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1. Inflazione; caratteri generali e rapporto con l’euro.

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1. Inflazione;

caratteri generali e rapporto con l’euro.

1.1 Cos’è l’inflazione

Cosa è l’inflazione? Come tutti i grandi problemi dell'economia, l'inflazione è un campo attraversato da profonde divergenze ideologiche e analitiche. Il fenomeno della crescita continuativa dei prezzi è un problema particolarmente sentito dalla collettività per le sue implicazioni sociali.

Dall’entrata in vigore dell’Euro cosa sia l’inflazione e come essa venga stimata per ottenere i dati poi divulgati dagli organi governativi sono domande che hanno attirato l’attenzione e la curiosità delle persone allorché si sono rese conto che l’aumento del costo della vita percepito era discordante da quello rilevato dalle istituzioni.

Soprattutto in Italia il dibattito sull'inflazione è dunque ritornato di estrema attualità soprattutto, come sopra scritto, per quanto riguarda l'esattezza della sua rilevazione. I dati forniti mensilmente dall’ISTAT sono stati contestati da più parti perché considerati poco realistici.

Le associazioni dei consumatori sono nuovamente preoccupate per la forte crescita dell'inflazione in alcuni settori. L'aumento dei prezzi, infatti, riguarderebbe una consistente serie di beni ritenuti essenziali per le famiglie. L'Intesa dei Consumatori afferma che l'inflazione reale è almeno il doppio di quella dichiarata e quella percepita è addirittura del 20%.

Cosa è allora l’inflazione?

L'inflazione, dal latino inflatus, gonfiato, è in economia un incremento generalizzato e continuativo nel tempo del livello generale dei prezzi determinato da un aumento abnorme della massa monetaria in circolazione.

Il medio circolante aumenta oltre i limiti rappresentati dai bisogni degli scambi generando così un aumento persistente dei prezzi dei beni.

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Indicando con P(t) il livello generale dei prezzi, l'inflazione è la sua derivata prima rispetto al tempo, ovvero la velocità con cui il livello medio dei prezzi cresce:

L'inflazione viene misurata facendo una media aritmetica dei singoli prezzi. Per calcolare l'inflazione l'Istituto centrale di statistica (ISTAT) utilizza principalmente tre indici.

a) indice dei prezzi all'ingrosso (rileva le transazioni commerciali fra imprese);

b) indice dei prezzi al consumo (rileva le transazioni intercorrenti fra le imprese e le famiglie);

c) indice del costo della vita ( rileva i consumi di una famiglia tipo in base ad un paniere di beni che viene aggiornato periodicamente).

In Italia, come per la maggior parte dei Paesi, la variazione del livello generale dei prezzi vengono ricavate dall’Istituto centrale di Statistica attraverso l’indice dei prezzi di Laspeyres.

Il tasso d’inflazione, a cui di solito si usa far riferimento, altro non è che la variazione percentuale dell’Indice del costo della vita o indice di Laspeyres che fissa le quantità sulla base di un paniere rappresentativo della struttura media dei consumi delle famiglie valutati al prezzo di acquisto. L'aggiornamento del paniere da parte dell’ISTAT viene effettuato alla fine di ogni anno per eliminare quei prodotti il cui utilizzo risulta in discesa ed inserire quelli che hanno assunto maggiore rilevanza per gli italiani.

Si misura la somma di denaro necessaria per comperare tali beni e servizi ponderandoli ognuno col il peso relativo sul totale degli acquisti. La misura viene

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ripetuta in un secondo tempo e quindi si procede al calcolo dell'aumento (o diminuzione) percentuale del valore del paniere. Dunque per il calcolo del livello generale dei prezzi vengono utilizzati numeri indice, i quali prevedono l’uso di proporzioni.

Dato 100 il valore del paniere calcolato ad un tempo determinato, si calcola il valore successivo dell’indice eseguendo la proporzione:

ove e sono, rispettivamente, il valore del paniere calcolato al tempo 1 e 2, e è il valore dell’indice da ricavare.

Al tempo 3 il valore dell’indice si calcola attraverso la proporzione

Utilizzabile per ogni periodo successivo in cui interessi calcolare il valore dell’indice. Ricavato X relativamente ad ogni periodo di cui si conoscano i dati sui prezzi dei beni contenuti nel paniere, si ottengono una serie di valori che indicano l’aumento dei prezzi nel tempo.

Contestato da anni dai consumatori proprio per la scelta dei beni inseriti, il paniere prende adesso in considerazione nuovi beni di consumo togliendone altri. La lista dei nuovi prodotti è costituita da 569 voci, mentre ne vengono eliminate 11 rispetto al 2003.

Esempi di nuovi ingressi: l'antenna satellitare, il decoder e la fotocamera digitale, l'onorario del commercialista, i cereali biologici, la maglia sottogiacca, l'assicurazione del ciclomotore. Sono state eliminate invece voci come: il formaggio italico, le nocciole, l'automobile in miniatura, i cucchiaini d'argento, la canottiera, gli zoccoli, il portamonete etc.

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Trattandosi di un indicatore statistico è naturale che esso non corrisponda alla realtà osservata dai singoli, in quanto ogni singolo individuo ho un proprio paniere e "territorio" che varia di giorno in giorno.

Corrisponde invece ad un ipotetico individuo "medio", vale a dire che approssimativamente la metà degli individui osserverà un proprio tasso d'inflazione maggiore e l'altra metà inferiore a quello “ufficiale”.

L’inflazione può essere distinta sia relativamente all’entità della stessa che alle sue cause.

Se l'aumento dei prezzi non è particolarmente elevato (2-4 %) si parlerà di inflazione strisciante. Mentre se il tasso annuo supera il 5% ci sarà un'inflazione galoppante. Nel caso in cui il tasso aumenti del 20% si parlerà d’iperinflazione.

L'inflazione per eccesso di liquidità: viene determinata da un eccessivo aumento di moneta in circolazione rispetto ai beni e servizi da acquistare.

L'inflazione da costi: viene determinata da un aumento dei costi di produzione, delle materie prime, del costo del lavoro, etc. L'imprenditore per mantenere inalterato il proprio profitto aumenterà i prezzi di vendita (profitto = ricavi - costi). Ad esempio un aumento dei salari o del prezzo delle materie prime verrà scaricato dal produttore con un aumento del prezzo di vendita. Se l'aumento dei prezzi delle materie prime o altro riguarda beni che uno Stato importa dall'estero (ad esempio il petrolio) si parlerà di inflazione importata.

L'inflazione da domanda: si verifica quando la domanda di beni e servizi è in eccesso rispetto alle risorse del sistema economico (offerta). La domanda globale è quindi in eccesso rispetto alle capacità produttive del sistema. Tale meccanismo può essere messo in moto da uno degli elementi della domanda aggregata (consumi, investimenti, spesa pubblica, esportazioni). Se per esempio i cittadini ottengono un incremento di reddito, domanderanno una quantità maggiore di beni e servizi. Se non è possibile aumentare l'offerta in uguale quantità, i prezzi tenderanno ad aumentare. I consumatori faranno a gara tra di

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loro per accaparrarsi i pochi beni in circolazione e causeranno così un aumento dei prezzi.

L’inflazione finanziaria: ad esempio, si verifica durante un conflitto bellico i governi, non potendo fronteggiare le crescenti spese pubbliche con corrispondenti entrate fiscali, fanno emettere banconote dalle Banche centrali generando così un'esuberanza dei mezzi di pagamento rispetto ai beni disponibili.

L’inflazione creditizia: oltre che dai conflitti bellici, l'inflazione può essere alimentata anche da un'eccessiva creazione del credito da parte del sistema bancario. Ad esempio negli Stati Uniti nel 1929 quando le banche sostennero la speculazione di borsa con le loro concessioni di credito.

L’inflazione da redditi: si crea ogni volta che coloro che percepiscono dei redditi monetari (salari, profitti, interessi, rendite) cercano, ciascuno, di aumentare la propria parte di reddito a scapito degli altri.

Se gli altri avanzano pretese, questa gara competitiva spinge i redditi monetari al di sopra della produzione possibile, generando la crescita dei prezzi. Si erode così il potere d’acquisto della moneta.

Con potere d’acquisto ci si riferisce allaquantità di beni e servizi che con una unità di moneta si possono acquistare. Più sono elevati i prezzi, minore sarà la quantità di beni che si possono comprare.

L'inflazione non comporta una minore ricchezza per il Paese ma principalmente una redistribuzione del reddito tra i soggetti. Qualcuno diventerà più ricco e qualcuno diventerà più povero. Traggono svantaggio coloro che percepiscono un reddito fisso (pensionati e lavoratori dipendenti) perchè quando i prezzi aumentano il loro reddito reale diminuisce.

Anche i creditori, se il prestito non è indicizzato, vengono danneggiati perchè la moneta che sarà restituita a chi ha concesso prestiti avrà un potere d'acquisto minore rappresentato dal tasso d'inflazione.

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Viene scoraggiato anche il risparmio perchè in futuro si potrà acquistare una quantità minore di beni rispetto all'utilizzo presente. I soggetti cercheranno di usare il denaro incrementando i consumi e così faranno salire ulteriormente i prezzi. Solo i più ricchi impiegheranno il denaro in immobili o beni rifugio (oro, quadri d’autore etc.) o in attività reali (il cui valore si preserva anche in presenza d’inflazione).

Traggono invece vantaggio i percettori di redditi variabili (commercianti, industriali, liberi professionisti, speculatori) nel momento in cui essi possano aggiustare i prezzi dei beni venduti o dei servizi erogati. Difatti, in un primo momento, non subirebbero danni dall'aumento dei prezzi adeguando i compensi e i listini dei prezzi al tasso di inflazione, lasciando il loro reddito reale invariato.

Gli imprenditori trarranno un vantaggio iniziale perchè i prezzi di vendita si adeguano prima dei costi di produzione e la differenza rappresenta per loro un aumento del reddito.

Nel lungo periodo però l'inflazione potrebbe danneggiare anche loro in quanto scoraggia gli investimenti (le banche aumentano i tassi d'interesse per invogliare i clienti risparmiatori). Ci sarà così una minore produzione.

L’inflazione favorisce i debitori perché restituiscono denaro che vale meno. Questo alleggerisce l’onere del debito pubblico, ma lo stato con le sue entrate non è in grado di far fronte alle spese sempre crescenti.

Un altro effetto negativo dell'inflazione riguarda gli scambi internazionali. Ci sarà infatti una perdita di competitività internazionale. I prezzi dei prodotti nazionali risulteranno più alti rispetto ai beni esteri. Le esportazioni saranno più basse e le importazioni più alte, creando così situazioni di disavanzo nella bilancia dei pagamenti internazionali.

Non esiste una ricetta perfetta per combattere l'inflazione. Le politiche economiche a disposizione dei governi sono essenzialmente tre: la politica monetaria, la politica fiscale e la politica dei redditi. Vanno usate tutte in senso restrittivo.

Gli studiosi hanno dato interpretazioni diverse sulle modalità di azione generando così una serie di teorie:

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• secondo i monetaristi l'inflazione è causata da una crescita eccessiva dell'offerta di moneta e del conseguente aumento di beni domandati. Il sistema tende spontaneamente all'equilibrio, compito principale delle autorità è di far crescere l'offerta di moneta a tasso costante. Gli interventi di politica economica sostenuti dai keynesiani sono dannosi perchè validi solo nel breve periodo.

• Secondo i keynesiani, l'inflazione va combattuta principalmente con politiche atte a ridurre l'eccesso di domanda sull'offerta globale mediante un contenimento dei consumi (ad esempio con un aumento del prelievo fiscale), un contenimento della spesa pubblica, una riduzione degli investimenti (con una politica monetaria restrittiva).

• Secondo i teorici dell'inflazione da costi, l'inflazione si combatte frenando i costi di produzione. In pratica, usando la politica dei redditi si può frenare il costo del lavoro. L'inflazione importata è invece difficile da combattere perchè applicando dei dazi doganali alle importazioni si genererebbero delle ritorsioni da parte degli altri stati; inoltre per i “beni essenziali” non sarebbe possibile, o per lo meno molto difficile, ridurre la domanda rendendo così inutile, se non dannosa, l’applicazione di dazi.

Le tre politiche economiche citate vanno usate per combattere altri fenomeni come la disoccupazione e potrebbero quindi aggravare i conflitti economici e sociali all'interno di un paese.

Sarebbe necessario un mix di tali interventi ma questo, ovviamente, non è sempre possibile.

Una politica monetaria restrittiva consiste nel diminuire la quantità di moneta in circolazione attraverso gli strumenti monetari (tasso di sconto, coefficiente di riserva obbligatoria, vendita dei titoli di stato).

Una politica fiscale restrittiva passa attraverso una diminuzione delle spese pubbliche e un aumento delle imposte.

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Una politica dei redditi comporta un blocco dei salari e dei profitti. Il dilemma quindi consiste nella capacità dei governi di affrontare senza condizionare pesantemente gli altri problemi.

In Italia, negli ultimi anni, per aggredire l'inflazione sono state adottate delle politiche dei redditi di tipo restrittivo, visto che le variabili monetarie sono di fatto condizionate dalla Banca Centrale Europea e vista anche la difficoltà ad applicare efficacemente la politica fiscale (imposizione fiscale già molto elevata, tagli alla spesa pubblica politicamente e socialmente discutibili).

1.2 Cosa è l’ISTAT

L’ISTAT cioè l’istituto nazionale di statistica è un ente di ricerca pubblico. Operante in Italia dal 1926, è il principale produttore di statistica ufficiale a supporto dei cittadini e dei decisori pubblici1.

Opera godendo della più ampia autonomia e in collaborazione continua con gli ambienti accademici e scientifici.

Il compito istituzionale affidatole dallo Stato è produrre e diffondere informazioni affidabili imparziali, trasparenti, accessibili e pertinenti, in grado di poter descrivere le condizioni sociali, economiche e ambientali del Paese e i cambiamenti che avvengono al suo interno, sempre rispettando il significativo vincolo del più rigoroso rispetto della privacy dei cittadini.

Uno dei compiti assegnatole e che risulta essere uno dei suoi impegni più rilevanti è la realizzazione dei censimenti generali: popolazione e abitazioni, industria e servizi, agricoltura.

Altro compito affidato all’ISTAT dallo Stato è l’esecuzione della maggior parte delle indagini facenti parte del programma statistico nazionale, cioè l’insieme di rilevazioni ed elaborazioni ritenute fondamentali per la descrizione del Paese.

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Dal 1989 l'istituto nazionale di statistica svolge un ruolo di indirizzo, coordinamento, assistenza tecnica e formazione verso l’intero Sistema Statistico Nazionale (SiStaN).

Il Sistema è stato istituito con il decreto legislativo 322/892 per razionalizzare la produzione e diffusione delle informazioni e ottimizzare le risorse destinate alla statistica ufficiale.

All’interno del SiStaN sono compresi l'ISTAT, gli uffici di statistica centrali e periferici delle amministrazioni dello Stato, degli enti locali e territoriali, delle Camere di Commercio, di altri enti e amministrazioni pubbliche, e altri enti e organismi pubblici d’informazione statistica.

Sempre nell’ambito del SiStaN , la Commissione per la Garanzia dell'Informazione Statistica (CGIS) è un organo collegiale indipendente, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, chiamato a vigilare sull'imparzialità e completezza dell'informazione statistica e sulla qualità delle metodologie statistiche impiegate nella raccolta, nella conservazione e nella diffusione dei dati.

L’istituto è inoltre coinvolto a tempo pieno nella realizzazione del sistema statistico europeo (regolamento CE 322/97) e produce statistiche che si ispirano ai principi fondamentali della statistica ufficiale: imparzialità, affidabilità, pertinenza, efficienza, riservatezza e trasparenza.

Ad ulteriore garanzia di elevata qualità, nel 2005 la Commissione europea ha adottato il Codice delle statistiche europee che fissa 15 principi chiave cui gli istituti di statistica devono attenersi nella produzione e diffusione dell’informazione statistica.

Tuttora l’ISTAT è sottoposto ad un processo di riorganizzazione, attraverso un percorso finalizzato alla compresenza di continuità ed innovazione.

La prima occorre per garantire una base informativa stabile nel tempo e la comparabilità dei fenomeni, la seconda occorre per riuscire a prendere in considerazione le trasformazioni e le nuove tendenze che stanno avvenendo nel nostro Paese.

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Sempre mantenendosi in conformità al processo di riforma e con la crescita della funzione statistica, l’ISTAT si è posto come obiettivo il perseguimento nel futuro prossimo di determinati risultati3:

• riuscire a realizzare una più salda e univoca identità istituzionale nel rapporto che intercorre con la società;

• potenziare e migliorare la produzione di dati statistici sulla base degli archivi amministrativi;

• intensificare l'integrazione delle varie fonti di dati per la costruzione di sistemi informativi organici su specifiche aree;

• sviluppare la produzione di informazioni statistiche a livello territoriale.

A livello europeo l’Istituto di riferimento è l’Ufficio Statistico delle Comunità Europee (Eurostat) che altro non è che il braccio statistico della Commissione Europea; esso opera raccogliendo ed elaborando i datidell'Unione Europea a fini statistici, promuovendo il processo di armonizzazione dell'approccio statistico tra i vari Stati membri.

La sua missione è riuscire a fornire all'Unione Europea un servizio informativo statistico di elevata qualità.

Tra le sue attività principali rientra la definizione di dati macroeconomici che servono a supportare le decisioni relative alla Banca Centrale Europea nella definizione delle politiche monetarie per l'euro e dati/classificazioni regionali come ad esempio la Nomenclatura delle Unità Territoriali Statistiche (o NUTS) che ha supportato la definizione delle politiche regionali europee e dei fondi strutturali.

L'Istituto inoltre coopera con altre importanti Organizzazioni Internazionali come le Nazioni Unite (ONU), l'OECD ed altri paesi che non appartengono all'UE.

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Importante è inoltre la sua attività di coordinamento per il miglioramento delle capacità di analisi statistica dei paesi candidati e quelli in via di sviluppo del Mar Mediterraneo e dell’Africa.

1.3 Indice dei prezzi al consumo

L’inflazione al consumo è un processo continuo di aumento del livello generale dei prezzi dell'insieme dei beni e servizi che vengono ritenuti rappresentativi di tutti quelli destinati al consumo finale delle famiglie presenti sul territorio economico nazionale e acquistabili sul mercato attraverso transazioni monetarie (sono escluse, quindi, le transazioni a titolo gratuito,gli auto-consumi, i fitti figurativi, ecc.)4.

Generalmente un metodo di misurazione utilizzato è la costruzione di un indice dei prezzi al consumo calcolato utilizzando l’indice a catena del tipo Laspeyres in cui sia il paniere sia il sistema dei pesi vengono aggiornati annualmente.

Nel nostro Paese, come ormai in tutti gli Stati che hanno raggiunto un determinato livello di progresso, il calcolo dell'indice viene affidato all'Istituto nazionale di statistica.

L’indice dei prezzi al consumo è, come detto, uno strumento statistico atto a misurare le variazioni che si hanno nel tempo dei prezzi relativi ad un insieme di beni e servizi, denominato paniere, che descrive i consumi effettivi sostenuti dalle famiglie relativi ad uno specifico anno.

Nel caso dell'ISTAT questa misurazione avviene attraverso la costruzione di tre diversi indici dei prezzi al consumo, ognuno concepito per scopi differenti: il primo per l'intera collettività nazionale (NIC), il secondo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) e infine il terzo è l’indice armonizzato europeo (IPCA):

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• il NIC è costruito allo scopo di misurare l'inflazione a livello dell'intero sistema economico; cioè considera l'Italia come un'unica grande famiglia di consumatori, all'interno della quale le abitudini di spesa sono ovviamente molto differenziate. Per gli organi di governo il NIC rappresenta il parametro di riferimento per la realizzazione delle politiche economiche5;

• il FOI si riferisce ai consumi dell'insieme delle famiglie che fanno capo a un lavoratore dipendente (extragricolo). E' l'indice usato per adeguare periodicamente i valori monetari, ad esempio gli affitti o gli assegni dovuti al coniuge separato6;

• l'IPCA è stato sviluppato per assicurare una misura dell'inflazione comparabile a livello europeo. Infatti viene assunto come indicatore per verificare la convergenza delle economie dei paesi membri dell'Unione Europea, ai fini dell'accesso e della permanenza nell'Unione monetaria. Viene calcolato e pubblicato dall’ISTAT e inviato all’Eurostat mensilmente secondo un calendario prefissato. L’Eurostat, a sua volta, diffonde gli indici armonizzati dei singoli paesi dell’UE ed elabora e diffonde l’indice sintetico europeo, calcolato sulla base dei primi7.

I tre indici sono stati costruiti dall’Istituto nazionale di statistica su un'unica rilevazione e su una metodologia condivisa a livello internazionale.

I primi due indici (NIC, FOI) sono ottenuti dallo stesso paniere di beni e servizi e si riferiscono ai consumi finali individuali indipendentemente se la spesa sia a totale carico delle famiglie o, in misura parziale o totale, della Pubblica Amministrazione o delle istituzioni non aventi fini di lucro (ISP). Il peso attribuito ad ogni prodotto in esso contenuto differisce invece relativamente all’importanza degli stessi nei consumi della popolazione presa a riferimento.

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Il NIC è costruito usando come universo di riferimento l’intera popolazione italiana, ossia oltre i cinquantasette milioni di cittadini che sono stati rilevati dall’ultimo censimento (altra operazione che è delegata dallo stato allo stesso Istituto).

Nel FOI invece viene preso come universo l’insieme delle famiglie che fanno capo ad un operaio od un impiegato.

Infine l’IPCA mantiene l’universo di riferimento del NIC (ovvero l’intera popolazione italiana), ma si discosta dai due precedenti indici poiché si riferisce alla spesa monetaria per consumi finali sostenuta esclusivamente dalle famiglie (Household final monetary consumption expenditure); differisce inoltre sui contenuti del paniere poiché esclude, sulla base di regolamenti comunitari, le lotterie, i concorsi a pronostici, il lotto e tutti i servizi inerenti alle assicurazioni sulla vita.

Il “concetto di prezzo” è inoltre un’ulteriore parametro di distinzione fra tutti e tre le metodologie di calcolo: difatti il NIC e il FOI prendono, come metro di misurazione per la costruzione dell’indice, il prezzo pieno di vendita.

L’IPCA utilizza nell’implementazione del calcolo il prezzo che viene effettivamente pagato dal consumatore8, tenendo dunque in considerazione anche le eventuali riduzioni temporanee di prezzo come saldi e promozioni su beni o servizi.

Gli indici nazionali NIC e FOI sono inoltre elaborati anche nella versione che esclude dal calcolo i tabacchi, ai sensi della legge n.81 del 1992.

La classificazione dei prodotti adottata per gli indici dei prezzi al consumo è la COICOP95 (Classification of Individual Consumption by Purpose)9 ossia Classificazione dei consumi individuali secondo l’utilizzo finale.

8 Un esempio di questa differenza si può riscontrare nella metodologia di implementazione all’interno del

calcolo statistico dei prezzi dei medicinali: per i primi due indici sono considerati al pieno prezzo di vendita, mentre nel caso dell’IPCA viene presa in considerazione la sola quota costo a carico del consumatore (ticket).

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Il primo livello della classificazione considera 12 capitoli di spesa; il secondo è costituito da 38 categorie e il terzo è formato da 106 gruppi di prodotti. Nella classificazione nazionale i 106 gruppi di prodotti si suddividono, poi, in 205 voci di prodotto che descrivono in maniera esaustiva l’insieme dei consumi considerati e rappresentano il massimo dettaglio di classi di consumo omogeneo. Le voci di prodotto sono a loro volta rappresentate da un insieme definito e limitato di beni e servizi denominati “posizioni rappresentative”, scelti sulla base di una pluralità di fonti e tra le tipologie maggiormente

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A partire dal gennaio 2006 la base territoriale su cui vengono rilevati i prezzi, necessari per la costruzione degli indici, è costituita da 86 comuni (19 capoluoghi di regione e 67 capoluoghi di provincia) e quindi capace di offrire una copertura territoriale del valore osservato, misurata in termini di popolazione residente nelle province i cui capoluoghi partecipano alla rilevazione, del 90,2%10.

1.4 La polemica sull’inflazione: divergenze tra inflazione percepita e misurata.

Con l’introduzione dell’euro è avvenuto un fenomeno particolare che ha riguardato l’Italia ed alcuni altri Paesi dell’eurozona, come perfino lo stesso Jean Claude Trichet11 ha riconosciuto: si è verificato che molti indicatori economici rilevavano un aumento dell’inflazione, stimato attorno al 6% annuo, mentre le rilevazioni ufficiali certificate ISTAT si attestavano su livelli che gravitavano intorno ad una percentuale pari al 2-3% annuo.

Lo stesso Trichet parla di un incremento dell’inflazione percepita12 in Italia “marcato” analizzando l’arco temporale 2001-2003, corrispondente all’introduzione a livello europeo della moneta unica anche sul piano pratico.

Il dato del 6% è, infatti, il livello di inflazione percepito dal consumatore (se non in alcuni casi superiore) secondo le stime di altri istituti, tra i quali lo stesso l’Eurispes.

E' vero che la percezione è sicuramente influenzata da fattori soggettivi che la amplificano, ma è anche vero che l'inflazione rilevata ha alcune distorsioni e si è dimostrato che esse producono effetti in un’unica direzione: sottostimarne la dinamica mensile, soprattutto nei periodi di accelerazione.

consumate. Nel 2006 le posizioni rappresentative sono 5621, di queste, alcune sono di natura composita, cioè formate da più prodotti.

10 Note Informative delle dinamiche sui prezzi aggiornate al 16 Ottobre 2006, www.istat.it.

11 Presidente BCE (Banca Centrale Europea). Discorso tenuto durante il Convegno sulle piccole imprese

organizzato da Confindustria a Bari il 18 marzo del 2005, sul successo dell’euro e il suo impatto sulle imprese europee.

12 Questo concetto è inteso a misurare le variazioni del tasso di inflazione che i consumatori ritengono si

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Quindi, se l'inflazione percepita è più elevata di quella reale, quella rilevata è quasi certamente più bassa. Ciò è avvenuto, si potrebbe sostenere, non tanto perché il dato sia falsato ma per la non attendibilità del campione utilizzato dall’ISTAT, che non viene dunque ritenuto sufficientemente rappresentativo dei reali consumi della popolazione italiana.

Solitamente si osserva una buona correlazione fra gli andamenti dell’inflazione effettiva e l’evoluzione dell’inflazione percepita, a indicare che i consumatori hanno una percezione relativamente corretta delle variazioni del loro potere d’acquisto. In Italia e in alcuni altri paesi gli andamenti dell’inflazione effettiva e di quella percepita hanno iniziato a divergere dopo l’introduzione dell’euro.

Trichet fa notare però come questo aspetto non vada certamente ignorato, in quanto ciò che i consumatori decidono di spendere dipende innanzi tutto dalla percezione che essi hanno del loro reddito reale; tuttavia, è opportuno rilevare, secondo il presidente della BCE, il carattere temporaneo del fenomeno, come pure il fatto che il differenziale tra inflazione effettiva e inflazione percepita si è assottigliato in misura notevole negli anni 2004-2005.

A sostegno della non rappresentatività del paniere ISTAT si possono assumere le seguenti considerazioni: il campione preso a riferimento dall’ISTAT è costruito su un paniere di cui sono monitorati solo i beni più venduti per ogni categoria. Oggi la maggior parte dei mercati però presenta una vasta opportunità di scelta e risulta difficile credere che il prodotto più venduto sia un campione che rappresenti esaustivamente la categoria.

Volendo osservare ad esempio i dati Eurispes, sono ricavati da un monitoraggio non solo del prodotto più venduto ma anche dai due prodotti di livello di prezzo estremo (più caro e più economico) facenti capo alla medesima categoria.

Di conseguenza, i rilevamenti ISTAT non misurano un incremento d’inflazione se per caso il prodotto più venduto non aumentasse di prezzo ma lo facessero tutti gli altri presenti sul mercato (che in teoria potrebbero essere anche più del 60% del mercato stesso).

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L’inflazione misurata dunque rimarrebbe ferma al contrario di quella percepita.

Un’altra motivazione dell’erronea impostazione si ricaverebbe anche dalla non considerazione delle classi medie, il cui disagio non verrebbe misurato poiché esse tendono ad acquistare prodotti di livello di prezzo maggiore e che diverrebbero non acquistabili a causa degli eccessivi aumenti, per cui le classi medie tendono a comprimere i consumi13.

Tornando all’opinione di Trichet circa le colpe della moneta unica sull’andamento inflazionistico: egli sottolinea come la convergenza dei tassi d’inflazione verso livelli contenuti siano stai possibili da ottenere soprattutto grazie alle politiche macroeconomiche della BCE orientate alla stabilità14.

La dispersione dei tassi d’inflazione misurata dalla deviazione standard si è più che dimezzata nel periodo 1999-2004 rispetto ai periodi precedenti.

Per Trichet difatti i dati parlano di una riduzione del differenziale d’inflazione tra l’Italia e i Paesi dell’euro zona, avvenuto sempre nel periodo 1999-2004; l’Italia aveva un tasso d’inflazione del 4% a fronte di una media dei paesi ora aderenti all’euro zona del 2,3% mentre, nell’arco temporale preso a riferimento da Trichet, questo rapporto è divenuto di 2,4% per l’Italia contro il 2% della media europea.

All’opposto della visione ottimistica del Presidente BCE l’Eurispes, i cui dati, come sottolineato a inizio paragrafo, divergono da quelli ISTAT sull’inflazione, titolava così il suo Rapporto 200515: “l’Italia alla ricerca di un progetto”.

“La situazione che descriviamo non è particolarmente felice - dice Fara16 - l'economia del Paese è in grande difficoltà, la perdita di competitività è sotto gli

13 I dati ufficiali confermano difatti l’aumento del 10% del ricorso ai prodotti da discount

dall’introduzione dell’euro, un appiattimento dei consumi alimentari, un crollo della spesa media pro capite per le vacanze: tutti indicatori tendenziali di un incremento inflazionistico superiore al 2-3% rilevato dalle stime ISTAT.

14 Le politiche macroeconomiche e la politica monetaria in particolare intrapresa dalla BCE verrà

ampiamente analizzata e affrontata nei capitoli seguenti.

15 Informazioni e dati tratti dal sito internet www.eurispes.it.

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occhi di tutti. Siamo in una fase di reflazione: il termine da noi usato combina insieme inflazione e recessione”.

Secondo Gian Maria Fara l'inflazione, insieme alla recessione, ha prodotto negli ultimi anni un forte impoverimento delle famiglie.

Si tratta di un parametro economico del quale, sempre secondo l'Eurispes, non si è avuto abbastanza considerazione: “L'ISTAT continua a produrre dati ottimistici - afferma sempre Fara - come fa l'ISTAT a stimare l'inflazione al di sotto della realtà? Attraverso il paniere, e il peso delle varie voci. Il paniere ISTAT è costruito in maniera che il risultato debba sempre apparire lo stesso. La casa, per esempio, per l'ISTAT pesa il 9 per cento. Il che significa che un italiano con uno stipendio di circa 2000 euro per luce, acqua, gas, affitto o mutuo spenderebbe circa 180 euro al mese. Nel nostro paniere, alla casa viene attribuito il 27 per cento. L'inflazione dal 2001 al 2004 ha eroso il potere d'acquisto del 20,4 per cento per gli operai, del 19,5 per cento per i dirigenti, del 17,6 per cento per i quadri e del 23,9 per cento per gli impiegati".

I risultati sono molto differenti: “In base ai dati ISTAT l'inflazione nel quadriennio 2001-2004 è cresciuta del 9,8 per cento, mentre secondo i dati Eurispes è cresciuta del 22,2 per cento nello stesso periodo”.

Il modello di rilevazione sperimentato dall'Eurispes ha, in generale, come obiettivo di superare la “rigidità” della composizione che a loro avviso è presente nel paniere utilizzato dall'ISTAT per misurare l'andamento dell'inflazione, un paniere non sempre rispondente all'effettivo peso e alla qualità della spesa degli italiani.

1.5 Approfondimenti sull’effetto changeover.

Come già ampiamente descritto nel capitolo, nel periodo successivo all’introduzione del contante in euro (o changeover), in molti Paesi europei appartenenti alla zona di attuazione del cambio valuta, si è avuta la percezione che la nuova moneta abbia determinato un cospicuo aumento del livello dei prezzi, nettamente superiore al moderato rialzo registrato dai differenti Istituti

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nazionali di statistica e dall’Eurostat (livello ufficiale dell’inflazione registrato leggermente superiore al 2%).

Il divario avutosi tra inflazione misurata e percepita raggiunse nell’occasione ampiezze mai registratesi in passato. Questo fenomeno, seppur comune a vari Paesi dell’eurozona, ha raggiunto in Italia la massima ampiezza e persistenza.

Nel nostro Paese inoltre tra gran parte dell’opinione pubblica si era addirittura affermata la convinzione che il cambio euro/lira fosse avvenuto a 1.000 Lit. per 1 Euro il che avrebbe fatto riscontrare un inflazione del cento per cento17.

Gli organi informativi inoltre hanno dato conto di queste preoccupazioni, spesso amplificando il reale problema, con grande assiduità.

Questo fenomeno ha preso in contropiede sia le istituzioni che gli studiosi, difatti in economia si ritiene che la denominazione dell’unità di conto sia sostanzialmente indipendente rispetto alle variabili economiche (reddito e inflazione)18.

Anche i risultati degli studi, condotti dalle Banche centrali e dai vari Istituti di statistica nazionali, precedentemente all’operazione di changeover non fecero emergere rilevanti rischi legati alla dinamica dei prezzi, ma apparivano coerenti con un passaggio, ritenuto neutrale, dalle diverse valute nazionali all’euro.

All’interno dell’ampio dibattito, che si è venuto a creare dopo il changeover, le statistiche e gli studi compiuti dagli Istituti nazionali sono stati ripetutamente messi in discussione sia per affidabilità che per realismo e ciò particolarmente è avvenuto in Italia relativamente all’ISTAT, come visto ampiamente in precedenza.

Talvolta le impressioni dei consumatori sono state avvalorate da studi compiuti da organismi privati anche se, nella maggior parte dei casi, si trattava d’indagini parziali, in quanto riferite sia ad un numero limitato di beni e servizi,

17 Del Giovane P., Lippi F., Sabbatici R., (2005).

(19)

dunque un ampiezza e una determinazione limitata del campione di riferimento, sia perché le rilevazioni dei prezzi e di attribuzione dei pesi ai singoli prodotti seguivano metodologie il più delle volte inadeguate.

Il divario che si era venuto a creare, nell’arco temporale 2002/04, in Italia, tra l’inflazione percepita e quella misurata è risultato rilevante sotto molteplici aspetti.

Innanzi tutto questa differenza ostacola la corretta valutazione delle singole quotazioni di beni e servizi, sia da parte delle imprese che dei consumatori determinando inefficienza allocativa da parte del mercato.

Un altro aspetto è la distorsione che questo fenomeno arreca alle aspettative determinando un cambiamento nelle decisioni relative a prezzi e salari e un danno alla credibilità di una politica monetaria il cui obiettivo dichiarato fosse, come nel caso della UE, la stabilità dei prezzi.

Inoltre anche l’atteggiamento dei cittadini verso la moneta unica è divenuto diffidente dopo il changeover proprio per effetto di questa maggior percezione d’inflazione, così come rilevarono numerosi studi compiuti dalla stessa Commissione europea, in quanto proprio l’euro veniva ritenuto il principale responsabile dell’aumento inflazionistico.

Per poter effettuare un’attenta analisi del perché di questa divergenza e cercare di dare una spiegazione attendibile del reale comportamento dei prezzi nel periodo post changeover bisogna innanzi tutto partire dal capire cosa si intende per inflazione percepita.

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1.6 Cosa si intende con inflazione percepita.

La percezione di un aumento generalizzato dei prezzi si è manifestata generalmente n maniera aneddotica, ovvero sulla base d’impressioni tratte dall’esperienza individuale, spesso riferite a singoli classi di beni e prodotti.

Esiste una rilevazione, compiuta dalla stessa UE19, che permette di ricavare informazioni meno soggettive sulla percezione da parte dei cittadini del livello inflazionistico, difatti è compiuta su un campione rappresentativo e con domande inerenti all’inflazione nel suo complesso.

Al consumatore viene chiesto, attraverso domanda a risposta chiusa (composta da cinque modalità di risposta che variano da un giudizio di forte aumento fino ad uno di diminuzione), un opinione sulle tendenze nei precedenti e nei successivi dodici mesi.

Una misura sintetica dei giudizi espressi dagli intervistati si ottiene calcolando il saldo ponderato tra le relative frequenze delle risposte fornite dal campione, soppesando con coefficiente 1 le risposte estreme, con 0,5 le intermedie e con peso 0 la risposta centrale (aumentati di poco20).

Dalla sommatoria tra le risposte N1 e 0,5 N2 e sottraendo le risposte 0,5 N4 e N5 si otterrebbe il valore S di saldo che è un valore di natura prettamente qualitativa essendo le risposte fornite dagli intervistati di natura descrittiva e non analitica. La sua trasformazione in un valore quantitativo può avvenire solamente attraverso ipotesi successive.

In Italia secondo le stime prodotto dalla Banca Centrale Europea si osserva un andamento del valore misurato statisticamente dell’inflazione e dell’andamento dell’inflazione percepita strettamente correlati nel decennio 1991-2001, mentre si osserva a fronte di un andamento stabile dell’inflazione

19 Sono rilevamenti congiunturali mensili, compiuti nei Paesi UE, presso i consumatori secondo criteri

armonizzati e attraverso gli Istituti nazionali di statistica. I dati sono riportati mensilmente dall’UE nel comunicato stampa “Business and Consumer Survey Results” della Commissione europea. Per l’Italia sono commentati nei comunicati stampa mensili dell’ISAE sul clima di fiducia dei consumatori.

20 Viene ritenuta una risposta neutra in quanto il lieve aumento inflazionistico, 2%, altro non è che

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misurata un peggioramento eccezionale delle percezioni21 nel periodo 2002-2003.

La percentuale dei consumatori che ritengono un “aumento di molto” dei prezzi tra il 2001 e il 2003 è passata dal 10 al 49 per cento, e tenendo conto anche di coloro che li ritengono “aumentati abbastanza” si raggiunge l’89 per cento.

Questo aumento della percezione in negativo del livello generale dei prezzi è registrato in tutta Europa nel medesimo periodo ma con un inversione di tendenza a partire dal 2003 più o meno marcato a seconda dei Paesi tranne che in Italia ed in Grecia ove si è avuto un peggioramento delle percezioni eccezionalmente intenso e persistente; in Italia il primo segnale di recessione del peggioramento si è avuto solo ad inizio 2004.

La differenza tra l’andamento delle percezioni d’inflazione in Italia e quello osservato per il complesso dell’area euro trova, qualitativamente, corrispondenza nell’ampliamento del differenziale tra inflazione italiana e quella media dell’euro zona che, dal quasi annullarsi intorno al finire del 2001, si trova a crescere nel 2002 e inizio 2003, conoscendo una prima attenuazione solo nel 2004.

Fatto strano è il paragone con la Spagna dove, nonostante un’inflazione misurata superiore e un differenziale dalla media europea maggiore, il saldo del livello di inflazione percepita sia rimasto più contenuto di quello italiano22.

In tutta l’euro zona, ed in Italia in particolar modo, tuttavia,l’intensità delle variazioni delle percezioni risulta inaspettata ed eccezionale rispetto a ciò che era avvenuto in passato.

Secondo uno studio condotto dall’Unione europea tra l’ottobre e il novembre 200323 vi è una chiara relazione positiva tra la variazione delle percezioni d’inflazione da parte dei cittadini europei e il loro ritenere che il changeover sia avvenuto a discapito dei consumatori.

21 Dati rilevati dai Bollettini mensili BCE del luglio e dell’ottobre del 2002 e dal Bollettino mensile

dell’ottobre 2003.

22 Del Giovane P., Lippi F., Sabbatici R., (2005).

(22)

L’Italia è il Paese Ue dove questo fatto si percepisce maggiormente (96 per cento contro l’89 della media europea) e dove si è registrata, assieme alla Grecia, la crescita maggiore d’insoddisfazione nei confronti della moneta unica dal 2002 a fine 2003.

Le stime ufficiali rilevate dagli Istituti nazionali di statistica o dalle diverse banche nazionali contrastano con questa impressione popolare, difatti l’effetto changeover non viene ritenuto che lievemente colpevole dell’aumento del livello inflazionistico.

La percezione di aumento dell’inflazione si sono rilevate maggiori soprattutto per quelle classi di cittadini meno abbienti o meno scolarizzati, per le casalinghe o i pensionati rispetto a coloro che svolgono un lavoro a tempo pieno o parziale24.

Come si è detto, non sono disponibili rilevazioni in cui venga chiesta una valutazione numerica dell’inflazione percepita ai consumatori, è comunque possibile ricavare un indice quantitativo (espresso in termini di tasso d’inflazione) dalla trasformazione dell’indice qualitativo fornito dalle rilevazioni della Commissione europea.

Una metodologia che esprime il valore quantitativo delle rilevazioni d’inflazione percepita si basa sulla stima della relazione tra inflazione al consumo rilevata dalle statistiche ufficiali e la misura qualitativa delle percezioni d’inflazione.

In pratica, si regredisce l’inflazione (crescita sui dodici mesi dell’indice generale dei prezzi al consumo, π) sul saldo delle percezioni d’inflazione relative ai precedenti dodici mesi (saldop). Il valore stimato risultante dalla regressione, πⁿ = α + β saldop, viene interpretato come una misura quantitativa dell’inflazione percepita. Si basa tutto ciò sull’ipotesi che, nel periodo considerato, l’inflazione percepita sia pari in media a quella misurata, cioè che i consumatori non commettano errori sistematici.

24 La fonte dei dati è l’ISAE, studio sulle percezioni d’inflazione in Italia per classe di reddito, livello

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Tenendo conto della sensibilità dimostrata dall’operazione di quantificazione verso l’arco temporale di stima utilizzato, spesso si preferisce utilizzare il saldo qualitativo delle percezioni senza apportare altre modifiche.

1.7 Altre possibili motivazioni all’origine delle asimmetrie tra percezione d’inflazione e misure ufficiali.

Esistono esempi importanti di asimmetrie nelle valutazioni individuali a partire dalle analisi di Kahneman e Tversky, già nel ’79, che, pur affrontando il processo decisionale in condizioni d’incertezza, presenta certamente importanti risultati inerenti anche alla comprensione del fenomeno a noi più consono.

Vari fattori possono condurre a forme di asimmetria nella formazione delle percezioni d’inflazione individuali e nell’effettivo andamento di prezzi.

E’ possibile infatti che le percezioni individuali siano influenzate maggiormente dai rincari dei prodotti che vengono acquistati più frequentemente, e vengono certamente influenzate maggiormente dai rincari rispetto alle riduzioni eventuali dei prezzi.

Inoltre le percezioni dei consumatori tendono comunque a riflettere in maniera eccessiva le variazioni estreme e sono molto condizionate, come menzionato anche nel paragrafo precedente, dalla fascia di popolazione presa in considerazione.

Questi aspetti psicologici legati alle percezioni d’inflazione potrebbero condizionarle a subire variazioni verso l’alto in caso di presenza di determinate caratteristiche legate all’effettiva evoluzione dei prezzi25.

L’avere i maggiori rincari sui prodotti consumati con maggiore frequenza rispetto a quelli che hanno minore frequenza d’acquisto; avere un cambiamento nella distribuzione delle variazioni di prezzo, con un aumento della quota di prezzi variati e del numero di variazioni estreme; avere un’accresciuta diversificazione dell’inflazione per singoli individui o categorie specifiche.

(24)

I condizionamenti arrecati alle percezioni dei consumatori possono inoltre essere state amplificate dal verificarsi di un riscontro tra quello che i consumatori si attendevano prima dell’euro e quello che essi percepiscono a posteriori.

Anche la stampa fece emergere le preoccupazioni che caratterizzarono la vigilia del changeover e gli inizi del 2002 dando conto dei timori dei cittadini e delle prese di posizione delle associazioni dei consumatori in Italia ma anche negli altri Paesi dell’eurozona26.

Numerose ricerche psicologiche evidenziano inoltre come il singolo individuo ha la tendenza a sovrastimare gli effetti che il changeover ha sui prezzi, l’effetto è ritenuto tanto maggiore quanto più pessimistiche erano le sue convinzioni aprioristiche27; tale convinzione viene legata ad un meccanismo di correzione selettiva del risultato, in cui il soggetto tende ad avere meno attenzione nella verifica dei dati che confermano le proprie aspettative rispetto a quelli che le smentiscono.

Tornando alle asimmetrie nelle percezioni individuali e all’andamento reale dei prezzi, certamente, come scritto, la frequenza di acquisto dei beni è un fattore che incide molto sulla percezione del consumatore.

Con il changeover ogni soggetto ha dovuto ricreare il proprio bagaglio di conoscenze dei rispettivi prezzi di prodotti e servizi, ed è normale che questo sia avvenuto più rapidamente e con uno sforzo minore per i beni acquistati con maggiore frequenza.

Dunque nel periodo del changeover le percezioni avranno riflesso il livello dei prezzi dei prodotti acquistati più frequentemente e non proporzionalmente al loro effettivo peso nel paniere di spesa.

Se però questa condizione non fosse stata affiancata anche dalla crescita maggiore dei prezzi dei prodotti a maggiore frequenza d’acquisto rispetto a quelli a minore frequenza, come spiegato precedentemente nel capitolo, la percezione d’inflazione dei consumatori non sarebbe risultata maggiore di quella misurata.

26 Tra gli articoli che descrissero le preoccupazioni dei consumatori sul changeover certamente un punto

di riferimento può essere considerato “L’impatto arrotondamenti” del 28-12-2001 sul Sole 24 Ore.

27 Traut-Mattausch E., Schulz-Hardt S., Greitemeyer T. e Frey D. (2004), Expectancy confirmation in

spite of disconfirming evidence: The case of price increases due to the introduction of the euro, “European Journal of Social Psychology” n° 34.

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I dati disaggregati forniti dall’ISTAT per il calcolo dell’indice IPC se suddivisi in beni a maggior frequenza d’acquisto (almeno una volta al mese) e beni a minor frequenza rivelano che il loro andamento si inizia a discostarsi in maniera evidente nel 2001 e i primi subiscono una forte accelerazione inflazionistica soprattutto nel 2002-2003 a fronte di un tasso stabile se non decrescente per l’altra categoria di prodotti28.

Va rilevato però che da solo questo fenomeno non può bastare a descrivere la discrepanza tra inflazione misurata e percepita poiché anche l’inflazione sui prodotti a maggior frequenza d’acquisto si attesta comunque al 4 per cento, dunque al di sotto dei livelli dell’inflazione percepita dai consumatori nel periodo.

Fattore che può aver influenzato dopo il changeover le percezioni individuali, anche questo già segnalato precedentemente, è la distribuzione delle variazioni di prezzo.

Non può essere escluso che le percezioni dei consumatori siano maggiormente influenzate dal rincaro di un prodotto che dalle diminuzioni di un altro (anche corrispondessero per rilevanza e tempistica) o da un elevatissimo aumento di un prodotto che ha peso minore rispetto ad un lieve aumento di uno che ne ha uno maggiore all’interno del paniere di spesa. Questa tipologia di asimmetria potrebbe inoltre accrescersi in periodi in qui l’attenzione rivolta al livello inflazionistico fosse elevata.

Le percezioni che si formano difatti nelle modalità descritte risentono fortemente della dispersione nell’andamento dei singoli prezzi (sempre a parità d’inflazione media).

Per meglio comprendere se avvenissero aumenti e diminuzioni di livello importante per un numero sempre maggiore di beni ma che si bilancino tra loro, non incidendo così sull’inflazione media, tenendo in considerazione l’ipotesi che il peso attribuito dalle famiglie sia maggiore per gli aumenti di prezzo ed alle

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grandi variazioni, si otterrebbe un aumento della percezione del livello d’inflazione a fronte di una inflazione media misurata rimasta invariata29.

Anche le fonti ufficiali ISTAT mettono in luce nel periodo seguente al changeover variazioni eccezionali (comprese nel 2002 tra il 54 e il -18 per cento), rafforzando così le ipotesi che il contrasto tra le percezioni e le misure ufficiali possa in qualche modo dipendere dall’influenza sulle prime dei forti aumenti subiti da voci specifiche, alcune anche di peso contenuto all’interno del paniere di consumo30.

L’ipotesi che in occasione del changeover, e nel periodo successivo, si siano verificati movimenti dei prezzi relativi superiori alla normalità dunque sembra confermata, ed assieme a valutazioni asimmetriche dei consumatori, potrebbero aver influenzato la loro percezione d’inflazione.

La differente percezione dell’inflazione, maggiore rispetto a quella misurata potrebbe dipendere anche da altri elementi non necessariamente legati all’inflazione subita, ma che concorrono a definire la condizione economica individuale; questi potrebbero essere la dinamica di prezzi di beni non compresi nel paniere ufficiale o l’andamento dei redditi differente per le varie fasce di popolazione. L’individuo potrebbe confondere l’impoverimento derivante da altre cause con una diminuzione del potere d’acquisto indotta dall’inflazione.

Come poi spesso sottolineato anche in precedenza, un fattore che ha operato da cassa di risonanza sulle percezioni d’inflazione degli individui è stata, senza dubbio, anche la grande attenzione che al problema hanno rivolto, subito dopo il changeover, i mezzi di comunicazione.

L’eccezionale copertura mediatica del fenomeno ha certamente contribuito al divario tra inflazione percepita e rilevata31, soprattutto pesando anche il fatto che molti organi d’informazione abbiano dato credito a stime alternative a quelle ufficiali senza verificarne la piena attendibilità32.

29 Trivellato U., (2003).

30 Fonte ISTAT, Caratteristiche del processo inflazionistico nell’anno dell’introduzione dell’euro,

Rapporto annuale 2002.

31 Boeri T., articolo tratto da La Stampa (TO) del 2-2-2004, “La psicosi del caro-euro”.

32 Alcune stime alternative sono state utilizzate anche nella stesura di questa tesi, riportando però sempre

l’origine delle fonti; esse vengono prese in considerazione in quanto hanno permesso di osservare il metodo ISTAT di rilevazione sotto angolature differenti.

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Una semplice ricerca che confronta due testate nazionali, una specializzata come il “Sole 24 Ore” ed una non specialistica “La Stampa”, sul numero di articoli pubblicati dal 1995 al 2003 che contenessero nel teso le parole inflazione o caro vita, dimostra come mentre per il “Sole” questo aumento non sia eccessivo dopo il 2002, nel caso della “Stampa” il numero di articoli si triplica33.

I mezzi di comunicazione in questo arco temporale si rivolgono all’argomento utilizzando grande enfasi soprattutto sulle critiche alle metodologie seguite dall’ISTAT e alle stime eseguite da altra fonte.

Alcuni degli argomenti che vennero maggiormente sottolineati infatti riguardarono il dibattito tra Confindustria e Confcommercio sulla responsabilità del caro-prezzi e la polemica tra ISTAT e Eurispes sulla veridicità delle stime ufficiali34.

Nel 2003 inoltre il caso che fece più scalpore fu l’ammissione di errore, seppur di lieve entità (0,1 per cento), da parte dell’Istituto statistico nazionale che in altri periodi sarebbe passato inosservato, fu in quel periodo riportato con enfasi smodata.

Rispetto dunque ad altri periodi in cui si misurarono picchi d’inflazione, anche maggiori, l’attenzione riportata dai media è stata nettamente maggiore; ma la direzione causale può essere, a priori, in entrambe le direzioni, nel senso che non è detto sia stata la maggior attenzione dei mass-media a causare un peggioramento delle percezioni d’inflazione, ma potrebbe anche essere avvenuto che siano state queste a provocare un maggior interesse da parte dei mezzi di comunicazione verso la strana differenza tra percezioni e rilevazioni d’inflazione.

33 Del Giovane P., Lippi F., Sabbatici R., (2005).

34 Tematica affrontata anche nel lavoro di tesi e riportato in maniera più analitica in uno specifico

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1.8 Studio IRES35 sul differenziale tra inflazione misurata e percepita

nel periodo d’entrata in vigore dell’euro.

Uno degli istituti che è entrato in contrasto con l’ISTAT sul campo del rilevamento dell’inflazione è l’Ires.

Sempre con riferimento all’arco temporale che gravita attorno all’entrata in vigore dell’Euro, l'Eurostat aveva calcolato che, nei primi sei mesi del 2002, l'effetto changeover

avesse influito per uno 0,2 in Europa mentre, per l'Italia, l’ex governatore della Banca d’Italia Fazio aveva dichiarato di un effetto pari allo 0,5%.

La percezione dei consumatori era andata ben oltre. La stessa Banca Centrale Europea fu costretta a denunciare l'esistenza, in tutti i paesi dell'area euro, di un ampio divario tra inflazione percepita ed inflazione rilevata, tesi che fu condivisa da tanti studiosi che ritengono che i dati ufficiali sottostimano sistematicamente il tasso di inflazione.

In realtà, non sono state fatte indagini rigorose per misurare l'inflazione percepita. Resta però il fatto che tutte le valutazioni concordano nell'indicare un’inflazione percepita pressoché doppia di quella rilevata e che mai in passato si era registrato uno scarto così rilevante.

Una spiegazione, fornita dall’Ires già nel 2002, della dimensione così clamorosa è data dal fatto che i consumatori avevano avvertito, nel momento del passaggio all'euro,

consistenti incrementi e che, al contrario, lo scalino avvertito non aveva trovato sufficiente riscontro nei dati delle rilevazioni che man mano venivano resi noti.

In media l’inflazione italiana del periodo 2001-2002 era risultata superiore alla media europea tranne quando quest’ultima raggiungeva le punte massime, allora l'inflazione italiana sembrava appiattirsi come se ci fosse un effetto frenante, di perequazione, quando ci sono impennate.

35 Istituto Ricerche Economiche e Sociali – I dati seguenti e le informazioni sono ricavate da un articolo

di uno dei responsabili Ires, Aldo Carra, tratto dal sito www.ires.it e dal titolo “inflazione e riforma degli indicatori” del 15/06/2003.

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Questo fenomeno collima con i risultati della ricerca sostenuta dall’Ires nel periodo: ci sono nella rilevazione ISTAT criticità strutturali che ne rallentano la dinamica proprio nelle fasi di maggiore accelerazione.

(Nella tabella 1, “Confronto andamento del tasso d’Inflazione italiana ed europea”, gli assi rappresentano: per le ascisse i valori del tasso d’inflazione e sulle ordinate l’asse temporale suddiviso mensilmente).

TAB 1. Andamento Inflazione: confronto Italia - Europa.

Lo studio Ires analizza le metodologie di calcolo dell’ISTAT riguardanti l’inflazione nel periodo suddetto.

Innanzi tutto le informazioni che l’Istituto fornisce, riguardanti lo stesso fenomeno, sono di diverse tipologie: da un lato ci sono i tre indici (FOI - NIC - IPCA) e dall’altro a fine anno, quando vengono completati i conti economici, viene fornito un altro indice che è quello dei prezzi impliciti nei consumi nazionali.

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Questo ultimo indice, come si vede nella tavola seguente36, è sempre stato, anche se di poco, superiore agli altri tre.

Rispecchiando i consumi effettivi delle persone e tenendo conto dei cambiamenti dei prodotti sul mercato, anche questo scarto è fonte di convinzione che l'inflazione rilevata sia più bassa di quella reale.

L'esistenza di ben quattro indicatori per uno stesso fenomeno dimostra, già di per sé come, nel caso della misurazione dell'inflazione, siamo di fronte ad un indicatore complesso che può essere costruito con criteri e metodologie diverse secondo l'obiettivo che si vuole raggiungere ed il punto di vista che si vuole rappresentare.

Paradossalmente, questa grande varietà da un lato sembra eccessiva e può generare solo confusione o strumentalizzazione, dall'altro lato, colmo del paradosso, questa molteplicità non soddisfa tutti perché non riesce a rappresentare la ricca articolazione delle situazioni reali che producono le diverse percezioni.

36 I dati riportati nella tabella sono quelli a disposizione dell’Ires nel periodo in cui fu avviata la ricerca,

sono comunque indicativi poiché il caso euro inflazione è legato al periodo di entrata in vigore della moneta unica.

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L’Ires basandosi su queste considerazioni propose due tipologie differenti di intervento:

1. interno alla attuale struttura di indicatori e volto a migliorarne la qualità;

2. più radicale, mirato ad una vera e propria riscrittura degli indicatori dell'inflazione.

Le cose tuttavia sono più complesse, l'ISTAT modifica annualmente il paniere utilizzando i risultati della rilevazione sui consumi delle famiglie.

Il fatto è in sé positivo perchè significa che le modifiche nei consumi sono colte man mano che avvengono.

Ma rimane anche qui un fattore strutturale, quello stagionale, che produce una riduzione dell'inflazione rilevata rispetto a quella reale.

Ad esempio: se il prezzo del cappotto e' inserito nella rilevazione e' chiaro che nei mesi estivi si trascinerà il prezzo dei mesi invernali precedenti.

Ciò significa che nei mesi estivi l'indice ponderato non rifletterà correttamente gli aumenti dei prodotti che in estate sono sul mercato, perchè la loro dinamica sarà attenuata dal peso dei prodotti invernali con aumento zero.

Questo ulteriore fattore inerziale potrebbe essere eliminato adottando un sistema di pesi trimestrali in modo che in ogni “stagione” l'indice venga calcolato con i pesi dei prodotti effettivamente consumati nel periodo.

L'ISTAT non dovrebbe avere nessuna difficoltà tecnica ad adottare questa ipotesi.

Il problema non e' tecnico: la vera responsabilità non è di chi elabora i dati, ma di chi decide su quali prodotti e dove effettuare le rilevazioni, e di quale peso percentuale attribuire a ciascun capitolo della spesa.

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1.9 Considerazioni generali sul rapporto Euro/inflazione

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti vi è stato da parte dei consumatori e delle loro associazioni la percezione di un aumento generalizzato del livello generale dei prezzi associato all’introduzione dell’euro.

I dati sull’inflazione, la variazione percentuale dell’indice dei prezzi al consumo, diffusi dagli istituti di statistica dei vari paesi, avevano negano questa percezione.

Varie motivazioni e una parte di populismo hanno portato alcuni a mettere in dubbio la veridicità del dato sull’inflazione al consumo in Italia (ad esempio nel 2002 circa il 2,3%), accusando implicitamente l’ISTAT di aver diffuso statistiche manipolate.

In realtà le procedure di rilevazione e l’assetto istituzionale dell’ISTAT, posto sotto la supervisione della Presidenza del Consiglio, avrebbero difficilmente consentito manipolazioni.

I dati diffusi dall’ISTAT vanno perciò ritenuti corretti nella misura in cui non contengono sistematiche alterazioni ma solo normali errori di misurazione cui è soggetta qualunque valutazione statistica o ad elementi dovuti ai criteri di calcolo scelti.

I contestati dati ISTAT37 avevano rilevato tra gennaio e luglio del 2002, cioè dall’introduzione dell’euro, i prezzi al consumo in Italia come mediamente aumentati dell’1,6%; nello stesso periodo del 2001 le rilevazioni avevano rilevato una crescita dell’1,4%.

Nei paesi appartenenti all’area euro l’aumento era stato quantificato nell’1,6% (1,7% nel periodo corrispondente del 2001);

Inoltre sono state riscontrate differenze nel tasso di incremento dei prezzi tra categorie: in particolare, i prezzi dei beni alimentari, segnatamente quelli dei beni non trasformati come le verdure fresche, e di alcuni servizi erano cresciuti molto al di sopra della media.

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Al contrario i prezzi dei beni manufatti non alimentari e non energetici fino a luglio erano aumentati, sempre secondo le rilevazioni, meno della media mentre quelli dei beni dei prodotti energetici erano diminuiti; sempre riferite a questi ultimi, durante lo stesso periodo del 2001, le rilevazioni indicavano invece un aumento.

Nel gennaio del 2002 invece vi era stata una stasi dell’inflazione e per qualche categoria di beni un piccolo aumento della stessa.

Dunque come si può notare tra i vari prezzi che compongono l’indice non vi è stata una dinamica uniforme dopo l’introduzione dell’euro: i prezzi di alcuni beni sono cresciuti più rapidamente (alimentari non trasformati), altri meno rapidamente, alcuni sono addirittura diminuiti. La lettura più semplice che si può dare è che di per sé la denominazione dei prezzi in Euro non abbia avuto un effetto sistematico apprezzabile sul livello dei prezzi.

Si erano rilevate, allo stesso tempo, però alcune evidenze che nel gennaio 2002, in concomitanza con l’introduzione dell’euro, il tasso di inflazione avesse interrotto il processo di discesa che si era verificato sul finire del 2001 e per alcune categorie di beni (alimentari freschi e alcuni servizi) il tasso di inflazione fosse lievemente aumentato.

Dall’altra parte anche le percezioni riportate dai consumatori nel periodo non possono che essere considerate veritiere, nel senso che riflettono una effettiva sensazione basata ovviamente sull’esperienza di ciascuno come rilevatore di prezzi nel momento in cui effettua gli acquisti.

Con l’introduzione dell’euro i consumatori hanno attraversando un periodo di apprendimento dei nuovi prezzi.

Per capire il prezzo di un bene di solito viene raffrontato con quello di un altro bene: ad esempio 5000 lire per un pacchetto di sigarette può essere ritenuto molto se, ad esempio, una scatola di fiammiferi costasse 20 lire. Questa operazione presuppone che si conoscano le quotazioni dei beni nella nuova valuta.

Il processo di apprendimento dei nuovi prezzi in euro però avviene con lentezza, mano a mano che i beni vengono acquistati.

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In questa prima fase di apprendimento, quando il consumatore si trovava in difficoltà per comprendere la congruità di un prezzo in euro, veniva trasformato in lire: questo perchè conserva ancora memoria dell’intero sistema dei prezzi e sa valutare la convenienza relativa dei vari beni.

L’apprendimento avviene con maggior rapidità per i prezzi di beni (o servizi) che sono acquistati con una frequenza molto elevata; su parecchi di questi beni, con l’introduzione dell’euro, si erano verificati dei rincari marcati anche non necessariamente legati all’entrata in vigori della moneta unica ma a fatti congiunturali di periodo.

Se quindi si dovesse stimare la dinamica dei prezzi su questo sotto insieme di beni, come verosimilmente fanno le famiglie, il risultato sarebbe un tasso di aumento dei prezzi maggiore di quello registrato dagli istituti di statistica, che calcolano l’incremento con riferimento all’intero paniere di beni inclusi nell’indice.

Come detto il paniere contiene anche beni, la cui importanza nella spesa per consumi della famiglia media è rilevante (come i beni non alimentari e non energetici) e il cui incremento è stato inferiore a quello medio.

Questi beni hanno però una frequenza d’acquisto bassa (si pensi al vestiario, le calzature, i beni durevoli etc.) e dei loro prezzi in euro i consumatori non avevano appreso rapidamente memoria.

Si possono dare allora alcune motivazioni all’aumento dei prezzi in concomitanza con l’entrata in vigore della moneta unica.

Uno dei motivi può essere collegato agli arrotondamenti. L’uso del cambio di conversione (1936,26 lire per euro) inevitabilmente genera molti decimali. In linea di principio l’arrotondamento dovrebbe essere per eccesso o per difetto. In pratica se i prezzi hanno già la tendenza ad aumentare perché vi è un po’ di inflazione, l’aggiustamento verso l’alto diventa più probabile.

Poiché cambiare i prezzi è comunque costoso (costa ristampare i listini, riscrivere i cartellini etc.), probabilmente si è approfittato del fatto che i prezzi comunque andavano fissati in euro per aumentarli anticipando aumenti che comunque sarebbero avvenuti nel futuro prossimo.

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In un periodo in cui i consumatori stavano apprendendo i prezzi rinominati nella nuova moneta, essi avevano difficoltà a compararli con quelli di altri beni con essi sostituibili.

Questa difficoltà iniziale aveva conferito maggior potere di mercato ai venditori che poterono approfittarne per accrescere il prezzo dei beni.

Quanto queste varie cause possano avere contribuito ad innalzare il livello dei prezzi è difficile dire.

Uno studio della Banca d’Olanda del 200238 ha stimato che sia stato un impatto sull’indice dei prezzi al consumo dello 0.3%, per di più da ritenersi temporaneo, perché le prime due ragioni avrebbero solo anticipato aumenti che sarebbero comunque avvenuti.

Infine la motivazione implica che mano a mano che i consumatori apprenderanno i nuovi prezzi in euro compreranno meno quei beni che hanno subito i rincari maggiori, facendoli così divenire più economici.

1.10 Italia ed eurozona, un confronto sui dati Eurostat dell’andamento inflazionistico e di crescita economica.

Dopo aver affrontato cosa sia l’inflazione, tutti gli effetti che essa provoca a livello economico, e ciò che l’entrata in vigore della moneta unica ha comportato nella mente dei consumatori a livello d’inflazione percepita, problema che in Italia in particolare si è affrontato soprattutto attraverso la lettura delle numerose critiche piovute addosso all’Istituto statistico nazionale, proviamo ora a dare una lettura alla particolarità del livello d’inflazione italiano rispetto a Paesi europei comparabili come Francia e Germania.

Innanzitutto è evidente che non è certamente il fatto dell’introduzione dell’Euro che ha portato l’aumento inflazionistico in Italia, o per lo meno non ha pesato in maniera importante. In Europa, l’indice armonizzato dei prezzi calcolato da Eurostat non dà adito a dubbi, l’inflazione è cresciuta in misura contenuta e

38 Informazioni e dati raccolti su www.lavoce.it, quotidiano nazionale online, nell’articolo”l’euro e

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comunque inferiore agli anni recenti che hanno preceduto l’introduzione dell’Euro. In secondo ordine non si può non riconoscere che in Italia l’inflazione è aumentata di più rispetto alla media europea.

Come mai l’Italia ha registrato un livello d’inflazione maggiore, non solo percepita, ma anche misurata, se confrontata ai principali parteners europei? E soprattutto dal lato opposto della bilancia perchè vi è una crescita economica vicino allo zero?

In generale, infatti, la teoria economica e l’evidenza empirica hanno portato a dire che i prezzi subiscano una crescita rapida ove l’economia va bene, per esempio Irlanda e Spagna (sempre in ambito Euro). Non è avvenuto così in Italia, dove la crescita, come detto, è quasi nulla, inferiore a quella europea, ma i prezzi tendono a crescere sempre più velocemente. Per la nostra economia non funziona il meccanismo equilibratore per il quale i prezzi crescono meno nei Paesi in cui l’economia al momento è più debole, facendole così recuperare competitività.

Sulla base di queste considerazioni non si può ritenere che il divario del tasso di inflazione sia ormai una problematica passata: considerando l’indice armonizzato dei prezzi al consumo, posto uguale a 100, a partire dal Gennaio 1999 al Settembre 2004 si è avuto per l’Italia una crescita fino ad una punta di 114,9, da paragonare al 111,9 francese e al 108,8 tedesco. Si può leggere da questo come in Italia i prezzi siano aumentati di 3 punti aggiuntivi rispetto alla Francia e di 6,1 verso la Germania.

La tendenza nell’ottica del mercato unico non è certamente positiva per il nostro Paese, poiché un andamento dei prezzi che continuasse la strada intrapresa farebbe si che nel giro di pochi anni i beni e servizi venduti in Italia si ritroverebbero ad essere molto più costosi, ed alla fine fuori mercato, considerando l’apertura delle frontiere e la ricerca di un integrazione sempre maggiore nell’ottica appunto dle mercato comune.

Si può a questo punto fare una distinzione tra livello dei prezzi e tasso d’inflazione, poiché un divario del livello dei prezzi è sempre un problema per il Paese, nel caso il nostro, che presenti prezzi maggiori, mentre per quanto

Figura

TAB. 2 Variazioni annue del PIL e Tasso Inflazione dal ’99 al 2003; Fonte: Eurostat.
TAB. 3: prezzi al consumo suddivisi per l’eurozona e per l’Unione europea; Fonte: Eurostat

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