• Non ci sono risultati.

Riflessioni conclusive

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Riflessioni conclusive"

Copied!
14
0
0

Testo completo

(1)

Riflessioni conclusive

Nel 1995 Losito, introducendo una raccolta di saggi dedicata a Croce e alla sociologia, scriveva che «nella letteratura sociologica italiana c’è la radicata convinzione che Benedetto Croce sia stato il maggiore “nemico” della sociologia e alla sua influenza viene attribuita la responsabilità della mancata affermazione della disciplina in Italia, nella prima metà del secolo»1. Questa convinzione si ritrova nella

stessa presentazione della nuova Enciclopedia delle scienze sociali dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana: «il predominio della filosofia idealistica conduceva, nel nostro paese, a una sostanziale emarginazione delle scienze sociali», mentre «soltanto verso la metà del secolo si sono faticosamente prodotte – in larga misura attraverso un processo di ‘reimportazione’ dall’estero – le condizioni per una diversa considerazione delle scienze sociali da parte della cultura italiana, e quindi anche per un pieno riconoscimento della loro legittimità epistemologica»2.

Abbiamo però visto che il filosofo napoletano, pur avendo avuto un peso rilevante, non può essere considerato un egemone e quindi è necessario essere cauti nell’imputargli gravi ed esclusive responsabilità.

Dai saggi, all’attività di consigliere per l’editore Laterza, dalla direzione della rivista

La Critica (molto apprezzata dai giovani studenti del primo decennio del

Novecento), all’attività politica, la presenza di Benedetto Croce, all’interno della vita culturale dell’Italia della prima metà del Novecento, assunse certamente dimensioni imponenti. Ma l’ipotesi di un’egemonia crociana dà una valutazione sproporzionata della sua effettiva influenza sulla cultura italiana del tempo.

Croce non può essere considerato un “dittatore provinciale” per i seguenti motivi: - il suo sistema di pensiero non sfondò nelle università, tra i professori di

filosofia, con i quali, anzi, fu sempre molto polemico;

- a partire dal 1914 gli studenti cominciarono ad essere attratti dalla filosofia

1 Losito M. (a cura di), Croce e la sociologia, cit., p. 7.

2 Bedeschi G., Cappelletti M., Cavalli A., Matteucci N., Rossi P., Salvatori M. L., Sylos Labini P., Introduzione, in

(2)

di Gentile, più lineare sul piano teoretico, e soprattutto dall’interventismo del filosofo siciliano. Croce per tutta la guerra fu accusato di disfattismo e di germanofilia. Dal 1925 in poi fu pubblicamente contro Mussolini, e per questo fu attaccato come il prototipo dell’intellettuale vecchio stile, alla finestra. Per vent’anni Croce non mise piede all’università di Napoli. Per un breve periodo, dal luglio del ’43, fu – come si desume dai suoi diari – una specie di grande padre della patria al quale tutti – nello sfascio generale del paese – andarono a chiedere consiglio, ma dall’aprile del 1945 diventò di nuovo il bersaglio di una polemica feroce3.

- il suo ruolo di organizzatore culturale, soprattutto attraverso la sua attività di consigliere della casa editrice Laterza e tramite la sua rivista, fu esercitato seguendo un serio progetto di riforma – come si può leggere nel programma de La Critica –, ma anche con spirito di libertà, curiosità e onestà intellettuale; insomma, visto il suo comportamento, sarebbe sbagliato dare del filosofo napoletano un’immagine di un censore sprezzante operatore di duri ostracismi, come mostra il caso, da noi esaminato, di Weber. Il filosofo napoletano non fu un «monarca assoluto» all’interno della casa editrice Laterza, né poteva esserlo, perché dovette sempre fare i conti con le difficoltà e le contraddizioni del mondo editoriale e con i condizionamenti economici nella diffusione della cultura;

- Croce mise in contatto l’Italia con larga parte della cultura europea, soprattutto tedesca, quindi, al più, può essere accusato di europeismo. Nel dopoguerra la “sprovincializzazione” della cultura italiana – considerata chiusa anche al dibattito europeo a causa dell’egemonia idealistica e, direttamente o indirettamente, del fascismo – significò invece attingere in prevalenza dall’area linguistico-culturale dei paesi vincitori, in primis gli Stati Uniti. Il filosofo napoletano fu sempre un attento “critico di se stesso” e fu in stretto contatto con la cultura europea; la sua presenza nel dibattito italiano è poi indiscutibile anche ben oltre il ’45, pur assumendo nel corso

(3)

degli anni forme diverse. La risposta crociana ha avuto, nel contesto della discussione europea, un valore originale. Via via che si sono meglio conosciuti pensatori come Simmel e Weber – con cui Croce dialogava – si è capito che certe problematiche erano comuni in Europa, e le risposte, ancorché differenziate, si collocavano sul medesimo orizzonte;

- Croce fece suoi alcuni temi comuni a una parte rilevante della cultura europea del primo Novecento: innanzitutto la critica del positivismo e dello scientismo positivistico, in un’attenzione tutta rivolta al mondo dell'uomo come mondo della storia. Si farebbe veramente un grande torto ad isolare il moto di idee che dominò l'Italia fra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del secolo successivo, considerandolo un episodio «provinciale»;

- non solo negli anni Novanta del XIX secolo Croce non solo era stato tra i protagonisti europei del dibattito sul marxismo, ma anche il filosofo italiano del XX secolo più conosciuto all’estero. I giornalisti europei e americani andavano a Napoli per intervistarlo4;

- Croce si impose all’attenzione della cultura europea con i suoi libri e «nel 1942 era tra i filosofi europei ai quali la Library of Living Philosophers, una collezione molto importante in America, aveva pensato di dedicare un volume»;

- La rivista da lui diretta, La Critica, era caratterizzata da puntuali recensioni delle opere straniere;

Appare altresì sproporzionato parlare di un’egemonia idealistica durata per tutta la prima metà del XX secolo. Le principali ragioni di questa riconsiderazione del ruolo dell’idealismo sono le seguenti:

- la tesi di un’egemonia idealistica è nata in un clima, quello del dopoguerra, dominato dall’antitesi “fascismo-antifascismo”. In momento di forti scontri ideologici l’idealismo, assieme al fascismo, diventava una dittatura da seppellire assieme a quello, nonostante alcuni dei suoi teorici, come appunto Croce, fossero stati sicuramente antifascisti5;

4 Coli D., Il “provinciale” Benedetto Croce, cit., p. 79.

(4)

- la periodizzazione basata sulla seconda guerra mondiale è una periodizzazione di tipo polemico-ideologica. Essa infatti considera la prima metà del secolo come un periodo ben definito, uniforme (Garin ricorda che, nel corso della prima metà del Novecento, ci sono state due guerre mondiali e la Rivoluzione d’Ottobre e che la riflessione filosofica italiana si è misurata con tensioni politico-sociali, con movimenti d’avanguardia, con il contesto culturale europeo ed extra-europeo6);

- l’eterogeneità dell’idealismo; - le aperture culturali dell’idealismo;

- la considerazione del fatto che, per certi aspetti, l’idealismo sia sì tramontato antecedentemente al secondo conflitto mondiale, ma che per altri versi, esso non sia morto né colla guerra, né successivamente7;

- affiancare alla “dittatura fascista” una cosiddetta “dittatura idealistica” è una deplorevole trasposizione di termini di storia politica sul terreno della storia della cultura: non è affatto scontato che la storia delle idee e la storia dei fatti corrano sullo stesso binario8;

- è necessario riconsiderare il rapporto dei pensatori idealisti col fascismo e quindi ridiscutere dell’immagine dell’idealismo come preparatore culturale della dittatura;

- è necessario rivalutare il supposto provincialismo dei pensatori idealisti. Riguardo la «mancata affermazione» della sociologia in Italia nella prima parte del XX secolo bisogna ricordare che molti studiosi hanno discusso della storia della istituzionalizzazione delle scienze sociali in Italia, indicandone ritardi e limiti9, ma

anche mettendo in evidenza la continuità della sociologia durante il fascismo – soprattutto attraverso le ricerche demografiche10 – e considerando altresì la presenza

della produzione della sociologia cristiana e della sociologia politica11.

6 Ibidem, p. 8.

7 Bobbio N., Bilancio di un convegno, cit., p. 305.

8 Ibidem, p. 305 e Cfr. Garin E., Agonia e morte dell’idealismo italiano, cit., pp. 6-8.

9 Cfr. Burgalassi M. M., Itinerari di una scienza. La sociologia in Italia tra Otto e Novecento, FrancoAngeli, Milano, 1996, pp. 110-114.

10 Ibidem, pp. 125-133 e Cfr. Lentini O., Le voci compilate da Benedetto Croce per la Encyclopaedia of the social

sciences, in Losito M., Croce e la sociologia, cit. , p. 141.

(5)

La sociologia che aveva avuto un grande successo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX e che aveva disegnato la sua parabola discendente negli anni successivi, fino alla sua quasi totale scomparsa tra il 1910 e il 1920, era una sociologia edificata sullo spirito positivo e che si era diffusa al seguito di quello: un positivismo sociologico.

Le cause del suo declino non sono solo da individuarsi nelle circostanze esterne, e cioè soprattutto nella strategia culturale idealistica che si opponeva al positivismo, ma anche nelle condizioni interne della disciplina. Tra le determinanti endogene della crisi vi era la sua monoliticità e la debolezza dei suoi paradigmi teorici: nonostante una sparuta schiera di studiosi che cercarono, partendo sempre dai fondamenti culturali del positivismo, di portare avanti una critica, tale sociologia mantenne una configurazione essenzialmente naturalistica e molto sbilanciata sul terreno dell’empiria12.

Se in altri paesi europei al declino dell’ésprit positif seguì il rilancio di una rinnovata sociologia13, in Italia, invece, positivismo e sociologia, accomunate dallo stesso

destino, tramontarono insieme, soprattutto a causa dei connotati della sociologia «troppo rigidamente ispirati a un riduzionismo naturalistico e deterministico»14.

Inoltre la sociologia italiana – salvo il vano tentativo di alcuni15 – non partecipò al

dibattito epistemologico che si fece in Europa all’inizio del XX secolo: un’estraneità dovuta in gran parte al mancato confronto con i sociologi europei. Weber, Durkheim, Simmel, Tönnies e altri erano considerati scarsamente e, oltre ad essere spesso mal compresi, veniva di loro analizzato soltanto qualche aspetto particolare, ma mai venivano discussi i loro termini metodologici e concettuali16.

Possiamo notare che le cause esterne e le cause interne del declino della sociologia in Italia già prima dell’avvento del fascismo sono tra loro ovviamente legate. Osservazioni come quella di Ferrarotti – col quale concorderà poi anche Bobbio – secondo cui bisogna chiedersi «perché mai i fautori della ricerca sociale empirica non

12 Ibidem, p. 20; pp. 38-39; pp. 48-58. 13 Ibidem, pp. 93-94.

14 Burgalassi M. M., Itinerari di una scienza. La sociologia in Italia tra Otto e Novecento, cit., pp. 94-95.

15 È bene ricordare il tentativo, seppur infruttuoso, che, tra il 1907 e il 1912, Bartolomei, Bruno e Casentini fecero per rilanciare la sociologia italiana alla luce dei nuovi indirizzi che altrove si stavano diffondendo.

(6)

hanno saputo resistere alla dittatura idealistica»17 o come quella di Losito che parla di

una «sconfitta sul campo di battaglia delle idee e del controllo delle istituzioni»18 ci

spingono a sostenere l’esistenza di un rapporto tra le determinazioni esogene e quelle endogene, tra l’opposizione dell’idealismo e le ragioni intrinseche di debolezza: se infatti la sociologia italiana non riuscì a resistere agli assalti dell’idealismo e a rilanciarsi come disciplina ridefinita – come accadde al contrario in Gran Bretagna, in Francia, in Germania – fu anche a causa del suo essere, nei suoi connotati ispirati ad un riduzionismo naturalistico e deterministico, ostinatamente monolitica e priva di un dibattito teorico interno, chiusa al dibattito epistemologico, alla problematicizzazione speculativa.

Croce può essere allora ritenuto «il maggiore “nemico”» di una sociologia, la quale ebbe innanzitutto come “nemica” se stessa? Sicuramente fu nemico del positivismo e quindi del positivismo sociologico, del sociologismo, ovvero del prodotto esemplare della cultura positivistica19.

Abbiamo visto, nei suoi scritti, le tante tracce di antisociologismo e crediamo di poter dire che il nucleo della critica crociana della sociologia sia essenzialmente una ferma asserzione della distinzione fondamentale tra i concetti e gli pseudoconcetti. L’antisociologismo e l’importanza nel pensiero del filosofo napoletano delle scienze empiriche non sono due aspetti in contraddizione tra loro. Le scienze empiriche sono costruzioni di pseudoconcetti e devono essere fedeli al loro carattere pratico; se non lo sono si macchiano di empirismo, cioè di quell’errore che, sostituendo il concetto empirico al concetto puro, usurpa l’ufficio e il valore propri della filosofia. La sociologia, in quanto scienza empirica, è una scienza naturale – intendendo per natura quell’atto spirituale dell’uomo che forma gli pseudoconcetti; e anche tale disciplina deve evitare quella deprecabile usurpazione, altrimenti non è altro che

17 Ferrarotti F., La situazione degli studi sociologici in Italia, in Quaderni di sociologia, 16, Taylor Editore, Torino, 1955, p. 59.

18 Losito M., Croce e la sociologia, cit., p. 7.

19 «La scienza sociologica aveva per lungo tempo rappresentato il veicolo di più ampia diffusione dell’ésprit positif nella cultura italiana e costituiva un paradigma assai noto di (sedicente) elaborazione sintetica. Essa si proponeva come il prodotto conoscitivo universalmente più elevato, scientia scientiarum entro una gerarchia del sapere nella quale veniva bandita la dimensione meta-fisica ed esaltata quella fattuale. Nella prospettiva sociologica, inoltre, vi era il dichiarato intento di voler oltrepassare l’improduttività della pura speculazione attraverso il coordinamento di teoria e indagine empirica, ove però era l’empiria a conferire validità ed efficacia al momento teorico». Burgalassi M. M.,

(7)

sociologismo. Il rifiuto del sociologismo è quindi difesa della filosofia, cioè della dimensione della verità, e insieme custodia del valore pratico delle scienze empiriche che sono azioni.

Ogni conoscenza è conoscenza storica, la quale è sia stimolatrice di azione sia stimolata dall’azione: è questo il circolo dello spirito unito nelle sue distinzioni. Le scienze naturalistiche, che sono azioni, «rappresentano il momento dell’astrazione, superabile logicamente, ma praticamente necessario allo spirito umano, e perciò eternamente ritornante»20.

Rispetto alle scienze empiriche della natura, inoltre, la sociologia – e in generale tutte le costruzioni empirico-naturalistiche applicate alla vita spirituale degli uomini –, lungi dall’essere considerata inutile, appariva però di minore utilità, inferiore cioè da un punto di vista pratico perché, posta la difesa imprescindibile del valore dell’individualità dai riduzionismi, risultava quantitativamente meno significativa21.

L’antisociologismo crociano deve essere inserito nel contesto culturale all’interno del quale è stato formulato. Come abbiamo detto, in Italia la sociologia si legò al positivismo22, pertanto Croce, le cui posizioni erano caratterizzate da un deciso

antipositivismo, vi si oppose con forza. Ma proprio considerando la comunanza di destino, che si ebbe in Italia, della sociologia e del positivismo, si può ben comprendere che i toni della critica del filosofo napoletano contro la sociologia variarono a seconda delle fortune dello stesso positivismo nel panorama culturale italiano; tali toni, infatti, si facevano più polemici nei momenti di larga diffusione o di rinascita del positivismo e meno aspri nei momenti di declino.

Burgalassi individua, a questo proposito, quattro fasi:

i) un iniziale deciso rifiuto della sociologia e delle sue velleità direttamente riconducibili alla matrice positivistico (1898-1904); ii) la sistematizzazione della disciplina entro le scienze empiriche positivistiche, aventi rilievo operativo, e l’attribuzione ad essa di una relativa inferiorità rispetto al sapere concettuale (1905-1910); iii) l’abbandono dei toni polemici ed il riconoscimento della rilevanza teorica e pratica di una scienza sociale empirica (1911-1924); iv) il ritorno ad un orientamento antisociologico nel momento in cui in Italia le scienze sociali mostravano segni di rinascita entro coordinate neoempiristiche di

20 Croce B., Saggio sullo Hegel, cit., p. 197.

21 Croce B., Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro, in Atti dell’Accademia Pontaniana, Napoli, 1905, p. 83.

22 La sociologia «considerata nel suo significato storico non è niente altro che positivismo». Croce B., A proposito di

(8)

derivazione statunitense (1950)23.

L’incontro di Croce con l’opera di Weber aveva rappresentato, tutto sommato, un episodio marginale della vita intellettuale del filosofo italiano; e la stessa cosa vale anche per lo studioso di Heidelberg24.

Nella seconda parte del suo saggio del 1906 Knies e il problema dell’irrazionalità, Weber discute la dottrina crociana dell’intuizione contenuta nell’Estetica come

scienza dell’espressione e linguistica generale. Egli critica la riduzione della storia

sotto il concetto generale dell’arte, cioè sua riduzione a intuizione, sostenendo invece che la storia deve avere come struttura logica la spiegazione causale: un’imputazione di conseguenze concrete a cause concrete. Per Weber le cose individuali si conoscono non per via artistica, ma attraverso i concetti di relazione: una cosa è infatti un’unità risultato della selezione di ciò che è essenziale in riferimento a determinati scopi della ricerca. Inoltre lo studioso tedesco critica Croce perché riconosce propri delle scienze solo i concetti di relazione di determinatezza assoluta, vale a dire quelli esprimibili in equazioni causali. Weber, notando che «neppure la fisica lavora esclusivamente con concetti del genere»25, mostra l’artificiosità e

l’arretratezza storica del modello che il filosofo napoletano aveva della scienza empirica26.

L’intellettuale di Heidelberg fa un altro riferimento a Croce in nota del suo saggio In

polemica con Eduard Meyer, criticando la sua tendenza «ad una mescolanza logica

del “valutare” e dello “spiegare”, e ad una negazione dell’autonomia di quest’ultimo»27.

Croce, da parte sua, di Weber lesse La storia agraria romana nel suo significato per

il diritto pubblico e privato e gli opuscoli che il Vossler gli inviò nel 190628.

Dobbiamo aspettare il 1918 per vedere di nuovo un interesse del filosofo italiano per un’opera del Weber: ed è il Weber politico di Parlamento e governo nel nuovo

23 Burgalassi M. M., Itinerari di una scienza. La sociologia in Italia tra Otto e Novecento, cit., p. 214. 24 Cfr. Rossi P., Weber e Croce: un confronto, in Oltre lo storicismo, Il Saggiatore, Milano, 1988, p. 258. 25 Weber M., Saggi sulla dottrina della scienza, De Donato, Bari, 1980, p. 104.

26 Cfr. Rossi P., Weber e Croce: un confronto, cit., pp. 252-255; inoltre Cfr. Tessitore F., Su Croce e Weber, in

Comprensione storica e cultura. Revisioni storicistiche, Guida Editori, Napoli, 1979, pp. 287-295.

27 Weber M., Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 1958, p. 205. 28 Cfr. Carteggio Croce-Vossler 1899-1949, cit., pp. 101-102.

(9)

ordinamento della Germania. Successivamente leggerà gli Scritti politici, Il lavoro intellettuale come professione e L’etica protestante e lo spirito del capitalismo – che

cercò anche di far tradurre –, ma, nonostante fosse presente nella sua biblioteca, mai lesse Economia e società29.

Weber si poneva […] come il continuatore dello sforzo dello storicismo di matrice neocriticista di distinguere – sulla base dell’oggetto o del metodo, o anche di entrambi – le scienze dello spirito o le scienze della cultura dalle scienze della natura, riconoscendo tuttavia a entrambe un carattere propriamente conoscitivo […].

Croce contrapponeva […] la storiografia alle scienze sociali […] riservando alla prima un valore di conoscenza e confinando le seconde, al pari delle scienze naturali, nell’ambito della forma economica dello spirito30.

L’interesse di Croce per l’opera di Weber, anche se rivalutato alla luce dell’introduzione in Italia di Parlamento e governo e al tentativo di far tradurre anche L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, rimane limitato; esso, inoltre, va ad inserirsi in un contesto culturale nel quale l’opera weberiana era conosciuta solo in ambienti ristretti e soprattutto per la parte relativa al saggio del 1904-190531.

Nel libro di Ferrarotti Max Weber e il destino della ragione possiamo trovare qualche cenno circa la fortuna di Weber nella cultura italiana32. Prima

dell’introduzione nel 1919 da parte di Croce di Parlamento e governo nel nuovo

ordinamento della Germania33, in Italia era stata tradotta l’opera giovanile La storia

agraria romana nel suo significato per il diritto pubblico e privato34, testo accolto

nel 1907 nell’importante collana, diretta da Pareto, Biblioteca di storia economica. Ferrarotti ricorda inoltre i frequenti viaggi in Italia dell’intellettuale tedesco e i suoi rapporti con Loria e con Sraffa.

La dottrina del Weber penetrò in Italia in modo frastagliato, confuso e, come accadde per la distorsione interpretativa del rapporto tra religione ed economia ad opera degli antimarxisti, si ebbero anche degli abbagli circa il reale pensiero dello studioso tedesco. È bene ricordare anche Carlo Antoni, al quale si deve l’effettivo e compiuto

29 Cfr. Rossi P., Weber e Croce: un confronto, cit., pp. 260-261. 30 Rossi P., Weber e Croce: un confronto, cit., pp. 272-273.

31 Nella prima metà degli anni ’20 Weber fu studiato soprattutto in Piemonte dal gruppo della Rivoluzione liberale e nei circoli protestanti. Si ricordi il ruolo giocato nella diffusione della conoscenza di Weber in Italia dal settimanale

Conscientia e dalla casa editrice Doxa.

32 Ferrarotti F., Max Weber in Italia, in Max Weber e il destino della ragione, Editori Laterza, Bari, 1968, pp. 213-242. 33 Weber M., Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania. Critica politica della burocrazia e vita

dei partiti, Laterza, Bari, 1919.

(10)

inserimento della dottrina weberiana nella cultura italiana dal 1938 in poi35.

La storia agraria romana nel suo significato per il diritto pubblico e privato fu

tradotta nel 1907, Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania nel 1919, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo nel 1931, una sezione di

Economia e società, Carismatica e i tipi del potere, nel 1934. Bisogna invece

attendere il dopoguerra per l’introduzione in Italia degli scritti più propriamente sociologici: le prime traduzioni italiane dei saggi metodologici sulla dottrina della scienza (Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre) e de Il metodo delle scienze

storico-sociali sono del 1958, mentre quella di Economia e società è del 1961.

Per Ferrarotti due sono i motivi per cui la sociologia weberiana non poteva penetrare nel contesto italiano:

In primo luogo, perché la critica idealistica alla sociologia in generale si poneva come una barriera protettiva intorno ai confini culturali italiani e soffocava perciò non solo le voci dei sociologi italiani, ma anche quelle dei sociologi stranieri, in quanto i nostri neo-hegeliani identificavano erroneamente il positivismo con la sociologia stessa come scienza e trascinavano così questa nella critica, per molti aspetti pur legittima, contro l’indirizzo positivistico. Quanto alla posizione dei marxisti, soprattutto di Antonio Labriola e di Antonio Gramsci, benché non negassero valore in assoluto alla sociologia come scienza, mostravano tuttavia apertamente la loro diffidenza critica verso la sociologia considerata scienza borghese36.

Per il sociologo piemontese, la critica di Croce a Weber è, dal punto di vista culturale, «il motivo dominante del mancato interesse della cultura italiana per la sociologia di Weber»37; e l’introduzione in Italia per opera del filosofo napoletano di

Parlamento e governo viene interpretata come segno della volontà di Croce di

promuovere la conoscenza di Weber, ma solo del Weber politico.

La durezza della critica crociana rivolta a Weber sociologo è nota; non bisogna però dimenticare che la presunta egemonia culturale crociana e idealistica è dai più considerata un luogo comune, e che Croce si impegnò non soltanto per la traduzione in italiano di Parlamento e governo, ma anche per quella de L’etica protestante e lo

spirito del capitalismo, e non riuscì a far pubblicare questa opera per l’alto costo di copyright richiesto dagli editori tedeschi e soprattutto per l’insuccesso commerciale

del primo libro weberiano.

35 Cfr. Ferrarotti F., Max Weber in Italia, in Max Weber e il destino della ragione, cit., p. 240. 36 Ferrarotti F., Max Weber in Italia, in Max Weber e il destino della ragione, cit., p. 220. 37 Ibidem, p. 220.

(11)

Un atteggiamento, quello del filosofo italiano, nei confronti di quella parte dell’opera weberiana che lesse, sicuramente complesso, connotato da diverse critiche e da qualche apprezzamento, ma che non presenta, a nostro parere, tratti ostracizzanti. Sia l’introduzione in Italia da parte di Croce del libro di Weber Parlamento e

governo e sia le vicende intorno al tentata introduzione de L’etica protestante e lo spirito del capitalismo – opera che seppur criticata il filosofo napoletano voleva far

tradurre – , contribuiscono, quindi, a dissolvere le immagini di un Croce “egemone”, “provinciale” e responsabile di ostracismi.

Le accuse crociane di psicologismo rivolte al Weber de L’etica protestante e lo

spirito del capitalismo possono essere maggiormente comprese se considerate alla

luce del rigore del filosofo italiano, animato dall’esigenza di distinguere i concetti veri dagli pseudoconcetti che li simulano, ovvero di tener distinti la Filosofia dalle scienze empiriche o naturali. Come bisogna difendere la prima dalle intrusioni delle seconde, così bisogna difendere le discipline descrittive empiriche dalle usurpazioni che tentano i filosofi quando pretendono, erroneamente, di risolvere filosoficamente problemi empirici; la scienza o tecnica è quindi necessaria allo spirito e rifiutarla o disprezzarla «sarebbe stolto altrettanto quanto rifiutare o spregiare la filosofia. Ma bisogna star sempre in guardia a non scambiare l’una per l’altra, con danno dell’una e dell’altra»38.

Il mancato rispetto di questa distinzione ha segnato il panlogismo hegeliano e le forme storiche di quell’errore che Croce chiama “empirismo”, primo fra tutti il positivismo.

Hegel, attraverso il suo panlogismo, e i positivisti, in virtù del loro empirismo, erano stati condotti verso un dualismo di fenomeno-noumeno, di natura-spirito che il filosofo partenopeo invece supera col suo spiritualismo assoluto. Le critiche crociane alla parte morta di Hegel e il suo antipositivismo (opposizione integrata dalla consapevolezza dei meriti di quella cultura39) si fondano su una motivazione comune:

38 Croce B., Filosofia e storiografia, cit., p. 67.

39 Il positivismo – scrive Croce – fu la giusta reazione contro l’orgia metafisica della prima metà del XIX secolo, in grado di riaffermare l’autonomia delle scienze esatte. E l’idealismo, nel superare intellettualmente l’empirismo e il naturalismo, non intendeva abolirli, perché altrimenti avrebbe abolito anche se stesso. Cfr. Croce B., Di un carattere

della più recente letteratura italiana, in La Critica, 5, 1907, pp. 177-178 e Croce B., rec. ai primi nove numeri della rivista Leonardo, in La Critica, 1, 1903, pp. 288-290.

(12)

in entrambi i casi si è voluto ridurre ad uno qualcosa che invece doveva rimanere distinto.

Croce nega, quindi, l’empirismo (la concezione naturalistica della storia) e la trascendenza (la filosofia della storia) in virtù dell’unità che comprende la distinzione.

Il dualismo di idee e fatti è in effetti un dualismo di due termini vuoti: la filosofia della storia, che è trascendenza, e la concezione deterministica e naturalistica della storia, che è una falsa immanenza che diventa trascendenza40. La polemica crociana

contro la sociologia si rivela quindi momento dell’opposizione alle filosofie della storia.

Il fatto che la riflessione di Weber tragga ispirazione e carattere da una concezione diversa da quella positivistica, da una concezione cioè idealistica, storicistica e dialettica41, non è quindi – considerando la polemica antipositivistica di Croce –

motivo per immaginare un atteggiamento del pensatore napoletano più tenero rispetto a quello che egli tenne nei confronti del positivismo sociologico.

Pure Weber, sostiene Croce – e questo è il senso dell’accusa di psicologismo –, si è macchiato di empirismo, cioè di quel grave errore di attribuire alle pratiche sociologiche e alle loro distinzioni empiriche un carattere teoretico, quindi conoscitivo, cancellando perciò la loro realtà pratica, utilitaria e non rendendosi conto che esse si usano, appunto, per memorizzare e comunicare le conoscenze e non per conoscere.

La guerra dichiarata alla sociologia, e ancor di più alla mentalità sociologica che ne è a fondamento, era dunque parte di quella guerra che il filosofo aveva dichiarato contro tutte le illusioni ed i miti che allontanavano l’uomo dalla distinzione, cioè dalla consapevolezza che è sempre indispensabile discernere la diversità nell’unità fondamentale come momentanea affermazione della parte sul tutto; sempre rimanendo consapevoli che nessuna parte può né deve prevalere sul tutto42.

Al fine di difendere dalla confusione tra gli interessi pratici contingenti e la ricerca della verità, Croce si oppone alla sociologia come scienza teorica: essa «non ha il diritto di assurgere a livello di scienza autonoma o dello spirito, ma può assumere

40 La ricerca regressiva delle cause di un fatto sfocia inevitabilmente, se condotta all’infinito, nell’attestazione di una certa causa ultima (fine trascendente).

41 Cfr. Toscano M. A. (a cura di), Introduzione alla sociologia, FrancoAngeli, Milano, 1995, pp. 76-79. 42 Colucci F., Croce e la sociologia, Bonacci Editore, Roma, 1993, p. 25.

(13)

soltanto la funzione […] di classificazione empirica»43.

Il filosofo napoletano condanna il sociologismo che si gonfia a filosofia: la sociologia rimane per lui disciplina di contingenze che ha un carattere propriamente pratico. Si può riflettere, però, sul fatto che, se si considera la sociologia come “discorso sulla società”, Croce la porti alle sue vette, attribuendole una dignità massima nel momento in cui scrive che la vera società è «la realtà tutta»44: la

sociologia è, in questo senso, il discorso sulla realtà, il pensamento di essa; e in quanto l’unica realtà è lo Spirito, essa non è altro che la “Filosofia dello Spirito”. Per Croce il pensare, cioè l’intendere lo Spirito nella sua universalità, avviene per concetti (si veda il concetto di individuo isolato e quindi il concetto di vera società), prescindendo dalle contingenze (si veda, invece, a tal proposito, il concetto empirico di società). Egli, pertanto, denuncia l’imbastardimento della Scienza causato dal «grossolano sociologismo»45 che ha rituffato gli universali nelle contingenze.

Negli scritti crociani troviamo sia critiche sia apprezzamenti di Weber: tali giudizi, insieme devono essere inquadrati all’interno del complesso discorso critico di Croce nei confronti della sociologia.

Bisogna difendersi da due eccessi semplificativi di natura testuale:

- la mera riproposizione delle polemiche e dei giudizi crociani sulla sociologia: «inferma scienza, arbitraria e sconclusionata»46;

- la raccolta degli apprezzamenti sul lavoro di alcuni sociologi disseminati nell’enorme produzione intellettuale di Croce per dire che il filosofo di Napoli non era poi tanto oppositore della sociologia47.

Il modo per difendersi da queste semplificazioni non è però ignorare i testi, bensì ricollocare le tante frasi sparse negli scritti crociani entro il sistema di pensiero del filosofo italiano. A questo scopo, abbiamo cercato di presentare quanto Croce ha detto di Weber alla luce delle sue tesi sulle scienze empiriche: un antisociologismo, il suo, che comporta una condanna di quelle scienze improprie che vogliono

43 Ibidem, p. 48.

44 Croce B., Filosofia della pratica. Economica ed etica, cit., p. 318. 45 Croce B., Filosofia della pratica. Economica ed etica, cit., p. 318. 46 Croce B., L’utopia della forma sociale perfetta, Il Mondo, gennaio 1950. 47 Cfr. Toscano M. A., Spirito sociologico, FrancoAngeli, Milano, 1997, p. 124.

(14)

filosofeggiare, ma allo stesso tempo si sforza di comprendere meglio la parte che esse svolgono nella vita dello spirito. Le distinzioni sono la vita del processo dialettico. Tenere distinte la questione della verità e quella dell’utilità non comporta alcuna svalutazione delle scienze empiriche: la concezione economica di quelle discipline non è riduttiva, ma, al contrario, assegna ad esse un «posto inconfondibile nella vita spirituale»48.

Riferimenti

Documenti correlati

 Serve una Pubblica Amministrazione di alto livello, efficiente ed efficace, che sappia spendere questi fondi: essa è senz’altro necessaria al di là del Recovery Fund, perché

L’analisi, seppur concisa, delle varie fattispecie in tema di delitti contro la famiglia, prima, e delle disposizioni che comunque attribuiscono rilevanza a questo

Sono servizi disponibili on line, cioè su internet, molto utili a chi lavora, a chi ha dei figli a scuola, a chi vuole parlare con il servizio

I minori come risorsa per la nostra società lo diventano nel momento in cui i genitori, gli insegnanti, gli educatori,… si rendono conto che c’è bisogno di creare degli

Cheng, Liang e Tsai (2015), ad esempio, in uno studio con studen- ti universitari impegnati in tre sessioni online di revisione reciproca di testi da loro prodotti, hanno

exposure, mortality, cancer incidence, hospitalization, congenital anomalies, health effects, residential population, children, young adult,

ore 11.30 – Seconda sessione Abuso della forza: modelli, strumenti e contesti Coordina Francesca Curi, Università di Bologna. Davide Bertaccini, Università

I risultati complessivi della ricerca uniti al monitoraggio di Casa Mancosu mostrano come, pur in assenza di impianti di raffrescamento, la temperatura media degli ambienti