• Non ci sono risultati.

Processo civile Decreto ingiuntivo - Opposizione - In genere - Sentenza di accoglimento - Cassazione con rinvio della sentenza di accoglimento

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Processo civile Decreto ingiuntivo - Opposizione - In genere - Sentenza di accoglimento - Cassazione con rinvio della sentenza di accoglimento"

Copied!
7
0
0

Testo completo

(1)

Processo civile – Decreto ingiuntivo - Opposizione - In genere - Sentenza di accoglimento - Cassazione con rinvio della sentenza di accoglimento dell'opposizione - Mancata riassunzione del giudizio in sede di rinvio - Conseguenze - Estinzione dell'intero procedimento e inefficacia del decreto ingiuntivo opposto - Fondamento.

Corte di Cassazione - Sez. Lavoro, 15.05.2007, n. 11095 - Pres. Ciciretti - Rel. Vidiri - P.G.

Fedeli - INPS (Avv.ti Correra, Coretti, Fonzo) – T. Soc. Coop. a r.l. (Avv. Angelini)

In tema di effetti del giudizio di rinvio sul giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, qualora alla pronunzia sul decreto sia seguita opposizione e questa sia stata accolta, e successivamente la sentenza di merito sia stata a sua volta cassata con rinvio, nel caso in cui il processo non sia stato riassunto in termine non trova applicazione il disposto dell'art. 653 cod.proc.civ., a mente del quale a seguito dell'estinzione del processo di opposizione il decreto che non ne sia munito acquista efficacia esecutiva, ma il disposto dell'art. 393 cod. proc. civ., alla stregua del quale alla mancata riassunzione consegue l'estinzione dell'intero procedimento e, quindi, l'inefficacia anche del decreto ingiuntivo opposto.

FATTO - Con ricorso di insinuazione tardiva del credito l’INPS chiedeva l'ammissione al passivo della procedura di liquidazione coatta amministrativa della società cooperativa T. a r.l. per la somma di lire 750.621.357, dovuta a titolo di sanzioni civili ex art. 4 della legge n. 48/1988 ulteriori rispetto a quelle indicate nel decreto ingiuntivo n. 2530/1991, emesso in data 6 settembre 1991 dal Pretore di Perugia in funzione di giudice del lavoro, e con il quale era stato azionato il credito contributivo dallo stesso Istituto relativamente ai contributi omessi nel periodo dal 1 gennaio 1988 al 31 maggio 1991.

Il Tribunale di Spoleto respingeva la domanda dell'Istituto ed, a seguito di gravame, la Corte d'appello di Perugia, con sentenza del 6 novembre 2003, rigettava il gravame e compensava le spese. Nel pervenire a tale conclusione il giudice d'appello premetteva che il 6 settembre 1991 era stato emesso dal Pretore di Perugia decreto con il quale si ingiungeva alla società ancora in bonis il pagamento della somma di lire 905.364.371, in dipendenza del mancato versamento dei contributi previdenziali per i 26 soci della cooperativa, e lo stesso Pretore, con sentenza del 19 luglio 1993, in accoglimento dell'opposizione aveva revocato il decreto ingiuntivo.

A seguito di gravame, l'opposizione veniva dichiarata infondata dal Tribunale di Perugia, ma la Corte di cassazione, con sentenza del 3 luglio 1997, ritenuto fondato il ricorso della società, cassava la sentenza impugnata e rimetteva gli atti al Tribunale di Temi, davanti al quale giudice la causa non veniva riassunta. Tanto premesso la Corte territoriale, da un lato, osservava che, pur a volere condividere l'assunto che nella fattispecie in esame andava applicato il disposto dell'art. 653 c.p.c.,

(2)

in luogo dell'art. 393 c.p.c., ciò non comportava l'accoglimento dell'appello dell'INPS, perché l'estinzione pur operando di diritto deve essere eccepita ex art. 307 c.c. dalla parte interessata nell'ambito del processo colpito dall'evento estintivo; inoltre era sempre possibile la riassunzione del processo oltre il termine previsto a tale fine, con la mancata formulazione dell'eccezione di estinzione da parte dell'interessato. Ma al di là di tale considerazione, l'appello risultava infondato anche perché, seppure si voleva sostenere che in conseguenza della mancata riassunzione in giudizio aveva avuto luogo <la definitiva cristallizzazione dell'efficacia esecutiva del decreto del 6 settembre 1991>, con acquisizione della forza del giudicato, tale autorità non poteva che rimanere limitata al thema decidendum, oggetto della specifica lite, e di certo non poteva estendersi ad ulteriori ragioni di credito maturate successivamente alla pronunzia del decreto stesso. Non poteva considerarsi, pertanto, accertata - stante il periodo in relazione al quale era stata avanzata la pretesa di insinuazione passiva dell'INPS - l'effettiva debenza della società per non essere stata fornita la prova, che incombeva sull'Istituto, dei fatti che avevano dato origine a detta debenza e che erano diversi dall'iniziale thema decidendum.

Avverso tale sentenza l'INPS propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso la s.r.l. T. in liquidazione coatta amministrativa.

DIRITTO

1. Con il primo motivo, l'INPS deduce violazione e falsa applicazione degli art. 307, 310 e 393 c.p.c. nonché vizio di motivazione e lamenta che il giudice d'appello, nel non fare scaturire tutte le conseguenze derivanti dall'applicazione dell'art 653 c.p.c., aveva ritenuto che l'estinzione per determinare tutti i suoi effetti avesse necessità di una apposita declaratoria laddove ben poteva, giusta quanto affermato in giurisprudenza, essere rilevata ed accertata incidenter tantum dal giudice adito successivamente al verificarsi dell'evento estintivo.

Con il secondo motivo l'INPS deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 e 647 c.p.c. nonché vizio della motivazione perché il giudice d'appello aveva errato nel non considerare che il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo del 6 settembre 1991, contenente l'accertamento definitivo dell'obbligazione contributiva relativa al periodo 1 gennaio 1988 al 31 maggio 1991, non poteva riverberare i suoi effetti anche sulle sanzioni civili connesse alla omissione contributiva maturata nel periodo successivo alla data di emissione del provvedimento monitorio.

2. Il ricorso è infondato e, pertanto, va rigettato in quanto le censure mosse alla impugnata sentenza non hanno alcun fondamento.

2.1. Questa Corte non ignora che i giudici di legittimità hanno di recente statuito che in tema di

(3)

effetti del giudizio di rinvio sul giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, qualora alla pronuncia del decreto sia seguita opposizione, poi accolta, e la sentenza di merito sia stata a sua volta cassata con rinvio dalla Corte di cassazione, alla mancata riassunzione del giudizio in sede di rinvio consegue non già l'estinzione dell'intero procedimento, giusta il disposto dell'art. 393 cod. proc. civ., bensì la applicazione della specifica disciplina di cui al successivo art. 653 c.p.c. , a mente del quale in caso di estinzione del processo di opposizione "il decreto che non ne sia già munito acquista efficacia esecutiva", che ripone la sua ragion d'essere nella natura di condanna con riserva del decreto d'ingiunzione, sicché all'estinzione del procedimento di rinvio per mancata riassunzione consegue l'efficacia esecutiva del decreto medesimo(cfr. in tali sensi Cass. 11 maggio 2005 n. 9876 cui adde , in termini pressocchè analoghi, Cass. 25 marzo 2003 n. 4378).

2.2. Ad avviso di questa Corte la controversia in esame deve essere, invece, decisa unicamente alla stregua della norme di cui all'art. 393 c.p.c., che - proprio per regolare l'estinzione del processo nel caso in cui, come quello di specie, la causa non sia stata riassunta nel termine di cui all'art. 392 c.p.c. o nel caso in cui nel giudizio di rinvio (a seguito della cassazione della sentenza impugnata) si avveri una causa di estinzione - si presenta essa stessa come specifica anche rispetto al disposto dell'art. 653 c.p.c., si da dovere essere applicata pure allorquando si sia in presenza di un giudizio per opposizione a decreto ingiuntivo.

2.3. La specificità, infatti, cui deve aversi riguardo ai fini decisori, attiene non alla natura o all'oggetto della controversia ma agli effetti dell'estinzione, che devono nella fattispecie scrutinata, portare a saggiare la tenuta del decreto ingiuntivo nelle ipotesi in cui intervenga nel corso del processo instaurato con l'opposizione - e dopo la sentenza di cassazione da parte della Corte di cassazione - un evento estintivo.

In questa ottica l'art. 310 c.p.c, come è stato osservato in dottrina, va visto come norma deputata a disciplinare una serie di effetti dell'estinzione del giudizio di primo grado tra cui quelli riguardanti le ricadute sull'azione (l'estinzione del processo non osta di per sé alla riproposizione della stessa domanda in un nuovo processo nè tanto meno può direttamente pregiudicare il diritto che era stato dedotto nel giudizio estinto); l'art. 338 c.p.c. va considerato, a sua volta, come disposizione, che regola - come chiaramente esplicitato nella sua rubrica - gli effetti dell'estinzione nel giudizio di impugnazione, e che stabilisce più specificamente che l'estinzione del procedimento d'appello e di revocazione ordinaria (art. 395 nn. 4 e 5 c.p.c.) determina non già l'inefficacia della sentenza di primo grado(conclusione cui potrebbe condurre, come è stato puntualmente osservato, quanto meno per le sentenze a contenuto meramente processuale, l'art. 310, comma 2, c.p.c.), bensì il suo passaggio in giudicato <salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati

(4)

nel procedimento estinto>, dovendosi al riguardo però precisare che solo quei provvedimenti che assumono contenuto di sentenza hanno capacità di incidere attraverso la riforma o il suo annullamento sulla impugnata sentenza, impedendo a quest'ultima di sopravvivere, per sopravvivere, invece, essa in luogo di quella annullata o riformata( da ultimo sul disposto dell'art.

338 c.p.c. : Cass. 10 novembre 2006 n. 24027, che esclude dagli atti - quali le sentenze non definitive, processuali o di merito pronunciate in appello, di carattere non meramente ordinatorio - capaci di incidere sulle statuizioni della sentenza di primo grado, operandone una sostituzione o una parziale modificazione, la sentenza di appello, che limitandosi a dichiarare l'incompetenza del primo giudice a decidere l'opposizione a decreto ingiuntivo, senza modificare gli effetti prodotti dalle sentenze pronunciate, rende incontestabile l'incompetenza dichiarata e non comporta l'effetto di un implicito riconoscimento della inefficacia del decreto ingiuntivo opposto; effetto invece conseguibile solo in sede di rinvio, a seguito della "trasmigratio iudicii", non verificandosi la quale, per mancata riassunzione, ne consegue l'estinzione del procedimento di appello ed il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado); ed, infine, come detto l'art. 393 c.p.c. che, nel disciplinare gli effetti dell'estinzione per una delle ipotesi contemplate dall'art. 307 c.p.c. (ivi compresa quella di riassunzione tardiva rispetto al termine dell'art. 392 c.p.c.) nel giudizio di rinvio a seguito di pronunzia della cassazione, precisa che l'estinzione coinvolge <l'intero processo, facendo sopravvivere unicamente la sentenza di cassazione, la quale <conserva il suo effetto vincolante>

anche nell'eventuale nuovo processo che dovesse essere instaurato con la riproposizione della medesima domanda

2.4. Per andare in contrario avviso non vale assegnare, dunque, come detto, il carattere di norma speciale all'art. 653 c.p.c. - come vorrebbe il ricorrente anche se fa scaturire da detta norma conseguenze contrapposte a quelle del giudice d'appello - nè accreditare, a seguito dell'estinzione del processo nel giudizio di rinvio, la tesi che il decreto ingiuntivo acquisisca efficacia esecutiva ai sensi del primo comma (che contempla - oltre che il rigetto dell'opposizione con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva - l'estinzione del processo quale provvedimento richiesto per l'efficacia esecutiva del decreto), in ragione di quanto disposto dall'art 310 c.p.c..

Proprio in considerazione del ritenuto carattere generale di quest'ultima norma e del suo <far salve>

le sentenze di merito si è evidenziato al riguardo che l'estinzione del processo non rende inefficace la pronuncia di condanna contenuta nel decreto e quindi la domanda d'ingiunzione, essendo il decreto d'ingiunzione riconducibile allo schema logico e giuridico della condanna con riserva, giacché è adottato sulla base della prospettazione dei fatti costitutivi del suo diritto compiuta dall'attore; fatti che vengano assoggettati ad una cognizione sommaria, mentre al giudizio di

(5)

opposizione, affidato all'iniziativa del convenuto, è rimesso l'accertamento in contraddittorio sia dei fatti costitutivi sia di quelli modificativi od estintivi, sicché se il decreto d'ingiunzione non può per sé essere configurato quale una sentenza non definitiva di merito - qualificazione che è stata proposta in dottrina per le sentenze di condanna con riserva - tuttavia la disciplina dettata dall'art.

653, primo comma, c.p.c. quando sottrae il decreto d'ingiunzione agli effetti della estinzione, appare il risultato di una impostazione concettuale analoga a quella che ispira l'art. 310, quando sottrae le sentenze non definitive di merito all'applicazione della regola per cui l'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti nel processo estinto(fa riferimento a tale iter argomentativo : Cass. 25 marzo 2003 n.

4378 cit.).

2.5. Ad una siffatta ricostruzione incentrata sull'estensione dell'ambito applicativo dell'art. 653 c.p.c, in quanto norma speciale, anche alla fattispecie oggetto della presente controversia, osta oltre la ragione sopra esposta, anche la considerazione che essa non si presenta come esaustiva di tutte le possibili evenienze riscontrabili nel giudizio di rinvio, per non contemplare, accanto alla dichiarazione <con ordinanza> dell'estinzione del processo, anche il caso di mancata riassunzione del giudizio nel termine di cui all’art. 392 c.p.c., previsto invece (unitamente all'avverarsi di una causa di estinzione del giudizio di rinvio) nel successivo art. 393, comma 1, c.p.c.

2.6. Per di più, non pare accreditabile un accostamento nei termini sopra indicati tra il decreto ingiuntivo e la sentenza di merito in quanto il riferimento alle <sentenze di merito> ed a quelle che

<regolano la competenza> quali atti decisionali insensibili agli eventi estintivi ex art. 310, comma 2, c.p.c., non può valere anche per il decreto ingiuntivo perché - come evidenziato, dalla dottrina processualistica - il principio ribadito dalla suddetta disposizione codicistica non può valere per quei provvedimenti che, dando origine al giudizio o trovando in esso origine, presentino una propria autonoma natura ed una propria autonoma ragione di essere. Del resto risulta di significativo conforto a quanto ora detto la scelta legislativa di dettare norme specifiche ogni qual volta si sia inteso stabilire la sopravvivenza all'estinzione di provvedimenti non aventi la forma e la natura di sentenza, come avviene per i provvedimenti sommari anticipatori resi nel corso del processo (cfr.

gli artt. 186-bis, 186-ter e 186-quater), per i provvedimenti temporanei ed urgenti nell'interesse della prole e dei coniugi (resi dal presidente del tribunale o dal giudice istruttore nel giudizio di separazione personale(art. 189 disp. att. c.p.c.), nonché, a seguito della riforma di cui al d.l. 14 marzo 2005 n. 3 5 (convertito con modificazioni nella l. 14 maggio 2005 n. 80), per i provvedimenti anticipatori cautelari, che sino ad ora, essendo per loro natura provvisori e strumentali, erano destinati a rimanere caducati per effetto dell'estinzione del giudizio a cognizione piena(cfr. al riguardo art. 669-octies, comma 6, c.p.c.).

(6)

3. Ma anche una interpretazione logico- sistematica dell'art. 393 c.p.c. induce al rigetto del ricorso stante il disposto dell'ultima parte della suddetta norma che salva <l’effetto vincolante>

della sentenza della Corte di cassazione in un nuovo processo <che sia instaurato con la riproposizione della domanda >.

3.1. E’ stato più volte rimarcato che nel caso di estinzione del processo ai sensi dell'art. 393 cod.

proc. civ.. per mancata riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, si intende far salvo il principio di diritto enunciato dalla sentenza del giudice di legittimità (cfr. in tali sensi :Cass. 9 marzo 2006 n. 5104; Cass. 27 gennaio 1993 n. 986; Cass. 12 luglio 1974 n. 2100).

3.2. In dottrina si è poi osservato che il principio di diritto assume un effetto vincolante molto più intenso nel giudizio di rinvio che in quello che venga proposto ex novo a seguito dell'estinzione del giudizio di rinvio, essendo in questa nuova sede tale vincolo circoscritto alla mera interpretazione della norma del caso concreto non riguardando gli apprezzamenti di fatto che sono i presupposti del principio di diritto. Autorevole indirizzo dottrinale ha però sostenuto - alla stregua di un asserito doveroso coordinamento, per l'elementare regola dell'interpretazione sistematica, tra l’art. 384, comma 1, 393 e 310, comma 3, c.p.c. - che la posizione del giudice di rinvio e di quello del processo riproposto è accomunata dall'essere entrambi sottoposti al dovere funzionale di utilizzare le prove e gli accertamenti di fatto del giudizio ove fu pronunziata la sentenza cassata, essendo dovere dell'interprete quello di spiegare l'efficacia propria della sentenza di cassazione in modo coerente e compatibile con tutto il plesso delle norme citate, il che appunto si ottiene guardando da un punto di vista che ricomprenda in una totalità ermeneutica tanto il giudizio di rinvio quanto il processo riproposto, tanto le regole dell'uno quanto le regole dell'altro.

4. II descritto, seppure succintamente, quadro ricostruttivo degli approdi dottrinari e giurisprudenziali attesta come la semplice lettura della disciplina sul giudizio di rinvio mostri come suo punto qualificante la speciale tenuta, pur a fronte di eventi estintivi del processo, della decisione della Corte di cassazione, che si concretizza in una forma di ultrattività della sua efficacia, che non può considerarsi limitata al principio di diritto enunciato dai giudici di legittimità ma che deve estendersi - stante la chiara lettera dell’art. 393 c.p.c. (.. la sentenza della Corte di cassazione conserva il suo effetto vincolante ....)- all'intero contenuto della sua decisione, sì da accreditare a tutti gli effetti - alla luce del principio, ora costituzionalizzato. della < ragionevole durata del processo per la cui operatività è passaggio obbligato anche il rispetto della regola <dell’economia processuale> - il nuovo processo che venga instaurato con la riproposizione della domanda come una "trasmigratio iudicii".

4. Tale considerazione, unitamente alla presa d'atto del maggior rilievo che con il d. Igs. 2

(7)

febbraio 2006 n. 40 si è voluto dare ai compiti di nomofilachia della Corte di cassazione e, per essi, alle pronunzie dei giudici di legittimità, induce ad escludere - per evidenti ragioni di coerenza sistematica - che in una controversia per opposizione a decreto ingiuntivo il decreto stesso, che non ne sia munito acquisti efficacia esecutiva in applicazione del disposto dell'ari 653 c.p.c , quando nel corso del giudizio sia intervenuto - come nel caso di specie - una pronunzia della Corte di Cassazione che abbia cassato la sentenza di rigetto dell'opposizione rinviando ad altro giudice d'appello, davanti al quale il processo non sia stato tempestivamente riassunto, perché in tal caso deve ritenersi travolto ai sensi dell'art. 393 c.p.c. l'intero giudizio.

5. Per concludere può enunciarsi il seguente principio di diritto <In tema di effetti del giudizio di rinvio sul giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, qualora alla pronunzia del decreto sia seguita opposizione e questa sia stata accolta, e successivamente la sentenza di merito sia stata a sua volta cassata con rinvio dalla Corte di cassazione, nel caso in cui il processo non sia stato riassunto in termine non deve trovare applicazione il disposto dell'art. 653 c.p.c. a mente del quale a seguito dell’estinzione del processo di opposizione "il decreto che non ne sia munito acquista efficacia esecutiva", ma il disposto dell'art. 393 c.p.c., alla stregua del quale alla mancata riassunzione del giudizio in sede di rinvio consegue l'estinzione dell'intero procedimento e, quindi, l’inefficacia anche del decreto ingiuntivo opposto>.

6. Corollario delle argomentazioni sinora svolte è il rigetto del ricorso per sottrarsi, per i motivi sinora esposti, la sentenza impugnata ad ogni censura in questa sede di legittimità perché sorretta da una motivazione congrua, priva di salti logici e pienamente rispettosa dei principi giuridici regolanti la materia in esame.

7 II ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate unitamente agli onorari difensivi come in dispositivo.

(Omissis)

Riferimenti

Documenti correlati

(21) Nei casi specifici in cui vi è un rischio per la vita o per la salute, ma permane una situazione di incertezza sul piano scientifico, il principio di

Gaetano Cosenza attraverso un’azione condotta in modo capillare dalla Direzione amministrativa dell’Azienda, aveva già imposto con successo la revisione al ribasso, di

Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (art. Il primo motivo del ricorso principale, che contesta l'appartenenza della causa alla competenza

c.1.) per un verso, è da escludere - ça va sans dire - che la Suprema Corte possa legittimamente ...‘delegare’ al giudice di rinvio il potere-dovere di stabilire se i motivi di

Questa Corte intende dar seguito all'orientamento ormai consolidato ed i-ntrodotto ed espressamente confermato da un arresto coevo alla sentenza impugnata (cfr. 11950/2013) che

Dal momento che il giudizio è sì di diritto, ma è fortemente condizionato dalle circostanze concrete, la Corte ammette che il suo controllo deve restringersi

Che alla conclusione predicata dalla Corte dell’estinzione dell’intero processo a seguito di estinzione del giudizio di rinvio dopo la cassazione di una decisione

100106 IMPUGNAZIONI CIVILI - CASSAZIONE (RICORSO PER) - GIUDIZIO DI RINVIO - IN GENERE Sindacato della Corte di cassazione sulla sentenza del giudice di rinvio - Contenuto -