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Le Sezioni Unite chiudono il cerchio sulle sorti del decreto ingiuntivo nel caso di estinzione del giudizio di opposizione in sede di rinvio. - Judicium

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www.judicium.it CRISTINA ASPRELLA

Le Sezioni Unite chiudono il cerchio sulle sorti del decreto ingiuntivo nel caso di estinzione del giudizio di opposizione in sede di rinvio.

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le argomentazioni delle Sezioni Unite. – 3. Sugli effetti dell’estinzione del giudizio d’appello e del giudizio di rinvio: l’apparente contraddizione tra l’art. 393 e l’art. 338 c.p.c. - 4.

Sulla distinzione tra sentenza di accoglimento anche parziale dell’opposizione e sentenza di rigetto. - 5. Sugli effetti della decisione di annullamento.

1. Premessa.

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite1, ha infine risolto il contrasto di giurisprudenza formatosi sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto, nel caso di estinzione del giudizio di opposizione allo stesso sopravvenuta nella fase seguente alla pronuncia di cassazione con rinvio2. La questione che, come è noto, s’era fondamentalmente appuntata sull’applicabilità dell’art. 393 c.p.c. ovvero dell’art. 653 c.p.c., viene risolta con una soluzione che può definirsi senz’altro appagante. In sostanza, secondo il Supremo Collegio, la sorte del decreto ingiuntivo nella fattispecie considerata dipende anche dal segno della pronuncia resa in sede di giudizio di opposizione:

l’estinzione del giudizio di rinvio, a seguito della cassazione di una sentenza di rigetto, in primo grado o in appello, del giudizio di opposizione, fa passare in giudicato il decreto opposto e ciò in applicazione del disposto dell’art. 653, primo comma, c.p.c.; invece l’estinzione del giudizio di rinvio, a seguito di cassazione di una decisione di accoglimento, in primo grado o in appello, dell’opposizione proposta contro il decreto ingiuntivo, estingue l’intero processo, ai sensi dell’art.

393 c.p.c.

1 Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4071.

2 Ecco brevemente i termini del contrasto: Cass., sez. III, 25 marzo 2003, n. 4378 e Cass., sez. III, 11 maggio 2005, n.

9876, avevano affermato che alla mancata riassunzione del giudizio in sede di rinvio consegue non l’estinzione dell’intero procedimento, ex art. 393 c.p.c., ma l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 653, primo comma, c.p.c., sicché il decreto che non ne sia già munito acquista efficacia esecutiva; le due sentenze differivano solo quanto alla fattispecie, essendo la prima relativa ad un caso in cui la sentenza cassata con rinvio aveva accolto l’opposizione e l’altra, invece, in cui la sentenza cassata con rinvio era stata di rigetto dell’opposizione. In senso critico rispetto a Cass.

n. 9876/2005, cit., sia consentito il rinvio a C. Asprella, L’inspiegabile resurrezione del decreto ingiuntivo a seguito di mancata riassunzione del giudizio di opposizione in sede di rinvio, in Giur. it., 2006, f. 7-8, 1671 e ss. Una terza sentenza, e precisamente Cass., sez. lav., 15 maggio 2007, n. 11095, in Riv. dir. proc., 2008, 864 e ss., con nota di E.F.

Ricci, La sorte del decreto ingiuntivo a seguito di estinzione del processo di opposizione in sede di rinvio, e in Corr. Giur., 2007, f. 12, 1714 e ss., con nota di M. Negri, Effetti dell’estinzione in fase di rinvio del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, aveva, invece, risolto la questione affermando che, qualora alla pronuncia del decreto ingiuntivo segua opposizione, questa venga accolta e, successivamente, la sentenza di merito venga cassata con rinvio, nel caso il in cui il processo non sia riassunto in termine non trova applicazione l’art. 653, comma 1, c.p.c., bensì l’art. 393 c.p.c., secondo cui alla mancata riassunzione consegue l’estinzione dell’intero procedimento e quindi l’inefficacia del decreto ingiuntivo opposto.

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2. Le argomentazioni delle Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite specificano che, pur attenendo la questione anche alla natura del giudizio di rinvio come fase rescissoria del giudizio di cassazione, essa esige un necessario inquadramento nell’ambito della generale disciplina degli effetti dell’estinzione del processo. Essa pertanto ricorda che, per la corretta soluzione della questione, bisogna considerare che l’art. 338 c.p.c. è applicazione della più generale disposizione dell’art. 310 c.p.c. sulla sopravvivenza delle sentenze di merito pronunciate nel corso del processo estinto, e che l’art. 653 c.p.c., primo comma, è espressione di un principio analogo perché, quando prevede che l’estinzione del giudizio di opposizione rende esecutivo il decreto ingiuntivo opposto, in realtà attribuisce al decreto efficacia di giudicato3.

L’apparente deroga alla disciplina degli effetti dell’estinzione derivante dal disposto dell’art.

393 c.p.c. che preserva solo l’efficacia vincolante della pronuncia di cassazione4, va individuata nell’efficacia della sentenza d’appello che è sempre sostitutiva della sentenza di primo grado5, sia in caso di riforma che di conferma. Con la conseguenza che non potrebbe acquistare efficacia di giudicato una sentenza che, ormai sostituita da quella d’appello, è anch’essa travolta dalla cassazione della decisione d’appello stessa. Sicché, conclude la Corte, la deroga è soltanto apparente e comunque coerente con il sistema dettato dagli artt. 310 e 338 c.p.c.

E’ quindi, sostiene la Corte, l’esigenza di preservare la coerenza con la generale disciplina degli effetti dell’estinzione che impone di risolvere la questione dei rispettivi limiti di applicabilità degli artt. 393 e 653 c.p.c. valutando, appunto, il segno della sentenza che decide sull’opposizione, ossia se essa abbia o meno efficacia sostitutiva del decreto ingiuntivo opposto6 e tenendo presente

3 Cfr. SU cit., in motivazione. La Corte ricorda, per la giurisprudenza in questo senso Cass., 17 agosto 1973, n. 2346.

4 Sebbene, ricorda la Corte, si riconosca in giurisprudenza che l’estinzione non può comunque investire le sentenze che, avendo definito il giudizio rispetto ad alcune delle domande o ad alcuni capi delle domande stesse, siano passate in giudicato perché non investite dal ricorso per cassazione, oppure non avendo formato oggetto della pronunzia di accoglimento di questo: Cass. 30 dicembre 1994, n. 11296, cit. in motivazione.

5 Sull’effetto sostitutivo della pronuncia di gravame come “effetto accessorio e consequenziale” in rapporto alla realizzazione degli effetti principali dell’appello, cfr. A. Cerino Canova, Le impugnazioni civili, Struttura e funzione, Padova, 1973, 615 ss.; sull’effetto sostitutivo v., da ultimo, senza pretese di completezza (e nella consapevolezza della diversa impostazione delle due opere, la prima ancorata alla nozione di capo di sentenza come decisione di domanda, l’altra incline a ravvisare quella nozione nella soluzione di ogni questione in facto et in iure), S. Recchioni, Pregiudizialità processuale e dipendenza sostanziale nella cognizione ordinaria, Padova, 1999, 515; R. Poli, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002, 501.

6 Questo era stato il rilievo dell’autorevole dottrina che aveva favorevolmente commentato la precedente Cass.

2007/11095; E.F. Ricci, La sorte, cit., 867, che aveva sottolineato come la sentenza di primo grado sostituisca del tutto il decreto ingiuntivo, sia se diversamente orientata, sia se orientata in senso identico; qualora a quest’ultima sia seguita una sentenza di secondo grado, quest’ultima ha l’effetto di sostituire completamente quella di primo grado;

sicché l’art. 393 c.p.c. consente di comprendere che, dopo la cassazione della sentenza d’appello, la decisione di primo grado non può rivivere. Sull’effetto sostitutivo proprio della sentenza che decide sull’opposizione a decreto ingiuntivo

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che solo la sentenza di accoglimento anche parziale dell’opposizione sostituisce comunque il decreto opposto7, ai sensi del secondo comma dell’art. 653 c.p.c., mentre la sentenza di rigetto dell’opposizione non ha mai questo effetto sostitutivo perché in questo caso, ai sensi del primo comma della stessa norma, il titolo esecutivo è dato dal decreto ingiuntivo e non dalla sentenza che integralmente lo conferma8.

3. Sugli effetti dell’estinzione del giudizio d’appello e del giudizio di rinvio: l’apparente contraddizione tra l’art. 393 e l’art. 338 c.p.c.

Le riportate considerazioni sono certamente condivisibili.

L’art. 338 c.p.c., come è noto, stabilisce che l’estinzione del processo di impugnazione determina il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado9, pertanto, anche se i termini non sono ancora scaduti, non è più possibile riproporre l'impugnazione10. La previsione della norma, è limitata alla estinzione del procedimento di appello e di revocazione per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell’art. 395: la dichiarazione di estinzione di uno di questi procedimenti, con il conseguente passaggio in giudicato della decisione impugnata, rende non più proponibili i mezzi di impugnazione previsti dall’art. 324, che sono incompatibili con il passaggio in giudicato stesso11, anche se non sono ancora scaduti i relativi termini12. Infatti se l’impugnazione ha ad oggetto una sentenza passata in giudicato l’estensione determina semplicemente la consumazione del potere di impugnazione13.

A differenza dell’articolo in esame, che fa derivare dall’estinzione del procedimento di appello o di revocazione (nei casi previsti) il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, il successivo art. 393 c.p.c. stabilisce invece che, in caso di estinzione del giudizio di rinvio, l’intero processo si estingue: verificatasi l’estinzione del giudizio di rinvio, quindi, non vi è possibilità alcuna che la sentenza di primo grado passi in giudicato, attesa l’assoluta prevalenza della disciplina dettata dall’art. 393 rispetto a quella espressa dall’art. 33814.

La norma omette di fare riferimento all'estinzione del giudizio davanti alla Corte di Cassazione. La legge però prevede alcune ipotesi di estinzione dello stesso, benché si tratti di un si vedano A. Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 516 e ss.; E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 1991, 137 e ss.

7 Cass. 20 maggio 2004, n. 9626; Cass. 12 febbraio 1994, n. 1421, entrambe citate in motivazione.

8 Cass. 3 giugno 1978, n. 2795; Cass. 30 dicembre 1968, n. 4082, entrambe riportate in motivazione.

9 Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2006, § 180.13.

10 Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984, 293.

11 Satta-Punzi, Diritto processuale civile, Padova, 2000, 454.

12 Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, 790.

13 Picardi, Manuale, loc. cit.; Giorgetti, Le rinunce alle impugnazioni civili, Milano, 2000, 425.

14 Picardi, Sui rapporti fra l’art. 338 e l’art. 393 c.p.c., in Riv. dir. proc., 1994, 532

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procedimento non soggetto all'impulso di parte. Secondo la dottrina dominante anche l’estinzione del giudizio di cassazione determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, anche se pendono ancora i termini per la proposizione del relativo ricorso15. Anche la giurisprudenza ritiene che la norma in commento si applichi in caso di estinzione del giudizio davanti alla Corte di Cassazione16. Diverso invece il caso, che qui rileva, del giudizio di rinvio la cui mancata riassunzione determina l'estinzione non solo di quel giudizio ma dell'intero processo, pur con l'applicazione dell'art. 310 c.p.c.

Se, quindi, è senz’altro vero che l’art. 338 c.p.c. costituisce applicazione della più generale disposizione dell’art. 310 c.p.c. sugli effetti dell’estinzione del processo, bisogna valutare come si collochi in questo ambito il disposto dell’art. 653, primo comma, c.p.c. Questa norma è certamente speciale rispetto a quella generale sugli effetti dell’estinzione: essa si occupa, come avevo già avuto modo di precisare, di uno spazio processuale anteriore rispetto al rigetto dell’opposizione e parificato ad esso; la norma, in sostanza, consente di riportare lo status del decreto ingiuntivo alla fase precedente alla proposizione dell’opposizione qualora vi sia rigetto dell’opposizione o estinzione del processo17.

Una lettura dell’art. 653, primo comma, c.p.c. tale da ritenerla manifestazione di una volontà legislativa diversa da quella espressa con l’art. 393 c.p.c. e, in particolare ammettere la sopravvivenza del decreto ingiuntivo sostituito dalla sentenza pronunciata in sede di opposizione, qualora successivamente si estingua il giudizio di rinvio, comporterebbe, come è stato giustamente sottolineato, una vanificazione della decisione resa in sede di cognizione piena, finendo per far sopravvivere una pronuncia, cioè il decreto ingiuntivo, che ha idoneità decisoria ma è comunque emanata inaudita altera parte18.

La norma dell’art. 393 c.p.c., considerando il giudizio di rinvio proprio come prosecuzione e non come impugnazione del giudizio precedente, sancisce l’estinzione dell’intero processo per effetto dell’estinzione del giudizio di rinvio. La sentenza di merito è definitivamente caducata come statuizione sul caso controverso e non può più rivivere19. E`, peraltro, fatto salvo il carattere vincolante del principio di diritto emesso (ai sensi dell’art. 384 c.p.c. e dell’art. 143 disp. att. c.p.c.) dal giudice di legittimità, che farà stato anche se il giudizio sarà riproposto ex novo20. La prima parte della norma, considerando il giudizio di rinvio c.d. proprio come prosecuzione e non come impugnazione del giudizio precedente, prende in considerazione le sorti dell'«intero processo»,

15 Andrioli, Commento al codice di procedura civile, vol. II, Napoli, 1956, 423; Bonsignori, Impugnazioni civili in generale, in Digesto civ., IX, Torino, 1993, 353; contra Liebman, Manuale di diritto processuale civile, cit., 293.

16 Cass. 20 febbraio 2003, n. 2534, in Arch. Civ., 2003, 1340.

17 Amplius, e con ulteriori riferimenti Asprella, L’inspiegabile resurrezione, cit., 1672 e ss.

18 Non solo, sottolinea M. Negri, Effetti dell’estinzione, cit., 1721 e ss., così opinando il debitore ingiunto sarebbe caricato di un doppio onere, dovrebbe non solo coltivare diligentemente il giudizio di primo grado, ma anche evitare che la riassunzione tardiva del giudizio di rinvio travolga l’eventuale accertamento a lui favorevole ottenuto nel corso del giudizio.

19 Picardi, Sui rapporti fra l’art. 338 e l’art. 393 c.p.c., cit., 532; Cass. 6 dicembre 2002, n. 17372.

20 Cass. 5 settembre 1997, n. 8592, in Giust. Civ., 1998, I, 71, con nota di Bellinzoni.

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sancendo l'estinzione del processo, per effetto dell'estinzione del giudizio di rinvio ovvero nel caso di mancata riassunzione nel termine21.

Tale disposizione pone termine, risolvendole, alle vecchie contese sorte nel vigore del codice abrogato22 che, non prevedendo una disposizione analoga a quella in questione, dava adito alla possibilità che le sentenze di primo grado, per le quali esistevano ancora capi in discussione, non potevano acquistare mai efficacia di giudicato23.

La seconda parte della norma, invece, come visto, fa salvo il carattere vincolante del principio di diritto; si tratta, tuttavia, non solo del principio di diritto, ma di qualunque statuizione anche in ordine al processo24. L'effetto vincolante è in altri termini la normatività della sentenza, caratteristica insista in ogni pronuncia della Cassazione e che, come tale, non può essere posta nel nulla dall'estinzione del processo25.

Più delicati i rapporti tra l’estinzione del giudizio di rinvio ed i principi generali sugli effetti dell’estinzione, previsti dall’art. 310 c.p.c. Si ritiene che anche nel processo riproposto ex novo conservino efficacia le decisioni di merito passate in giudicato, come le sentenze di merito non definitive non impugnate o con impugnazione respinta, nonché quelle che, avendo definito il giudizio rispetto ad alcune domande o ad alcuni capi delle stesse, siano passate in giudicato, non essendo state investite dal ricorso per cassazione, ovvero non avendo formato oggetto della pronuncia di accoglimento di questo26. Lo stesso regime vale per le prove assunte, che il nuovo giudice potrà utilizzare, a norma dell’art. 116, secondo comma, c.p.c. Si ritiene che la peculiare disciplina dell'estinzione del processo di cui all'art. 393 c.p.c., costituisce l'argomento idoneo atto a dimostrare inconfutabilmente e definitivamente, che il giudizio di rinvio è del tutto separato e distinto dal modello del nuovo appello, costituendo invece, la fase rescissoria conseguente alla cassazione27.

In buona sostanza, l'estinzione di questa fase processuale non può mai far rivivere la sentenza di primo grado28 e al giudizio ex art. 392 c.p.c. non preesiste alcuna sentenza di secondo grado, ovvero di prima istanza, sostituita da quella di appello, o nel caso di ricorso per saltum direttamente rescissa dalla cassazione, idonea a passare in giudicato29.

21 Terrusi, Il ricorso per cassazione nel processo civile, Torino, 2004, 262; Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Torino, 2000, 503.

22 Satta-Punzi, Diritto processuale civile, cit., 572.

23 Andrioli, Commento al codice di procedura civile, cit., 601; Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 2, Milano, 1962, 301.

24 Satta-Punzi, Diritto, cit., 573.

25 Satta-Punzi, op. loc. cit.

26 Cass. 15 maggio 2001, n. 6712, cit.; Cass. 30 dicembre 1994, n. 11296.

27 Terrusi, Il ricorso per cassazione, cit., 262.

28 Valitutti, De Stefano, Le impugnazioni, cit., 363.

29 Cerino Canova, Le impugnazioni civili. Struttura e funzione, Padova, 1973, 604.

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Nel nuovo giudizio, invece, non si applica l’art. 338 c.p.c.: l’estinzione del giudizio di rinvio non dà luogo al passaggio in giudicato della sentenza impugnata, ma travolge l’intero processo30. Anzi, la cassazione con rinvio di sentenza non definitiva provoca addirittura la caducazione della stessa sentenza definitiva dalla prima dipendente, ancorche´ non impugnata e passata in giudicato31. Peraltro, una isolata decisione ha ritenuto che il rinvio conseguente a cassazione ex art. 360, n. 4, e`

disciplinato dalle norme sull’appello, con la conseguenza che la mancata integrazione del contraddittorio non comporta la perdita di efficacia della sentenza di primo grado sancita dall’art.

39332.

Ineccepibile appare, pertanto, la considerazione che la deroga posta dall’art. 393 c.p.c. alla disciplina generale degli effetti dell’estinzione è solo apparente, e comunque coerente con il sistema definito dagli artt. 310 e 338 c.p.c. perché, come ha sottolineato la Corte, solo dopo la pronuncia del giudice d’appello la sentenza di primo grado perde l’efficacia cui può riconoscersi una stabilizzazione come conseguenza dell’estinzione del processo.

4. Sulla distinzione tra sentenza di accoglimento anche parziale dell’opposizione e sentenza di rigetto.

Le Sezioni Unite, come visto, preservano la generale coerenza del sistema degli effetti dell’estinzione del processo come costruito nell’impianto codicistico affermando che la questione dei rispettivi limiti di applicabilità degli artt. 393 e 653 c.p.c. deve essere risolta stabilendo se e quando la sentenza che decide sull’opposizione abbia o meno efficacia sostitutiva del decreto opposto. Così esse giungono a distinguere tra l’ipotesi della sentenza di accoglimento anche parziale dell’opposizione che comporta, in caso di estinzione del giudizio di rinvio, l’applicazione dell’art. 393 c.p.c. e, quindi, l’estinzione dell’intero processo e l’ipotesi della sentenza di rigetto che, invece, comporta l’applicazione dell’art. 653, primo comma, c.p.c., con conseguente passaggio in giudicato del decreto opposto.

La sentenza che rigetta l’opposizione determina, come ricorda anche la Corte, il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo, confermato o recepito per relationem nella sentenza e, quindi, di titolo esecutivo; secondo la dottrina dominante la sentenza di rigetto dell'opposizione non si sostituisce al decreto ingiuntivo, al contrario, ne comporta la conferma integrale33. Questa opinione

30 Cass. 6 dicembre 2002, n. 17372, cit.; Cass. 1° marzo 1985, n. 1758; Cass. 21 marzo 1989, n. 1403; in tal senso anche Picardi, Sui rapporti, cit., 532.

31 Cass. 13 aprile 1981, n. 2174.

32 Cass. 28 gennaio 1984, n. 690, in Giust. Civ., I, 2200. In senso critico, cfr. Sassani, Mancata integrazione del contraddittorio in sede di rinvio ed applicazione dell’art. 393 c.p.c.: una sentenza nuova ed una tesi antica, in Giust.

Civ., 1984, I, 2202, secondo il quale non può negarsi all’art. 393 la qualità di lex specialis (e pertanto prevalente) rispetto all’art. 338 ed agli effetti delle norme sull’inammissibilità e improcedibilità dell’appello. Altre critiche erano già in Vaccarella, Inattività delle parti ed estinzione del processo di cognizione, Napoli, 1975, 208 e ss.. Sulla questione v., di recente, Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2006, 218 ss.

33 Va ricordato che, nel caso di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo nel merito, una parte della dottrina e la giurisprudenza, invece, pur riconoscendo spesso alla pronuncia di rigetto dell’opposizione il carattere di sentenza di condanna dell’ingiunto (Cass. 28 gennaio 1989, n. 538; Cass. 13 luglio 1972, n. 2377; Cass. 19 febbraio 1972, n. 493),

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è confermata proprio dal disposto dell’art. 653 c.p.c. secondo cui con la sentenza di rigetto il provvedimento monitorio acquista efficacia di titolo esecutivo e, se l'esecutorietà del decreto non è disposta nella sentenza medesima, vi si può provvedere presentando il decreto al giudice monitorio, che lo dichiara esecutivo.

D’altro canto la dottrina ha precisato che questa costruzione è confermata dal testo dell’art.

654 c.p.c., secondo comma, a norma del quale se il titolo esecutivo è costituito da un decreto ingiuntivo non è necessaria una nuova notificazione del medesimo, essendo sufficiente che nel precetto si indichino le parti e la data della notifica dell'ingiunzione e si menzioni il provvedimento che ha disposto l'esecutorietà e l'apposizione della formula esecutiva34. Il titolo esecutivo è pertanto proprio il decreto ingiuntivo, cui con il rigetto dell’opposizione viene attribuita efficacia di giudicato35. E pertanto sembra logico, in una con le affermazioni della Corte, sostenere che nel caso di rigetto dell’opposizione il titolo è dato dal decreto e non dalla sentenza: logico anche perché la sentenza di rigetto non fa che confermare l’assetto di interessi già consacrato dal decreto ingiuntivo.

E, pertanto, poiché la sentenza non si sostituisce al decreto, nel caso di estinzione del giudizio di rinvio, dopo la cassazione della sentenza di rigetto dell’opposizione, correttamente s’applica il disposto del primo comma dell’art. 653 c.p.c., con passaggio in giudicato del decreto opposto.

Detto in altri termini se la sentenza di rigetto nulla aggiunge e nulla toglie al decreto ché, anzi, rimane esso stesso titolo esecutivo, è soluzione congrua quella di ritenere che l’estinzione del giudizio di rinvio dopo la cassazione della decisione di rigetto faccia passare in giudicato il decreto opposto; la sentenza di rigetto già non esisteva nel giuridico, potrei dire, ma nel metagiuridico, non avendo in alcun modo sostituito il decreto e non avendo immutato la realtà processuale; e pertanto

individuano comunque il titolo esecutivo nel decreto ingiuntivo escludendo che la sentenza si sostituisca ad esso (Ebner-Filadoro, Manuale del procedimento d’ingiunzione, Milano, 1993, 176; Pajardi, Il procedimento monitorio, Milano, 1991, 120; Cass. 3 giugno 1978, n. 2795; Cass. 30 dicembre 1968, n. 4082; Cass. 23 febbraio 1945, n. 120; v.

pure App. Venezia 25 marzo 1999, in Riv. Arb., 1999, 475, con nota di Consolo; nonché, sia pure in una fattispecie peculiare di opposizione monitoria giudicata tardivamente proposta, App. Milano 22 dicembre 1995, in Giur. It., 1996, con nota di Consolo). La questione rilevava perché qualora la sentenza di rigetto nel merito dell’opposizione non sia provvisoriamente esecutiva (ipotesi oggi limitata al caso dell’art. 283 c.p.c.), il creditore sarebbe rimasto privo di titolo esecutivo, ancorché il decreto fosse stato dichiarato provvisoriamente esecutivo (Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 1991, 244; contra, Mandrioli, Sull’efficacia della sentenza di primo grado non esecutiva che accoglie parzialmente l’opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, in Riv. dir. proc., 1961, 709;

Bucolo, Appunti sull’esecutività provvisoria della sentenza che accoglie l’opposizione a decreto ingiuntivo, in Giur. It., 1965, I, 2, 625).

34 Che trova applicazione in ogni ipotesi di esecutorietà del provvedimento monitorio, e non solo quando essa venga concessa per essere stata respinta l'opposizione o per essersi estinto il relativo giudizio: Cass. 21 novembre 2001, n.

14729.

35 In giur., riportate anche dalle Sezioni Unite, v. Cass. 3 giugno 1978, n. 2795, cit.; Cass. 30 dicembre 1968, n. 4082, cit.; in dottrina Colla, Il decreto ingiuntivo, Padova, 2003, 450; Franco, Guida al procedimento di ingiunzione, Milano, 2001, 1574; Laenza, Paratore, Il procedimento per decreto ingiuntivo, Torino, 2003, 302; Mandrioli, Diritto processuale civile, III, 17a ed., Torino, 2006, 45; Valitutti, De Stefano, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova, 2000, 391; Valle, in Capponi, Il procedimento d'ingiunzione, Bologna, 2005, 507.

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la sua cassazione e la conseguente estinzione del giudizio di rinvio fanno passare in giudicato l’unica realtà processuale esistente, ossia il decreto.

L'accoglimento della opposizione, viceversa, travolge sia il decreto ingiuntivo opposto che l'eventuale efficacia esecutiva di esso. Nel caso di accoglimento per ragioni processuali il decreto ingiuntivo deve essere annullato; in caso di accoglimento nel merito, revocato36. L'accoglimento parziale, a sua volta, comporta che il titolo esecutivo è costituito dalla sentenza, la quale sostituisce il decreto e questa previsione trova la sua giustificazione nella necessità di tutelare il diritto di credito seppur accertato in misura minore. Quindi, come la Corte precisa, la sentenza di accoglimento anche parziale dell’opposizione sostituisce comunque il decreto ingiuntivo opposto, ai sensi dell’art. 653, secondo comma, c.p.c. Nel caso di estinzione del giudizio di rinvio dopo la cassazione di una sentenza di accoglimento, pertanto, deve a logica estinguersi l’intero processo, in applicazione non già dell’art. 653, primo comma, c.p.c., ma dell’art. 393 c.p.c.

5. Sugli effetti della decisione di annullamento.

La Corte chiarisce, infine, che ad un esito in tal senso diversificato, nel caso di estinzione del giudizio di rinvio, a seconda del segno della decisione resa all’esito dell’opposizione al decreto ingiuntivo, non è di ostacolo la considerazione degli effetti vincolanti riconosciuti dall’art. 393 c.p.c. alla sentenza di cassazione con rinvio, ossia anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda dopo l’estinzione del processo. In questo caso, dice la Corte, l’effetto di vincolo che deriva dalla sentenza di cassazione con rinvio è quello riconosciuto dall’art.

384 c.p.c. all’enunciazione del principio di diritto e alle statuizioni sul processo contenute nella decisione di cassazione; con la conseguenza che quel vincolo è condizionato all’esito degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice del merito. Sicché il decreto opposto non può essere privato di efficacia senza prima accertare i fatti che la Corte di cassazione non può di per sé conoscere, per espresso divieto di legge, mentre potrebbe risultare immediatamente rimosso soltanto se questi accertamenti non siano necessario, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, c.p.c.

L’enunciazione del principio di diritto contenuta nella sentenza di cassazione con rinvio è infatti, come abbiamo visto, vincolante sia per il giudice di rinvio, sia per qualsiasi altro giudice davanti al quale sia riproposta la stessa domanda a seguito dell’estinzione del processo di rinvio. E`, questo, uno dei pochi casi in cui il precedente giurisprudenziale è vincolante, proprio ai sensi degli artt. 384 e 393 c.p.c.

In altri termini, l’accoglimento del ricorso per violazione o falsa applicazione di una norma comporta la conseguente enunciazione del principio di diritto cui gli altri giudici dovranno uniformarsi. Il principio di diritto costituisce, appunto, una corretta enunciazione della volontà della legge, non in linea astratta, ma con specifico riferimento al caso concreto erroneamente deciso dalla sentenza impugnata. Rappresenta l’effetto normativo della pronuncia, o, come anche è stato detto, l’efficacia « panprocessuale »37 del criterio di decisione cui il giudice di rinvio dovrà attenersi38.

36 In ogni caso, sin dalla pubblicazione della sentenza, non dal suo passaggio in giudicato, gli atti esecutivi eventualmente compiuti sulla base del decreto ingiuntivo esecutivo diverranno inefficaci e la sentenza medesima costituisce titolo per la cancellazione della ipoteca eventualmente iscritta: Colla, Il decreto, cit., 446; Franco, Guida, cit., 1564; Laenza, Paratore, Il procedimento, 298.

37 Montesano, Sull’efficacia, 739 e ss.

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E’ noto che, dopo la riforma del 1990 e la novellazione del 1° comma dell’art. 384, c.p.c. la sentenza di cassazione senza rinvio può tradursi in una decisione di “merito”39, che, pronunciando sulla fondatezza o meno della domanda giudiziale, giudica di essa allo stesso modo di una sentenza di merito pronunciata da un giudice comune. Una sentenza di cassazione sostitutiva nel merito, in altre parole, ha quello stesso contenuto che avrebbe dovuto avere la decisione cassata, potendosi trattare allora di “una sentenza di mero accertamento, di condanna o, anche, costitutiva”40. Alla

“statuizione sul merito” non si accompagna, tuttavia, un “esame del merito”41, se è vero che la Suprema Corte deve fondarsi sui fatti “accertati” e “valutati” nella sentenza annullata, dovendo la fattispecie storica configurarsi come una premessa già assodata42. Come è stato correttamente rilevato ancora adesso il giudizio di cassazione “anche quando possa dar luogo ad una decisione di merito non sarà un terzo grado, benché ad istruttoria chiusa, di completo riesame della causa”43: soltanto, non esiste più l’inibizione assoluta per la Cassazione di decidere della fondatezza della domanda fatta valere in prima istanza44.

38 E’ noto che secondo una parte della dottrina l’efficacia dell’enunciazione del principio di diritto dovrebbe essere configurata come un giudicato sostanziale, limitato al profilo di diritto: Redenti, Il giudicato sul punto di diritto, in Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, vol. II, Padova, 1950, 691 e ss.; Andrioli, Il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, in Riv. dir. proc., 1952, 279 e ss.; secondo altri, invece, si tratterebbe di una preclusione processuale ad applicare diversamente la norma di diritto al caso di specie (così Calamandrei-Furno, voce Cassazione civile, in Noviss. dig. It., II, Torino 1958, 1099), non riconducibile alla sfera sostanziale (Micheli, L’enunciazione del principio di diritto da parte della Corte di cassazione e il giudicato sul punto di diritto, in Riv. dir. proc. 1955, 37 e ss.;

Fazzalari, Il processo ordinario di cognizione, II, Torino, 1990, 328 e ss.). La giurisprudenza propende per la tesi della preclusione delle questioni già proposte dalle parti o conoscibili d’ufficio nel giudizio di rinvio, nel senso che tutte le questioni dedotte in precedenza devono intendersi implicitamente decise quale presupposto necessario ed inderogabile della pronuncia di diritto della Corte di cassazione, con la conseguenza che la sentenza che dispone il rinvio vincola il giudice del rinvio stesso non solo sui principi di diritto affermati, ma anche rispetto ai presupposti di fatto, accertati in via definitiva, nella precedente fase di merito, che sono premesse logico-giuridiche della pronuncia di annullamento: ex multis Cass. 30 marzo 2001, n. 4725; Cass. 6 febbraio 1999, n. 1070; Cass. 20 agosto 1998, n.

8252; Cass. 18 giugno 1990, n. 6133.

39 Ciò che comporta che la disciplina della situazione sostanziale controversa è quella offerta dalla sentenza della Corte di cassazione (sicché, se di condanna, il titolo esecutivo sarà dato da detta sentenza della Suprema Corte, che - ove la sentenza sia soggetta a trascrizione o ad annotazione, ex artt. 2651 c.c. e 2655 c.c. - costituirà parimenti il titolo da trascrivere o annotare, a seconda dei casi).

40 L’espressione è di A. Attardi, Le nuove disposizion sul processo civile, Padova, 1991, 179; amplius sull’ampiezza della cognizione della Corte, A. Panzarola, La Cassazione civile giudice del merito, Torino, 2005, vol. II, 913 e ss.

41 Cfr. E. Allorio, Critica della teoria del giudicato implicito, già in Riv. dir. proc. civ., 1938, II, 250, nonché in Id., Problemi di diritto, II, Milano 1957, 221.

42 A. Cerino Canova, Le impugnazioni civili. Struttura e funzione, Padova, 1973, 363.

43 C. Consolo, in Consolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 474.

44 Su tutti questi profili si rinvia all’accurato esame di A. Panzarola, La Cassazione civile, 915 e ss.

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Questa decisione nel merito incontra, come è noto, il limite dell’impossibilità per il Supremo Collegio non solo di svolgere attività istruttoria, ma anche di procedere ad una autonoma valutazione dei fatti risultanti dalle prove già acquisite nella fase precedente. Nella prima non diversamente che nella seconda eventualità sarebbe precluso ad esso di decidere nel merito con conseguente necessità di rinvio al giudice ad quem. Su questa posizione pare essersi attestata, non senza sporadiche eccezioni45, anche la giurisprudenza, come testimonia pure la sorte delle pretese restitutorie conseguenti alla cassazione della pronuncia impugnata46. Ma, a tenore dell'art. 384, secondo comma, ultima parte, quando accoglie il ricorso la Corte stessa – se è integrato il requisito della non necessità di ulteriori accertamenti di fatto - decide nel merito con una pronuncia di accoglimento o rigetto della domanda47, che sostituisce quella cassata ed è fondata sui medesimi elementi fattuali dedotti ed accertati nella sentenza impugnata.

Correttamente pertanto le Sezioni Unite indicano che il vincolo riconosciuto dall’art. 384 c.p.c. all’enunciazione del principio di diritto ed alle statuizioni sul processo contenute nella sentenza di cassazione è condizionato all’esito degli accertamenti di fatto demandati necessariamente al giudice del merito, con la conseguenza che il decreto ingiuntivo opposto non può essere privato di efficacia senza, come dice testualmente la corte, il “previo accertamento dei fatti che la Corte di cassazione non può conoscere”. Discorso diverso va, altrettanto correttamente, fatto quando gli ulteriori accertamenti non siano necessari perché, in questo caso, ai sensi del secondo comma dell’art. 384 c.p.c., la Corte di cassazione decide la causa nel merito con una pronuncia che ha gli stessi effetti sostitutivi di una decisione di accoglimento anche solo parziale dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Per dirla con le parole della dottrina la sostituzione operata dalla sentenza di cassazione “interessa la motivazione della sentenza impugnata”, così come specularmente la decisione di merito della cassazione, “prevede la sostituzione del dispositivo della sentenza impugnata”48.

Che alla conclusione predicata dalla Corte dell’estinzione dell’intero processo a seguito di estinzione del giudizio di rinvio dopo la cassazione di una decisione di accoglimento, in primo grado o in appello, dell’opposizione proposta contro un decreto ingiuntivo, non sia d’ostacolo in alcun modo il disposto dell’art. 393 c.p.c., già era stato efficacemente rilevato dalla dottrina49; si era

45 Cfr. A. Panzarola, op. loc. ult. cit.

46 La decisione al riguardo imporrebbe quegli accertamenti di fatto che sono alla Corte preclusi. Nondimeno, in dottrina si è per lo più fatto leva sulla previsione dell’art. 389 c.p.c. per escludere la competenza sulle pretese restitutorie in capo al Supremo Collegio. Sul punto si veda G. Balena, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, 478; conforme cfr. V. Tavormina, «Riforma urgente» e procedimenti avanti la Corte di cassazione, in Riv. dir.

proc., 1990, 1037. Si veda in tema anche M. De Cristofaro, La Cassazione sostitutiva nel merito. Prospettive applicative, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 299, secondo il quale non è tanto l’art. 389 ad escludere che il Supremo Collegio pronunzi immediatamente sulle domande restitutorie, ma è la circostanza che una simile pronunzia imporrebbe valutazioni in fatto precluse alla Cassazione.

47 Sull’ambito delle decisioni di merito del Supremo Collegio e sulle diverse interpretazioni dell’espressione “ulteriori accertamenti di fatto” si veda A. Panzarola, La Cassazione civile, cit., II, 773 e ss. nonché AA. ivi citati.

48 Così R. Vaccarella, in Vaccarella-Capponi-Cecchella, Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, 315.

49 E.F. Ricci, La sorte del decreto ingiuntivo, cit., 868.

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infatti evidenziato come, anche nel caso di cassazione di una decisione di accoglimento non può predicarsi la reviviscenza del decreto ingiuntivo ormai definitivamente sostituito dall’opposizione accolta, sicché in quest’ultima ipotesi la soluzione può essere solo quella dell’estinzione dell’intero processo, in applicazione del disposto dell’art. 393 c.p.c.

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