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Le trasmissioni televisive nel diritto comunitario tra libera servizi e libertà di manifestazione del pensiero

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Academic year: 2021

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DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO

Le trasmissioni televisive nel diritto comunitario tra libera servizi e libertà di manifestazione del pensiero

Tutor: Chiar.mo Prof. Nicola Lupo

Co-Tutor: Chiar.mo Prof. Giuseppe Di Gaspare

A.A. 2009/2010

DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO XXII CICLO

Le trasmissioni televisive nel diritto comunitario tra libera prestazione dei

servizi e libertà di manifestazione del pensiero

Riassunto tesi di dottorato Marcello Dolores

Tutor: Chiar.mo Prof. Nicola Lupo

Tutor: Chiar.mo Prof. Giuseppe Di Gaspare

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DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO

Le trasmissioni televisive nel diritto comunitario tra libera

servizi e libertà di manifestazione del pensiero

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Il presente lavoro di tesi è un lavoro di ricostruzione e riflessione sull’attuale quadro normativo comunitario di regolamentazione delle attività di trasmissione televisiva.

L’analisi qui presentata, si pone inoltre l’obiettivo di individuare, all’interno del citato quadro regolamentare, i nodi problematici che ancora caratterizzano la disciplina di settore, accentuati peraltro dalla recente normativa introdotta con la direttiva 2007/65/CE – Servizi Media Audiovisivi.

Il dato storico dal quale si è partiti è consistito nella constatazione della rapida evoluzione tecnologica e dei processi di internazionalizzazione dell’economia che hanno impresso una rapida accelerazione in termini di sviluppo della fornitura di servizi con mezzi multimediali e digitali. In particolare, in relazione alle attività di trasmissione televisiva, lo sviluppo del cavo, prima, e della televisione via satellite dopo, hanno messo a disposizione di operatori e cittadini una molteplicità di strumenti che hanno creato una vera e propria dimensione comunitaria del mercato delle trasmissioni televisive.

Ciò si è tradotto in un accrescimento della prestazione di trasmissioni televisive in una dimensione transfrontaliera, con strutture di mercato aventi sempre più un carattere convergente tra i diversi mezzi di diffusione e che hanno reso ormai disponibile agli utenti/consumatori una molteplicità di trasmissioni televisive (anche destinate al proprio territorio, in termini di composizioni di palinsesto, lingua dei programmi, pubblicità) provenienti dall’intero territorio dell’Unione europea e non dal solo Stato membro nel quale gli stessi risiedono, fruibili ed accessibili a costi contenuti.

Quanto suesposto rappresenta un primo approdo al quale si è giunti con il presente lavoro. L’analisi fattuale è però inevitabilmente seguita dalla constatazione di come il quadro regolamentare e normativo in grado di organizzare in maniera coerente le nuove strutture del mercato debba avere necessariamente una dimensione comunitaria. Tale elemento però, e in ciò consiste un assunto fondamentale e presupposto dell’intera ricerca, non è solo conseguenza diretta della struttura di mercato, ma è un dato che emerge come necessario per i caratteri intrinseci che caratterizzano le trasmissioni televisive transfrontaliere.

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Le trasmissioni televisive transfrontaliere sono state infatti considerate un’attività in grado di avere un ruolo decisivo per favorire lo sviluppo dell’integrazione europea e della tutela della stessa identità culturale europea.

L’attività di trasmissione televisiva rappresenta cioè una forma di esercizio del diritto alla manifestazione del pensiero, in una dimensione, appunto, comunitaria e volta cioè alla diffusione si strumenti di integrazione e di una identità culturale europea.

Già a partire dalla Convenzione sulla Televisione Transfrontaliera del 1985, per poi proseguire con la Direttiva 89/552 – “Televisione senza frontiere”, il legislatore comunitario ha affermato chiaramente come l’attività di trasmissione televisiva non possa essere ridotta soltanto alla circolazione dei servizi e contestuale creazione di un mercato comune.

Sulla base di tale acquisizione del legislatore comunitario si è proceduto con una valutazione della regolamentazione delle trasmissioni nel diritto comunitario, e soprattutto se le odierne regole possano essere considerate non solo in un’ottica di mercato comune e di libera prestazione di servizi, ma se siano regole in grado di costruire uno scenario per la piena esplicazione della libertà di manifestazione del pensiero in una dimensione in grado di compiutamente costruire quello che è stato definito il <<paesaggio audiovisivo europeo>>. Se dunque le trasmissioni televisive portano con sé un quid pluris rispetto alla moltitudine di altri servizi, da tale dato non si potrà prescindere ed in tale ottica l’osservatore dovrà valutare la coerenza ed efficacia della normativa comunitaria attuale.

Su questa base e con questi obiettivi di analisi, si è dunque in primo luogo (Capitolo I) analizzato quali sono state le prime qualificazioni che dell’attività di trasmissione televisiva sono state date dalla giurisprudenza comunitaria. Le sentenze pregiudiziali sui casi Sacchi (1974) e Debauve (1979) hanno inquadrato le trasmissioni televisive come servizi per il diritto comunitario, che a quel tempo era il solo diritto del TCE, articoli 59 e 60.

Da tali primi spunti della giurisprudenza, prese successivamente corpo una più ampia volontà di regolamentazione ed armonizzazione da parte delle istituzioni comunitarie, che produsse come primo risultato il Libro Bianco sulla Televisione

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senza Frontiere, adottato dalla Commissione nel 1984, ed al quale seguì la sentenza Bond Van Adverteerders (1988) che fissava alcuni ulteriori elementi volti a sancire la definitiva riconducibilità delle trasmissioni televisive nell’alveo dei servizi (quale ad esempio la circostanza per cui anche le ipotesi in cui non si fosse instaurato un rapporto giuridico diretto tra utente ed emittente andavano considerate come fornitura di servizi), ma al tempo stesso facevano emergere i primi elementi alla luce dei quali si sarebbe affermato il non esaurirsi delle trasmissioni televisive alla sola dimensione dei servizi.

Ciò avrebbe condotto il legislatore comunitario, da lì a qualche anno, alla definitiva affermazione, con l’adozione della Direttiva 89/552 Televisione senza Frontiere, del duplice profilo delle trasmissioni televisive; servizio del mercato comune ma al tempo stesso << una specifica manifestazione, nel diritto comunitario, del principio più generale della libertà di espressione>> (considerando 8 della Direttiva).

Successivamente, si è dunque cercato di ricostruire l’insieme di meccanismi che il sistema comunitario ha utilizzato per favorire la circolazione transfrontaliera dei servizi in generale, e ciò al fine di valutare quale tra questi rappresenti il migliore strumento giuridico in grado di supportare appunto la circolazione transfrontaliera delle trasmissioni televisive.

Il risultato cui sì e giunti ha mostrato come in settori chiave della libera prestazione dei servizi a livello comunitario, seppur con alcune varianti, il principio del Paese di origine ha rappresentato la migliore soluzione normativa. Questo infatti è in grado di favorire la circolazione dei servizi a livello comunitario, garantendo al prestatore dei servizi l’applicazione della sola legge del Paese in cui lo stesso è stabilito.

In particolare, si è poi condotta un’analisi comparata delle normative applicabili ed in vigore in settori tra loro diversi, quali quello dei servizi finanziari, del commercio elettronico o la recente direttiva in materia di servizi in generale. Tale disamina ha reso evidente come l’applicazione del principio del Paese di origine sia stata considerata fondamentale dal legislatore comunitario per l’attuazione della libera prestazione dei servizi, in particolare in quei settori economici caratterizzati da

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una forte componente di digitalizzazione nella stessa fornitura. Come atteso, si è rilevato che lo stesso principio ha avuto declinazioni anche differenti tra di loro, in particolare in relazione alla legislazione applicabile ed ai poteri di intervento più o meno ampi che sono stati riconosciuti alle autorità del Paese di destinazione del servizio.

Ulteriore elemento di analisi è stato il parziale superamento che dello stesso principio del Paese di origine è avvenuto con la direttiva 2006/123. Pur tuttavia si è evidenziato come tale revisione del principio è passata attraverso due fattori; un primo è quello legato ad una funzione di armonizzazione solo parziale delle direttive, mentre un secondo è rappresentato dal timore del cosiddetto dumping sociale, ovvero il timore di una fuga dei prestatori verso Stati membri con regimi normativi e regolamentari meno rigorosi.

Su questa base, si è conclusa l’analisi relativa alla libertà di prestazione di servizi con la verifica del dettato della direttiva Televisione senza Frontiere 89/552 e della sua attuazione del principio del Paese di origine. Orbene, in tal senso si è verificato come la direttiva Televisione senza Frontiere si è posta sulla scia di un’applicazione integrale del principio, prevedendo un insieme di limitazioni dello stesso che potevano essere consentite, solo in alcune fattispecie e nel rispetto di alcune condizioni. Di contro, l’applicazione di norme più rigorose o dettagliate da parte del Paese di destinazione del servizio sarebbe avvenuta solo nei confronti degli operatori stabiliti negli Stati membri che imponevano appunto le norme più rigorose.

Ciononostante, la Direttiva Televisione senza Frontiere, ha optato per una regolamentazione “minima” del settore, che si è mostrata come un’efficace disciplina

“interna” del settore delle trasmissioni televisive (quote europee, limiti e regole in materia di pubblicità, tutela degli spettatori minorenni) che però ha evidenziato nella sua applicazione la mancanza di chiari principi regolamentari in relazione alla disciplina “esterna” delle trasmissioni televisive, ovvero di regole e principi che potessero garantire un’effettiva circolazione delle trasmissioni televisive.

Come sopra accennato, infatti, ci si trova ormai di fronte ad uno scenario in continua e rapidissima evoluzione, fortemente orientato all’integrazione tra le diverse

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tecnologie ed all’acquisizione di una dimensione comunitaria che la regolamentazione prevista dalla Direttiva 89/552, non si è mostrata in grado di meglio tutelare.

Il tentativo di raggiungere coerenza ed unitarietà della regolamentazione delle trasmissioni televisive su base comunitaria, è stato compiuto con la recente Direttiva 65/2007 Servizi Media Audiovisivi; una disciplina che, in esito all’analisi svolta, ha mostrato in materia di legge applicabile al fornitore dei servizi, potere residuale degli Stati membri, principio del Paese d’origine e deroghe allo stesso, profili di problematica compatibilità con il diritto comunitario.

Proprio intorno a tale nuova disciplina, che è stata attuata dagli Stati membri entro il 19 dicembre 2009, è stata soffermata l’attenzione per valutare la possibile effettiva instaurazione di un mercato delle trasmissioni televisive e per comprendere se queste rappresentino lo strumento idoneo all’esplicazione tramite le stesse della libertà di manifestazione del pensiero e circolazione delle idee in una dimensione transfrontaliera e comunitaria.

Nel Capitolo III si è infatti visto come la nuova direttiva, con il nuovo articolo 3, riconosca ai singoli Stati membri la facoltà non solo di introdurre norme più rigorose nei confronti degli operatori stabiliti nel proprio territorio e sottoposti alla sua giurisdizione, ma consenta agli Stati di ricezione di chiedere l’applicazione ed il rispetto delle stesse norme alle emittenti transfrontaliere per il solo fatto della destinazione delle trasmissioni ad un altro Stato membro.

In forza di tale meccanismo, e sulla base di una collaborazione tra le autorità di diversi Stati membri, si potrebbe concretamente arrivare nel prossimo futuro a prevedere la possibilità che un’emittente televisiva che voglia esercitare la propria attività su base comunitaria debba adempiere agli obblighi imposti da tutte le normative nazionali.

In una maniera piuttosto ambigua, cioè, il legislatore comunitario, da un lato ha introdotto e rafforzato una normativa di sostanziale armonizzazione e self executing in molti suoi aspetti, dall’altro lato e contemporaneamente ha ampliato a dismisura il potere di introdurre norme più rigorose, con il solo limite di un controllo ex post della Commissione europea.

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Ne derivano dunque un’ambivalenza ed una problematicità che impongono all’interprete una riflessione su tale complesso normativo; l’Unione europea, con l’ormai definitiva approvazione del Trattato di Lisbona, si appresta a configurarsi come una comunità non solo di diritto, ma come un ordinamento avente caratteri costituzionalistici.

E d’altronde l’Unione europea fa ormai sempre più riferimento ad un insieme di diritti e valori che costituiscono il sostrato giuridico della stessa; non è un caso infatti il contestuale riferimento, nella nuova formulazione del Trattato sull’Unione europea, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, alla CEDU ed alle tradizioni costituzionali comuni.

Al tempo stesso il nuovo Trattato di Lisbona recepisce in maniera diretta il dettato delle Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, la quale riconosce espressamente all’articolo 11 la libertà di espressione e d'informazione come diritto che <<include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera>> ed al tempo stesso la <<la libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati>>. Tale insieme di norme crea dunque un quadro di principi e diritti che dovrebbero informare la regolamentazione comunitaria nel settore delle comunicazioni in generale e dei media in particolare.

In conclusione, dunque, nel valutare l’attuale normativa comunitaria come prevista dalla direttiva 2007/65 si è avuto modo di constatare che le modifiche introdotte al principio del Paese di origine e la formulazione dello stesso contenuta nella direttiva, vengono di fatto a limitare la libera circolazione transfrontaliera delle trasmissioni televisive e con essa la libertà di manifestazione del pensiero.

Si ritiene che l’obiettivo suesposto sarebbe raggiungibile attraverso il recupero dell’applicazione integrale del principio del Paese di origine, i cui presupposti sarebbero peraltro presenti, alla luce della sostanziale armonizzazione e del quadro tecnologico che supporterebbe questo tipo di applicazione. Probabilmente i futuri interventi della Corte di Giustizia potranno direttamente correggere la normativa

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comunitaria incidendo sul novero delle misure più rigorose introdotte dagli Stati membri e dunque sulle eccezioni allo stesso principio.

Ove così non fosse, il concreto rischio sarebbe rappresentato da una normativa comunitaria definitivamente sottoposta agli interessi degli Stati membri, e decisamente non in grado di garantire regole in grado di accompagnare il definitivo sviluppo di uno “spazio audiovisivo europeo”. Un risultato che sarebbe in stridente contrasto con la nuova dimensione di ordinamento giuridico che l’Unione europea si appresta a costruire.

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