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Patologia gastrointestinale non neoplastica C 39

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Academic year: 2022

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Patologia gastrointestinale non neoplastica

Teresa Cammarota, Stefania Romano, Antonino Sarno, Daniela Robotti, Paola Debani, Roberto Grassi

Nel normale processo di invecchiamento, il tubo digerente va incontro a diverse modi- ficazioni (riduzione della componente ghiandolare e linfatica, progressiva atrofia della mucosa, riduzione delle cellule ganglionari, ecc.), che non esprimono un vero e pro- prio stato patologico, ma che spiegano la sua maggiore vulnerabilità rispetto ai vari agenti patogeni.

La patologia gastrica, in particolare quella non neoplastica, si avvale ormai quasi esclusivamente della diagnostica endoscopica, che con le strumentazioni attualmente disponibili è in genere praticabile e ben tollerata in età geriatrica.

La patologia intestinale non neoplastica è rappresentata nell’anziano principalmente dalla malattia diverticolare e dalle sue complicanze e dall’ischemia e infarto.

Tra i disordini funzionali intestinali, è frequente che la stipsi, che nei paesi occiden- tali presenta una frequenza del 20-40% tra i 20 e i 40 anni, si raddoppi tra i 40 e i 60 anni e aumenti ancora in età più avanzata [1].

Il termine “stipsi” esprime tre diverse situazioni: 1) feci ridotte di quantità, dure e dif- ficili da eliminare; 2) numero delle evacuazioni ridotto; 3) sensazione di svuotamento incompleto (dischezia) dopo la defecazione.

Numerose sono le possibili cause di stipsi; nell’anziano le più importanti sono die- tetiche (scarso apporto di fibre e liquidi), motorie (riduzione della motilità intestinale per degenerazione dei plessi nervosi e per riduzione dell’attività fisica) e farmacologi- che (abuso di purganti e clisteri con conseguente stato spastico, irritativo del colon).

La diagnosi di stipsi è basata su anamnesi, esame obiettivo, esplorazione rettale, esame delle feci e studio del colon con clisma opaco e/o con endoscopia per l’indivi- duazione di eventuali cause organiche (diverticoli, megacolon, tumori).

Se questi esami risultano negativi, un ulteriore approfondimento diagnostico può esse- re rappresentato dallo studio radiologico dei tempi di transito intestinale (mediante inge- stione di dischetti di polietilene del diametro di 7 mm, individuabili con la radiografia diret- ta dell’addome), dalla manometria, dalla defecografia, dall’ecografia perineale/endoa- nale e dalla defeco-risonanza magnetica (RM) (vedi Cap. 43) [2-4].

Malattia diverticolare

I diverticoli, più frequenti nel colon e in particolare nel sigma, sono estroflessioni della mucosa che si formano per un duplice meccanismo: debolezza della parete intestinale e aumento della pressione endoluminale, per contrazioni isolate o vere segmentazioni, correlate alla scarsa presenza di fibre nella dieta.

La frequenza dei diverticoli aumenta con l’età, interessando più del 60% della popo-

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lazione con età superiore a 80 anni, con presenza di sintomi (stipsi, dolori addomina- li, sanguinamento) nel 10-20% dei soggetti.

Il clisma opaco può dimostrare uno stato pre-diverticolare, caratterizzato da ridot- ta distensibilità della parete intestinale e dalla presenza di “spicule” marginali.

In assenza di complicanza flogistica, i diverticoli, le cui dimensioni possono varia- re da qualche mm a 1,5 cm, appaiono di forma regolarmente rotondeggiante, vernicia- ti con il doppio contrasto.

La diverticolite si verifica nel 10-20% dei pazienti portatori di diverticolosi e si loca- lizza prevalentemente al sigma.

Il processo flogistico della mucosa determina facilmente la perforazione del diver- ticolo, con estensione dell’infiammazione al tessuto adiposo pericolico e al mesentere adiacente (peridiverticolite). Di solito il processo è localizzato, ma può anche esten- dersi con formazione di ascessi pericolici e di tragitti fistolosi con altri diverticoli e organi adiacenti; raramente si verifica la perforazione libera in cavità peritoneale.

In caso di diverticolite l’esame radiografico diretto dell’addome può dimostrare un quadro di subocclusione o occlusione o, più raramente, un pneumoperitoneo.

L’impiego degli esami contrastografici è controindicato nella fase acuta della diver- ticolite per l’alto rischio di perforazione.

La tomografia computerizzata (TC) è stata proposta come standard diagnostico della diverticolite acuta [5, 6], mentre altri autori [7, 8] sostengono che gli ultrasuoni pre- sentano accuratezza sovrapponibile a quella della TC nella definizione diagnostica delle diverticoliti.

Certamente entrambe le metodiche sono in grado di dimostrare l’ispessimento della parete intestinale e la presenza di ascessi pericolici (Figg. 1, 2), anche di modeste dimen- sioni, le raccolte pelviche più grossolane e i versamenti liberi; la TC multistrato, tutta- via, risulta più accurata nella dimostrazione di microperforazioni diverticolari, anche in assenza di formazioni ascessuali [9, 10].

Fig.1. Diverticolite.a Paziente di 78 anni con sintomatologia dolorosa alla fossa iliaca sinistra e irregolarità dell’alvo. L’ecografia dimostra modesto ispessimento parietale del sigma, con struttura ipoecogena della parete e con evidenza di numerose, piccole formazioni diverticolari a contenuto gassoso.

b Paziente di 70 anni con dolore e resistenza a livello del quadrante inferiore sinistro.Si rileva all’eco- grafia lieve ispessimento parietale del sigma, con evidenza di una grossolana formazione divertico- lare a pareti ispessite, senza segni di interessamento flogistico degli spazi peridiverticolari

a b

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Superata la fase acuta, anche in presenza di spasmi e dolori addominali associati a ostruzione intestinale è possibile condurre un clisma a doppio contrasto dopo inie- zione di agenti ipotonizzanti per documentare l’estensione del tratto interessato, valu- tare i tratti a monte del segmento coinvolto o porre diagnosi differenziale da proces- si neoplastici.

I reperti radiografici più caratteristici della diverticolite sono la riduzione di calibro del lume intestinale,“a fisarmonica”, di estensione maggiore rispetto alle neoplasie, le for- mazioni diverticolari deformate dagli esiti ascessuali, le pliche mucose ispessite e distorte, senza però aspetti di distruzione della mucosa tipici della patologia neoplastica.

In caso di perforazione, la diffusione extramurale del mezzo di contrasto (MDC) si può presentare come una raccolta in una cavità ascessuale o come un tramite fistoloso parallelo al margine intestinale o, oggi molto più raramente, come un tragitto fistolo- so comunicante con strutture adiacenti, come la vescica [11].

Anche se non peculiari dell’età geriatrica, meritano di essere ricordate anche le malattie infiammatorie croniche (IBD).

Infatti, anche se la malattia di Crohn insorge prevalentemente in età giovane-adul- ta (III-IV decade), sempre più frequentemente si osservano casi a esordio più tardivo che, nell’anziano, possono creare problemi di diagnosi differenziale con tumori e malat- tie di tipo ischemico.

L’indagine strumentale fondamentale nella diagnostica della malattia di Crohn è, oltre l’endoscopia, il clisma baritato del tenue, che dimostra il tipico aspetto “a selciato”

costituito dall’irregolare ispessimento delle pliche mucose, dall’iperplasia dei follicoli linfatici e dalle ulcere aftoidi e lineari.

Tuttavia l’ecografia (Fig. 3), che consente di valutare l’entità e l’estensione dell’i- spessimento della parete intestinale, trova ormai ampia applicazione nella malattia di Fig. 2. Diverticolite e peridiverticolite. Paziente di 64 anni con quadro clinico di addome acuto e pregressa diagnosi di diverticolosi del sigma. a L’ecografia dimostra la presenza di una “massa”

flogistica sopravescicale, con ispessimento della parete contigua della vescica per estensione della flogosi. La tomografia computerizzata (TC) conferma la diagnosi di diverticolite del sigma con peridiverticolite. b Altro caso di pseudotumor da peridiverticolite del sigma, con presenza di contenuto gassoso in vescica (per gentile concessione del Prof. Giovanni Gandini)

a b

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Crohn [11, 12]. L’assenza di invasività dell’ecografia la rende particolarmente vantag- giosa nei pazienti anziani, e infatti essa trova indicazione sia nell’iter diagnostico dei pazienti con iniziale sospetto di malattia, integrandosi con le altre metodiche di stu- dio, sia nel follow-up di pazienti con malattia nota sia infine nella ricerca delle com- plicanze (Fig. 4) e delle recidive.

Solo quando sia necessario un più accurato bilancio spaziale delle complicanze biso- gna ricorrere alla TC, che con l’ecografia è utilizzata come guida nel drenaggio delle raccolte [11].

La rettocolite ulcerosa (RCU), pur manifestandosi prevalentemente nella II, III e IV decade, presenta, come la malattia di Crohn, un’incidenza non trascurabile nella popo- lazione geriatrica; la sua prevalenza è ancora maggiore, anche perché i progressi tera- peutici hanno aumentato la sopravvivenza dei pazienti affetti da queste malattie.

La malattia inizia più spesso nel retto e ha una diffusione che tende a coinvolgere una parte o tutto il grosso intestino, con uno sviluppo più uniforme rispetto alla malattia di Crohn.

Fig. 3. Paziente di 73 anni con diagnosi accertata di malattia di Crohn in follow- up. L’ecografia dimostra l’ispessimento parietale dell’ileo, con discreta defini- zione della stratificazione e con evi- denza di multiple ulcere transmurali

Fig. 4. Paziente di 68 anni con diagno-

si accertata di malattia di Crohn, invia-

to all’esame ecografico per la compar-

sa di febbre e peritonismo. Si docu-

menta la presenza di tragitti fistolosi a

fondo cieco, sia sul versante superfi-

ciale che profondo (frecce), a partenza

dall’ansa ileale interessata dalla malat-

tia, con ispessimento del mesentere,

senza evidenza di raccolte ascessuali

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La diagnosi di RCU si basa soprattutto sull’esame endoscopico associato alla storia clinica. Solo raramente l’aspetto endoscopico risulta normale o atipico: in questo caso il clisma opaco può essere utile nell’inquadramento diagnostico, anche se il suo ruolo fondamentale è quello di valutare l’estensione e la gravità della malattia.

L’aspetto radiografico principale è rappresentato dall’irregolarità del disegno muco- so, che è interrotto dalle raccolte di bario e dalle nodulazioni dovute al processo ulce- rativo. Nelle fasi di quiescenza le irregolarità mucose scompaiono prevalendo l’atrofia, con aspetto liscio dei margini e assenza delle austre (Fig. 5).

La RCU può presentare complicanze locali e sistemiche. Le principali complicanze locali sono rappresentate dal megacolon tossico e dal carcinoma. Il megacolon tossi- co, che presenta un rilevante rischio di perforazione e nel quale è pertanto controin- dicata l’indagine contrastografica, è caratterizzato, all’esame radiografico diretto, dal- l’aspetto irregolare dei margini intestinali e dalla dilatazione del colon traverso fino a un diametro di 8-9 cm (calibro normale fino a 5 cm circa). La perforazione si manife- sta in un primo tempo con la presenza di gas in sede intramurale, poi con area libera intraperitoneale.

Fig. 5. Paziente di 75 anni con diagnosi di ret- tocolite ulcerosa (RCU) in remissione. Il clisma a doppio contrasto dimostra un aspetto tubu- liforme rigido del colon traverso e discenden- te e del sigma, con scomparsa pressoché tota- le delle austre; a livello del tratto medio-pros- simale del traverso si rileva la presenza di ste- nosi neoplastica

Il rischio di sviluppare una neoplasia, che generalmente si localizza prossimalmen- te alla flessura splenica (Fig. 5), è in rapporto alla durata della malattia, raggiungendo il 25% dopo i 25 anni.

Le complicanze sistemiche più frequenti della RCU sono le malattie epatobiliari:

processi pericolangitici, steatosi, epatite cronica attiva, cirrosi e anche colangite sclerosante e carcinoma primitivo delle vie biliari.

La malattia di Crohn e la RCU differiscono sia in riferimento alle complicanze che

alla prognosi, quindi è importante distinguerle accuratamente. Il clisma opaco a dop-

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pio contrasto presenta un’accuratezza del 95% in questa diagnosi differenziale quando le malattie sono in fase attiva, ma nettamente inferiore in fase di remissione.

Tra i principali criteri di differenziazione, depongono per la malattia di Crohn la localizzazione ileale e colica destra, la presenza di fistole, la discontinuità, l’asimmetria e l’asincronia delle lesioni [11].

Ischemia e infarto

Il danno intestinale da disordini della vascolarizzazione può colpire sia il piccolo che il grosso intestino ed è di frequente osservazione nell’età avanzata.

La regolazione della perfusione intestinale si ritiene venga effettuata da fattori intrin- seci (siano essi miogenici e/o metabolici locali), estrinseci (legati al sistema nervoso simpatico), nonché da agenti neuroumorali o vasoattivi circolatori o locali [13].

È possibile classificare le condizioni che causano o contribuiscono al danno ische- mico intestinale acuto in tre categorie: presplancnica, splancnica e postsplancnica [13].

La prima si riferisce a fattori eziologici che comportano un decremento del flusso ema- tico per riduzione della gittata cardiaca, causando un’ischemia mesenterica non occlu- siva, quali emorragia, arresto cardiaco, infarto del miocardio, sostanze anestetiche [13].

La seconda categoria è rappresentata da condizioni che predispongono a una riduzio- ne del torrente ematico a livello del letto splancnico, quali emboli o trombi nei vasi arteriosi mesenterici, sostanze che inibiscono il rilascio di vasodilatatori endogeni oppure fattori esogeni bioumorali che comportano un incrementato rilascio di nora- drenalina dalle terminazioni nervose afferenti al distretto vascolare splancnico [13].

La postsplancnica, infine, è legata a una riduzione del flusso ematico per incremento della pressione venosa che determina una vasocostrizione splancnica riflessa; ne fanno parte le trombosi venose mesenteriche, così come le sindromi da ipercoagulabilità e altre condizioni cliniche quali, per esempio, la cirrosi epatica [13].

Purtroppo, la semeiotica radiologica descritta in una gran parte dei contributi ripor- tati in letteratura induce confusione nel lettore: infatti vengono inclusi nelle casistiche sia infarti da occlusione vascolare, sia infarti secondari a occlusioni da ansa chiusa [14- 16]; questi ultimi hanno, ovviamente, una espressività radiologica diversa dai primi.

In questo capitolo verrà presa in considerazione esclusivamente l’eziologia legata a feno-

meni occlusivi arteriosi o venosi delle diramazioni vascolari mesenteriche superiori e/o

inferiori. L’entità dell’insulto può variare dall’ischemia transitoria e reversibile all’in-

farto, quest’ultimo correlato a un elevato tasso di mortalità [17, 18]. Ne consegue che la

prognosi è strettamente dipendente dalla gravità dell’attacco ischemico e da altre cir-

costanze, quali l’acuzie dell’evento, la sua durata, la presenza di eventuali circoli collate-

rali pervi, nonché l’estensione del segmento intestinale coinvolto e una eventuale pron-

ta terapia instaurata. Dalle prime descrizioni anatomo-patologiche [19] ai giorni nostri,

il concetto di ischemia intestinale è stato ripreso e meglio definito. Il punto cardine è

rappresentato dalla serie di eventi sequenziali che si presentano a seguito dell’anossia della

parete intestinale, dovuta a profondi e significativi cambiamenti della sua emodinami-

ca [20]. Inoltre, è da tener presente che il danno ischemico è dipendente dal flusso ema-

tico residuo sufficiente a prevenire la necrosi del segmento coinvolto, ma lo è altresì da

un flusso ridotto che venga meno alle necessità metaboliche dell’intestino danneggiato

[20]. Lesioni della mucosa che inficiano la sua funzione di barriera rappresentano le basi

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patologiche della necrosi coagulativa, che inizia a osservarsi proprio nello strato muco- so, il più suscettibile all’anossia [20], per poi estendersi alla muscolare e alla sierosa. Men- tre il blocco persistente e duraturo del flusso ematico conduce all’infarto del segmento coin- volto, il ristabilimento dell’apporto o del deflusso del sangue causa una risposta parietale che è simile a quella che si osserva nei processi infiammatori acuti [20]. Il danno vasco- lare intestinale può quindi sfociare in una delle tre risposte di base: 1) restitutio ad inte- grum totale; 2) danno parziale con esiti (fibrotici); 3) infarto transmurale [20].

La diagnosi radiologica di ischemia e infarto intestinale rappresenta una sfida inte- ressante per il radiologo che lavora nell’urgenza. In letteratura sono stati riportati i reperti radiologici dovuti a danno da trombosi della vena o dell’arteria mesenterica superiore [21, 22], tuttavia una correlazione e classificazione degli stessi in base a un cri- terio evolutivo, sia per il tenue che per il colon e sia per i vasi mesenterici superiori che inferiori, non è stato effettuato che di recente [23].

Evoluzione del danno da ipoafflusso ematico del piccolo intestino

Una suddivisione in stadi è utile per differenziare il primo, precoce, dell’evento ische- mico, dai successivi, fino all’infarto irreversibile. Da una prima fase di “allarme”, carat- terizzata da un ileo riflesso spastico, si passa a una seconda fase di “sospetto” di ische- mia intestinale nel momento in cui, a causa del mancato afflusso ematico ottimale, si attua un danno della microcircolazione parietale e un decremento della quantità di fluido endolume, con riduzione dello spessore parietale e distensione gassosa del segmento affet- to [23, 24]. Nella terza fase,“conclamata”, se l’anossia persiste si ha la necrosi dell’ansa;

ma se, al contrario, si attua una riperfusione (Fig. 6), si ottiene un danno della mucosa con ispessimento parietale [20, 23, 24]. La necrosi parietale rappresenta la quarta e ulti- ma fase irreversibile, detta delle “complicanze”, dell’evoluzione del danno intestinale da ipoafflusso.

Fig. 6. Paziente di 77 anni cardiopatica giunta al Pronto Soccorso con sintomatologia addominale acuta riferita dal giorno precedente. L’esame TC mostra evidenza di ansa ispessita e dal marca- to ridotto enhancement (asterisco in a); si noti il piccolo difetto di opacizzazione endoluminale non occlusivo della vena mesenterica superiore (testa di freccia in a, b), non sufficiente a giustificare la sofferenza ischemica dell’ansa, dovuta a riperfusione non compensata da sindrome da ipoaf- flusso, in assenza di definita trombosi dell’arteria mesenterica superiore nel tratto prossimale. Il reperto operatorio dimostra l’ansa congesta, cianotica (b)

a b

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Evoluzione del danno vascolare da ostacolato deflusso del piccolo intestino

La risposta precoce all’insulto da ostacolato deflusso ematico, caratterizzata dall’ileo riflesso spastico, è fugace e può non essere colta, se il paziente non si reca immediata- mente in ospedale.

Il secondo stadio, di ipotonia intestinale, deve essere attentamente ricercato e iden- tificato perché in questa fase gli strati parietali più interni sono ancora preservati e, se la terapia è tempestivamente intrapresa, si potrà osservare una restitutio ad integrum dell’ansa intestinale coinvolta.

Successivamente compaiono i reperti maggiormente caratteristici della trombosi venosa, ossia il marcato edema intramurale e mesenterico, con evidenza di ispessi- mento parietale, edema sottomucoso e fenomeni emorragici intramurali. Da questa fase in poi, la lesione tende alla cronicizzazione o alla progressione del danno con con- seguente infarto (Fig. 7).

Fig.7. Paziente di 80 anni giunto al Pronto Soccorso con addome acuto. L’esame TC mostra difetto di opacizzazione della vena mesenterica superiore (testa di freccia in a,b);si noti la dilatazione aneurismatica dell’aorta addominale (asterisco in a) e l’assenza di enhancement di ansa del tenue (asterisco in b),a pareti ispessite

Evoluzione del danno vascolare del grosso intestino

La colite ischemica è stata descritta per la prima volta negli anni Sessanta e rappre- senta probabilmente la patologia da insulto vascolare più nota, anche perché di facile approccio all’endoscopia [19]. Le tre forme cliniche ampiamente descritte, dall’episo- dio sporadico e senza conseguenze, alla formazione di segmenti fibrotici e possibili ste- nosi, alla gangrena transmurale, non sono mai state direttamente correlate all’occlu- sione di vasi mesenterici [25-28]. Tuttavia, così come è stato proposto per il piccolo intestino, è possibile operare una classificazione che tenga conto della fisiopatologia nell’ipoafflusso e nel ridotto deflusso ematico del colon [23].

Sia nelle sindromi da riduzione dell’apporto ematico arterioso che nell’ostacolato deflusso venoso, il primo danno può essere rappresentato dall’emorragia della muco- sa con edema sottomucoso. La progressione dell’evento ischemico con mancata riper- fusione può causare un simmetrico ispessimento parietale, con vari gradi di imbibi-

a

b

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zione della sottomucosa, reperto che si apprezza in maniera più eclatante nelle occlu- sioni mesenteriche venose (Fig. 8). La riperfusione può danneggiare la parete con tra- sformazione fibrosa della sottomucosa, mentre si può arrivare alla necrosi del segmento coinvolto se il danno parietale si estende a coinvolgere gli strati più interni.

Fig. 8. Paziente di 59 anni affetta da epatopa- tia cronica. L’esame TC mostra un marcato ispessimento parietale del colon ascendente, con evidente edema sottomucoso, da deflus- so venoso scompensato

Ruolo della diagnostica per immagini nell’ischemia e nell’infarto intestinale

Nell’inquadramento del paziente con addome acuto e sospetto danno vascolare intesti- nale, è essenziale prendere in considerazione in prima istanza i reperti delle metodiche di imaging di base (radiogramma diretto dell’addome, ecografia) per poter scegliere il timing più opportuno per l’esecuzione di un esame TC che possa offrire informazioni sup- plementari e importanti da cui procedere a una diagnosi tempestiva ed efficace.

Oltre ai reperti di possibile riscontro (ispessimento parietale, morfologia delle anse e distribuzione del gas endoluminale, presenza di versamenti fluidi peritoneali, occlu- sione dei vasi mesenterici superiori) (Fig. 9), occorre considerare anche l’eventualità

Fig. 9. Paziente di 60 anni, giunta al Pronto Soccorso con sintomatologia addominale acuta. La TC mostra difetto di opacizzazione endoluminale dell’arteria mesenterica superiore (testa di frec- cia in a), le anse di piccolo intestino presentano aspetto ischemico, con distensione prevalente- mente gassosa, alcuni livelli idroaerei e pareti in parte sottili, in altri segmenti ispessite e dal- l’enhancement incrementato

a b

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che in assenza di visibili occlusioni vascolari, come avviene nelle sindromi da ipoaf- flusso senza trombosi, siano da interpretare solo i reperti diretti delle anse, tenendo anche conto dei criteri fisiopatologici sopra descritti.

Per porre diagnosi di ischemia prima che i segni tardivi della sofferenza vascolare delle anse compaiano, è essenziale tener conto della sequenzialità dei reperti osservati nelle singole metodiche di studio, oltre a un inquadramento clinico del paziente quanto più accurato possibile. Se si attendono i segni irreversibili della necrosi di ansa per porre dia- gnosi, la prognosi del paziente sarà, purtroppo, quasi inesorabilmente infausta.

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