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#Ucraina. Un capolavoro di Antonio Canova nel bunker

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Academic year: 2022

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| 1 Ricoverato per preservarlo dai danni bellici, come lo furono tante opere d’arte italiane nella prima guerra mondiale, un marmo preziosissimo di Canova: dal Museo di Kiev a un bunker.

Non è certo un bel modo di festeggiare il secondo centenario della morte del grande scultore, avvenuta a Venezia il 13 ottobre del 1822. Ma è così.

Ma cosa raffigura questo capolavoro? Sembra ironia della sorte al massimo livello: la Pace, quella che tutti desideriamo ardentemente.

Ecco le parole di Canova stesso (e dell’amico Quatremère de Quincy) mentre stava scolpendo quell’opera, nel tempo dell’invasione napoleonica della Russia:

La statua della Pace si farà: vengane la guerra; essa non potrà impedirla. Ma io temo bene che alla pace generale non si farà statua per ora. Così si potesse farla, come io l’alzerei a mie

spese!” scrive l’11 febbraio 1812 a Quatremère de Quincy in risposta alla lettera del 10 gennaio, dove si legge: “Voi me mandate che dovete far una Pace per la Russia, ed io vi mando che fra poco faremo la guerra con questa potenza. Fate dunque presto la vostra statua, se bramate che non sia un qui pro quo. Oh la bella statua che sarà quella della vera pace universale! Ma non la vedremo.

Canova ebbe nel 1811 l’incarico di scolpire una “statua della Pace per il colonnello di Romanzoff, ministro di Stato dell’Impero Russo” (lettera a Quatremère de Quincy, 21 dicembre). La

commissione è accolta (lettera di Canova, 19 giugno 1811), specificando in tre anni il tempo per la consegna dell’opera, che, in un momento iniziale, s’era pensato potesse raffigurare anche

la Concordia: personificazione allegorica con cui Canova aveva scelto di ritrarre prima Elisa Baciocchi granduchessa di Toscana, quindi l’imperatrice Maria Luisa d’Asburgo-Lorena. La bozza di contratto è in data 12 dicembre 1811, e vi si fa cenno delle “medaglie” antiche con la Pace.

L’iconografia tiene conto infatti di raffigurazioni della Pace della numismatica romana. In

particolare, per la presenza del serpente, di un denario argenteo con l’immagine dell’imperatore Claudio sul diritto e l’iscrizione “Paci Avgvstae” (esemplare nel Medagliere Estense del Museo di Modena). Ma si può pensare che l’artista abbia dato un’occhiata anche alla Minerva Ludovisi, fiancheggiata da un enorme serpente.

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le compatisca sul volto” annota Isabella Teotochi Albrizzi. La bestia era “simbolo della guerra, nella stessa guisa che questa Dea si trova rappresentata in una medaglia di Tito”, così sono pertinenti il caduceo e il diadema, come si precisa nell’allegato alla lettera di Canova all’ambasciatore Stackelberg a Vienna del 19 maggio 1815.

Sul rocchio, a tergo, il caduceo, derivato da medaglie di Claudio e Vespasiano, simbolo della prosperità fiorente in tempo di pace; quindi, ben visibili davanti, le iscrizioni commemorative dei trattati di pace conclusi da esponenti della famiglia Rumjancev: “PAX ABO / MDCCXLIII / PAX CAINASDGY / MDCCLXXIIII / FREDERICHSHAM / MDCCIX”: siglati dal committente (l’ultimo aveva sancito l’unione della Finlandia all’Impero), dal padre e dal nonno, così che “il simulacro della Pace” diventava “quasi Divinità alla propria casa famigliare” (Teotochi Albrizzi). Sono

Aleksander (1690-1749), il figlio Piotr (1725-1796), quindi Nicolaj (1754-1826). L’iconografia della figura alata è quella di Vittoria-Nemesi, dea del ristabilimento della giustizia.

Nella Pace Rumjancev, ancora una volta, Canova scolpisce grandi ali – prime quelle del Genio funerario Rezzonico -, come fosse una creatura gemmata dagli angeli tiepoleschi. Ma non aveva fatto altro che guardare bene le citate monete romane. Il fatto è sottolineato da Quatremère de Quincy (1834):

accessoire assez nouveau dans ce sujet […]. J’ignore s’il est permis d’affirmer qu’on trouve dans l’antique un exemple de cet attribut, donné aux figures crues être celles de la Paix, sur les revers de plus d’une médaille. […]. Généralement, il nous semble que c’est à la Renommée que les anciens donnèrent des ailes, et plus souvent encore à la Victoire.

La capigliatura è come cesellata, virtuosisticamente modellata nei boccoli come nelle coeve Teste ideali. E’ coronata da un diadema, derivato da medaglie di Augusto, come la Giunone Ludovisi, e tiene nella sinistra un lungo scettro, mancante ora della parte superiore.

Le trattative per la commissione si svolsero tramite l’ambasciata russa a Vienna: prima lettera a Canova, 25 maggio 1811, scritta dal conte Giorgio Mocenigo, per “una statua marmorea al

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| 5 presenti ma secondarie. Frontale lo sguardo, come di prassi per le figure cariche di valori

simbolici, straordinario il panneggio che sottolinea le forme della figura: specie nel seno e nella gamba destra protesa in avanti.

Il primo ‘pensiero’ in corrispondenza con il marmo si può indicare nel bozzetto in terracotta donato da Canova a Mary Berry dopo il 1816, quindi confluito nelle collezioni di Castle Howard, Yorkshire, e ora a Edinburgo, National Galleries of Scotland. Si conservano quindi le fasi

successive: i due modellini (uno acefalo) e il modello in gesso, terminato nel settembre 1812 (ora a Possagno).

Il marmo era terminato nel 1814, e giunse a Pietroburgo due anni dopo. Spostato quindi nel 1861 nel palazzo-museo Rumjancev a Mosca, divenuto nel 1927 Biblioteca Statale di Russia.

E’ pervenuto alla sede attuale nel 1953, il primo anno in cui Kruscev, che aveva origini ukraine, era Primo Segretario del PCUS.

Va pure ricordato che più antico è il contatto fra Canova e la famiglia. Nel 1796 Sergej Rumjancev (1755-1838), anche a nome del fratello Nicolaj, chiedeva allo scultore “una statua d’uno de suoi antenati nel costume del qui incluso programma”, cioè del padre Piotr, feld-maresciallo, vittorioso contro l’Impero ottomano, come si legge nella lettera di Giacomo Quarenghi a Canova. A Canova una proposta del genere non poteva certo andare a genio: raffigurare un personaggio

contemporaneo in “costume”: niente di più lontano dai suoi pensieri. Vengono in mente le parole rivolte a Napoleone discorrendo della scelta di raffigurare l’imperatore all’eroica, totalmente ignudo: “Io gli dissi che con i calzoni, così alla francese, come Egli era vestito, nemmeno Domine Iddio potrebbe fare una bella cosa”. Altra cosa una raffigurazione come la Pace: così densa di significati simbolici e occasione di far rinascere un’immagine antica confinata, per di più, nella numismatica.

Non era la prima volta che si commemoravano simili eventi in territorio russo. Ricordiamo l’Allegoria della Pace di Nystad scolpita da Pietro Baratta per lo zar Pietro il Grande, posta nel Giardino d’Estate di Pietroburgo (1723).

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scatenata da Napoleone nel 1812.

La statua della Pace si farà: vengane la guerra; essa non potrà impedirla. Ma io temo bene che alla pace generale non si farà statua per ora. Così si potesse farla, come io l’alzerei a mie spese!

scrive l’11 febbraio 1812 a Quatremère de Quincy in risposta alla lettera del 10 gennaio dove si legge:

Voi me mandate che dovete far una Pace per la Russia, ed io vi mando che fra poco faremo la guerra con questa potenza. Fate dunque presto la vostra statua, se bramate che non sia un qui pro quo. Oh la bella statua che sarà quella della vera pace universale! Ma non la vedremo:

parole che confermano quella sensibilità fuor del comune che tutti riconoscevano all’artista.

La rottura tra Francia e Russia è del 27 febbraio 1812, il modello della statua reca graffita la data del settembre 1812, in piena campagna militare conclusa poco dopo con la disfatta dell’esercito francese. Il marmo era finito nel maggio 1815, nel bel mezzo dei “Cento giorni” del ritorno a Parigi di Napoleone, conclusisi nella tragedia di Waterloo.

In corso d’opera e stanti i terribili eventi, fu deciso che le scritte non dovevano più essere in lingua francese, ma in russo, come si specifica nella lettera dell’ambasciatore Mocenigo, da Vienna, del 3 ottobre 1812: evidentemente la campagna di Russia non era stata ininfluente. Anche in Guerra e pace si passa progressivamente dal francese al russo, nelle conversazioni dell’aristocrazia.

Si è giustamente sottolineato che, in questi frangenti “per Rumjanzev la statua di Canova

non è più un semplice simbolo di Pace ma diviene una personificazione allegorica della Russia che difende la causa della pace”, come ha scritto Irina Artemieva.

Alla fine, si convenne di utilizzare la lingua latina per quelle iscrizioni: certo, a Canova i caratteri cirillici non dovevano troppo andare a genio, contravvenendo alla coerenza del tutto, anche in relazione al concetto, esemplato sull’antico, che si voleva esplicitare.

“Une des plus estimables productions de Canova” era giudicata da Quatremère de Quincy, e lo è, in effetti: solo che per quasi due secoli l’opera è rimasta praticamente ignota, conosciuta soltanto

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| 9 protettore del regno britannico: San Giorgio che uccide il drago.

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