le persone non hanno un ruolo da svolgere. Chi è privo di un ruolo non ha alcun dovere o diritto e non assume una posizione nei

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rapporti con le persone che vivono nella medesima società. I giovani con disabilità, spesso esentati dai ruoli, e quindi da doveri, diritti e responsabilità, non avendone mai fatto esercizio durante il periodo della loro crescita, troveranno molte difficoltà nella vita adulta (Giaconi, 2015).

Far fronte alle esigenze e ai bisogni che accompagnano il periodo adolescenziale di una persona con disabilità intellettiva significa, pertanto, predisporre occasioni che siano in grado di migliorare l’appartenenza alla comunità, attraverso la promozione del ruolo sociale del soggetto (Randt, 2011; Simplican et al., 2015). Caldin e collaboratori (2009) parlano proprio di una “pedagogia dei ruoli” per evidenziare le possibilità di percorsi in cui alle persone con disabilità vengano riconosciute posizioni che li vedano socialmente partecipi, in favore di cambiamenti significativi e utili per l’età adulta.

Accogliendo le «possibilità dell’educabilità dell’umano» (Caldin, 2007, p. 17) vogliamo credere che l’inclusione sociale, pur se parzialmente, possa essere conquistata anche dal soggetto con disabilità intellettiva attraverso la predisposizione contestuale di adeguati sostegni e giusti mezzi; pur consapevoli che la formazione delle competenze utili per tale ambizioso obiettivo rimane una delle maggiori sfide del sistema educativo e sociale (Orefice, Sarracino, 2004).

2. Il “Progetto Mongolfiera”: spazi e tempi per pensarsi e narrarsi come adulti

Lo sfondo tratteggiato in precedenza rappresenta il quadro di riferimento entro cui la nostra proposta operativa prende forma. Creare forme di supporti per le complessità che contraddistinguono i bisogni dei soggetti con disabilità intellettive e delle loro famiglie significa mettere in campo competenze professionali, esperienze collettive e sensibilità condivise in senso ampio, al fine di gestire efficacemente sia processi interni alle realtà educative, sia relazioni significative con l’esterno. Offrire soluzioni che sappiano essere concrete richiede, quindi, la mobilitazione delle reti territoriali, oltre che l’organizzazione di azioni di sistema.

Ripensare il percorso dell’adolescenza in virtù delle continue interazioni che si innescano tra i diversi “attori” sociali, ha permesso di orientare la nostra traiettoria di lavoro verso una prospettiva in grado di aprirsi progettualmente a spazi dalla valenza pedagogica ecologica e continuativa.

Per tali ragioni, le modalità attuative, che vengono di seguito esplicitate, sono state pensate per evitare che la progettazione del percorso esistenziale

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o delle azioni educative si riducano ad un discorso operativo di semplici e buone prassi che hanno come unico riferimento il contesto e la temporalità in cui si producono (Medeghini, 2006). Collocarsi in questa direzione prospettica, nonché di rete, è significato per l’associazione Anffas di Macerata e per l’Università degli Studi di Macerata immergere il progetto di vita di adolescenti con disabilità intellettive in spazi e tempi più ampi. Lo sguardo è stato, pertanto, proiettato verso la creazione di un servizio pomeridiano che sapesse offrire occasioni e possibilità per “diventare grandi”. Nel dettaglio, per la progettazione di un percorso rivolto a tale utenza la proposta si è connessa in modo operativo con le “abilità di vita”

necessarie per fronteggiare le sfide di ogni giorno; con lo scopo di raggiungere le auspicabili finalità concernenti, in senso ampio, una vita indipendente e una maggiore inclusione sociale.

Concordiamo con Prajapati e collaboratori (2017) che: «l’educazione delle abilità di vita colma il divario tra funzionamento e capacità di base.

Rafforza la capacità di un individuo di soddisfare i bisogni e le esigenze della società attuale e aiuta ad affrontare le questioni in modo pratico»

(Prajapati, Sharma, Sharma, 2017, p. 1). Educare alle “abilità di vita”

significa, quindi, incentivare la motivazione, fornendo potenzialità sociali e di autogestione, adottabili in varie esperienze esistenziali, poiché affronta e incorpora i bisogni e gli interessi del soggetto in crescita (Cassidy, Franco, Meo, 2018). Per tali motivi «integrare la formazione delle abilità di vita attraverso l’educazione aiuterà i giovani a superare tali difficoltà nella vita»

(Prajapati, Sharma, Sharma, 2017, p. 1).

Avere competenze per vivere in modo efficace è stata la prospettiva che ha orientato la nostra pista di lavoro, al fine di alimentare le possibilità di una crescita “concreta” del soggetto con disabilità intellettiva. Per poter fronteggiare efficacemente le sfide a cui la persona è chiamata a rispondere quotidianamente, riteniamo necessario far acquisire all’adolescente uno scaffolding di competenze da utilizzare nei momenti in cui le circostanze esterne lo richiedono. Orientare il “Progetto Mongolfiera” verso il raggiungimento delle “abilità di vita” ha permesso di riuscire nella concreta spendibilità e reiterazione verso l’esterno delle conoscenze che il soggetto esperisce entro il contesto protetto in cui si svolge il servizio. La progettazione è stata, pertanto, attuata tenendo in considerazione l’età cronologica degli adolescenti e non quella cognitiva, mantenendo costante l’approccio di una completa aderenza ai contesti quotidiani. Il lavoro di un’équipe, specificatamente composta per il servizio, i cui membri sono figure appartenenti alle professioni di pedagogisti, psicologi, educatori ed

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assistenti sociali, è costantemente volto alla progettazione e alla predisposizione di azioni rispondenti a tali finalità.

Il “Progetto Mongolfiera” si è avviato nel 2017 con un gruppo di dieci ragazzi, dai 15 fino ai 20 anni, di cui sette con disabilità intellettivo- relazionale da lieve a media entità e tre senza disabilità.

Ripercorrendo le fasi che hanno contribuito alla realizzazione del servizio, il primo step attuativo è coinciso con la raccolta delle aspettative di tutte le parti coinvolte. La scelta è ricaduta sull’allineamento dei desideri e dei bisogni del personale Anffas, delle famiglie e dei ragazzi partecipanti al progetto; avere come riferimento le aspettative di ciascuna parte coinvolta ha permesso di capire quali fossero le concrete azioni da mettere in atto per intraprendere un percorso comune. La triangolazione ha, infatti, consentito di avere una visione integrale e sistemica in grado di indirizzare la traiettoria operativa più pertinente alla realtà di riferimento. Tutti i soggetti sono stati ascoltati ed è stato chiesto loro di compilare un questionario semi strutturato a risposta aperta. Lo strumento è stato costruito con tre domande chiave, diversificate nella loro formulazione in relazione agli interlocutori, ma con il comune obiettivo di estrapolare le percezioni dei soggetti. Le tre domande (Tab.1) riguardano, nello specifico, le motivazioni che hanno spinto i partecipanti ad intraprendere il “Progetto Mongolfiera”; le aspettative attese dai soggetti nei confronti del progetto;

eventuali suggerimenti che potrebbero essere adottati per una migliore riuscita del servizio, come ad esempio la preferenza di determinate attività o esperienze.

Tab.1

Domande poste al personale Anffas

Domande poste alle famiglie

Domande poste ai ragazzi partecipanti 1) Perché avete deciso

di investire nel progetto Mongolfiera?

1) Perché avete deciso di far partecipare vostro/a figlio/a al progetto mongolfiera?

1) Perché vuoi partecipare?

2) Cosa vi aspettate da questo progetto?

2) Cosa vi aspettate da questo progetto?

2) Secondo te, che cosa faremo insieme?

3) Cosa pensate sia importante inserire in questo progetto?

(attività, esperienze, eventi…)

3) Cosa pensate sia importante inserire in questo progetto?

(attività, esperienze, eventi…)

3) Che cosa ti piacerebbe fare con noi?

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Nel caso del personale Anffas sono stati intervistati: il presidente dell’associazione, la psicologa e l’assistente sociale appartenenti all’equipe organizzata per il supporto al progetto. Alla prima domanda, relativa all’investimento attuato dall’associazione sul progetto, il personale ha espresso le necessità provenienti dalle famiglie che la struttura ha in carico.

Nello specifico, le motivazioni vengono così riportate: “Per le esigenze poste dai familiari”; “Per la crescente richiesta di supporto da parte delle famiglie con figli adolescenti che Anffas Onlus Macerata ha in carico”;

“Perché ragazzi e familiari non sempre riescono da soli a far fronte con le loro risorse agli impegnativi compiti di sviluppo in ambito sociale, relazionale ed adattivo che si prospettano nella fase adolescenziale”. Al quesito “Cosa vi aspettate da questo progetto?” il personale della struttura si è fatto, invece, portavoce dei bisogni degli adolescenti, soprattutto delle loro difficoltà di inserimento nella società. Le risposte confermano che il cuore della proposta progettuale è il soggetto con disabilità: “La possibilità di attivare un percorso psico-educativo in gruppo che permetta ai ragazzi di entrate in maniera “protetta” all’interno della società”; “Ampliare le competenze socio-relazionali dei ragazzi”; “Potenziare le competenze adattive degli adolescenti in carico, al fine di migliorare la loro Qualità di Vita”. Nel caso della strutturazione organizzativa del progetto, il personale Anffas afferma la necessità dell’ancoraggio al reale per l’apprendimento delle abilità di vita. Confermando l’importanza di: “Utilizzare modalità e strategie educative e di apprendimento di tipo esperienziale, ossia che permettano ai ragazzi di apprendere attraverso l’esperienza diretta”;

“Lavorare in gruppo per favorire le competenze socio-relazionali (es.

assumere comportamenti adeguati al contesto, turnazione, sostenere una relazione…)”; “Attività esperienziali e pratiche che favoriscano l’espressione del proprio Sé (emozioni, preferenze…)”.

Per quanto concerne le aspettative delle famiglie, al quesito numero uno, riguardante la decisione di far partecipare il/la proprio/a figlio/a al progetto, i genitori si sono espressi principalmente nei seguenti modi: “Per farlo inserire meglio nella società”; “Per farle acquisire strategie adeguate per la gestione dei rapporti sociali”; “Per farla distrarre un po’ dalla vita quotidiana”; “Per farlo partecipare attivamente ad attività al di fuori della scuola”; “Per fargli acquisire maggiore autonomia”. Le loro percezioni manifestano, nello specifico, necessità mirate diversificate, ma comunque iscrivibili nella traiettoria delle “abilità di vita”. Alla domanda strettamente riguardante le aspettative, ovvero “Cosa vi aspettate da questo progetto?” le famiglie rispondono soprattutto: “Che mio figlio riesca a trovare un gruppo di amici”; “Che mia figlia possa socializzare insieme ad altri ragazzi della

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sua età”; “Che mia figlia possa divertirsi”; “Che grazie al progetto mio figlio possa crescere in maniera adeguata alla sua età”. Da tali affermazioni è possibile notare che la dimensione sociale è quella che nella fase adolescenziale preoccupa maggiormente i familiari, spingendoli ad inserire il proprio figlio in un contesto altamente relazionale in cui possa far pratica pur divertendosi. Nell’item relativo alle preferenze, come ipotesi per una migliore riuscita del progetto, i genitori si sono fatti portavoce dei propri figli, evidenziando soprattutto le loro difficoltà: alla domanda “Cosa pensate sia importante inserire in questo progetto? (attività, esperienze, eventi…)” i genitori hanno risposto: “Riuscire a capire il tempo (giorni della settimana, ore…)”; “Riuscire ad utilizzare i mezzi di trasporto”;

“Riuscire a muoversi autonomamente per la città”; “Riuscire a superare le sue paure per gli animali”; “Attività di svago”.

I ragazzi partecipanti al progetto sono, invece, stati intervistati da un operatore durante un incontro preliminare; il linguaggio utilizzato nella formulazione delle domande è stato reso per loro il più accessibile possibile. Alla domanda riguardante la motivazione della scelta la maggior parte dei ragazzi ha risposto: “Per non stare a casa”; “Per non avere intorno mamma”; “Per fare nuove amicizie”; “Per divertirmi”. Manifestando la necessità adolescenziale di crescere allontanandosi dal contesto familiare.

Al quesito “Secondo te, che cosa faremo insieme?” le principali motivazioni sono rientrate nella sfera ludica, infatti, tutti gli adolescenti hanno dichiarato di aspettarsi: “Divertimento”; “Giochi”; “Amici”. Le preferenze dei ragazzi si sono manifestate con chiarezza, ognuno ha, pertanto, fatto emergere le proprie attività predilette in relazione a personali abilità e preferenze. Nella maggior parte dei casi le propensioni dei partecipanti sono state: “Musica”; “Canto”; “Giochi”; “Calcio”; “Sport”;

“Creare oggetti”.

La rilevazione delle aspettative e, quindi, aver effettuato un allineamento tra le stesse, ha permesso di porre in essere alcuni macro obiettivi in grado di orientare la direzione da seguire; gli obiettivi sono stati, in seguito, declinati in competenze specifiche, che hanno, successivamente, preso vita attraverso attività rispondenti alle situazioni e alle circostanze contestuali. Tra gli obiettivi ad ampio raggio che hanno guidato la proposta progettuale emergono le possibilità dell’adultità iscrivibili nelle due macro aree della vita indipendente e dell’inclusione sociale. Per supportare il soggetto verso tali dimensioni sono state predisposte attività che potessero sviluppare specifiche competenze. Per quanto concerne la proiezione di una vita che sappia attingere all’indipendenza, le azioni intraprese sono state avviate tenendo in

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considerazione l’ampliamento di competenze riguardanti: a) la gestione del tempo pomeridiano; b) la gestione condivisa di uno spazio fisico; c) la gestione delle risorse economiche, sia comuni, che personali. La sfera attinente l’inclusione sociale ha indirizzato, invece, le modalità attuative verso l’accrescimento di competenze concernenti: a) lo sviluppo delle relazioni amicali; b) la gestione delle relazioni affettive; c) la gestione di ruoli sociali.

Successivamente a questa prima fase di allineamento delle aspettative e di progettazione degli obiettivi, che ha permesso di porre in essere il percorso da effettuare, la Mongolfiera è “decollata” prendendo forma nella sua attuale configurazione. A seguire una breve delineazione delle modalità proposte e intraprese per l’implementazione della vita inclusiva degli adolescenti con disabilità intellettive.

3. Riflessioni pedagogiche e prospettive

Concordiamo con Cambi (2005) che la progettazione di azioni formative in contesti non formali e informali è un’attività molto complessa;

nel nostro caso, sia in termini di valorizzazione delle differenti modalità e dei singolari processi di apprendimento, sia per il raggiungimento di significativi obiettivi formativi degli attori coinvolti.

Il “Progetto Mongolfiera” per la sua natura innovativa nel territorio maceratese è stato certamente un banco di prova, in cui le strategie per il potenziamento soggettivo delle abilità di vita sono state più volte ripensate, riprogettate e rimodellate in relazione alle persone, ai contesti, alle dinamiche intercorse tra le parti.

Strutturato in un percorso parallelo al periodo scolastico, il servizio, ancora oggi attivo, accoglie i ragazzi con cadenza duplice per settimana, attraverso incontri di quattro ore ciascuno. La realizzazione delle attività è ricaduta su una formula laboratoriale, dove ogni soggetto viene coinvolto in prima persona ed è chiamato a partecipare in modo attivo. Le attività proposte per ogni giornata sono due, intervallate da una pausa, e vengono ripetute settimanalmente seguendo una scansione temporale sempre uguale, per la prevedibilità e il rinforzo della routine. La riorganizzazione e la predisposizione di nuove attività viene effettuata trimestralmente, in relazione agli obiettivi posti e raggiunti.

Per l’economicità del presente trattato non verranno presentate le modalità che durante il progetto si sono sperimentate per la realizzazione delle competenze che conducono al raggiungimento della vita indipendente,

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quanto più verranno delineate le tappe attivate per una piena inclusione sociale.

In una prima fase del progetto l’attenzione dell’équipe è stata rivolta ad una maggiore implementazione delle pratiche e delle strategie organizzative, volte a favorire adeguati processi di relazione sociale tra i ragazzi stessi. L’attivazione dei processi di coesione ed equilibrio, diretti a creare e saldare i legami nel gruppo, sono stati realizzati grazie alla collaborazione di un esperto in teatro sociale. L’esplorazione di nuovi linguaggi e codici, in grado di scardinare preconcetti e pregiudizi, ha fatto emergere le tipicità di ciascuno, sottolineando i punti forti di ogni soggetto presente. In una reciprocità feconda, ogni diversità è stata accolta e ascoltata, costruita e ricostruita, agganciata alle altre e resa unica, per la realizzazione di una sana relazione amicale ed affettiva tra le parti coinvolte. Il personale ha lavorato sulle capacità riguardanti la gestione delle relazioni in modo costante ed ha assunto un ruolo di mediazione durante l’inserimento di nuovi membri, poiché non sempre le dinamiche sottese ai rapporti con gli altri sono state di facile lettura per i ragazzi con disabilità.

L’équipe, in seguito, ha voluto focalizzare il lavoro sulla strutturazione di una forma collaborativa tra i ragazzi, così da permettere ai membri di assumere un ruolo. Le competenze legate ai ruoli sociali, sperimentabili in modo diretto, oltre alle procedure specifiche richieste dalla “posizione”

ricoperta, hanno consentito ai membri di adattarsi alle mansioni richieste dalla situazione, permettendo di mettere in gioco e/o sollecitare determinate abilità.

Tra le attività organizzate, ad esempio, è stato avviato un lavoro sull’uso del denaro (utilizzo, acquisizione del valore del denaro, riconoscimento, resto...) e soprattutto sulle competenze sociali legate alla compravendita, per attivare precisi schemi e procedure. In questo caso, la strategia del role- playing ha consentito ad ogni ragazzo di esperire le modalità di interazione legate alla vendita e all’acquisto, conducendolo ad una maggiore sicurezza nella gestione delle competenze necessarie per il ruolo specifico. Grazie all’ancoraggio di situazioni in contesti reali la gestione del denaro, delle relazioni e delle competenze legate ai ruoli, sono state rese tangibilmente

“concrete”.

Delineare attività che fungessero da ponte per l’avviamento alla vita adulta, e nello specifico dell’inclusione nella società, hanno fatto riflettere l’intera équipe sulla predisposizione di azioni calate entro processi di lavoro in rete, per innervare un insieme di supporti e di strategie funzionali ad implementare o attivare le abilità di vita. Il collegamento con altre realtà

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territoriali ha, pertanto, favorito una crescita del progetto in termini di esperienze e di interazione con l’esterno. La “Mongolfiera”, certamente aperta a nuove forme di collaborazione, vanta ad oggi il coinvolgimento sempre maggiore di adolescenti appartenenti a gruppi Scout, che partecipano costantemente e attivamente al progetto; la collaborazione con una società di pallavolo femminile maceratese consente ai ragazzi di sperimentarsi anche sul piano sportivo all’interno di una dinamica realtà del territorio; la cooperazione con una associazione che si occupa di educazione cinofila coinvolge i ragazzi in incontri predisposti con cani altamente addestrati; un percorso rivolto all’orientamento cittadino e alla sicurezza in strada conduce i membri del progetto ad esplorare i punti di riferimento della città di Macerata e a toccare con mano realtà del luogo (librerie, musei, caserme delle forze armate…).

Diverse sono le prospettive di crescita del “Progetto Mongolfiera”, che attualmente in forma progettuale fungono da guida orientativa per la pratica operativa.

Tra queste, riteniamo che per uno sviluppo ulteriore del servizio sia necessaria un’adeguata valutazione dello stesso. L’allineamento delle aspettative, ovvero i bisogni e i desideri dei ragazzi, dei loro familiari e dei contesti di riferimento, sono stati raccolti quando il percorso è stato avviato, e, quindi, il costante contatto relazionale tra le parti coinvolte ha permesso un’eterovalutazione del servizio attivato. Certamente la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza dell’impatto che il servizio ha avuto, andrebbe verificato anche grazie al supporto di adeguati strumenti di valutazione e di analisi.

Un’ulteriore linea di azione futura riguarda un ancoraggio fedele ai riferimenti teorici del costrutto della Qualità della Vita, per raggiungere anche quei domini maggiormente carenti e più difficili da concretizzare in azioni di vita quotidiane, ad esempio un percorso di autodeterminazione e autorealizzazione, per contribuire non solo a raggiungere competenze personali di crescita, ma a sostenere la dimensione identitaria e auto progettuale degli adolescenti, al fine di percepirsi e trarre la motivazione di comportarsi come tali.

Un’altra ipotesi di sviluppo concernere la dimensione lavorativa, nello specifico dell’imparare a lavorare e non imparare un lavoro (Montobbio, Lepri, 2000). Essendo uno degli elementi centrali della vita adulta, sia per quanto riguarda la costruzione di uno status all’interno di una società, sia in termini di autostima e benessere personale, l’inserimento lavorativo di una persona con disabilità presuppone prima di tutto la capacità di imparare a lavorare, e poi di saper fare una mansione specifica; aspetti che rimandano

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al saper essere e saper fare della persona e che necessitano di esperienze formative, affettive ed educative specifiche (Berarducci et al., 2012).

Auspicabile è l’ipotesi di mettere a sistema il servizio, perché possa divenire pratica condivisa e comune, un luogo di incontro ed interazione da ampliare sempre di più entro le maglie di ogni tessuto sociale.

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