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Il capitalismo si definisce sullo sfondo dell’economia di mercato

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Academic year: 2021

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Marx non usò la parola capitalismo.

Di capitale, come sappiamo, parlò moltissimo, con grande rammarico di sua madre («ah, se Carlo, invece di parlare tanto di capitale, se ne fosse messo un po’ da parte», gemeva la povera donna). Non parlò invece di capitalismo. Forse perché, mentre il capitale è un con- cetto scientificamente precisabile, persino misurabile, capitalismo è un termine suggestivo ma vago, come pro- vano le grandi dispute tra coloro che si sono avventu- rati nel tentativo di definirlo.

Non passeremo in rassegna queste definizioni, eser- cizio noioso. Ci fermeremo un poco su un «momento»

di quella disputa che ci sembra centrale e chiarificante:

le due opposte tesi di Braudel e di Polanyi. I concetti si chiariscono quando risaltano su un chiaroscuro. Il no- stro chiaroscuro è il mercato. Il capitalismo si definisce sullo sfondo dell’economia di mercato. E in particola- re, delle origini storiche del mercato, cui i due autore- voli autori danno risposte contrastanti.

Fernand Braudel, nella sua monumentale e splenden- te trilogia, non distingue il mercato dal commercio in generale e quindi lo sospinge in una storia remota, qua- si come una manifestazione originale, naturale, identi- taria dell’umanità. Quanto al capitalismo, ne costitui- rebbe non il suo prolungamento, ma la sua negazione:

una escrescenza essenzialmente finanziaria.

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L’argomentazione di Polanyi parte dall’affermazione di una discontinuità fondamentale tra il commercio (tra- de) e il mercato (market). Il commercio, sì, esiste dalla notte dei tempi; ma non è regolato dalle «leggi del mer- cato», cioè da una sua logica autonoma che lo costituisce propriamente in sistema. Prima del commercio di merca- to, c’era uno scambio del dono, c’era un commercio d’av- ventura, c’era un commercio amministrato. Correlativa- mente, il capitalismo non è la negazione del mercato, co- me afferma Braudel, ma il suo organico sviluppo.

Due visioni, dunque, contrastanti. Che però non bi- sogna imprigionare in una rigida contrapposizione. Nel flusso della storia, non si alternano bruscamente model- li, come le scene di un melodramma. I modelli sono sem- pre costruzioni ideali ex post delle caratteristiche domi- nanti di una certa epoca le quali, nella realtà, convivo- no con le code delle correnti pesanti del passato e con le avvisaglie di quelle future. Nel passaggio dal commer- cio indifferenziato al mercato e da questo al capitalismo si scorgono chiaramente momenti di discontinuità e di continuità, che tocca alla storia di mostrare e spiegare:

quel che rimane, ad esempio, dell’economia del dono nell’economia di mercato e in quella capitalistica (o ad- dirittura quel che vi riemerge); quella che si manifesta come anticipazione del capitalismo nell’economia am- ministrata, e via dicendo.

Cerchiamo di incrociare nel racconto storico queste affascinanti dissonanze. E poiché il tema centrale di quel racconto è il capitalismo nella fase della sua piena maturazione, grosso modo dal xvi al xxi secolo, faremo precedere la parte centrale del racconto dalle sue «pro- ve d’orchestra».

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