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COMPLESSITÁ DELLE RETI, STRUMENTI E INTERPRETAZIONI:

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA

Dottorato di ricerca in Lavoro, sviluppo e innovazione

Ciclo XXXI

DAL JOINT EMPLOYMENT STANDARD ALLA CODATORIALITÁ.

L’ESEMPIO DEL FRANCHISING

Candidato Carlotta Favretto

Relatore (Tutor): Prof. Iacopo Senatori

Eventuale Correlatore (Co-Tutor): Prof. Ylenia Curzi

Coordinatore del Corso di Dottorato: Prof. Tindara Addabbo

Sintesi

Partendo dall’analisi delle reti di impresa, dal punto di vista delle teorie economiche e organizzati- ve, nonché da quello degli strumenti giuridici utilizzati per l’organizzazione reticolare, l’elaborato si occupa di individuare le principali problematiche che emergenti in termini di tutela dei lavorato- ri, con un particolare focus sulle reti contrattuali di tipo gerarchico. Analizzata la normativa italia- na, come interpretata dalla giurisprudenza, si enucleano i modelli di tutela utilizzati nell’ordinamento italiano e le relative valutazioni elaborate dalla dottrina in riferimento ad essi, concentrandosi maggiormente sulla teorizzazione della codatorialità. Si prende poi in considera- zione il sistema statunitense, analizzando, da una prospettiva generale, la regolazione del joint em- ployment, per poi approfondire l’applicazione del joint-employer standard come definito ed inter- pretato ai sensi del National Labor Relations Act. La discussione sorta a seguito del caso Browning- Ferries Indus. of California, in materia di joint employment nelle reti di franchising, fornirà lo spun- to per svolgere alcune riflessioni sui modelli di tutela italiani.

(2)

INDICE

1. INTRODUZIONE ………....pag. 4

1.1. La tutela del lavoro nelle reti di impresa………. 8

1.2. Modelli di tutela dell’ordinamento italiano……….………11

1.3. Franchising e diritto del lavoro……… 13

2. COMPLESSITÁ DELLE RETI, STRUMENTI E INTERPRETAZIONI: IL SOSTRATO PROBLEMATICO PER I RAPPORTI DI LAVORO ……….……….…………..………. 17

2.1. Individuazione dell’ambito di ricerca: il contratto di franchising nell’ambito delle forme reticolari………..…….………..17

2.1.1. La pluralità delle reti e il contratto di franchising………17

2.1.2. La rete di franchising in relazione al concetto di gruppo di impresa……….…22

2.1.3. Il franchising nell’ambito dei modelli contrattuali di coordinamento……….27

2.1.4. Modelli contrattuali rilevanti per la letteratura giuslavoristica………28

2.1.5. Contratto e reti di franchising………40

2.2. L’interpretazione delle teorie economiche………..42

2.2.1. L’organizzazione dell’impresa e il modello Principal-Agent………42

2.2.2. Il collegamento tra il modello Principal-Agent e l’organizzazione reticolare………..45

2.2.3. La natura dell’impresa……….46

2.2.4. Il concetto di organizzazione ed i contratti relazionali………51

2.2.5. Gli investimenti specifici come strumento di governo e i modelli di tipo ibrido………...53

3. CODATORIALITÁ NELLE RETI CONTRATTUALI: L’ESEMPIO DEL FRANCHISING…58 3.1. L’origine della codatorialitá………...58

3.1.1. Datore di lavoro, subordinazione e divieto di intermediazione………58

3.1.2. Rivoluzione copernicana e teorie funzionali………...62

3.2. La codatorialitá nei gruppi di imprese……….65

3.2.1. Il quadro normativo………..66

3.2.2. Approcci giurisprudenziali per l’imputazione dei rapporti di lavoro nei gruppi………..69

3.2.3. La formula aurea: gli indici per individuare l’unitarietà del gruppo………..73

3.2.4. L’individuazione del datore di lavoro………...76

3.2.5. Le conseguenze della contitolarità nel gruppo di imprese………80

3.3. La codatorialitá nel contratto di rete……….83

3.3.1. L’impatto del decreto-legge n. 86 del 2013 sulle teorie elaborate in rapporto al gruppo di imprese………..85

3.3.2. Il quadro normativo: codatorialità e assunzione congiunta………87

3.3.3. Le opzioni teoriche sulla codatorialità nel contratto di rete………91

3.3.4. La contrattazione collettiva: gli spazi per un ruolo regolativo………...91

3.3.5. Cenni di confronto con il gruppo di imprese………...98

3.4. Le reti di franchising alla luce della teoria della codatorialitá………99

3.4.1. Le analogie tra gruppi e reti commerciali………..99

3.4.2. La condizione lavorativa nelle reti contrattuali……….101

3.4.3. La teoria della codatorialità………..104

3.4.4. Codatorialità e subordinazione nelle reti contrattuali………..106

3.4.5. L’obbligazione solidale nella codatorialità………111

(3)

3.4.6. Gli istituti del diritto del lavoro nelle reti integrate di franchising………..114

4. JOINT-EMPLOYMENT: LA DISCUSSIONE SUL FRANCHISING COME SPUNTO PER LA CODATORIALITÁ ITALIANA………..118

4.1. Joint Employment Under Labor Law: The National Labor Relations Act………118

4.1.1. Premesse sul National Labor Relations Act………..118

4.1.2. Il National Labor Relations Board………120

4.1.3. La definizione di employer e rilevanza ai sensi del National Labor Relation Act………..121

4.1.4. Il Joint-Employer standard elaborato dalla giurisprudenza……….121

4.2. Joint Employment Under Employment Law: The Fair Labor Standards Act………127

4.2.1. Premesse sul Fair Labor Standard Act………..127

4.2.2. Joint-Employer standard ai fini del Fair Labor Standard Act………...128

4.2.3. I precedenti del Board ante 1984……….129

4.3. Il lavoro nelle reti di franchising negli Stati Uniti………...134

4.3.1. L’evoluzione del franchising negli Stati Uniti………..134

4.3.2. Il controllo del franchisor negli Stati Uniti……….136

4.3.3. Il nuovo joint employer standard e impatto sul lavoro nel franchising………137

4.3.4. Il nuovo joint employer standard: critiche e criticità……….142

5. SPUNTI DI RIFLESSIONE A VALLE DELLA COMPARAZIONE……….……144

5.1. Complessità delle reti, strumenti e interpretazioni: il sostrato problematico per i rapporti di lavoro……….……….……….….. 144

5.2. Codatorialitá nelle reti contrattuali: l’esempio del franchising………..…..145

5.3. Joint-employment: la discussione sul franchising come spunto per la codatorialitá italiana……….……….……….…146

5.4. La codatorialità ai soli fini della contrattazione collettiva e dei diritti sindacali……148

6. BIBLIOGRAFIA……….……….……….………151

(4)

1.

INTRODUZIONE

1.1. La tutela del lavoro nelle reti di impresa. 1.2. Modelli di tutela dell’ordinamento italiano. 1.3. Franchising e diritto del lavoro. 1.4. Il dibattito sul franchising negli Stati Uniti.

1.1. La tutela del lavoro nelle reti di impresa

Ampiamente indagato e discusso è il tema dei confini dell’impresa e della loro perdita di nitidezza. Le teorie economiche, le analisi sociologiche, gli studi organizzativi si sono spesi per individuare paradigmi idonei alla comprensione e sistematizzazione dei cambiamenti in corso. Il più risalente paradigma gerarchico è stato tacciato di inadeguatezza nell’interpretare i modelli di organizzazione imprenditoriale esistenti1. Studiare i diversi approcci, consolidati o in fieri che siano, ai modelli reticolari è d’ausilio per la comprensio- ne delle ricadute che la complessità del reale impone sui rapporti di lavoro che vi si svol- gono. Ciò è ancor più vero ove ci si interroghi sul ruolo delle parti sociali e della contratta- zione collettiva, senza restare costretti in classificazioni risalenti, elaborate con riferimen- to a contesti economici e organizzativi differenti. Agency costs, costi transazionali, incom- pletezza contrattuale, investimenti specifici: sono elementi che non solo i datori di lavoro, ma anche i lavoratori e i rappresentanti sindacali dovrebbero avere ben presente quando si propongono di dialogare in modo consapevole con chi detiene il potere sostanziale. Il punto è che quest’ultimo, il soggetto detentore del potere economico, decisionale, del ri- schio di impresa, il datore di lavoro sostanziale – già aderendo con tale definizione ad al- cune impostazioni, anche legislative – non è sempre facile da individuare né, vieppiù, da interpellare. Si tratta di aspetti che certamente influiscono sui giochi di forza e sulla qualità generale delle relazioni industriali aziendali, nonché, soprattutto, sulle garanzie e le tutele per i lavoratori.

A tal proposito, va considerato che le organizzazioni reticolari si caratterizzano per la sus- sistenza di una quota minima di integrazione e/o interferenza tra i soggetti imprenditoriali che ne fanno parte. Quando tale integrazione supera una certa soglia, si pongono dei pro- blemi regolativi e, soprattutto di tutela della parte debole, ai quali il legislatore italiano ha già tentato, in più momenti e con varie modalità, di dare risposta2.

Il limite legislativo introdotto a tal fine nell’ordinamento italiano è stato quello del divieto di interposizione. Tale divieto, introdotto con la legge 1369/1960, non era certo stato pen- sato per essere applicato a sistemi di rete imprenditoriali, quanto per impedire fenomeni interpositori diretti esclusivamente a ridurre il costo del lavoro, distinguendoli dall’appalto, fattispecie invece legittima e riconosciuta. Per dare un contenuto alle espres-

1 R. DEL PUNTA, Economia e diritto del lavoro, in GDLRI, 2001, pag. 21 ss.

2 Tra i molti in proposito, completo e significativo: M. BIASI, Dal divieto di interposizione alla codatorialità:

dell’impresa e le risposte dell’ordinamento, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Contratto di rete e diritto del lavoro, Cedam, Padova, 2014, pag. 117 e ss.

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sioni “appalto di mere prestazioni di lavoro”3 ed “effettiva utilizzazione”4, utilizzate in tale legge, la giurisprudenza ha elaborato i requisiti per individuare la natura imprenditoriale dell’appaltatore, desumendone, a contrario, le ipotesi di interposizione illecita5.

La specificazione del contenuto precettivo inizialmente fornita è venuta a confrontarsi con i nuovi contesti produttivi, chiamando la giurisprudenza ad adeguare le precedenti deter- minazioni. L’evoluzione degli orientamenti ha dimostrato la consapevolezza del fatto che

“un’interpretazione eccessivamente rigorosa sarebbe stata in conflitto con i modelli organiz- zativi ormai consolidati nel sistema economico”6. L’adeguamento della normativa è dunque avvenuto tramite l’aggiornamento dei requisiti di genuinità dell’attività imprenditoriale ed attraverso la valorizzazione degli aspetti organizzativi ed immateriali dell’attività dedotta nel contratto7. Si è parlato in proposito di “smaterializzazione” dell’impresa, con relativa

“evaporazione o virtualizzazione degli elementi materiali”8, grazie alla quale il baricentro garantistico dell’art. 1 (l. 1369/1960) si è attestato sull’elemento imprenditoriale dell’organizzazione.

A seguito dell’abrogazione della l. 1369/1960, il corpus giurisprudenziale sino ad allora elaborato è stato recepito nella nuova normativa introdotta dal d.lgs. 276/2003, ai sensi del quale la sussistenza del requisito organizzativo può anche risultare dall’esercizio del potere direttivo e dal rischio di impresa9.

Dal punto di vista della relazione tra diritto del lavoro e forme organizzative reticolari, la legge 1369/1960 conteneva la definizione di una fattispecie che è stata definita come l’unica “regolamentazione ex lege dei rapporti di lavoro in una rete di subfornitura”10 che sia mai esistita. Ci si riferisce, in particolare, alla fattispecie dell’appalto interno. Come visto, l’art. 3 della legge del Sessanta, prevedeva che, nel caso fosse stato concluso un contratto qualificabile come appalto interno, ai lavoratori dipendenti dalle imprese appaltatrici do- vesse essere garantito lo stesso trattamento applicato ai dipendenti del committente11. In questa previsione il legislatore non solo impediva un modello di decentramento orientato

3 Art. 1, comma 1, legge 1369/1960.

4 Art. 1, comma 5, legge 1369/1960.

5 M.T. CARINCI, La distinzione fra interposizione di manodopera e appalto di servizi, quando questi non richie- dano una rilevante strumentazione materiale, in RIDL, II, p. 253.

6 M. RICCI, L’evoluzione delle fattispecie interpositorie: mercato del lavoro, politiche di flessibilità e relazioni industriali, in DLM, 2003, pag. 356.

7 Si fa riferimento qui, in particolare, all’elaborazione avvenuta con riferimento ai servizi c.d. labour intensive.

8 R. DE LUCA TAMAJO, Le esternalizzazioni tra cessione di ramo d’azienda e rapporti di fornitura, in Aa. Vv. I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, pag.

45.

9 Art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003.

10 G. ORLANDINI, Diritto del lavoro e regolazione delle reti, in F. CAFAGGI (a cura di), Reti d’imprese tra rego- lazione e norme sociali, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 281 ss.

11 Sulla base di tale schema si potevano distinguere tre tipi di rete. In primo luogo quella fittizia basata su un’impresa centrale che fosse dotata di un grado di predominanza tale da escludere l’attività imprenditoriale dell’appaltatore o del subfornitore. In tal caso la legge del Sessanta prevedeva la riconduzione dei rapporti di lavoro al committente, ossia l’utilizzatore della prestazione. Il secondo modello di rete era quello in cui si manifestasse un legame funzionale tra impresa centrale ed attività appaltata o affidata al subfornitore.

L’applicazione dell’art. 3 della legge determinava, in tali ipotesi, l’applicazione di tutele giuslavoristiche uni- formi all’interno della rete, oltre all’applicazione del regime di solidarietà tra committente ed appaltatore a beneficio dei dipendenti di quest’ultimo. I modelli reticolari diversi da queste due ipotesi restavano esclusi dalla sfera di influenza del diritto del lavoro.

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al mero risparmio, ma conteneva un riconoscimento dell’organizzazione a rete delle im- prese.

I problemi definitori manifestatisi nella distinzione tra appalto interno ed esterno12 ave- vano portato parte della dottrina ad avanzare, quale proposta risolutiva, l’ipotesi di una convergenza tra diritto del lavoro e diritto commerciale13. Con la stessa si proponeva di condizionare l’applicazione delle tutele di diritto del lavoro alla sussistenza, tra imprese, di una situazione di dipendenza economica, così come definita dalla l. 192 del 1998. Ciò sulla scorta di un’analogia tra l’art. 3, l. 1369/1960 e la ratio della citata legge, consistente nella volontà di tutelare il contraente debole nelle relazioni contrattuali squilibrate14. A diffe- renziarsi solo l’oggetto della tutela: non il rapporto di lavoro, ma il rapporto commerciale tra committente e fornitore.

L’abrogazione della l. n. 1369 del 1960, ad opera del d.lgs. 276/2003, e l’abolizione della distinzione tra appalti interni ed esterni, hanno di fatto abbassato i livelli di trattamento per i lavoratori impiegati nelle reti caratterizzate da una forte interdipendenza. L’idea che i tradizionali istituti lavoristici rappresentassero un ostacolo alla possibilità per le imprese di organizzarsi in forme reticolari e più competitive, è stata all’origine della legge delega n.

30/2003 e del d.lgs. 276/200315. La “rivoluzione copernicana”16, la tipizzazione positiva della fornitura professionale di manodopera (art. 20-28, d.lgs. 276 del 2003), diventata co- sì un normale strumento di utilizzazione del fattore lavoro, ha fatto sì che le stesse agenzie di somministrazione si costituissero quale potenziale nodo imprenditoriale per le reti17. La nuova impostazione normativa, l’accettazione dell’idea che la gestione del personale possa costituire si per sé oggetto di un’impresa18 e l’introduzione della possibilità di stipu- lare contratti di fornitura a tempo indeterminato, ha certamente inciso sul tipo di relazio- ne delle imprese coinvolte, legittimando la creazione di integrazioni stabilmente basate sulla somministrazione di personale19. Al proposito era stata prefigurata anche la possibi-

12 Anche nell’interpretazione della fattispecie “appalto interno” si può notare un’evoluzione che è stata defi- nita come rappresentativa della elasticità del diritto del lavoro, in grado di adeguarsi alla forma a rete dell’impresa. G. ORLANDINI, Diritto del lavoro e..., op. cit., pag. 289.

13 F. SCARPELLI, Interposizione e appalto nel settore dei servizi informatici, in O. MAZZOTTA (a cura di), Nuove tecnologie e rapporti tra imprese, Milano, Franco Angeli, 1990, pag. 90; L. CORAZZA, Appalti “interni”

all’azienda: inadeguatezza del criterio topografico alla luce delle tecniche di esternalizzazione dell’impresa, no- ta a Cass. 26/06/1998, n. 6347, in MGL, 1998, pag. 854 segg.; Orlandini mette in luce, invece, come la l.

192/1998 avrebbe potuto costituire uno stimolo ad aggiornare, senza abolirla, la legge del Sessanta. G. OR- LANDINI, Diritto del lavoro e..., op. cit., pag. 297; In senso contrario Ichino, secondo il quale la nozione di ap- palto di opere e servizi e quella di subfornitura sarebbero troppo diversi per poter ipotizzare una saldatura tra diritto del lavoro e diritto commerciale. Auspica comunque, de iure condendo, una legge che individui il concetto di dipendenza economica potenzialmente utile per entrambi i rami del diritto per correggerne gli effetti distortivi. P. ICHINO, Il diritto del lavoro e..., op. cit.,, pag. 38.

14 P. ICHINO, Il diritto del lavoro e... , op. cit... , pag. 38.

15 G. ORLANDINI, Diritto del lavoro e..., op. cit., pag. 283; V. SPEZIALE, Le «esternalizzazioni» dei processi pro- duttivi dopo il d.lgs. 276 del 2003: proposte di riforma, in RGL, 2006, pag. 20

16 M.T. CARINCI, La fornitura di..., op. cit., pag. 61.

17 G. ORLANDINI, Diritto del lavoro e..., op. cit., pag. 299; I. ALVINO, Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuri- dici, Giuffrè, Milano, 2014, pag. 164.

18 Il controllo legislativo si è infatti spostato dall’attività, alle caratteristiche dell’impresa fornitrice e sui re- quisiti imposti al fine di garantirne l’autonomia economica e dunque la solidità .

19 Le stesse agenzie di somministrazione tendono a proporsi come interlocutori stabili. Vari sono gli esempi di agenzie in tal senso. Si pensi a quella avanzata da Umana nell’ambito dei contratti di rete, conclusi ai sensi del d.l. 5/2009 (convertito in l. 33/2009), che riguardava l’intera gestione del personale della rete. L’agenzia

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lità di superare la drastica distinzione tra somministrazione e appalto. Alle argomentazioni contrarie, attente alla tutela ed alla stabilità del lavoratore somministrato, si contrappone- va un rilievo: il recriminato annullamento del senso di appartenenza e della stabilità eco- nomica avrebbe potuto trovare un nuovo riferimento nella rete stessa, complessivamente intesa. Si sarebbe conciliata, così, l’impostazione tradizionale, improntata alla stabilità, con quella tipica della lean company20. Si ponga mente, a puro titolo esemplificativo, alle pro- poste di ricorso ad agenzie di lavoro costituite ad hoc per la gestione del personale da im- piegare nelle reti21.

Anche la disciplina dettata con riferimento al trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda ha subito, nel tempo, rilevanti evoluzioni. Ciò grazie al contributo dato dalla Corte di Giu- stizia, che è stata decisiva nella progressiva estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto. L’intento è stato quello di adattare la regolazione dell’istituto al mutato conte- sto produttivo22, attraverso l’accoglimento di una nozione “leggera” di impresa. La dilata- zione del campo di applicazione della disciplina di cui all’art. 2112 c.c. pare in effetti aver reso più fluidi i processi di riorganizzazione reticolare dell’impresa23. A sostegno di questa tesi è stato notato come l’utilizzo dell’art. 2112 c.c. si sia, per così dire, capovolto24. Guar- dando al lato dell’interesse imprenditoriale, l’art. 2112 c.c. sarebbe passato dall’essere uno strumento di conservazione del valore di scambio, a mezzo per la disaggregazione dell’impresa, realizzata tramite programmi di reengineering25.

si porrebbe come soggetto interno alla rete, in maniera idonea a garantire una “ottima flessibilità”. Per farlo l’agenzia assumerebbe alle proprie dipendenze, con contratti a tempo indeterminato, i lavoratori della rete, proponendosi con un ruolo di regia nella gestione del collocamento interno alla rete. L’agenzia si prestereb- be così a sostituire altre possibili soluzioni contrattuali, quali contratti a tempo determinato consulenze. Met- terebbe in gioco le proprie competenze specifiche e trasversali al fine di provvedere al reclutamento, alla formazione, alla gestione degli apprendistati, al collocamento del personale ed all’assunzione di un ruolo di regia rispetto ai distacchi interni di personale. Il tutto in una prospettiva di lungo periodo, tale da poter ga- rantire anche una fidelizzazione del personale ed una capitalizzazione delle competenze. Proposta presenta- ta al convegno “Reti d’impresa e gestione delle risorse umane”, tenutosi a Milano il 2 dicembre 2013. G. VE- NIER, La proposta di UMANA per le reti d’impresa, Atti del Convegno “Reti d’impresa e gestione delle risorse umane”, organizzato da Umana e RetImpresa, Milano, 2 dicembre 2013, Assolombarda, pubblicato sul portale Retimpresa.

20 P. ICHINO, Il diritto del lavoro e..., op. cit., pag. 42.

21 L. CORAZZA, ult. op. cit., pag. 259.; v. intervista a Maurizio Landi, Amministratore delegato di Esaote, in Re- timpresa.it. In effetti, l’affidamento della gestione dei rapporti di lavoro ad un soggetto giuridicamente auto- nomo e distinto che avrebbe il compito di assumere e dirigere i lavoratori di una rete in modo coordinato e flessibile è una soluzione che è stata proposta ed auspicata già da più parti. Cfr. I. ALVINO, Il lavoro nelle re- ti..., op. cit., pag. 163.

22 Necessità è stata ribadita di recente da autorevole dottrina, mettendo in luce come una rinnovata lettura

“adattiva” dell’art. 2112 cod. civ. sia auspicabile alla luce della nota vicenda Fiat e della correlata “possibilità di auto- qualificare come contratto di primo livello un accordo invece sostanzialmente aziendale, senza dar conto poi della possibilità (…) di sterilizzare l’applicabilità di un meccanismo invece inderogabile come quel- lo previsto dalla legge per la regolazione delle vicende circolatorie”; necessità in secondo luogo emergente a fronte dell’indagine sui tratti identificativi della figura traslativa, aspetto che metterebbe in discussione la coerenza del regime legale rispetto all’esigenza protettiva. F. BASENGHI, Decentramento collettivo e autono- mia organizzativa, in Aa. Vv., Frammentazione organizzativa e lavoro: rapporti individuali e collettivi. Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro cassino, 18-19 maggio 2017, Giuffrè, Milano, 2018.

23 R. DE LUCA TAMAJO, Le esternalizzazioni tra..., op. cit., pag. 225.

24 A. PERULLI, Tecniche di tutela nei fenomeni di esternalizzazione, in ADL, 2003, p. 477.

25 Si è parlato, in proposito, di “rasoio di Occam” applicato alla moderna strategia organizzativa e produttiva dell’impresa. A. PERULLI, Tecniche di tutela nei fenomeni..., op. cit., pag. 477.

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Attualmente la realtà aziendale è diversa rispetto a quella che esisteva all’entrata in vigore del codice civile. Tale differenziale ha dato luogo a difficoltà ermeneutiche con riguardo al campo di applicazione della norma. Molto è cambiato, ad esempio, quanto all’importanza che hanno assunto le conoscenze dei prestatori di lavoro26. Sono aumentate le attività ba- sate sulle conoscenze specifiche e, come mostrato anche nelle proposte formulate dalle agenzie di somministrazione per le reti d’impresa27, è diventata sempre più importante, all’interno della rete, la formazione del personale e la capitalizzazione delle competenze acquisite28. In quest’ottica i contratti di lavoro “potrebbero essere assimilati a quelli che so- no stati definiti come i contratti aziendali, e cioè ai contratti tramite i quali l’imprenditore si procura il godimento di beni aziendali non suoi e che, come tali, si trasferiscono all’acquirente in base all’art. 2555 c.c.”29. La capacità produttiva dell’impresa, ciò che per- mette ad essa o ad una parte di essa di stare sul mercato, “non è più negli strumenti di pro- duzione, nelle macchine e nelle attrezzature, ma risiede piuttosto nei beni immateriali e nel patrimonio di conoscenze di cui l’impresa dispone”30. Ma ciò che più interessa è notare come la disciplina del trasferimento d’azienda possa incidere sulla fase costitutiva delle reti, condizionando le operazioni di riorganizzazione e di outsourcing, comprese quelle attuate in vista della reinternalizzazione dell’attività stessa31.

Gli interventi “deregolativi” nel diritto del lavoro, in effetti, sono stati spesso interpretati come un tentativo di adattarsi alle nuove forme organizzative, facilitando le riorganizza- zioni e la ricerca di competitività da parte delle imprese. I principi lavoristici consolidatisi negli ultimi anni sembrano aver in parte metabolizzato tali intenti32 e la riorganizzazione reticolare essere stata per un verso facilitata, pur nel rispetto dei principi fondamentali33.

26 G. GOSETTI (a cura di) Lavoro e lavori. Strumenti per comprendere il cambiamento, Franco Angeli, Milano, 2011; A. ACCORNERO, Dal fordismo al post-fordismo: il lavoro e i lavori, in QRS, 2001, pag. 180 ss.; F. BASEN- GHI, L.E. GOLZIO (a cura di), Regole, politiche e metodo, Giappichelli, Torino, 2013; C. BIZZARRI, Coworking:

un fenomeno italiano emergente. La ridefinizione creativa del luogo di lavoro?, in M.C. FEDERICI, R. GARZI, E.

MORONI (a cura di), Creatività e crisi della comunità locale, Franco Angeli, Milano, 2011, pag. 158 e ss.

27 G. VENIER, La proposta di UMANA per le reti d’impresa, Atti del Convegno “Reti d’impresa e gestione delle risorse umane”, organizzato da Umana e RetImpresa, Milano, 2 dicembre 2013, Assolombarda, pubblicato sul portale Retimpresa.

28 Risulta da alcuni studi economici che le imprese che ricorrono in modo più consistente alle esternalizza- zioni sono quelle in cui le competenze dei lavoratori sono meno importanti. V. SPEZIALE, Le “esternalizzazio- ni” dei processi..., op. cit., pag. 20.

29 R. ROMEI, Cessione di ramo di azienda e appalto, in DLRI, 1999, p. 325.

30 L. CORAZZA, «Contractual integration» e..., op. cit., pag. 57.

31 Una testimonianza dell’importanza rivestita dalle norme di diritto del lavoro rispetto allo sviluppo dell’outsourcing è stata rinvenuta nell’analisi delle differenze tra sistema americano ed italiano. Si osserva come l’assenza negli Stati Uniti del divieto di intermediazione abbia dato luogo ad un modello di outsourcing molto diverso. L. CORAZZA, L’outsourcing negli Stati Uniti d’America. Spunti di comparazione alla luce dell’analisi economica del diritto, in R. DE LUCA TAMAJO (a cura di), I processi di esternalizzazione. Opportuni- tà e vincoli giuridici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002, pag. 219.

32 L. MENGHINI, L’attuale nozione di ramo d’azienda, in LG, n. 5, 2005, pag. 430; V. BAVARO, Il trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda, in P. CURZIO (a cura di), Lavoro e diritti. A tre anni dalla l. 30/2003, Cacucci, Bari, 2006, pag. 185 ss.; A. BOSCATI, La controversa qualificazione del ramo d’azienda tra preesistenza “quali- ficata” ed autonomia funzionale stabile già compiuta, in ADL, II, 2014, p. 458 ss.; C. CESTER, La fattispecie: la nozione di azienda, di ramo d’azienda, e di trasferimento fra norme interne e norme comunitarie, in QDLRI, 2004, p. 27 ss.; dello stesso Autore: Trasferimento d’azienda e rapporti di lavoro: la nuova disciplina, in LG, 2001, p. 505 ss.

33 G. ORLANDINI, Il diritto del lavoro..., op. cit., pag. 309; O. MAZZOTTA, Il mondo al di là dello specchio: la de- lega sul lavoro e gli incerti confini della liceità nei rapporti interpositori, in RIDL, 2003, pag. 265.

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1.2. Modelli di tutela dell’ordinamento italiano

Interrogandosi in particolare sulle reti contrattuali e sul loro rapporto con il diritto del la- voro, vengono in rilievo aspetti diversi, che attengono alla pluralità dei soggetti imprendi- toriali coinvolti ed ai rapporti che si costituiscono non solo da un punto di vista formale, ma sostanziale, tra tali soggetti e i lavoratori della rete. Al proposito ci si interroga sulla capacità del diritto del lavoro, come interpretato dalla giurisprudenza e integrato dalla contrattazione collettiva, di garantire una tutela adeguata ai lavoratori coinvolti in questo tipo di reti.

È stato notato, al proposito, come i modelli di tutela tipicamente adottati dal diritto del la- voro rispetto ai fenomeni reticolari risultino ormai inadeguati. Ci si riferisce, in particolare, alla tecnica basata sul divieto di dissociazione tra titolare del contratto e titolare dell’organizzazione produttiva34 e quella che sancisce l’insensibilità dei rapporti di lavoro alle vicende circolatorie dell’organizzazione produttiva. Rispetto alla prima, sono stati messi in luce gli incerti confini applicativi della tutela, causati dalla già evidenziata smate- rializzazione dell’impresa35, e l’assenza, per alcune ipotesi, di un regime di solidarietà tra interposto ed interponente36. Con riferimento alla disciplina sul trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda, invece, si è osservato come il cambiamento del rapporto tra i diversi fattori produttivi abbia stravolto gli equilibri interni al contesto economico ed imprendito- riale, privando di effettività una tutela che era stata elaborata con riferimento all’impresa fordista37. Nella prospettiva dell’esternalizzazione, la sintesi di interessi operata dalla norma tenderebbe a perdersi: l’interesse dell’impresa non incontrerebbe più (o tendereb- be a non incontrare) l’interesse deli lavoratori nei processi di esternalizzazione38. Ciò in quanto l’organizzazione produttiva si rivelerebbe ormai inadeguata alla garanzia di de- terminati livelli di stabilità economica. Non solo, lo stesso concetto di organizzazione, nella sua evoluzione come nel confronto con la nozione comunitaria, ha acquistato contorni in- certi, dando all’interprete l’impressione “di aver a che fare con elementi sfuggenti, che si dissolvono, come bolle di sapone, nello spiegarsi delle molteplici attività imprenditoriali”39. È stato tuttavia osservato come la moltiplicazione dei centri di imputazione, nei limiti della responsabilità patrimoniale solidale prevista nelle ipotesi di appalto, sarebbe invece anco- ra idonea a garantire l’effettività della tutela “quale che sia il punto della filiera degli appalti

34 Secondo l’interpretazione data da Corazza. L. CORAZZA, «Contractual integration» e..., op. cit., pag. 35; in senso contrario Carinci: secondo l’Autrice, in accordo con la dottrina maggioritaria, il divieto riguarderebbe invece la dissociazione tra datore di lavoro formale e sostanziale. M.T. CARINCI, L’unicità del datore di lavoro – quale parte del contratto di lavoro, creditore della prestazione e titolare di tutte le posizioni di diritto, potere, obbligo ad esso connesse – è regola generale nell’ordinamento giuslavoristico, in ADL, 2007, pag. 1022.

35 L. CORAZZA, «Contractual integration» e..., op. cit., pag. 35.

36 Con riferimento all’esclusione della responsabilità solidale in presenza di appalto illecito e riconduzione del rapporto all’effettivo utilizzatore della prestazione si è parlato di incoerenza, se non di paradosso. F. NA- TALINI, Il regime di solidarietà negli appalti, in A. PERULLI, L. FIORILLO (diretto da), La riforma del mercato del lavoro, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 511.

37 L. CORAZZA, ult. op. cit., pag. 55.

38 A. PERULLI, Tecniche di tutela nei fenomeni..., op. cit., pag. 477.

39 L. CORAZZA, ult. op. cit., pag. 60.

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in cui si colloca l’impresa o il datore di lavoro da cui dipende il singolo lavoratore40”. Si è per altro verso messo in evidenza come lo stesso regime di responsabilità solidale resti inadat- to per agire sulle organizzazioni reticolari in termini preventivi. La mancanza di meccani- smi di esonero dalla responsabilità solidale non incentiverebbe infatti l’impresa ad un ap- profondito controllo preventivo né promuoverebbe lo sviluppo di una buona imprendito- rialità41. La sola presenza di rimedi risarcitori spinge, infatti, a valutazioni imperniate sul confronto costi-benefici, basate dunque sulla pura monetizzazione del rischio.

Anche sposando lo schema di tutela della responsabilità solidale, resterebbe comunque scoperto tutto il settore degli strumenti contrattuali con funzione analoga all’appalto, quali la subfornitura e il franchising. Pur essendo ugualmente utilizzati negli attuali fenomeni re- ticolari, a tali contratti continua a non potersi applicare alcuna tutela in termini di garanzia del credito lavorativo, dando così adito ad un’impressione di insufficienza del sistema di tutele del lavoratore42.

A fronte di tale impressione, la ricerca di nuove soluzioni regolative e di tutela ha visto na- scere un filone di ricerca incentrato sulla la figura del datore di lavoro43. Quest’ultimo è al

40 L. IMBERTI, Le responsabilità solidali negli appalti e nei subappalti: stato dell’arte, profili critici e proposte di riforma, in LG, 2011, p. 28 ss.

41 L. IMBERTI, ult. op. cit. pag. 32.

42 È stata rilevata la singolarità di una tale scelta del legislatore. Non solo l’appalto costituisce soltanto una delle forme possibili di coordinamento, ma non è neanche contraddistinto dalla necessità di un coordina- mento stringente tra le organizzazioni produttive di committente e appaltatore. I. ALVINO, Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici, Giuffrè, Milano, 2014, pag. 50.

43 Tra i molti, ad esempio: L. CORAZZA, Reti di imprese e nozione di datore di lavoro, in Scritti per la costituzio- ne del dipartimento giuridico dell’Università del Molise, Campobasso, Agr, 2013, p. 249 ss.; E. RAIMONDI E., Il datore di lavoro nei gruppi imprenditoriali, in DLRI, 2010, p. 581 ss.; V. SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, Working Paper C. S. “Massimo D’Antona”, n. 94, 2010, p. 1 ss.; F. BORGOGELLI, Inter- vento, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 484 ss.; M.T. CARINCI, Unicità o duplicazione, unificazio- ne o scissione del datore di lavoro a fronte dei processi di riorganizzazione dell’impresa, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 307 ss.; C. CESTER, Intervento, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 424 ss.; N.

DE MARINIS, Dedicato al datore di lavoro: una metafora del revisionismo nel diritto del lavoro, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 476 ss.; M. ESPOSITO, Le basi della “codatorialità”: un dialogo tra discipline ed ordinamenti, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso na- zionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 418 ss.; A. GARILLI, Intervento, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 458 ss.; C. LA MACCHIA, Intervento, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 465 ss.; S. MAINARDI, Intervento, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasforma- zioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 480 ss.; F. MARTEL- LONI, La funzione costitutiva delle relazioni di potere rispetto ai soggetti del rapporto di lavoro, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 440 ss.; G. NATULLO, Brevi note su datore di lavoro e obbligo di sicurezza, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 411 ss.; C. PISANI, L’utilizzazione cumulativa del lavoratore con più datori di lavoro, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso na- zionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 324 ss.; V. PINTO, Intervento, in Aa. Vv., La fi- gura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Ca- tania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 406 ss.; L. RATTI, Rapporti triangolari di lavoro nel Regno Unito e prospettiva pluridatoriale, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazio- nale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 449 ss.; O. RAZZOLINI, Elevato grado di integra-

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centro di numerose riflessioni e contributi che hanno tentato di analizzarne e ridefinirne i confini, allo scopo di adattare il diritto alle nuove forme del reale, in equilibrio tra esigenze dell’impresa e tutela della persona. Il punto di caduta di tale riflessione, iniziata in tempi piuttosto remoti con riferimento al fenomeno dei gruppi di imprese, è stata l’elaborazione della teoria delle codatorialità e il suo (pseudo) recepimento da parte del legislatore.

Si è detto, dunque, di come in riposta all’esigenza imprenditoriale di organizzarsi in forme reticolari e più competitive e all’impressione di inadeguatezza, in tal senso, dei tradizionali istituti lavoristici abbia dato luogo a diversi interventi normativi. Allo stesso tempo, l’emersione di nuove (e vecchie) esigenze garantistiche nell’ambito di forme reticolari sempre più spinte e frammentate, ha portato all’enucleazione ed alla valutazione dei vari modelli approntati dall’ordinamento per la tutela dei lavoratori. Che lo si guardi da una prospettiva o da un’altra, adottando lo sguardo dell’impresa o quello del lavoratore, per- mane una sorta di insoddisfazione nei confronti della regolazione giuslavoristica delle complessità reticolari.

Senza naturalmente aspirare a trovare risposte o soluzioni generali ed innovative, si è tro- vato al proposito interessante un dibattito statunitense per molti versi analogo a quello italiano sulle reti di imprese, ma, per alcuni versi, foriero di alcune idee interessanti. Tale dibattito si è sviluppato con riferimento alle reti di franchising ed è stato improntato alla ricerca di un equilibrio tra tutela del lavoratore, aderenza alle economic realities, interessi dei soggetti imprenditoriali e, complessivamente, del sistema paese.

1.3. Franchising e diritto del lavoro

Il contratto di franchising è in continua crescita, sia in termini di fatturato che di occupa- zione. Esso si diffonde in maniera crescente non solo in Italia44 ed Europa, ma anche ol- treoceano. Si tratta dunque di un fenomeno di importanza economica e sociale notevole45.

zione contrattuale e azionaria fra imprese e “codatorialità”: una chiave di lettura alla luce della giurisprudenza in materia di gruppi di imprese, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 434 ss.; R. ROMEI, Intervento, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Milano, 2010, p. 472 ss.; L. ZOPPOLI, Intervento, in Aa. Vv., La figura del datore di lavoro articolazioni e trasformazioni. Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro di Catania, Giuffrè, Mila- no, 2010, p. 467 ss.

43 F. BASENGHI, Decentramento collettivo e autonomia organizzativa, in Aa. Vv., Frammentazione organizzati- va e lavoro: rapporti individuali e collettivi. Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro cassino, 18-19 maggio 2017, Giuffrè, Milano, 2018, pag. 35.

44 Le insegne operative in Italia al 2016 erano 950 (+0,3%), per un giro di affari di 23, 930 miliardi (+2,7%) di euro e per un numero di addetti pari a 195.303 (+3,9%). “La rilevazione di 950 reti deriva dalle 947 della rilevazione precedente meno 44 che hanno dismesso il franchising, 27 irrintracciabili, 7 che hanno cessato l’attività, 3 fallite, 12 uscite dalla nota metodologica, alle quali vanno aggiunte, 67 nuove reti a partire dalla se- conda metà del 2015 e nel 2016 e 29 reti che per la prima volta rientrano nella soglia minima di 3 punti vendita tra diretti e franchising”. Rapporto Assofranchising Italia 2016, Strutture, Tendenze e Scenari. A cure di Asso- franchising in collaborazione con l’Osservatorio Permanente sul Franchising.

45 In considerazione della tipologia e della dimensione dei soggetti imprenditoriali che comunemente coin- volge, esso costituisce anche un ambito privilegiato per la diffusione di buone pratiche e di soluzioni innova- tive. Ciò non solo in termini di tutela dei lavoratori e sostenibilità, ma anche di Corporate Social Responsabili- ty. Questo tipo di reti contrattuali è stato ad esempio occasione di sperimentazione per alcuni accordi collet- tivi contenenti misure di welfare aziendale. La solidità economica che caratterizza il leader della filiera, infat- ti, fa sì che in tali realtà vi sia più know how specifico sul tema del welfare, nonché più risorse da impiegare

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Ai sensi dell’art. 1, l. n. 129 del 2004, si tratta di quel “contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprie- tà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distri- buiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”. La stipulazio- ne di tale contratto fa sì che il franchisee affiliato entri a far parte della rete dell’affiliante franchisor, impegnandosi a condividerne le politiche commerciali. Ai fini di tale ingresso il franchisee paga un certo corrispettivo che gli consente di utilizzare i marchi e di iniziare ad usufruire del know how e della consulenza tecnica fornita dal franchisor. Segue il pagamen- to di un canone periodico (royalties) o di una percentuale sui prodotti.

Il lavoro nel franchising è stato già considerato nella letteratura italiana, non in maniera specifica, ma quale uno degli esempi nell’ambito delle ricerche sulle reti, sia in riferimento alle tendenze generali che le riguardano (esternalizzazione, outsourcing, contractual inte- gration) sia con riguardo agli strumenti utilizzati per costituirle (contratto di appalto, con- tratti di rete, gruppi di imprese, affitto di ramo d’azienda, …)46. In effetti, i problemi regola- tivi sorti in relazione al lavoro nelle reti di franchising, non divergono molto da quelli ri- scontrabili in tutte le altre reti contrattuali di tipo gerarchico. Essi riguardano soprattutto le interferenze tra i soggetti imprenditoriali implicati nella rete, la distribuzione dei poteri ed i riflessi di tale frammentazione sui lavoratori. Il livello di integrazione tra franchisor e franchisee è problematico in considerazione soprattutto degli alti livelli di integrazione che può raggiungere. A valle della stipulazione contrattuale, il coordinamento tra i due soggetti imprenditoriali è infatti garantito dalle direttive del franchisor, che possono riguardare particolari anche molto specifici dell’organizzazione e del lavoro. Le istruzioni impartite possono concernere infatti sia aspetti strutturali della filiale, sia aspetti inerenti alla ge- stione dell’attività, compresi quelli riguardanti la formazione e la selezione del personale.

Tali direttive sono fortemente condizionanti rispetto all’organizzazione dell’imprenditore e generano livelli di integrazione spesso molto elevati, che possono superare, in alcuni casi, quelli intercorrenti tra una società ed un suo autonomo stabilimento distaccato.

In prospettiva giuslavoristica ci si è dunque chiesti come si potesse inquadrare un rappor- to di questo tipo, in cui l’impresa affiliante esercita poteri coincidenti a quelli tipicamente esercitati dal datore di lavoro nei confronti dei dipendenti del franchisee.

A rendere più pressanti tali interrogativi sono intervenute le innovazioni digitali e tecno- logiche, che hanno inciso sulle modalità di svolgimento delle attività lavorative all’interno delle reti e sulle modalità di relazione tra gli stessi franchisors e franchisees. Si pensi

nella sperimentazione di questo tipo di misure. Un caso particolarmente significativo in tal senso è rappre- sentato dal modello Eataly, realtà di successo dal punto di vista commerciale ed esempio di relazioni sindaca- li positive e collaborative.

46 La contraddizione tra importanza economica e sociale del fenomeno e la scarsità di contributi specifici al riguardo si presenta ed è evidenziata anche a livello internazionale, fenomeno attribuito alla sostanziale mul- tidisciplinarietà dell’argomento e ad una letteratura fortemente dicotomizzata tra “American and non- American sources”. F. HOY, J. STANWORT, Franchising: an international perspective, in F. Hoy, J. Stanworth (edited by), Routledge, London and New York, 2003, pag. 2. Il presente contributo si prefigge anche, quale obiettivo laterale, quello di contribuire a colmare quest’ultima lacuna.

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all’utilizzo di software forniti dal franchisor per l’organizzazione del lavoro del franchisee, dove in alcuni casi è consentito un controllo costante e contestuale da parte del franchisor, o software tramite i quali quest’ultimo può anche comunicare delle direttive o segnalare necessità o malfunzionamenti.

Il tema dell’integrazione tra imprese è stato affrontato dalla giurisprudenza giuslavoristica e dalla dottrina nell’ambito degli studi sui gruppi di impresa, sugli istituti di utilizzazione e acquisizione indiretta del lavoro, nonché nell’ambito delle teorie sulla codatorialità, quali teorie interpretative elaborate a scopi remediali. Molte di queste riflessioni hanno preso le mosse da una prospettiva patologica, che interpretava questi fenomeni reticolari quali prassi sostanzialmente illegittime, tese all’elusione delle norme giuslavoristiche ed al ri- sparmio.

La giurisprudenza, in particolare, ha elaborato una serie di indici al fine di individuare le situazioni di frammentazione di tipo patologico. Essa ha elaborato netti criteri di demarca- zione e separazione tra il consentito e il non consentito, prevedendo, nel secondo caso, l’assimilazione dei lavoratori interni alla rete a quelli dipendenti dall’impresa leader. Ana- logamente la dottrina, nel commentare le sentenze, è andata oltre, proponendo alcune in- terpretazioni evolutive delle norme, dirette ad ampliare la citata assimilazione, anche oltre i limiti del rapporto di controllo come tecnicamente definito dal diritto commerciale. Suc- cessivamente, è intervenuto anche il legislatore, che però sostanzialmente ha evitato di prendere posizione, limitandosi ad introdurre la codatorialità solo per alcuni tipi di rete (contratto di rete) ed associandovi una regolazione – più che scarna – quasi inesistente.

Ciò ha dato luogo, in letteratura, ad un vivace dibattito, che ha visto la proposizione di nu- merose teorie interpretative.

1.4. Il dibattito sul franchising negli Stati Uniti

Con riferimento alle suddette problematiche l’interesse per il sistema statunitense si moti- va per la presenza, in quest’ultimo, di alcune recenti novità. In particolare una decisione del National Labor Relations Board (NLRB)47, che si occupava di valutare la presenza di joint employment standard nell’ambito di una rete di imprese, ha inciso su un indirizzo più che consolidato, modificando il joint employment standard sino ad allora utilizzato. Ciò ha riacceso il dibattito e messo in discussione i principi vigenti in materia di joint employment.

Più specificamente il NLRB si è dimostrato aperto al dibattito nel frattempo formatosi, an- che in giurisprudenza48, sul cambiamento intervenuto nelle organizzazioni reticolari di impresa e sui nuovi equilibri di potere economico e decisionale. Nel caso in questione, il Browning-Ferris Industries of California, è stata ampliata notevolmente la nozione di joint employment nei limiti ed ai soli fini previsti da una importante fonte federale, il National Labor Relations Act, il quale prevede una serie di diritti legali all’attività ed alla rappresen- tanza sindacale.

47 Browning-Ferris Indus. of Calif., Inc., 362 N.L.R.B. N. 186, Aug. 27, 2015.

48 Già precedentemente uno dei membri del Board aveva espresso la propria preoccupazione nei confronti di uno standard di valutazione antiquato, affermando, a proposito del caso allora in discussione, che “the cur- rent case law is inconsistent with economic realities and that as a matter of public policy, the Board should re- vert to its earlier standards” Airborne Transp. Co., 338 N.L.R.B., 2002, 599.

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L’ampliamento del joint employment standard ha fatto che sì che negli Stati Uniti molti ab- biano intravisto l’impatto che tale modifica avrebbe avuto nel settore del franchising, sino ad allora rimasto sostanzialmente escluso da pronunce dichiarative di joint employment.

La considerazione degli avvenimenti e delle argomentazioni sollevate in ambito statuni- tense induce ad interrogarsi sulla utilità e la praticabilità di una soluzione normativa che da quel sistema prenda spunto. Da un sistema, cioè, in cui il joint employment è definito ed interpretato diversamente nell’ambito ed ai fini di ogni singola disciplina. Tale scelta era già stata presa in considerazione dalla teoria cosiddetta funzionale. Si vorrebbe riflettere tuttavia ulteriormente riflettere sull’opportunità di adottare un’impostazione astrattamen- te mediana con riferimento specifico alle reti contrattuali gerarchiche, indipendentemente dal contratto commerciale utilizzato. Prese in esame le criticità insite nei modelli di tutela sino ad ora utilizzati, si ipotizza un ampliamento della nozione di codatorialità ai soli fini dell’esercizio dei diritti sindacali ed in particolare, dell’ampliamento del tavolo negoziale ai soggetti economicamente predominanti.

In particolare, a fronte delle letture italiane, focalizzate sulla netta dicotomia del lecito e non lecito (in altre parole, sulla natura patologia o meno della rete), vista l’assenza di una analisi compiuta con riferimento specifico al lavoro all’interno delle reti di franchising, ci si propone di approfondire soluzioni regolative che si concentrino sulla distribuzione delle tutele (di alcune), più che sulla netta demarcazione tra lecito e illecito. Tutto ciò partendo dal riconoscimento dell’utilità del franchising quale contratto e modalità organizzativa, non solo delle imprese, ma anche del lavoro che vi si svolge. In tal senso il ruolo del sinda- cato pare da valorizzare in quanto il suo ruolo può esprimersi anche in una fase preventi- vo-regolativa49, non necessariamente conflittuale50 e, soprattutto, quale soggetto idoneo a proporre e portare avanti un dialogo attento alla normativa, alle dinamiche reali del con- trollo economico e decisionale, capace di cogliere gli interessi collettivi emergenti nelle

49 Non va dimenticata, al proposito, la natura sui generis del contratto collettivo come fonte. L’inclusione del contratto collettivo nel novero delle fonti del diritto è un tema da sempre studiato e discusso. Il problema de- riva in gran parte dalla mancata attuazione dell’art. 39 della Costituzione, in conseguenza della quale il con- tratto collettivo, nonostante il rinvio operato da alcune norme ordinarie e alcune prassi giurisprudenziali, resta privo di efficacia erga omnes. Vi è chi ne ha sostenuto la natura, almeno astrattamente e in maniera problematica, di fonte del diritto (M. RUSCIANO, Contratti collettivi e autonomia sindacale, Utet, Torino, 2003, 254 ss.; G. SANTORO PASSARELLI, Diritto Sindacale, Laterza, Bari, 2007, pag. 118 e 123 ss. ), chi quale fonte comunque produttiva di norme rilevanti anche nell’ordinamento giuridico dello Stato (E. GHERA, Il contratto collettivo tra natura negoziale e di fonte normativa, in RIDL, 2, 2012, pag. 195). In tal senso si è evidenziato molto efficacemente che il contratto collettivo è un “ibrido, che ha il corpo del contratto e l'anima della legge”

F. CARNELUTTI, Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro, Cedam, 1930, 116 ss. Tuttavia gran parte della dottrina e della giurisprudenza hanno negato la natura di fonte del diritto oggettivo mancando una norma che ne riconosca la qualità formale (tra i molti: G. GIUGNI, Diritto Sindacale, Cacucci, 2011, 129 ss.).

50 Si consideri che, tradizionalmente, nei confronti dei processi di disarticolazione aziendale le rappresentan- ze sindacali, così come dottrina e giurisprudenza, hanno adottato un atteggiamento di ostilità che ha influen- zato non solo le dinamiche di confronto sindacale, ma anche i contenuti stessi della contrattazione. Solo suc- cessivamente il sindacato ha ammorbidito la propria posizione acquisendo “la consapevolezza dell'opportuni- tà di predisporre, sul versante contrattuale collettivo, meccanismi di governo del decentramento produttivo”. F.

LUNARDON, Contrattazione collettiva e governo del decentramento produttivo, in RIDL, 2, 2004, p. 213 ss.

Quest’ultimo può svolgersi a livello orizzontale (sul piano dei rapporti tra imprenditori) o a livello verticale (relativo alle ricadute sui lavoratori delle vicende organizzative). Su entrambi i piani si svolgerà l’analisi rela- tiva al franchising.

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singole particolari forme reticolari ed efficacemente mediare tra istanze di tutela e valoriz- zazione delle potenzialità funzionali della rete.

È evidente che la comparazione sul diritto vivente dei due paesi, Italia51 e Stati Uniti, non può prescindere dalla considerazione delle loro più che rilevanti differenze, a partire dal fatto che il secondo si basa su un sistema di Common law52. Non solo, molto diversa è an- che la normativa sul lavoro, la regolazione della contrattazione collettiva, la tradizione dei soggetti sindacali e della loro attività53. Certo, il fatto che il riferimento di confronto, ossia il dibattito sul contratto di franchising, si riferisca ad una normativa di diritto commerciale sostanzialmente analoga, si pone a vantaggio per un confronto non solo più agevole, ma anche e soprattutto più significativo. Non vanno d’altronde preterite tutte le criticità insite nel metodo comparativo, emerse già ai tempi della sua prima elaborazione ed utilizzo54.

51 Si intende precisare che, per ragioni di efficienza di analisi, si è scelto di limitare il campo alla normativa italiana, escludendo dunque la dimensione internazionale ed europea, la cui inclusione imporrebbe ben di- verse considerazioni sia quanto all’uso della terminologia e delle definizioni (si pensi alla differenza tra di- stacco di cui al d.lgs. 276/2003 e quello transnazionale), nonché sul piano della incidenza e compatibilità con diritti e libertà fondamentali sanciti nelle fonti europee.

52 Il sistema giuridico di Common Law si è sviluppato dopo la conquista normanna dell’Inghilterra, quando i conquistatori riconobbero quale diritto il corpus consuetudinario di consuetudini locali che aveva fino ad al- lora regolato i rapporti di famiglia, i rapporti contrattuali e la proprietà. I giudici applicavano già da secoli, anche nelle colonie, un corpo di regole giurisprudenziali che si era formato attraverso l’evoluzione dei pre- cedenti giurisprudenziali. Questi ultimi, nel diritto moderno, devono essere rispettati dai giudici nelle cause successive (principio dello stare decisis) e sono affiancati da una ingente produzione legislativa. U. MATTEI, I sistemi di Common Law, Giappichelli, Torino, 2014; A. TORRE, Common law, Maggioli editore, Rimini, 2015.

53 Il sistema di relazioni industriali italiano e quello statunitense sono profondamente diversi, quanto a cul- tura, struttura e storia. Parallelamente e di conseguenza, anche il ruolo del contratto collettivo ed la posizio- ne che riveste in relazione alle fonti del diritto è molto diverso. Si avrà modo di approfondire tali aspetti nel prosieguo. Si anticipa già che negli Stati Uniti è assente la contrattazione nazionale di categoria, né vi è alcuna garanzia intra-settoriale di salari o condizioni contrattuali comuni. I trattamenti retributivi e normativi di- pendono da una contrattazione che avviene, senza alcun vincolo dettato dall’alto, a livello del singolo datore di lavoro (c.d. single-employer) e che dipende dall’equilibrio di poteri (quello datoriale e quello del sindacato) che si presenta a livello aziendale. Ciò non significa che anche la rappresentanza sindacale si innesti unica- mente a livello locale. Già all’epoca di Roosvelt, il quale credeva nella necessità di un contrappeso alla forza del big business nel mondo del lavoro, la legislazione sindacale degli anni ’30 spianò la strada del sindacali- smo americano consentendo la nascita dei grandi sindacati industriali americani. Dopo un primo periodo di sviluppo della contrattazione, la crisi degli anni ’70 mise in difficoltà il modello di organizzazione e contrat- tazione sindacale, aprendo il periodo del c.d. give back datoriale. Trattamenti contrattuali e rappresentanza sindacale subirono da allora un forte declino. La rappresentanza sindacale, infatti, si riduceva “alla vigilia del- la crisi del 2008, al 12% della forza lavoro complessiva, e al 7% nel settore privato. Come dire che più di nove lavoratori su dieci sono privi di una voce collettiva e di potere di contrattazione nelle imprese americane”. A.

LETTIERI, Diseguaglianza, conflitto sociale e sindacati in America, in Moneta e Credito, vol. 65, n. 258, 2012, pag. 119. S. BOLOGNA, La contrattazione collettiva negli Stati Uniti dal Wagner Act ai giorni nostri, in RIDL, 3, 2016, p. 421 ss. S. D. HARRIS, A. M LOFASO, J. E. SLATER, Modern Labor law in the Private and Public Sectors, Carolina Academic Press, Durham, 2013; J. G. RYBACK, A History of American Labor, Free Press, 1959. Si con- sideri inoltre che nel sistema statunitense l’equilibrio nei rapporti di forza è sbilanciato a favore delle impre- se anche per le minori tutele all’attività sindacale, alla quale il datore di lavoro può rispondere con il licen- ziamento at will (anche in costanza di sciopero) e le serrate.

54 Note sono le problematiche emerse, fin dalle sue origini, sull’utilizzo del metodo comparativo. Si tratta in primo luogo, nei termini di Kahn-Freund, del rischio che la comparazione, utilizzata nella convinzione che

“rules or institutions are transplatable”, si trasformi in un “abuse informed by a legalistic spirit which ignores this context of the law”, infatti “any attempt to use a pattern of law outside the environment of its origin conti- nues to entail the risk of rejection”. O. KAHN-FREUND, Uses and misues of comparative law, in The Modern Law Review, vol. 37, n. 1, Jan. 1974, pag. 27. Da cui sono è stata dedotta la necessaria complementarietà tra com- parative law e la comparative sociology of law, in quanto “All comparative research involves the search for so- cial, cultural and other similarities and differeces”. D. NELKEN, Comparative Sociology of Law, lawandsocie- tyen.wordpress.com/2012/03/05/comparative-sociology-of-law/, 2012. In altri termini, “The Achilles heel of

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L’intento non è certo quello di isolare un singolo elemento, una ricetta, per poi trapiantarlo in un ordinamento così profondamente diverso, quanto quello di cogliere, all’interno della diversità stessa, qualche elemento di spunto per cercare di vedere i soliti e noti problemi con un occhio arricchito dalla contemplazione di un qualche landscape inconsueto o, per chi più tiene alla contemporaneità, di un nuovo skyline.

system comparison is its tendency to epistemically break loose from the legal systems from which the legal solu- tion models under comparison come” M. ADAMS, D. HEIRBAUT, Prolegomena to the Method and Culture of Comparative Law, in The method and culture of comparative law. Essays in honour of Mark Van Hoecke, M. A.

ADAMS, D. HEIRBAUT (edited by), Hart Publishing, Oxford and Portland, Oregon, 2014, p. 5 ss. In senso ana- logo, tra i molti, anche: M. ADAMS, J. GRIFFITHS, Against “Comparative Method”: Explaining Similarities and Differences, in M. ADAMS, J. GRIFFITHS (edited by), Practice and Theory in Comparative Law, Cambridge Uni- veristy Press, Cambridge, 2012, p. 8 ss. Nello stesso senso Reimann, secondo il quale i rischi della metodolo- gia possono essere evitati solo approfondendo la conoscenza e comprensione delle operazioni logiche insite nello “act of comparing”. M. REIMANN, The progress and Failure of Comparative Law in the Second Half of the Twentieth Century, in American Journal of Comparative Law, 50, 2002, p. 690 ss.

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