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LE ASSOCIAZIONI DEI MALATI IN PRIMA LINEA PER LA RICERCA

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Capitolo 3

LE ASSOCIAZIONI DEI MALATI

IN PRIMA LINEA PER LA RICERCA

Sono sempre di più e sempre

più protagoniste nel supportare

gli studi scientifici grazie al

fundraising, alle inziative di

sensibilizzazione dell’opinione

pubblica e alle indicazioni

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uando Ali- ce piange, Massimo p er far- la smette- re le avvi- cina un carillon. «Massimo ha 10 anni, Alice 2 mesi. So- no i miei bambini», raccon- ta Vincenza, 39 anni. «Mio figlio è cieco, forse appe- na nato aveva la percezio- ne della luce. Poi l’ha persa.

Per un non vedente tutto sta nell’esperienza delle co- se. Non conosce il viso della sorellina, ma sa che quando sente la musica Alice smet- te di piangere». Massimo è nato con la sindrome di Norrie, una malattia gene- tica rarissima che causa ce- cità, sordità e ritardo men- tale. Colpisce solo i maschi, mentre le femmine sono portatrici sane. Vincenza se

lo ricorda bene il giorno del- la diagnosi: «Era il mio com- pleanno», racconta. «Sin- drome di Norrie, circa 300 casi al mondo, nessuna cu- ra per mio figlio».

Vincenza e suo marito Mau- ro si sono rivolti alla Lega del Filo d’Oro: «A loro dob- biamo tutto, fanno miraco- li per Massimo. Non cre- do che per mio figlio ci sarà nessuna guarigione. Ma se si facesse più ricerca su questa sindrome, magari un giorno, per altri bambini sì».

Le malattie rare In Italia sono oltre 700mi- la i malati rari (dati Orpha- net, portale di riferimento delle malattie rare e dei far- maci orfani). E se per Mas- simo non c’è ancora una cu- ra, perché si fa poca ricerca scientifica su questa ma-

lattia, questo non significa che non si possano miglio- rare le condizioni di vita di chi è affetto delle oltre 8mi- la malattie definite rare. Il ruolo delle associazione dei pazienti è fondamentale, muovono la ricerca, fanno raccolta fondi e sviluppano percorsi di sensibilizzazio- ne sul tema.

Le associazioni registra- te nel database di Orpha- net Italia sono 325: il 53%al nord, seguita dal 33% al cen- tro e dal 14% al sud e isole. E negli ultimi anni il trend è positivo e in crescita: tra il 2012 e il 2016 l’ascesa delle associazioni registrate sul portale in Italia è pari a un +20%. A confermare il trend positivo anche Uniamo, la federazione Italiana malat- tie rare. «In 20 anni di atti- vità», dice la vicepresidente

Annalisa Scopinaro, «siamo passati da 20 a 120 federa- te. Le associazioni nascono per sentirsi meno soli, per avere alleati nelle battaglie quotidiane, per poter dare la possibilità ai neodiagno- sticati di trovare qualcuno che possa dare informazio- ni, indirizzi, suggerimenti, accoglienza». Un dato è cer- to: «Senza le associazioni di pazienti», continua la vice- presidente di Uniamo, «fa- re ricerca è più difficile. Nel corso degli anni infatti sono state proprio le associazio- ni che hanno lavorato per incentivare le nuove sco- perte scientifiche attraver- so la raccolta fondi, finan- ziamenti per borse di studio e sostegno ai centri». Le as- sociazioni sono importan- ti e aggregano persone. È il caso di Aido — Associazione

a cura di ANNA SPENA

I PAZIENTI NON STANNO PIÙ

AD ASPETTARE

Le associazioni delle malattie rare in quattro anni sono cresciute del 20%. La Uildm è arrivata a

oltre 9mila soci. Ma il trend di crescita è generale.

Con ricadute positive sulla ricerca

Q

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Italiana per la Donazione di Organi, tessuti e cellule — che conta circa 1,4 milioni di soci e sostiene i centri di ricerca che lavorano al mi- glioramento della medici- na da trapianto: sono 9mila ogni anno i pazienti in lista d’attesa.

La lezione della Sma Daniela Lauro è presi- dente di Famiglie Sma, 500 iscritti, l’associazione di ge- nitori che sostiene la ricerca scientifica sull’atrofia mu- scolare spinale, una malat- tia delle cellule nervose del midollo spinale.

Colpisce i muscoli volon- tari usati per attività quoti- diane come andare carpo- ni, camminare, controllare il collo e la testa, deglutire.

«Se oggi ricopro questo ruolo», racconta Daniela

Lauro, «è perché la Sma ha fatto parte della mia vita.

Nel 2007 mio figlio Nathan è morto: una Sma violentis- sima, aveva due mesi, e la malattia si è presentata solo dopo 24 ore di vita. Dieci an- ni fa si brancolava nel buio e il tasso di mortalità era mol- to elevato. Ma oggi le cose stanno cambiando».

E un supporto concreto nella ricerca di una cura l’ha dato proprio l’associazione che ha destinato una parte consistente della sua raccol- ta fondi per portare in Italia alcune sperimentazioni e la possibilità di un farmaco:

Spinraza. Una terapia che deve essere somministrata mediante iniezione intrate- cale, cioè direttamente nel liquido cerebrospinale at- torno al midollo spinale. «Il farmaco è stato inizialmente

fornito gratuitamente dalla casa farmaceutica a tutti i pazienti più gravi e il siste- ma sanitario nazionale ha garantito i ricoveri, men- tre noi come associazione abbiamo supportato i Cen- tri NeMo di Milano, Roma, Messina, il Gaslini e il Bam- bino Gesù. Qualcuno ci ha chiesto di sostenere il costo di uno psicologo, altri di un anestesista, ma soprattutto abbiamo dato supporto eco- nomico a 130 famiglie, paga- to gli spostamenti in ambu- lanza dei bambini e coperto le spese per la logistica lon- tano da casa».

Dal 28 settembre 2017 Spinraza è un farmaco pre- scrivibile: «I nostri bambi- ni non fanno le capriole, ma togliere la parola “mortale”

dalla malattia è un successo enorme».

Invertiamo la rotta Questi li possiamo chia- mare i miracoli della ricer- ca. E in Italia grazie anche alle associazioni di pazienti si verificano spesso. Madri, padri, fratelli, sorelle, amici, e ammalati stessi che non si mettono insieme solo per se stessi ma anche e soprattut- to per gli altri. È capitato così anche per il Comitato Ma- ria Letizia Verga per la cu- ra e lo studio della leucemia del bambino. La onlus è sta- ta fondata da Giovanni Ver- ga e l’associazione prende il nome di sua figlia morta a 4 anni di leucemia infantile.

Alla fine degli anni ’70 gua- riva solo il 25% dei bambi- ni; oggi l’85%. «In 40 anni», spiega Lorella Marcantoni, responsabile raccolta fon- di dell’associazione, «ab- biamo destinato oltre 70

Il Centro Maria Letizia Verga di Monza, un luogo di sostegno e di incontro per supportare tutte le iniziative del Comitato Maria Letizia Verga: una casa per tutti, abitata da medici, ricercatori, volontari e sostenitori

FABRIZIO RADAELLI

3. LE ASSOCIAZIONI DEI MALATI

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L

Bianca. Nati quando lei di anni ne aveva 41. Non era guarita — perché dal tumore lei dice che non si guari- sce mai — ma era finalmente “libera dalla malattia” come invece ripete con fierezza. Il primo incontro con il tu- more al seno non l’ha avuto a 37 anni quando si è amma- lata, ma cinque anni prima, quando la stessa malattia le ha portato via la sorella Barbara. «Mammografia di rou- tine, nodulo, biopsia, chemioterapia, radioterapia e poi la scoperta della mutazio- ne genetica che rendeva al- tissima la percentuale che il tumore tornasse», racconta Gabriella. «Mastectomia bi- laterale e ovarectomia: non volevo riammalarmi». Ga- briella oggi è una delle am- bassador di “Pink is Good”, il progetto di Fondazione Umberto Veronesi che at- traverso la corsa promuove la prevenzione, indispensa- bile per individuare la ma- lattia nelle primissime fasi, e si impegna per fare infor- mazione sul tema. L’iniziativa finanzia borse di ricerca per medici e scienziati che hanno deciso di dedicare la loro vita allo studio e alla cura del tumore al seno e degli altri tumori femminili. «Il corpo libero dal tumore in cui vivo oggi, così come la possibilità che ho avuto di diventa- re mamma», dice Gabriella, «sono il risultato della ricer- ca scientifica. Dopo le cure la mia fertilità sarebbe stata compromessa, ma ho avuto la possibilità di crioconser- vare gli ovociti e procedere con la fecondazione in vitro.

Sulla mia mutazione genetica fino a 20 anni fa non si sa- peva niente, la ricerca ha dimostrato che gli interventi di chirurgia preventiva sono la possibilità migliore che ab- biamo di far in modo che la malattia non si ripresenti».

GABRIELLA:

LA PINK

AMBASSADOR DELLA FOND.

VERONESI

Il corpo libero dal tumore in cui vivo oggi, così come la possibilità che ho avuto di diventare mamma sono il risultato della ricerca scientifica

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scientifiche oggi guarisco- no 8 bambini su 10».

Il Comitato finanzia la ri- cerca di laboratorio e lo svi- luppo della ricerca clini- ca sia su base nazionale che all’interno di progetti inter- nazionali. Partecipa alla ge- stione diretta del reparto di Ematologia della Clinica Pediatrica dell’Ospedale di Monza.

Istituisce borse di studio per la formazione e l’aggior- namento di medici e infer- mieri in Italia e all’estero. Of- fre assistenza psico-sociale completa ai bambini e alle loro famiglie.

Le innovazioni portano all’inclusione

Ricerca scientifica non si- gnifica solo trovare una cu- ra per la malattia. Significa anche trovare strumenti che migliorino la qualità della vita delle persone malate, abbattendo tutte le barrie- re culturali e fisiche. È il ca- so delle distrofie muscolari, malattie ereditarie causate da mutazioni in diversi ge- ni che determinano perdita di funzione, riduzione o as- senza di proteine necessarie per la stabilità muscolare.

Si stima che in Italia l’1%

circa della popolazione sia affetto da malattie neuro- muscolari; questa percen- tuale equivale grosso modo al 10% di tutti gli ammalati neurologici. Le forme più diffuse sono la distrofia mu- scolare di Duchenne e quel- la di Becker. «Abbiamo toc- cato i 9.100 soci iscritti a Uildm (Unione italiana lot- ta alla distrofia muscolare)», dice Marco Rasconi, presi- dente dell’associazione, an- che lui affetto da Dm.

«Le distrofie e le altre ma-

ditarie di origine genetica che in Italia colpiscono cir- ca 40mila persone. Non esi- stono cure risolutive, ma sono stati fatti enormi pas- si avanti nella ricerca. Og- gi, ad esempio, grazie alle ricerche scientifiche appli- cate alla tecnologia io posso utilizzare macchinari che mi aiutano nella respirazio- ne, strumento impensabile solo fino a 20 anni fa».

Quando si soffre di una malattia rara si pensa di es- sere gli unici ad averla. In- vece il senso di solitudine si combatte stando insie- me. A fare la differenza è la condivisione dei proble- mi e soprattutto la condivi- sione della soluzione a quei problemi.

Nel 1990 la ricerca scien- tifica ha avuto un grande impulso quando Uildm ha portato in Italia Telethon:

«Abbiamo dato loro il man- dato di andare avanti con la ricerca scientifica e noi ab- biamo continuato a combat- tere per l’inclusione dei ma- lati». Nell’ambito del Bando clinico Telethon — Uildm, grazie all’impegno dei vo- lontari, sono stati investiti oltre 10 milioni di euro per migliorare la qualità di vi- ta delle persone con que- ste malattie, pubblicati ol- tre 200 articoli scientifici e coinvolte negli studi più 6mila persone.

L’associazione è presente su tutto il territorio nazio- nale con 66 Sezioni locali che svolgono un’importan- te funzione sociale e me- dico riabilitativa, offrendo servizi quali trasporto, Se- gretariato Sociale, attività di formazione e sportive, fi- sioterapia, assistenza domi- ciliare e psicologica.

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A

lice ha 17 anni. A cinque mesi le è stata diagno- sticata la Seu, una malattia rara caratterizzata da anemia, piastrinopenia e sofferenza renale. Per 11 anni è stata sottoposta a dialisi, fra peritoneale ed emo- dialisi. Dall’autunno 2014, dopo due trapianti di rene, è tornata a una vita normale, senza dialisi, pur continuan- do le terapie immunosoppressive e prendendo un farma- co a cadenza regolare per evitare il ritorno della malat- tia. Nel 2004 il papà di Alice, Paolo Chiandotto, insieme alla moglie e ad alcuni amici ha fondato un’associazione di pazienti per pazienti, “Progetto Alice Onlus”, che ad oggi è entrata in contatto con 190 persone affette da Seu.

Il primo obiettivo è stato far nascere e sostenere il Cen- tro per la Cura e lo Studio della Sindrome Emolitico Uremica della Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospeda- le Maggiore Policlinico di Milano. «Potremmo definir- lo il coordinamento di tan- te specializzazioni di alto livello, l’unico posto in Ita- lia dove il paziente con Seu trova tutto ciò di cui ha biso- gno», dice Chiandotto. Nel 2015 sulla rivista di pedia-

tria più importante al mondo, Pediatrics, è stato pubbli- cato uno studio firmato da ricercatori italiani e finanzia- to da “Progetto Alice”, che ha rivoluzionato l’approccio di cura alla Seu di forma tipica, dimostrando i benefici della iperidratazione in controtendenza rispetto alla te- rapia classica che prevedeva una severa limitazione dei liquidi. «C’è un ulteriore step in corso, combinando l’i- peridratazione con un farmaco i risultati sembrano an- cora migliori», anticipa Chiandotto. «Più che orientare la ricerca, credo che il compito di un’associazione di pa-

L

a chiamavano “malattia pediatrica”, oggi, grazie alla ricerca è una malattia dell’adulto. E questo è un bene. Perché fino a qualche anno fa le perso- ne affette da fibrosi cistica avevano un’aspettativa di vita che non superava i 25 anni, per i bambini che nascono oggi, invece, — se la malattia è diagnosticata in tempo e curata — la prospettiva di vita è quasi uguale a chi non è malato. La fibrosi cistica è la più comune malattia autoso- mica recessiva. A Martina Rossitto l’hanno diagnosticata tardi «avevo dieci anni», racconta. Oggi che di anni ne ha 33 non solo la combatte ma si impegna in prima perso- na per trovare cure sempre nuove: «In quinta liceo do- vevo scegliere: non sapevo se volevo diventare un’at- trice o studiare biologia. Ho scelto di diventare biolo- ga perché volevo contribu- ire a fornire gli strumenti ai medici per aiutare a cu- rarci. Oggi sono ricercatri- ce all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù». Martina si è ammalata perché en- trambi i genitori sono por- tatori sani della malattia: «Io ho ereditato sia da mia ma- dre che da mio padre le copie malate del gene». In Italia c’è un portatore sano ogni 25 persone circa. È una ma- lattia che altera le secrezioni di molti organi e porta al loro danneggiamento. A subire la maggiore compromis- sione sono i bronchi, i polmoni e il pancreas. «È debili- tante», dice Martina, «ma oggi la ricerca va veloce. Non solo per quanto riguarda le nuove scoperte scientifiche, ma anche rispetto alla qualità della vita di chi è malato:

sono cambiati i farmaci e soprattutto il tempo delle cure.

Penso, per esempio, all’aerosol che io devo fare tre vol- te al giorno: prima durava un’ora a terapia. Oggi appe- na 10 minuti».

PAOLO E LA RIVOLUZIONE NELLA CURA DELLA SEU

MARTINA: ERO UNA MALATA, ORA FACCIO RICERCA

Dopo la diagnosi a mia figlia Alice abbiamo fondato un’associazione che sostiene la ricerca ad alto livello

Ho ereditato la fibrosi cistica dai miei genitori che ne sono portatori sani: ora la studio e la cambatto al Bambino Gesù di Roma

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3. LE ASSOCIAZIONI DEI MALATI

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«P

rof morirai?». Angela Martino se le ricor- da bene le parole di quel suo alunno quan- do, dopo due mesi di assenza, è tornata nella scuola media dove allora insegnava francese. «Do- dici anni fa mi è stata diagnosticata la sclerosi multipla.

Da quel momento la mia vita è cambiata», racconta An- gela Martino che oggi è presidente dell’associazione ita- liana sclerosi multipla. La Sm è una malattia tra le più co- muni e più gravi del sistema nervoso centrale: è cronica, imprevedibile, progressivamente invalidante. In Italia c’è una nuova diagnosi ogni 3 ore. Angela poteva sceglie- re due strade: «Abbandonarmi alla malattia», dice, «o dare segni di positività alla

mia famiglia, ai miei alunni di allora — che sono diventa- ti tutti volontari di Aism — a me stessa e non vivere in so- litudine». Angela si è messa in gioco in prima persona per costruire, insieme al movimento associativo di Aism, quelle risposte che lei per prima stava cercando.

«Con l’associazione», dice,

«combatto ogni giorno per avere più diritti, per indiriz- zare una ricerca che ci dia ri- sposte risolutive e lavoria-

mo per offrire servizi che rendano migliore la qualità di vita della persona con Sm. In Aism sappiamo di compie- re ogni giorno tantissime azioni, a 360 gradi, partendo dal supporto che le sezioni locali offrono alla mobilità delle persone attraverso trasporti assistiti per continua- re con la corretta informazione, la ricerca, la riabilitazio- ne, il continuo confronto con le istituzioni, dal ministe- ro della Salute all’Inps, dalle regioni ai comuni. Ma non ci basta più nemmeno essere consapevoli che come Aism agiamo a 360 gradi: quello che facciamo vale solo se ge- nera un cambiamento concreto nella qualità di vita del- le persone».

C

osa succede quando ti dicono che tua figlia appe- na nata tra un anno morirà? Sua mamma Rolan non ci credeva: «“La sto guardando, ma lei non ha niente”, pensavo. Non sapevo se dovevo piangere, par- lare, oppure ridere». Schana è nata in Germania il 5 lu- glio 2016 con l’Ada-Scid una malattia rara che rende il sistema immunitario non funzionante e incapace di di- fendersi dagli agenti infettivi: un banale raffreddore per lei sarebbe stato pericoloso quanto la più terribile del- le infezioni. Noi li conosciamo come “i bambini bolla”

e Schana è stata la prima al mondo a essere stata trattata con Strimvelis, una terapia genica a base di cellule sta- minali ingegnerizzate, un successo tutto italiano, svi- luppato nell’ambito di un’al- leanza stretta nel 2010 fra Irccs Ospedale San Raffa- ele, Fondazione Telethon e Gsk (cui poi è subentrata or- chard). All’Istituto San Raf- faele di Milano Schana ha ricevuto un’infusione del- le sue cellule staminali, che erano state corrette geneti- camente in laboratorio. «Quando ci hanno detto che esi- steva una cura per nostra figlia», racconta il papà Shevan,

«eravamo entusiasti. Ero felice che fosse in Italia ma se mi avessero detto di tornare in Siria sotto le bombe della guerra ci sarei tornato pur di dare una possibilità a mia fi- glia». Lo screening neonatale per l’Ada-Scid oggi è dispo- nibile solo in alcune regioni d’Italia, ma è fondamentale identificare molto precocemente la malattia e trattare il bambino prima dello sviluppo di infezioni o complican- ze d’organo, che potrebbero precludere il trattamento con la terapia genica. Rolan, Shevan e Schana sono tor- nati in Germania: «Adesso quando nostra figlia ride ci sentiamo in cima al mondo».

ANGELA:

LA MIA

FAMIGLIA? ORA SONO TUTTI

VOLONTARI

LA NOSTRA BIMBA-BOLLA SALVATA DA TELETHON

Potevo abbandonarmi alla sclerosi multipla e vivere in solitudine oppure scegliere l’Aism. Ho preso la seconda strada

Mamma Rolan e papà Shevan vivono in Germania: «Per salvarla siamo venuti a Milano, ma saremmo tornati anche sotto le bombe in Siria»

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