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Con il mio compagno vorremmo una famiglia con dei bambini. Ma questo nostro desiderio si è

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Academic year: 2022

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La storia di Maria Elena, 44 anni di Padova

Con il mio compagno vorremmo una famiglia con dei bambini. Ma questo nostro desiderio si è trasformato in un’odissea, iniziata ormai 13 anni fa. Il primo aborto spontaneo, alla 10a settimana, risale infatti al 2003, seguito da altri quattro nei tre anni successivi. Dopo l’ultimo episodio, nel 2006, l’analisi del materiale abortivo evidenziò una trisomia del cromosoma 15. Dopo questa diagnosi il medico mi spiegò che i miei valori ormonali determinano una scarsa qualità dell’ovulo fecondato causando aborti. A quel punto, con il mio compagno, abbiamo deciso di rivolgerci a una struttura per la fertilità. La nostra scelta è caduta necessariamente su un centro pubblico, per i costi nel privato sono troppo alti.

Dopo una consulenza presso l'Azienda Ospedaliera di Padova, i medici mi suggerirono l’accesso alla fecondazione assistita, osservando la prevista gradualità di accesso alle tecniche come da legge 40/04. Tra il 2009 e il 2010 sono stata sottoposta a 3 cicli di inseminazioni intrauterine tutte con esito negativo. Nel Veneto i tentavi a carico del servizio sanitario regionale sono soltanto 3. Così, avendo già usufruito dei 3 tentativi, mi fu consigliato di mettermi in lista per FIVET/ICSI. A Padova però i tempi erano troppo lunghi, così mi sono rivolta all’Ospedale di Cittadella al Centro Pma e nel 2011 sono stata sottoposta a fecondazione assistita con metodo ICSI, ma l’esito è stato negativo per mancanza di risposta alla stimolazione ovarica, così come per il secondo tentativo fatto l’anno successivo.

Dopo due tentativi andati a vuoto, il medico mi ha esclusa da altri trattamenti presso quell’Ospedale. Ma, a causa probabilmente della stimolazione ormonale fatta in precedenza, due mesi dopo il test di gravidanza ha purtroppo dato esito positivo. Dico purtroppo perché ancora una volta, alla 5a settimana, ho avuto un aborto spontaneo.

Il suggerimento dei medici fu, a quel punto, di tentare la strada della fecondazione eterologa all'estero perché vietata in Italia. Un’idea che abbiamo presto accantonato per mancanza di possibilità economiche.

Così abbiamo deciso di provare con l’adozione, ma anche su quel fronte la risposta è stata una doccia fredda: le assistenti sociali della nostra Asl ci hanno spiegato per l’adozione nazionale non c’era praticamente alcuna speranza, a causa delle lunghissime liste di attesa, consigliandoci così di provare con quella internazionale, che avrebbe comportato costi dai 20 mila ai 30 mila euro. Ipotesi subito scartata, non potendoci permettere neppure la spesa di 8 mila euro per provare la fecondazione eterologa in un altro Paese.

Nel 2014, quando ormai avevamo quasi rinunciato a diventare genitori, la caduta del divieto sull’eterologa in Italia ci ha nuovamente dato una speranza. Ero al settimo cielo, leggendo su un quotidiano locale che:

“Il primo ottobre è la data fissata dal Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, per partire con l’eterologa nei 36 centri accreditati. Il Governatore Zaia, si è battuto per concordare con le altre Regioni il costo di un ticket che deve essere uguale in tutta Italia e che verrà deciso nella riunione degli assessori alla sanità che si terrà il 24 settembre prossimo”.

Abbiamo subito contattato l’Ospedale di Padova, ma i medici mi hanno informato che non avrei potuto accedere alla fecondazione eterologa perché la Regione Veneto aveva deliberato un limite massimo di età di 43 anni, che io avevo compiuto da un mese. Ostacolo che siamo riusciti a superare grazie all’Associazione Luca Coscioni con un ricorso al Tar. Ma nonostante tutto ciò, a oggi, non siamo ancora riusciti ad accedere alla fecondazione eterologa per mancanza di gameti nelle strutture pubbliche, disponibili invece nelle strutture private ma con costi per noi proibitivi.

Roma (Italia)

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