1. I ntroduzIone
1.1. Scopo dello studio
Il presente studio si inserisce in una serie di ricerche preparatorie volte a fornire infor- mazioni di base per la redazione del Piano di gestione della Riserva naturale di Camaldoli.
Al fine di avere un quadro completo della si- tuazione sono in corso di realizzazione studi specifici in vari settori (micologia, flora e
vegetazione, geologia, fauna, entomologia, ecc.).
Trattandosi però di una Riserva quasi esclu- sivamente costituita da ecosistemi forestali, si è ritenuto necessario procedere anche ad una ricognizione delle caratteristiche delle forma- zioni forestali presenti. Come sarà illustrato al paragrafo 1.2., la foresta è stata oggetto da molti secoli ad una gestione attiva da parte dell’uomo. Solo negli ultimi decenni si sono in-
– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments 67 (4): 317-328, 2012 © 2012 Accademia Italiana di Scienze Forestali doi: 10.4129/ifm.2012.4.01
Il lavoro è inserito nelle ricerche preparatorie alla realizzazione del Piano di Gestione della Riserva naturale biogenetica di Camaldoli. Si illustrano i risultati di una indagine campionaria effettuata per aggiornare le informazioni sui parametri dendrometrici dei soprassuoli forestali che coprono il 98%
della Riserva. L’indagine è stata condotta su 82 aree di saggio di 12 m di raggio, nelle quali sono stati misurati e/o calcolati i principali parametri dendrometrici (diametro, altezza, volume, densità, incremento medio, ecc.). Contemporaneamente, sulle stesse aree è stato effettuato un rilievo relascopico su cluster per verificarne l’attendibilità in una eventuale continuazione delle indagini con metodi più speditivi. Sono stati rilevati anche dati inerenti la necromassa presente, con un valore medio di 22,95 m
3ha
-1e un rapporto percentuale di 3,71 rispetto al volume legnoso vivo per ettaro. Sono risultate in media 673 piante vive/ha, con 48,35 m
2ha
-1di area basimetrica media e con un volume di 614,76 m
3ha
-1. L’abete bianco e il faggio contribuiscono ad oltre l’81% di questo volume.
Parole chiave: riserve biogenetiche; piano di gestione; rilievi dendrometrici.
Key words: biogenetic reserves; management plan; dendrometric measurements.
Citazione – B ottaccI a., P adula M., r adIcchI S., G raSSo e., 2012 – Rilievi dendrometrici preparatori al Piano di gestione della Riserva naturale biogenetica di Camaldoli. L’Italia Forestale e Montana, 67 (4): 317-328. http://dx.doi.org/10.4129/ifm.2012.4.01
ALESSANDRO BOTTACCI (*) (°) - MATTEO PADULA (**) - STEFANO RADICCHI (***) EMIDIO GRASSO (***)
RILIEVI DENDROMETRICI PREPARATORI AL PIANO DI GESTIONE DELLA RISERVA NATURALE BIOGENETICA DI CAMALDOLI
(*) Capo dell’Ufficio per la Biodiversità, Ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato, Via G. Carducci 5, Roma;
a.bottacci@corpoforestale.it
(**) Corpo forestale dello Stato, Ufficio territoriale per la Biodiversità di Pratovecchio, Via D. Alighieri 41, 52015 Pratovecchio (AR); utb.pratovecchio@corpoforestale.it
(***) Corpo forestale dello Stato, Posto fisso UTB di Camaldoli, Via Camaldoli 21 52010 Camaldoli, Poppi (AR);
pf.camaldoli@corpoforestale.it
(°) Autore corrispondente.
terrotti gli interventi di coltivazione ed utilizza- zione e si è intrapreso un cammino di gestione conservativa, con la finalità di raggiungere per via naturale strutture più evolute e complesse.
In conseguenza di questo, non si sono mi- surati e calcolati i descrittori dendrometrici (area basimetrica, volume, incremento, ecc.) con lo scopo di valutare una possibile ripresa o come guida per gli interventi selvicolturali, ma come indice dello stato della foresta e per valutare, anche se sommariamente, gli effetti di una scelta gestionale conservativa.
1.2. Area oggetto dello studio
La Riserva naturale biogenetica di Camal- doli si trova sul versante meridionale dell’Ap- pennino Tosco-romagnolo, in Comune di Poppi, Provincia di Arezzo.
Si estende per 1.103,69 ha, dalla quota di 770 m s.l.m. (bivio Serravalle) fino a quota 1.397 m s.l.m. (Poggio Tre Confini). Occupa tutto l’alto bacino del Fosso di Camaldoli, affluente dell’Archiano, a sua volta affluente di sinistra dell’Arno. Il substrato geologico prevalente è costituito dalla formazione sedi- mentaria del Macigno del M. Falterona, carat- terizzata dall’alternanza di banchi di arenaria compatta e strati di scisti argillosi.
La Foresta di Camaldoli rappresenta uno dei complessi boscati italiani di più antica ge- stione. Quando, nel 1012, vi si insediarono per la prima volta i monaci benedettini seguaci della riforma di San Romualdo, l’intero terri- torio faceva parte di proprietà feudali ed era utilizzato prevalentemente come area di caccia e, in parte, come pascolo estivo. I monaci svi- lupparono, col passare dei secoli, una attività selvicolturale “scientifica” che venne normata da una serie di disposizioni riunite in quello che prende il nome di “Codice forestale camaldo- lese” (B ottaccI , 2012).
I monaci trasformarono una parte dei bo- schi naturali di faggio e cerro in pascoli, casta- gneti da frutto e, soprattutto, fustaie di abete bianco. Una parte delle originarie faggete fu infine destinata alla produzione di legna da ardere e per legname da opera di piccole di- mensioni.
La coltivazione dell’abete bianco seguì gli stessi indirizzi del vicino Monastero di Val- lombrosa, costituendo piccoli popolamenti coetanei utilizzati a taglio raso. Nonostante l’importanza data alla coltivazione dell’abete bianco, non possiamo dimenticare che l’at- tività principale svolta nella foresta fu l’al- levamento del bestiame, tanto che alla metà dell’ottocento ben 530 ha erano privi di co- pertura forestale e destinati a pascoli e colture agrarie.
Nel 1866, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi, il Monastero, l’Eremo e la foresta di Camaldoli divennero proprietà dello Stato italiano. Nel 1871 la foresta fu dichiarata inalienabile e affidata alla gestione dell’Amministrazione forestale. Da questa data in poi si assiste ad un aumento notevole della superficie forestale ed in particolare di quella riferibile alla compresa “abetina”; con- temporaneamente si ha la drastica riduzione delle superfici non forestali, che passano da 530 ha nel 1866 a 56 ha nel 1907. Tale ten- denza sarà ulteriormente stimolata dalla legge 535/1901 sulle stazioni climatiche che vieterà l’effettuazione dei tagli rasi.
La gestione di tipo prudenziale della fore- sta avrà come effetto anche un graduale au- mento delle provvigioni, nonostante i grossi interventi effettuati dalla Ditta Feltrinelli per i tagli di guerra nel 1917 e dalle truppe tedesche e inglesi durante la seconda guerra mondiale.
La foresta di Camaldoli è stata soggetta ad una lunga attività pianificatoria a partire dal 1925.
Il primo piano di assestamento fu redatto da Di Tella, per il periodo 1925-1934, con metodo planimetrico-particellare (d I t ella , 1928). Questo piano prevedeva, tra l’altro la diffusione dell’abete (da gestire con turno di 100 anni) in sostituzione delle latifoglie, in particolare del faggio. Per la faggeta fu scelto il trattamento a tagli successivi uniformi.
Il secondo piano fu redatto da c lauSer
(1951), con la supervisione di Patrone, per il
periodo 1951-1960. Per l’abetina le prescri-
zioni rimasero pressoché invariate, compreso
il turno fissato in 100 anni. La gran parte della
faggeta fu destinata a fustaia o a bosco misto di faggio e abete.
Nel 1965 il terzo piano fu elaborato da M eSchInI (1965) per il periodo 1965-1974.
Anche in questo caso le prescrizioni per l’a- betina rimasero invariate (taglio raso con rin- novazione artificiale posticipata e turno di 100 anni); l’unica novità fu il tentativo di affian- care alla rinnovazione artificiale quella natu- rale, con l’introduzione di piccoli gruppi di latifoglie (faggio, ontano, aceri, frassino, sorbo degli uccellatori, ecc.). Per quanto riguarda la faggeta si mantenne il trattamento a tagli suc- cessivi uniformi.
L’ultimo piano è stato quello redatto da P a -
GanuccI (1983), valido per il periodo 1980- 1994. Le prescrizioni per l’abetina furono quelle di una graduale trasformazione verso un bosco misto col faggio, per mezzo di forti tagli di rinnovazione nelle particelle più vec- chie. Indicazioni simili furono date anche per la faggeta, prescrivendo il taglio di quasi tutti gli esemplari appartenenti alle classi cronologiche più vecchie (40-60 anni e 60-80 anni). Il piano individuava solo cinque comprese: abetina, fag- geta, ceduo misto, castagneto da frutto e prati e pascoli. Per una serie di eventi, alla luce dei fatti, provvidenziali, tali prescrizioni sono state attuate solo in minima parte, permettendo alla foresta di evolvere naturalmente verso una struttura più complessa, quale quella attuale.
Allo scadere del piano non si è proceduto subito ad un suo rinnovo e solo da pochi anni l’Ufficio territoriale per la Biodiversità di Pra- tovecchio ha dato l’avvio alla redazione di un nuovo Piano di gestione, anche attraverso una serie di studi preparatori (M artInellI e Q uIl -
GhInI , 2004; B IanchI et al., 2005a; B IanchI et al., 2005b; B alzanI et al., 2006).
Il piano dovrà tenere conto anche di alcuni fatti nuovi. Il primo è l’inserimento della Ri- serva nella Rete Natura 2000 con due aree SIC (IT5170003 Monte Faggiolo - Giogo Seccheta¸ IT5170018 Foresta di Camaldoli e Badia Prataglia) e con una ZPS (IT5170004 Camaldoli, Scodella, Campigna, Badia Pra- taglia). Il secondo l’approvazione del Piano del Parco nazionale delle Foreste casentinesi,
Monte Falterona e Campigna che ha previsto la costituzione di un’area monumentale nelle abetine della Riserva che circondano l’Eremo di Camaldoli. Su questa area è richiesto il mantenimento della fustaia pura e coetanea di abete bianco. Tale prescrizione propone al pianificatore una interessante sfida per assicu- rare il mantenimento delle struttura storica- mente e paesaggisticamente importante, senza però ricorrere al tradizionale taglio a raso con rinnovazione artificiale posticipata, intervento che esula completamente dagli indirizzi gene- rali di gestione della Riserva stessa.
2. M aterIalI e MetodI
2.1. Reticolo di campionamento
Per la stima del volume legnoso presente nella Riserva, tenendo conto anche delle li- mitate risorse economiche a disposizione, si è fatto ricorso ad un indagine campionaria.
Per la scelta del reticolo di campionamento si sono seguite le indicazioni di K urt (1987) che consiglia una maglia triangolare, ritenen- dola più idonea ai boschi di montagna con elevate pendenze del terreno.
Per mezzo della stazione GIS presente presso l’UTB si è sovrapposto alla carta fore- stale della Riserva un reticolo a maglia trian- golare di 100 m di lato (Figura 1). Si sono così individuati 1.341 punti di inserzione che sono stati numerati in ordine progressivo. Per ogni punto, sempre per mezzo del GIS, sono state determinate le coordinate nominali secondo il sistema Gauss-Boaga.
2.2. Intensità di campionamento. Indagine pilota Per determinare l’intensità di campiona- mento è stata eseguita un’indagine pilota.
Sono stati estratti a sorte 20 punti individuati
poi sul terreno per mezzo di un GPS palmare
Garmin map 76 CSX. In ciascun punto sono
stati fatti i rilievi su un’area di saggio come
descritto successivamente. Basandosi sul pa-
rametro “area basimetrica” si è proceduto al
calcolo del coefficiente di variazione (CV) che
è risultato pari a 0,5.
Successivamente si è valutato il numero di aree campione, per un errore percentuale mas- simo tollerato (ecp 0 ) del 10%, inserendo il CV calcolato nella seguente formula:
N = (100 * t * CV / ecp 0 )² dove:
N = numero aree di saggio;
t = t di Student (=1,729 per df = 19 e p = 0,05);
CV = coefficiente di variazione = s/m;
s = scarto quadratico medio dell’area basime- trica per ettaro media delle 20 aree;
m = area basimetrica per ettaro media delle 20 aree di saggio;
ecp 0 = errore percentuale massimo tollerato (=
10%).
Figura 1 – Mappa della Riserva naturale biogenetica di Camaldoli con sovrapposto il reticolo
di campionamento ed i punti di rilievo di prima e seconda fase.
L’utilizzo della formula sopra riportata ha permesso di determinare in 82 il numero di aree di saggio necessarie per avere risultati con l’attendibilità richiesta, tali cioè da poter essere applicati all’intero soprassuolo della Ri- serva.
Solo successivamente, ed a scopo puramente indicativo, si è proceduto ad un’analisi stra- tificata dei dati, assegnando ciascuna area di saggio ad uno delle seguenti tipologie di so- prassuolo: abetina, faggeta, bosco misto di abete bianco e faggio, altre latifoglie (casta- gneti, querceti di roverella e cerro, carpirete), altre conifere (pinete di pino nero, pino laricio e pino silvestre, fustaie di douglasia). Sull’in- sieme delle aree di saggio ricadenti in ciascun strato si è proceduto al calcolo dell’errore sta- tistico per valutare il grado di attendibilità dei risultati ottenuti.
2.3. Area campione
In corrispondenza del punto è stato fissato il centro di un’area campione di forma circolare con 12 m di raggio (superficie = 452,16 m
2).
Per ogni area campione sono state determinate le coordinate reali con GPS, come media di almeno 100 misurazioni. Partendo dalla pianta più vicina al centro in direzione N e procedendo verso la periferia ed in senso orario, sono stati rilevati i seguenti parametri:
– Specie.
– Diametro a petto d’uomo (d 1,30 ) di tutti i fusti vivi, con soglia diametrica minima ≥ 7,5 cm (media di due misure ortogonali tra loro).
– Altezza (H). L’altezza è stata misurata con Ipsometro Vertex su 1 pianta ogni 5 cavallettate.
– Altezza dominante (Hd). Con lo stesso strumento sono state misurate le altezze delle 4 piante di diametro maggiore per ogni area campione.
Le altezze sono state utilizzate per la costruzione di curve ipsometriche per specie o gruppi di specie al fine di procedere alla cubatura delle singole piante per mezzo di tavole a doppia entrata.
Per la cubatura delle aree campione sono state utilizzate le stesse tavole impiegate nei
precedenti Piani di assestamento della Foresta di Camaldoli, questo al fine di favorire anche il confronto tra piani successivi. Per quanto riguarda i querceti, per i quali non vi erano tavole già utilizzate e locali, si è fatto ricorso alla tavola generale elaborata per l’Inventario forestale nazionale.
Per la cubatura dei soprassuoli sono state impiegate le Tavole generali di cubatura realizzate per l’Inventario forestale nazionale (IFNI, 1985).
Trattandosi di popolamenti sostanzialmente coetanei per particella, l’età media ponderata (Emp) è stata determinata basandosi sull’età e sulla superficie di tutte le particelle assegnate allo strato considerato, ricavate dal precedente Piano di Assestamento (P aGanuccI , 1983) e dal Registro particellare conservato presso l’UTB di Pratovecchio.
L’incremento medio (Im), totale e per strato, è stato calcolato come rapporto tra il volume (totale e dello strato) e l’età media ponderata.
Inoltre sono stati calcolati l’età media pon- derata per strato e per l’intera foresta, l’in- cremento medio di massa per strato e l’in- cremento medio ponderato di massa (Imp).
Quale fattore di ponderazione è stata utilizzata la superficie occupata da ogni strato. L’incre- mento è stato calcolato come illustrato sopra, in quanto i dati volumetrici dell’ultimo piano, desunti per calcolo e non per cavallettamento totale, e l’allibramento delle utilizzazioni non hanno permesso di confrontare i dati.
Allo scopo di stimare il volume del legno morto (necromassa) presente nella Riserva, per ogni area campione sono stati applicati i criteri dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio (t aBacchI et al., 2006) con alcune modifiche, come riportato di seguito:
– Necromassa in piedi (sdt). Sono stati misurati tutti i tronchi in piedi con H >
1,30 m e d 1,30 ≥ 7,5 cm. Di ciascun tronco
sono stati misurati il d 1,30 e l’altezza. Per la
determinazione del volume si è seguito il
metodo proposto all’interno del progetto
ForestBIOTA (Forest Biodiversity Test-
phase Assessment, www.forestbiota.org): gli
alberi interi sono stati cubati con le stesse
tavole utilizzate per gli alberi vivi; il volume di quelli stroncati ad altezze superiori ai 4 m è stato stimato applicando al volume delle tavole un fattore di riduzione in funzione anche del volume di fusti simili atterrati;
per gli alberi in piedi stroncati ad altezza uguale o inferiore ai 4 m, il volume è stato stimato applicando la formula di Huber.
– Per quanto riguarda il volume di altri pezzi di necromassa, ogni pezzo inventariato è stimato mediante la formula di Huber, mentre il volume di ogni ceppaia inventariato nelle sottoaree è stimato dalla formula di Smalian.
– Necromassa a terra (cwd). Tutte le porzioni di legno a terra con il diametro ≥ 7,5 cm sono state cubate con la formula della sezione mediana di Huber.
– Ceppaie (stumps). Sono state assegnate a questo gruppo tutte le ceppaie di H < 1,30 m. Per la stima del volume è stata applicata la forma della sezione media di Smalian.
Sono stati rilevati anche gli stadi di decomposizione del legno morto, secondo la classificazione proposta da h unter (1990), attribuendo ciascuna porzione di legno morto ad una delle cinque classi previste, sulla base della stima visiva (colore, presenza di corpi fruttiferi, di insetti, rosure, corteccia, ecc.) e tattile (consistenza del materiale) (t aBacchI
et al., 2006).
2.4. Rilievo relascopico
Contemporaneamente ai rilievi tradizionali, in ogni area di saggio sono state fatte 5 aree re- lascopiche, utilizzando il relascopio a specchi di Bitterlich; tenendo conto delle caratteristi- che del soprassuolo, si è impiegata la banda del 2. Le aree relascopiche sono state distri- buite su un cluster formato da un area centrale coincidente con il punto centrale dell’area campione e 4 aree individuate lungo gli assi dei punti cardinali con punto di stazione di- stante 10 m dal centro dell’area campione. I risultati delle 5 misurazioni sono stati mediati.
Si è infine proceduto al confronto dei risultati dell’area campione “tradizionale” e delle aree relascopiche sul cluster, anche in prospettiva di intensificare i rilievi utilizzando
un metodo di facile applicabilità e a costi relativamente bassi.
3. r ISultatI e dIScuSSIone
3.1. Analisi dei rilievi sulle 82 aree di saggio Mediando i valori dei parametri misurati nelle 82 aree campione si sono ottenuti i valori riportati in Tabella 1.
Il numero delle piante vive per ettaro è risultato pari a 673, valore relativamente alto anche in rapporto all’età media dei popolamenti della Riserva che è di 84 anni.
Questo valore è da collegarsi sia alla diffusione di specie sciafile che alla gestione di tipo conservativo, cui è stata soggetta la foresta ormai da alcuni decenni, con la quasi totale sospensione dei tagli intercalari.
Abete bianco e faggio sono le specie numericamente più presenti, rispettivamente con il 39,08% ed il 37,15%, come ci si sarebbe aspettato in considerazione del tipo di soprassuolo prevalente (fustaia di faggio e fustaia di abete bianco più o meno mista a faggio).
L’area basimetrica per ettaro media (G), calcolata sulle 82 aree, è pari a 48,35 m
2ha
-1e indica una foresta in buone condizioni di accrescimento. A questa area basimetrica l’abete bianco contribuisce per il 56,15%
mentre la quota percentuale dovuta al faggio è del 24,27%. La maggiore differenza tra le due principali specie riguardo all’area basimetrica in confronto alla differenza nel numero di esemplari è certamente dovuta alle maggiori dimensioni diametriche medie delle abetine, ormai non più soggette al taglio raso da molti anni, mentre una buona parte dei popolamenti di faggio risente ancora di pregressi interventi di utilizzazione, sia col governo a ceduo che col trattamento a tagli successivi delle fustaie.
Particolarmente interessante è il confronto dei valori di area basimetrica ottenuti col cavallettamento totale delle aree di saggio con quelli ottenuti con i rilievi relascopici.
Come già segnalato, col primo metodo si è
misurata una G = 48,35 m
2ha
-1(e = 6,34%)
col metodo relascopico si è stimata una G =
50,35 m
2ha
-1(e = 4,57%). I due risultati sono pertanto simili e ugualmente attendibili. In tal modo in futuro sarà possibile procedere con ulteriori rilievi relascopici sui punti della rete di campionamento, con costi sensibilmente più bassi.
A questa area basimetrica corrisponde un volume medio di 614,76 m
3ha
-1. Tale volume, dovuto per il 58,53% all’abete bianco e per il 22,96% al faggio, può apparire basso, tenuto conto dell’età media dei popolamenti; occorre però considerare alcuni fattori che influiscono su questo dato. In primo luogo si deve tenere conto della presenza di aree a minor densità o di veri e propri gaps, dovuti a sradicamenti e stroncamenti, a loro volta legati alla moria dell’abete bianco (Tannensterben), fenomeno che oggi è poco diffuso ma che negli anni ’80 ha inciso molto sulla vitalità e sulla stabilità delle particelle di abetina (c lauSer e G ellInI , 1986; B ottaccI et al., 1988). In secondo luogo è da considerare la presenza di popolamenti di cerro e di faggio utilizzati, fino a pochi anni fa, con diradamenti e avviamenti a fustaia, per la fornitura di legna da ardere ai monaci e alle
strutture dell’Amministrazione. Sul volume incidono, infine, gli incrementi minori delle particelle di crinale, prevalentemente di faggio e, in parte, di abete bianco.
3.2. Analisi dei rilievi applicati all’intera foresta e per strati
Basandosi sui dati ottenuti nelle aree di saggio è stata effettuata una analisi per l’intera foresta e disaggregata per tipo di soprassuolo, individuando i seguenti strati: fustaia pura di abete bianco, fustaia pura di faggio, fustaia mista di abete bianco e faggio, fustaia di latifoglie varie (cerro, castagno, acero di monte, ecc.), fustaia di conifere varie (douglasia, pino nero, pino silvestre).
In Tabella 2 sono riportati i valori dei principali parametri analizzati per tipo di soprassuolo e sull’intera superficie della Riserva.
L’errore statistico percentuale, calcolato per G e per V, è rimasto, per tutti i tipi di sopras- suolo, entro limiti tollerabili (e ≤ 20%), ec- cettuato per lo strato fustaia di conifere varie, dove si sono avuti errori rispettivamente pari
Tabella 1 – Valori medi di alcuni parametri dendrometrici rilevati nelle 82 aree campione cavallettate, distribuiti per specie.
Specie N N% G G% V V%
(m
2ha
-1) (m
3ha
-1)
Abete bianco 263 39,08 27,15 56,15 359,83 58,53
Pino nero 20 2,97 1,62 3,35 20,41 3,22
Abete rosso 3 0,45 0,86 1,77 11,54 3,32
Douglasia 1 0,15 1,23 2,54 19,81 1,88
Altre conifere 1 0,15 0,12 0,24 1,44 0,23
Totale conifere 288 42,79 30,99 64,08 413,03 67,19
Faggio 250 37,15 11,74 24,27 141,14 22,96
Cerro 41 6,09 2,35 4,86 26,13 4,25
Acero di monte 26 3,86 1,39 2,86 15,40 2,50
Castagno 10 1,49 0,58 1,2 6,18 1,00
Altre latifoglie 58 8,62 1,31 2,7 12,89 2,10
Totale latifoglie 385 57,21 17,36 35,92 201,73 32,81
TOTALE 673 100,00 48,35 100,00 614,76 100,00
Legenda:
N = numero di piante ad ettaro.
G = area basimetrica ad ettaro.
V = volume ad ettaro.
a 43,92 % (per G) e 71,10% (per V). I valori ottenuti per quest’ultimo strato sono quindi assolutamente privi di significatività statistica.
I 5 tipi di soprassuolo considerati coprono 1.086,38 ha, pari al 98,43% della superficie totale della Riserva di Camaldoli.
Lo strato fustaia di abete bianco presenta le densità più basse (571 piante /ha) ed il diametro medio più alto (36 cm), questo è da collegare all’età dei popolamenti e ai già accennati fenomeni di deperimento dell’Abete bianco che determinano la morte di numerosi esemplari.
Per quanto riguarda l’area basimetrica per ettaro, i valori più alti si trovano nella fustaia pura di abete bianco (58,17 m
2ha
-1) e nella fustaia mista di abete bianco e faggio (45,97 m
2ha
-1).
La vitalità dei popolamenti è anche evidenziata dal volume ad ettaro, a sua volta legato all’altezza, al diametro medio e alla densità. Grazie alle altezze medie superiori rispetto agli altri tipi di soprassuolo (Tabella 3), la fustaia pura di abete bianco presenta un volume medio pari a 775,22 m
3h
-1, al quale
Tabella 2 – Principali parametri rilevati nelle aree di saggio distribuiti nei 5 tipi di soprassuolo considerati.
Tipo di soprassuolo Sup. ADS N/ha Dm G e% V e% Emp Imp
(strato) (ha) (n) cm (m
2ha
-1) (m
3ha
-1) (anni) (m
3ha
-1a
-1) Fustaia pura
di abete bianco 515,02 34 571 36,00 58,17 6,24 775,22 7,86 87 8,91 Fustaia pura
di faggio 255,57 20 759 25,97 39,27 15,60 479,27 16,75 84 5,71
Fustaia mista di
abete bianco e faggio 167,28 16 751 27,06 45,97 12,39 561,13 15,07 89 6,30 Fustaia di latifoglie
varie 111,18 9 750 22,44 31,73 11,73 331,37 18,20 62 5,34
Fustaia di conifere
varie 37,34 3 619 31,51 58,06 43,92 835,72 71,10 75 11,14
Totali e medie 1.086,39 82 673 30,16 49,14 6,48 629,29 8,26 84 7,49
Legenda:
Sup. = superficie occupata dallo strato (rilievi 2010).
ADS = numero delle aree di saggio.
N/ha = densità (numero di piante ad ettaro).
Dm = diametro medio.
G = area basimetrica ad ettaro misurata col cavallettamento totale dell’area di saggio.
e% = errore percentuale (p=0,10).
Emp = età media ponderata.
Imp = incremento medio ponderato.
Tabella 3 – Altezza media e altezza dominante dei vari tipi di soprassuolo e dell’intera foresta (valori ponderati sulla superficie dei tipi di soprassuolo).
Tipo di soprassuolo Hm Hd
(m) (m) Fustaia pura di abete bianco 25,20 29,23 Fustaia pura di faggio 18,58 22,62 Fustaia mista di abete bianco e faggio 20,38 25,83 Fustaia di latifoglie varie 16,79 21,28 Fustaia di conifere varie 25,75 30,01 Tutta la foresta 21,95 26,28
corrisponde un incremento medio di massa
principale di 8,91 m
3h
-1anno
-1. I valori
mostrano come l’abetina, nonostante nel
corso degli anni si siano presentati eventi
negativi (sradicamenti da neve e vento, effetti
del Tannensterben, attacchi parassitari, ecc.),
presenti ancora una buona vitalità. I valori
più bassi di volume e di incremento medio,
rilevati negli strati di fustaia mista di abete
bianco e faggio (561,13 m
3h
-1; 6,3 m
3h
-1anno
-1)
e di fustaia pura di faggio (479,27 m
3ha
-1; 5,71
m
3ha
-1anno
-1), evidenziano la presenza di
popolamenti giovani e utilizzati fino a pochi
anni or sono, come è confermato anche dal registro particellare conservato presso l’UTB di Pratovecchio. Occorre evidenziare anche che nello strato fustaia mista di abete bianco e faggio vi è una diffusa presenza di gruppi di faggi giovani derivati dalle sottopiantagioni, una pratica iniziata nei primi anni settanta ed ancora impiegata con ottimi risultati, sia dal punto di vista dei costi che dal punto di vista del successo dell’impianto (B ottaccI e c lauSer , 2004).
3.3. Analisi del volume di legno morto (necromassa)
I dati riassuntivi sono riportati in Tabella 4.
Il volume di legno morto ad ettaro è risultato molto variabile tra i vari tipi di soprassuolo. Il valore medio per l’intera foresta (22,95 m
3ha
-1