• Non ci sono risultati.

Discrimen » Autoriciclaggio, concorso di persone e responsabilità dell’ente: un groviglio di problematica ricomposizione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Discrimen » Autoriciclaggio, concorso di persone e responsabilità dell’ente: un groviglio di problematica ricomposizione"

Copied!
18
0
0

Testo completo

(1)

CARLO PIERGALLINI

AUTORICICLAGGIO, CONCORSO DI PERSONE E RESPONSABILITÀ DELL’ENTE: UN GROVIGLIO DI PROBLEMATICA RICOMPOSIZIONE(*)

SOMMARIO: 1. La bulimia del legislatore. – 2. La proposta di legge sulla introduzione dell’autoriciclaggio e la norma approvata: i segnali di un palpabile disagio. – 3. L’orditura del tipo. – 4. Le ricadute sistematiche: la realizzazione plurisoggettiva. – 4.1. Autoriciclaggio e con- corso di persone: un nodo insolubile?. – 4.2. Autoriciclaggio e responsbailità dell’ente: un irri- mediabile corto circuito. – 5. Conclusioni.

1. La bulimia del legislatore

Gli anni 2014 e 2015 proiettano l’immagine di un legislatore, che, padrone del gioco, ha disseminato, senza sosta, norme penali on demand: sospinto da variega- te pulsioni (anche massmediatiche), ha composto quadri a mano libera, manipo- labili, pericolosamente scevri di ogni spirito autocritico.

Proviamo a setacciarne le ‘opere’ principali, di ‘cartello’.

Prima, fra tutte, per impatto, la l. 69/2015, subito definita “legge anticorruzio- ne” (l’ennesima), pure comprensiva di una riscrittura del sistema dei reati societa- ri, segnatamente delle false comunicazioni sociali (una materia, questa, scottante, dopo la sostanziale ‘depenalizzazione’ del 2002). L’inarrestabile recrudescenza della corruzione è stata massmediaticamente sfruttata per reclamare interventi repressivi aggiuntivi rispetto alla pure recente riforma del 20121. Il legislatore, con qualche incertezza, dovuta ai precari equilibri politici, ha provveduto a un generalizzato, quanto ‘cieco’, inasprimento delle cornici edittali, sospinto dalla prevenzione generale. Solo che la persistenza del fenomeno corruttivo costituisce il diapason che immediatamente segnala come la prevenzione generale continui,

(*) Il presente lavoro è destinato al volume «Scritti in onore di Luigi Stortoni», a cura di M.

Mantovani-S. Tordini Cagli-F. Curi-M. Caianiello, Bologna, Bononia University Press, 2016. Il la- voro è stato consegnato ai Curatori nell’ottobre 2015.

1 In ordine alla pressione massmediatica, va emblematicamente segnalato l’atteggiamento as- sunto da SKY TG24, che, in seguito alla presentazione di proposte di legge dirette ad inasprire la ri- forma del 2012, ha posto in visione quotidiana una sorta di ‘contatore’ dei giorni trascorsi dalla pre- sentazione di tali proposte, infine confluite in un testo unificato, con il dichiarato scopo di censurare la lentezza del Parlamento nel licenziare una risposta alla dilagante corruzione. Il tutto condito da dibat- titi pomeridiani dedicati alla necessità politica di un ulteriore, più ‘duro’, intervento di riforma.

(2)

per questa via, ad autoalimentarsi dei propri insuccessi. Come se non bastasse, la l.

69/2015 ha, poi, riservato la novità della “riparazione pecuniaria”: una sanzione destinata a sommarsi, in taluni casi, alla pena pecuniaria, prevista dagli editti, e alla confisca, dando così vita ad un inedito ter in idem, che determina una vistosa frizione con il principio di proporzionalità, che pure deve assistere le risposte sanzionatorie.

Anche la riforma del falso in bilancio tradisce un’intelaiatura precaria. Suddi- viso in tre fattispecie, è scomparso dall’orbita del tipo il riferimento ai “fatti og- getto di valutazione”, così da aprire il campo a serrate indagini dottrinali sul si- gnificato da attribuire a tale lacuna (voluta, disvoluta, colmabile in via interpreta- tiva): come sempre accade, in questi casi, viene consegnata alla magistratura l’actio finium avente ad oggetto un importante e politicamente sensibile tassello della fattispecie.

Il codice penale è stato poi investito da un ulteriore intervento di riforma:

l’introduzione, con il d. lgs. 28/2015, della causa di non punibilità per la particola- re tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). L’istituto, proteso ad estromettere dal circui- to penale i fatti di caratura bagatellare, commessi da un autore a sua volta baga- tellare2, è stato licenziato, in coerenza con i rilievi mossi dalle Camere in sede di esame della bozza di decreto legislativo, in una versione che tradisce, per un ver- so, esiti ‘singolari’, e, per un altro verso, sgrammaticature penalistiche. Manife- stamente inutili, perché già ricavabili da una ‘scontata’ interpretazione del testo del decreto trasmesso alle Camere, le esclusioni della tenuità relative al fatto commesso per motivi abbietti e futili, con sevizie, o in condizioni di minorata di- fesa o in presenza di un evento di morte o di lesioni gravissime quale conseguen- za non voluta; di sapore tabuistico e di genetica populistica, l’estromissione del fatto commesso in danno di animali; difficilmente decrittabili, infine, quelle che hanno ad oggetto “condotte plurime, abituali e reiterate”: se l’abitualità trova un sicuro approdo penalistico, le condotte plurime e reiterate tradiscono un lessico precario, vago, impuro, che consegna, ancora una volta, al giudice il compito di individuare l’orbita applicativa della causa di non punibilità3.

Ma il contorcimento normativo ha conosciuto il punto più alto con la legge sugli “ecoreati” (l. 68/2015), di recente definita «di un contenuto sconclusionato,

2 Per un’analisi strutturale e funzionale del tipo bagatellare e delle tecniche della sua estro- missione dal sistema penale, cfr. PALIERO, Minima non curat praetor. Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985, 627 ss.

3 Prova ne sia il contrasto immediatamente insorto in ordine alla applicabilità dell’istituto ai reati in continuazione: in senso contrario, Cass., III sez., 28 maggio-13 luglio 2015, n. 29897, in Guida dir., 36/2015, 76 ss.; in senso favorevole, Tribunale Grosseto, 6 luglio 2015, n. 650, inedita.

(3)

oscuro e, in taluni tratti, decisamente orripilante»4. Una bocciatura perentoria, ma interamente condivisibile, visto che l’impianto può essere additato a manife- sto della “imprecisione penale”. Come definire altrimenti la semantica delle nuo- ve fattispecie di inquinamento e di disastro ambientale? Si parla, nella prima, di compromissione o di deterioramento significativo e misurabile dell’acqua, dell’aria o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo ovvero di un ecosistema, della biodiversità, della flora e della fauna. Nella seconda fattispecie, il disastro ambientale viene qualificato come alterazione irreversibile o reversibi- le, ma difficoltosa, di un ecosistema. Si è al cospetto di descrizioni che ben si at- tagliano ad un linguaggio giornalistico, sociologico, ma che cozzano irreparabil- mente con il principio di precisione che conforma il sistema penale. L’esito che si profila è temibile: se non interverranno censure di illegittimità costituzionale, il governo dell’ambiente verrà interamente devoluto alla magistratura, che potrà

‘lavorare’ a suo piacimento. Se si tiene ben salda la ‘grammatica penalistica’5, più che di “ecoreati”, occorrerebbe parlare di “ecomostri”!

Un ulteriore significativo frutto della iperattività del legislatore è da cogliere nel reato di autoriciclaggio (art. 648-ter. 1. c.p., introdotto dall’art. 3, comma 3, l.

186/2014). Invocato da più parti, anche in nome di una ammodernamento del nostro sistema penale nel contrasto ai fenomeni di inquinamento dell’economia, la norma scardina alcuni principi: in primo luogo, quello del post-fatto non puni- bile, che riposa sull’assunto che gli ulteriori atti di disposizione (materiali e giuri- dici) dell’autore del reato-presupposto (o reato-fonte) altro non sarebbero che la loro naturale prosecuzione, sì che la loro punizione si risolverebbe in un bis in i- dem; in secondo luogo, il nemo tenetur se detegere, atteso che le attività di lecito- vestizione del profitto costituiscono, non di rado, lo strumento per porsi al riparo dalle indagini. Rispetto alle altre riforme sopra descritte, il parto dell’autorici- claggio ha lasciato, tuttavia, trasparire, come vedremo subito, il disagio del legisla- tore, consapevole di penetrare in un territorio in cui i bisogni di pena si ponevano in stridente contrasto con alcuni caposaldi (ritenuti) intangibili del sistema penale.

2. La proposta di legge sulla introduzione dell’autoriciclaggio e la norma approvata: i segnali di un palpabile disagio

Nella versione originaria, la proposta di legge introduceva l’autoriciclaggio tramite l’eliminazione ‘secca’ della clausola di riserva che figura in apertura della

4 Così, PADOVANI, Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l’ambiente, in Guida dir., 32/2015, 10.

5 Per come magistralmente disegnata nella celebrata opera di FLETCHER, Grammatica del di- ritto penale, Bologna, 2004.

(4)

norma che punisce il riciclaggio (l’art. 648-bis c.p.), la cui orbita veniva, così, al- largata all’autoriciclatore. Per questa via, il riciclaggio diventava un reato comune, visto che il cono della punibilità si estendeva a “chiunque” avesse tenuto le con- dotte previste dal tipo. Una simile proposta di riforma vantava il pregio della semplicità tecnica, perché avrebbe evitato la duplicazione delle fattispecie, foriera di possibili distonie sul piano sistematico. Tuttavia, la proposizione di numerosi emendamenti costituiva la spia del menzionato disagio. La mera abrogazione del- la clausola di riserva avrebbe avuto, come primo, immediato effetto, quello di ri- produrre, con riguardo all’autoriciclaggio, tutte le problematiche applicative che affliggono il reato di riciclaggio6, specie con riguardo al ben risaputo fenomeno di attrazione nel tipo di condotte che nulla hanno a che vedere con il “riciclaggio professionale”: si pensi ai ‘taroccatori’ di auto, assurti statisticamente al rango di

‘(ideal)tipi di autore’ prevalenti del reato. Afflitta da una tipicità omnicomprensi- va, frutto di un continuo processo di stratificazione normativa, la norma sul rici- claggio ha provocato un vistoso scarto tra la prassi giudiziaria e la fenomenologia criminale, tanto che il suo bilancio applicativo non può certo definirsi esaltante.

L’eliminazione della clausola avrebbe, dunque, fomentato un quasi automatico effetto moltiplicatore delle comminatorie di pena per ciascun delitto suscettibile di generare proventi riciclabili, indotto dalla pressoché inevitabile commissione, da parte dell’autore del reato-fonte, di una delle condotte tipizzate nell’art. 648- bis c.p. Si sarebbe profilata, così, una congestionante gemmazione di ipotesi di autoriciclaggio, non immune da preoccupanti disfunzionalità: l’aumento del “ri- schio penale”7 avrebbe finito per investire anche la criminalità comune, lasciando sostanzialmente inalterato quello gravante sulla criminalità organizzata, vero ed esclusivo target del delitto di riciclaggio. Infatti, un delitto di tal fatta, legandosi intimamente alla quasi totalità dei reati a scopo lucrativo, avrebbe rivalutato la dimensione ‘patrimonialistica’ del bene giuridico (oggi recessiva), diretta a pre- servare le ragioni della vittima, evitandone l’ulteriore danno. In questa prospetti- va, poi, le frizioni con il ne bis in idem sostanziale e con il nemo tenetur si sareb- bero ispessite con una intensità difficilmente tollerabile.

Al cospetto di un simile, preoccupante scenario, è prevalsa, infine, l’idea di costruire una autonoma fattispecie di autoriciclaggio, contraddistinta da due

‘marcatori’: 1) una tipicità a maglie più ristrette rispetto al riciclaggio; 2) una

6 Particolarmente ampia la letteratura sul reato di riciclaggio; in questa sede, ci si limita a ri- chiamare: ZANCHETTI, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, Milano, 1997; MANES, Il riciclag- gio dei proventi illeciti: teoria e prassi dell’intervento penale, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2004, 75 ss.;

ANGELINI, Il reato di riciclaggio, Torino, 2008; FAIELLA, Riciclaggio e crimine organizzato transna- zionale, Milano, 2009; CASTALDO-NADDEO, Il denaro sporco. Prevenzione e repressione nella lotta al riciclaggio, Padova, 2010.

7 Cfr., in proposito, SGUBBI, Il reato come rischio sociale, Bologna, 1990.

(5)

comminatoria edittale meno grave del riciclaggio. Una resipiscenza, questa, ap- prezzabile, ma destinata sia a lasciare immutata la problematica compatibilità del- la nuova incriminazione tanto con il ne bis in idem sostanziale quanto con il nemo tenetur, sia a innescare ripercussioni di carattere sistematico, che la frettolosità della sua approvazione definitiva non ha forse lasciato il tempo di cogliere. In de- finitiva, l’approfondita distanza che separa il testo licenziato dal Parlamento da quello iniziale costituisce la riprova delle titubanze del legislatore, verosimilmente conscio di forzare una porta, da sempre ‘chiusa’, senza essere attrezzato per go- vernarne gli effetti.

3. L’orditura del tipo

L’intento di contenere l’orbita del tipo è stato conseguito fondendo la fattispe- cie di riciclaggio con quella di reimpiego (art. 648-ter c.p.)8. Infatti, sul terreno della tipicità oggettiva, l’autoriciclaggio ha ad oggetto condotte di impiego, sosti- tuzione o trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o spe- culative dei proventi, realizzate in modo da ostacolarne concretamente l’identificazione. Come limite negativo del tipo, si prevede la non punibilità delle condotte in cui il provento venga destinato alla mera utilizzazione o al godimento personale. In definitiva, la fattispecie sanziona non già atti che si traducono nel mero godimento o nella trasparente disposizione del provento, che integrerebbe- ro, cioè, la ‘naturale’ prosecuzione dell’illecito-presupposto, ma solo i comporta- menti che trasmutano in condotte artificiose, non naturali, bensì autenticamente

8 L’introduzione del nuovo reato ha formato oggetto di numerosi commenti. Cfr., per un e- same generale della riforma: SGUBBI, Il nuovo delitto di autoriciclaggio: una fonte inesauribile di ef- fetti perversi dell’azione legislativa, in Dir. pen. cont., 10 dicembre 2014;MUCCIARELLI, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, ivi, 24 dicembre 2014; BRUNELLI, Autoriciclaggio e divieto di retroattivi- tà: brevi note a margine del dibattito sulla nuova incriminazione, ivi, 10 gennaio 2015;CAVALLINI- TROYER, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all'ombra del “vicino ingombrante”, ivi, 23 gennaio 2015; DELL’OSSO, Il reato di autoriciclaggio: la politica criminale cede il passo a esigenze mediatiche e investigative,in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 796 ss. Per commenti orientati su alcuni specifici profili della riforma, v.: A.D’AVIRRO-GIGLIOLI, Autoriciclaggio e reati tributari, in Dir. pen. proc., 2, 2015, pp. 136 ss.; ROSSI, Note in prima lettura su responsabilità diretta degli enti ai sensi del d.lgs. 231 del 2001 ed autoriciclaggio: critica, incertezza, illazioni ed azzardi esegetici, in Dir. pen. cont., 20 febbraio 2015; MAUGERI, La lotta all'evasione fi- scale tra confisca di prevenzione e autoriciclaggio, ivi, 2 marzo 2015; LANZI, L’autoriciclaggio e la ne- cessità di un intervento di “razionalizzazione” da parte della giurisprudenza, in Indice pen., nn. 1- 2/2015, 1 ss.; D’ALESSANDRO, Il delitto di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori «più che abili», testo in corso di pubblicazione, cortesemente fornito dall’Autore. Più in generale, in ordine alla ‘sistematica’ dei reati che presuppongono la previa commissione di altro reato, v. l’approfondita analisi di MORGANTE, Il reato come elemento del reato.

Analisi e classificazione del concetto di reato richiamato dalla fattispecie penale, Torino, 2013, 65 ss.

(6)

frappositive, idonee a recare concreto ostacolo alla identificazione del provento illecito.

Così costruita, la nuova norma si distingue dal riciclaggio, perché quest’ultimo punisce comportamenti (anche quelli che si materializzano in “altre operazioni”, diversi dal trasferimento e dalla sostituzione) che recano ostacolo alla rintraccia- bilità del provento. Nell’autoriciclaggio, per contro, le condotte di laundering de- vono infine risolversi in un impiego in attività economiche e finanziarie.

L’autoriciclaggio si distingue, altresì, dalla fattispecie di reimpiego (notoria- mente afflitta da un deficit di operatività), che punisce esclusivamente l’interruzione del cd. paper trail, scomparendo la proiezione decettiva della con- dotta (cioè, l’estremo della lecito-vestizione).

La peculiare tipicizzazione della fattispecie ne scolpisce la funzionalità, desti- nata: 1) all’impedimento della consolidazione di una precedente situazione di illi- ceità; 2) a favorire lo svolgimento delle indagini sulla provenienza illecita del pro- vento, a cui si associa lo scopo di impedire la circolazione dello stesso e la com- mistione con l’economia legale.

Plurioffensivo il bene giuridico che si intende tutelare: a fronte di una sfumata dimensione patrimonialistica, campeggiano la tutela dell’amministrazione della giustizia (laddove si sanziona il concreto ostacolo alla identificazione del proven- to) e, in modo ancora più accentuato, l’ordine pubblico economico (nella misura in cui vengono alterate le regole della concorrenza e del mercato).

Quanto alle cornici edittali, si prevede un trattamento sanzionatorio meno gra- ve rispetto al riciclaggio e al reimpiego, ulteriormente decurtato quando il pro- vento deriva dalla commissione di reati-fonte che non oltrepassino un determina- to limite massimo di pena9.

Così concepita, la norma, oltre che apparire, sotto alcuni profili, “enigmati- ca”10, tramanda l’immagine di un legislatore disorientato, afflitto da un via vai di pensieri: da un lato, la necessità – politica e mediatica – di criminalizzare l’autoriciclaggio; dall’altro lato, il timore di una esorbitante applicazione della norma, che avrebbe reso più manifesto il vulnus ad alcuni sedimentati principi.

Alla fine, ha deciso di vendere l’anima al diavolo, sia pure manipolandone gli e- lementi, come un alchimista allarmato, timoroso delle conseguenze.

A ben vedere, la punizione dell’autoriciclaggio, benché avvenuta nel contesto di un tipo ‘circoscritto’, costituisce la traduzione, su altro piano, del processo di

«espansione post-moderna dei beni giuridici, dando vita ad un allargamento

9 La forbice edittale, prevista per il delitto di autoriciclaggio, è della reclusione da due a otto anni associata alla pena pecuniaria della multa da 5.000 a 25.000 euro. Se i proventi derivano dalla commissione di un delitto non colposo, punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque an- ni, si applica la pena da uno a quattro anni di reclusione e la multa da 2.500 a 12.500 euro.

10 Lo sottolinea D’ALESSANDRO, Il delitto di autoriciclaggio, cit., 1.

(7)

complessivo del penalmente rilevante»11. Si è al cospetto di un ulteriore, appro- fondito attacco alla funzione critica del bene giuridico12, che, da auspicabile strumento di contenimento, si è ormai trasformato in un volano della criminaliz- zazione.

Nel caso dell’autoriciclaggio, per come forgiato, è il bene giuridico dell’ordine pubblico economico a fungere da idrovora, fagocitando paratie e limiti ritenuti insormontabili.

A cominciare dal ne bis in idem sostanziale (il post-fatto non punibile13).

L’esclusione dal tipo delle condotte che si risolvono nella mera utilizzazione o nel godimento personale non mette al riparo dal rischio di doppie incriminazioni, specie in contesti imprenditoriali. A tacere del rilievo che è davvero raro, per usa- re un eufemismo, che l’autore di un reato fonte di profitto si sia determinato alla commissione di tali illeciti per autocontemplarne il risultato: la necessità di rica- varne un controvalore, tramite condotte di spendita, è fisiologicamente correlata alla consumazione del reato-fonte. In questo si radica la punizione del riciclaggio:

l’autore del reato-fonte si ‘affida’, per finalità di profitto, alle mani di un “favo- reggiatore esperto”, parimenti mosso da uno scopo di profitto (lucra, di regola, una percentuale). Tertium non datur: gli atti di disposizione del provento da parte dell’autore del reato-fonte non possono che costituire la prosecuzione della sua ini- ziale attività antigiuridica: la non punizione di tali atti discende(va) dall’esistenza di un chiaro rapporto di mezzo a fine.

Non meno profondo il vulnus recato al nemo tenetur14, che, a ben vedere, su- pera quello inferto al ne bis in idem. Il rischio di sanzionare condotte di autodife- sa dalla giustizia è tutt’altro che virtuale. Si è perspicuamente sottolineato come

«il trasferimento o la sostituzione dei beni in una delle attività contemplate [dalla fattispecie] possa talvolta essere l’unica strada per porre i proventi illeciti al riparo dalle indagini»15. Con la consumazione del reato-fonte, il reo si è posto in una condizione di contrarietà con l’ordinamento: ora, lo si punisce per una sua suc- cessiva carenza di compliance con l’ordinamento stesso. Deflagrante la prospetti-

11 PALIERO, L’Agorà e il Palazzo. Quale legittimazione per il diritto penale?, in questa Rivista, 2012, 108.

12 Per un esame di questo profilo, v. ANGIONI, Contenuto e funzioni del bene giuridico, Mila- no, 1983, passim.

13 Sulla categoria del post-fatto non punibile, v. VASSALLI, Antefatto non punibile, post-fatto non punibile, in Enc. dir., II, Milano, 1958, 505 ss. Sul rilievo del ne bis in idem sostanziale, cfr.

MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2013, 482 ss.

14 Per un recente studio dei profili sostanziali del nemo tenetur, v. TASSINARI, Nemo tenetur se detegere. La libertà dalle autoincriminazioni nella struttura del reato, Bologna, 2012. Sul terreno processuale, è d’obbligo il rinvio alla ‘classica’ monografia di GREVI, Nemo tenetur se detegere. In- terrogatorio dell’imputato e diritto al silenzio nel processo penale italiano, Milano, 1972.

15 Così, DELL’OSSO, Il reato di autoriciclaggio, cit., 10 (nostra l’aggiunta tra parentesi quadre).

(8)

va: introdotto questo pericolosissimo seme, il favoreggiamento reale potrebbe es- sere il destinatario di un prossimo intervento di coltura transgenica!

Come si vede, il legislatore non ha saputo resistere alla sirena del nuovo, mo- derno bisogno di pena: la tutela dell’ordine pubblico economico è stata elevata a copertura ideologica della scelta di criminalizzazione, controbilanciata da una foggia del tipo protesa a restringerne le potenzialità applicative. Solo che questa restrizione non seda le ferite ai principi e, quando ci si confronta con i principi, sarebbe bene, in ogni caso, non vendere l’anima al diavolo. Riflettendo sulla fre- nesia del legislatore di questo biennio, verrebbe però da dire, richiamando le sug- gestioni di Calvino, che, forse, il legislatore non abbia più un’anima da offrire16.

Tuttavia, i primi commenti alla neonata disposizione convergono nel censu- rarne la sciatta ‘scrittura’, farcita di sviste grossolane e di non trascurabili impre- cisioni17. Ma la ratio politico-criminale dell’intervento viene dai più ritenuta con- divisibile ed intravista nella «considerazione di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato-presupposto, in modo da impedirne la sua uti- lizzazione maggiormente offensiva, quella che espone a pericolo o addirittura le- de l’“ordine economico”»18. Dunque, il bene giuridico dell’ordine economico le- gittimerebbe la ‘penalizzazione’. Si è già notato, però, che, in questo caso, il bene giuridico funge da veicolo di scelte di criminalizzazione, dimenticando la sua fun- zione ‘critica’, vale a dire, in questo caso, l’esistenza di controlimiti (il ne bis in idem e il nemo tenetur) che avrebbero dovuto suggerire al legislatore una preziosa taciturnitas. Ma se anche si volesse provare a prendere per buono l’obbiettivo (il congelamento dei profitti), si ha la sensazione che la disposizione incriminatrice risulti in larga parte inutile. Molti tra i reati-fonte, criminologicamente più espres- sivi della criminalità del profitto, contemplano, come strumento elettivo di reazio- ne, la confisca dei proventi. L’invasività dello strumento è nota e per di più è stata di recente accentuata dalle sezioni unite penali della Cassazione, quando hanno affibbiato, incautamente, la natura di confisca diretta a quella che colpisce il de- naro, senza dover rintracciare alcun nesso di pertinenzialità tra questo e il reato che lo ha generato19. È da chiedersi, quindi, se lo scopo della nuova incriminazio- ne non sia già conseguibile con il ricorso allo strumento ablativo. Inoltre, la pre-

16 Ci si riferisce alla Storia dell’alchimista che vendette l’anima, che compone “Il castello dei de- stini incrociati”, Milano, 1994, 21.

17 Si rinvia, in proposito, ai saggi citati, supra, nella nota 8. Pur dando atto delle imperfezioni, che inficiano la fattispecie, esprime una valutazione cautamente positiva sulla struttura del tipo, MUCCIARELLI, Qualche nota, cit., 3 ss.

18 Così, MUCCIARELLI, Qualche nota, cit., 5.

19 Cass., S.U., 26 giugno-21 luglio 2015, n. 31617, inedita. Per una acuminata critica di questo orientamento, sia pure riferita ad una precedente decisione delle sezioni unite della Cassazione (sent. 30 gennaio-5 marzo 2014, n. 10561), cfr. MUCCIARELLI-PALIERO, Le sezioni unite e il profitto confiscabile: forzature sistematiche e distorsioni ermeneutiche, in Dir. pen. cont., 20 aprile 2015, 1 ss.

(9)

visione della confisca, che assiste l’autoriciclaggio, rischia di fomentare una diffi- coltosa actio finium con la confisca del provento del reato-fonte.

Sembra cogliere nel segno, allora, chi ha rilevato che la fattispecie di nuovo conio, più che vantare reali chances di successo sul terreno sanzionatorio, finirà con il trasmutare in un passepartout investigativo, del quale gli inquirenti sfrutte- ranno le potenzialità per sopperire alle difficoltà di prova del reato-fonte o per attivare pervasivi strumenti di indagine legati alla conformazione delle cornici e- dittali20. Un esito, questo, che riproduce quelle temute contaminazioni eterologhe tra diritto penale e processo, espressive di una preordinata e maliziosa eterogene- si dei fini, che da anni affliggono il sistema della giustizia penale.

4. Le ricadute sistematiche: la realizzazione plurisoggettiva

Le critiche rivolte alla riforma, sul piano della legittimazione e dei ‘valori’, han- no trovato, come si è già posto in evidenza, un riscontro nella tipicità particolar- mente circoscritta assegnata al tipo. È come se il legislatore, divelta la porta dei

‘principi’, si sia poi affrettato a contenere gli ‘spifferi’. Sotto questo profilo, il ‘con- tenimento’ merita apprezzamento, in ragione dei denunciati, insostenibili effetti che sarebbero derivati dalla mera soppressione del beneficio dell’autoriciclaggio.

Tuttavia, la coesistenza della neonata fattispecie con i reati di riciclaggio e di re- impiego determina un significativo disorientamento sul terreno della realizzazione plurisoggettiva: sia con riguardo al concorso di persone nel reato, sia in relazione all’impatto sulla responsabilità da reato della societas.

4.1. Autoriciclaggio e concorse di persone: un nodo insolubile?

La cornice empirico-criminologica dimostra, in modo inoppugnabile, come siano inimmaginabili condotte di autoriciclaggio e di riciclaggio che non compor- tino, rispettivamente, un intervento dell’autore del reato-presupposto o di un ter- zo. Così, rispetto al riciclaggio, è sempre rintracciabile un impulso da parte dell’autore del reato-fonte a che altri intervenga a ripulire i proventi. La scelta del legislatore di disegnare un’autonoma fattispecie di autoriciclaggio mette in fibrilla- zione l’istituto del concorso di persone con riguardo alla individuazione della di- sposizione incriminatrice destinata ad espandersi per effetto degli artt. 110 ss. c.p.

Lo spessore del problema traspare, con immediatezza, se si prova a riflettere su alcuni esempi: (i) l’autore del reato-fonte consegna i proventi al terzo perché li ripulisca e li reimpieghi in attività economiche e finanziarie (prima della riforma

20 DELL’OSSO, Il reato di autoriciclaggio, cit., 817.

(10)

in esame, la condotta dell’autore del reato-fonte non era punita); (ii) l’autore del reato-fonte consegna al terzo i proventi, questi li ripulisce e, successivamente, l’autore del reato-fonte li reimpiega, o viceversa (ipotesi di esecuzione frazionata);

(iii) il terzo istiga l’autore del reato-fonte a reimpiegare i proventi in attività eco- nomiche o finanziarie e/o si offre di aiutarlo in tali attività.

Rispetto a tali esempi, vi è da chiedersi a che titolo risponda il terzo, dopo la novella legislativa.

Nel dibattito dottrinale, seguito alla riforma, sono emersi due distinti orienta- menti.

(a) Secondo alcuni, il reato di autoriciclaggio deve essere considerato un reato proprio21. Di conseguenza, sulla base del rilievo che i reati propri ammettono la realizzazione anche da parte di un terzo sprovvisto della “qualifica” tipica22, negli esempi dati, si profilerebbero altrettante ipotesi di un concorso nel reato di auto- riciclaggio, a norma dell’art. 110 o 117 c.p., a seconda della ricorrenza o meno della consapevolezza, in capo al terzo, della qualifica posseduta dall’intraneus.

(b) In opposta direzione si è mosso un orientamento, che, attraverso una raffi- nata analisi, ritiene che i problemi legati alla realizzazione plurisoggettiva debba- no trovare soluzione non già nell’ambito del concorso di persone bensì entro il diverso paradigma del concorso apparente di norme. Si sostiene, così, che, quando la condotta del terzo extraneus sia astrattamente sussumibile sotto la fattispecie di riciclaggio ma rilevi, al contempo, quale contributo causale all’autoriciclaggio rea- lizzato dall’autore del reato-fonte, «il dilemma tra unicità e pluralità di reati, in capo al terzo extraneus, dovrà (e potrà) essere risolto in base agli ordinari criteri che consentono, se applicabili nel caso di specie, di risolvere nel senso dell’apparenza il concorso di norme»23. Pur riconoscendo tanto la carenza di un rapporto di specialità strutturale tra le sue fattispecie, quanto l’assenza di clausole di sussidiarietà che ne regolino le reciproche interferenze, si ritiene che l’art. 648- bis c.p., in quanto reato punito più gravemente e capace di esaurire l’intero disva- lore oggettivo e soggettivo del fatto, assorba, per il terzo, il meno grave delitto di autoriciclaggio.

Quanto all’autore del reato-presupposto, invece, risponderà esclusivamente di autoriciclaggio, non essendo la sua condotta in alcun modo rilevante ai sensi dell’art. 648-bis c.p., neppure in termini di concorso, in ragione dell’operare della clausola di riserva: pertanto, all’intraneus si applicherà, in ogni caso, la nuova in-

21 Cfr. MUCCIARELLI, Qualche nota, cit., 12; CAVALLINI-TROYER, Apocalittici o integrati?, cit., 14 ss.

22 Si tratta della posizione predominante in dottrina e giurisprudenza. Per una approfondita ed elegante analisi del concorso di persone nel reato proprio, si rimanda alla monografia di PELIS- SERO, Il concorso nel reato proprio, Milano, 2004.

23 D’ALESSANDRO, Il delitto di autoriciclaggio, cit., 51.

(11)

criminazione di cui all’art. 648-ter.1 c.p., tanto che egli abbia compiuto in prima persona la condotta tipica, quanto che egli abbia concorso, attraverso un contri- buto atipico dotato di efficienza causale, alla sua realizzazione da parte del terzo extraneus. Tale ricostruzione troverà applicazione «se (e in quanto) la condotta realizzata dal soggetto estraneo al reato presupposto sia di per sé riconducibile a uno dei comportamenti di riciclaggio penalmente sanzionati: laddove, viceversa, difetti tale corrispondenza con la fattispecie di cui all’art. 648-bis c.p., la conse- guenza da trarre sarà quella dell’impraticabilità di tale norma incriminatrice, col risultato di non dover dipanare un potenziale conflitto tra diversa fattispecie tutte astrattamente invocabili e potere, dunque, pianamente addivenire alla punibilità del soggetto, a titolo di concorso in autoriciclaggio»24.

L’esito che si prefigura non rappresenterebbe neppure un unicum, trovando sostegno in ipotesi sovrapponibili a quella descritta. Viene richiamata, in proposi- to, la norma dell’art. 578 c.p. sull’infanticidio, che sanziona più lievemente, per la madre, l’uccisione consumata nelle particolari soggettivo-ambientali condizioni indicate nella fattispecie: in questo caso, laddove vi sia il concorso di un terzo alla realizzazione del fatto, attraverso una condotta atipica, il legislatore espressamen- te prevede che costui, per evitare il trattamento di favore riservato alla madre, venga sanzionato con la pena prevista per l’omicidio volontario25. Nella stessa di- rezione, si è altresì osservato che, stante l’impraticabilità di una responsabilità concorsuale per titoli diversi di reato, davanti a condotte che, convergendo, rea- lizzino un fatto di autoriciclaggio, e dell’autonoma rilevanza di quella del terzo anche ai sensi dell’art. 648-bis c.p., «si potranno scindere le conseguenze sanzio- natorie, (…) ravvisando un concorso apparente di norme e ritenendo – per il ter- zo – la prevalenza gerarchica del reato di riciclaggio. Breve: la condotta del terzo ricade sotto due norme incriminatrici, integrando plurisoggettivamente il reato di autoriciclaggio e monosoggetivamente quello di riciclaggio; sarà però solo quest’ultima norma a prevalere, in applicazione del principio di sussidiarietà.

L’autore del reato presupposto resterà invece punibile per il solo reato di autori- ciclaggio, non essendo la sua condotta rilevante ai sensi dell’art. 648-bis c.p.»26.

Proviamo a vagliare queste due impostazioni.

(aa) Non vi è dubbio che l’autoriciclaggio sia un reato proprio. Peraltro, la circostanza che, in omaggio all’impostazione prevalente, “autore” possa essere ritenuto anche l’extraneus pone, di fatto, la pietra tombale sul reato di riciclag- gio27. Essendo l’autoriciclaggio punito meno severamente del riciclaggio, il terzo avrà tutto l’interesse a sostenere che, per poter ripulire il provento, è stato decisi-

24 D’ALESSANDRO, Il delitto di autoriciclaggio, cit., 52.

25 D’ALESSANDRO, Il delitto di autoriciclaggio, cit., 53, 54.

26 DELL’OSSO, Il reato di autoriciclaggio, cit., 815.

27 Lo rilevano CAVALLINI-TROYER, Apocalittici o integrati?, cit., 15 ss.

(12)

vo il contributo dell’autore del reato-fonte, che assume, così, le vesti di concor- rente. Per questa via, l’attuale formulazione della fattispecie fomenterebbe una sorta di cannibalismo normativo, fagocitando, nei casi specie, il reato di riciclag- gio: un esito, questo, denso di preoccupanti ripercussioni sul piano sia sistemati- co che politico-criminale.

(bb) Di indiscutibile fascino è la seconda ricostruzione, che punta a valorizzare il concorso apparente di norme. Non fosse altro perché le conclusioni a cui per- viene consentono di ritagliare spazi di autonoma applicazione alle due norme coinvolte. Tuttavia, si ha la sensazione che proprio l’obbiettivo, al quale si per- viene, abbia condizionato le premesse sistematiche. Stante l’impossibilità di con- cepire una responsabilità concorsuale per diversi titoli di reato, si sono sperimen- tate le estreme potenzialità del concorso apparente di norme con l’effetto, però, di rileggere in chiave monosoggettiva un forma di manifestazione del reato ine- quivocabilmente plurisoggettiva. La forzatura di una simile ricostruzione è ravvi- sabile nello stesso incipit dell’argomentazione, quando si rimarca il deficit sia di un rapporto strutturale di specialità tra le due disposizioni, sia della valenza di clausole di sussidiarietà. La denunciata lacuna è, però, per sé sufficiente ad esclu- dere l’ipotizzabilità del fenomeno della “convergenza di norme”, presupposto ine- liminabile per procedere, successivamente, alla individuazione della norma appli- cabile28. A ben vedere, tra le due fattispecie vi è una relazione di eterogeneità:

l’autoriciclaggio rilascia, rispetto al riciclaggio, un elemento di specialità per ag- giunta29, atteso che il reimpiego del provento non è un tratto costitutivo del reato di riciclaggio (per la cui punizione è sufficiente la ‘ripulitura’); quanto all’autore del reato, si prefigura una relazione di eterogeneità, di natura radicalmente con- trappositiva: il soggetto attivo dell’autoriciclaggio è l’autore del reato-fonte (o un concorrente), mentre quest’ultimo non può, ex lege, essere autore del reato di ri- ciclaggio. Viene meno alla radice, perciò, la possibilità di rintracciare una relazio- ne di specialità tra le due norme, vuoi di tipo ‘unilaterale’, vuoi ‘reciproca’, lad- dove quest’ultima si distacca dalla relazione di interferenza (che apre il campo al concorso di reati) solo allorché si atteggi come specialità bilaterale (in cui ciascuna norma rilascia elementi generali o speciali rispetto all’altra) o come specialità bila- terale unilateralmente per aggiunta (in cui la specialità reciproca si traduce nella ricorrenza di un elemento aggiuntivo in una soltanto della norme concorrenti)30.

28 Cfr., in proposito, nel contesto di una impostazione “strutturale”, MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Bologna, 1966, passim; DE FRANCESCO, Lex specialis. Specialità e interferenza nel concorso di norme penali, Milano, 1980, 20 ss.

29 Sulla “specialità per aggiunta”, v. DE FRANCESCO, Lex specialis, cit., 18 ss.

30 In ordine alla struttura della relazione di “specialità bilaterale” (o “reciproca”), cfr. MAN- TOVANI, Concorso e conflitto, cit., 230 ss.; ID., Diritto penale, cit., 478, nt. 103; DE FRANCESCO, Lex specialis, cit., 59 ss.

(13)

In definitiva, pur dovendosi apprezzare la raffinatezza della ricostruzione, pare che affondi le radici sopra un terreno dogmaticamente controvertibile.

Verosimilmente, la ricomposizione del quadro dei problemi in discussione, senz’altro accuminati, deve muovere da una duplicità di considerazioni.

(a) La prima, sia pure non decisiva, è che il legislatore non ha inteso creare un’unica macro-fattispecie di riciclaggio. Una soluzione di questo tipo caratteriz- zava il testo originario della proposta di legge, in cui veniva estromesso il benefi- cio dell’autoriciclaggio dall’orbita del reato di cui all’art. 648-bis c.p.: in tal modo, nessuna frizione si sarebbe riversata in sede di realizzazione plurisoggettiva, atte- so che una norma di tale conio avrebbe costituito nulla più che un reato ‘comu- ne’. Sta di fatto che la volontà di ‘distinguere’ le fattispecie, infine prevalsa, par- rebbe protesa ad assicurare l’operatività di ciascuna di esse.

(b) La seconda considerazione concerne la struttura del fatto di autoriciclag- gio, che si distingue, rispetto ai delitti di riciclaggio e di reimpiego, per un surplus di tipicità, frutto dell’accostamento delle condotte che conformano tali fattispe- cie. Non è difficile scorgere, nel tipo, i caratteri di un reato complesso, visto che i suoi tasselli sono costituiti da comportamenti di lecito-vestizione (che integrano il delitto dell’art. 648-bis c.p.) e di reimpiego in attività economiche e finanziarie (sanzionati dall’art. 648-ter c.p.). Ne scaturisce, come si è già detto, la natura plu- rioffensiva del reato. La punizione colpisce, per questa via, solo i comportamenti che trasmutano in condotte artificiose, che non integrano una ‘naturale’ prosecu- zione del reato-fonte, e che si rivelano, pertanto, autenticamente frappositive, i- donee, cioè, a recare ostacolo alla identificazione del provento illecito. Solo la confluenza di simili disvalori di azione legittima, secondo il legislatore, la punizio- ne dell’autore del reato-presupposto e la deroga al ne bis in idem sostanziale e al nemo tenetur. Tra condotta tipica e soggetto attivo del reato di staglia, così, un legame indissolubile, che va oltre la figura del reato proprio. Detto in altri termi- ni: l’autoriciclaggio può costituire un illecito penale a condizione che sia com- messo dall’autore del reato-fonte, la cui qualifica ‘marca’ il disvalore della fatti- specie, tanto da richiedere una stretta connessione tra titolare della stessa ed ese- cutore del reato.

Si è, pertanto, in presenza di un (sia pur raro, nel panorama penalistico,) reato di mano propria, in cui «l’individuazione del soggetto qualificato (…) si presenta (…) come vettore insostituibile di tipicità e componente decisiva del nucleo di disvalore del fatto»31. Ed è risaputo che, nei reati di mano propria, la distribuzio- ne dei ruoli, in caso di esecuzione plurisoggettiva, non ammette deroghe: la per- sonale esecuzione dell’intraneus è condizione essenziale perché possa consumarsi

31 Così, efficacemente, GULLO, Il reato proprio. Dai problemi “tradizonali” alle nuove dinami- che d’impresa, Milano, 2005, 317.

(14)

l’offesa al bene giuridico. Come lucidamente sottolineato da Luigi Stortoni, al quale questo scritto è dedicato, «laddove la condotta è in questo modo connessa all’autore, come negli eigenhändige Verbrechen, autore non può che essere il sog- getto indicato dalla norma che solo può realizzare la condotta tipica»32.

Le ricadute dell’inquadramento dell’autoriciclaggio come reato di mano pro- pria sul terreno del concorso di persone sono facilmente intuibili.

(i) Autore della condotta tipica dovrà essere l’autore (o il concorrente) del/nel reato-fonte. Il limite minimo della partecipazione è dato dalle ipotesi di coautoria (o di esecuzione frazionata), nel senso che la fattispecie concorsuale potrà ritenersi integrata anche quando l’autore del reato-fonte abbia posto in essere un fram- mento costitutivo della ‘complessa’ azione tipica.

(ii) Specularmente, il reato di riciclaggio potrà essere commesso da ‘chiunque’

non rivesta la qualità di autore o coautore del reato-fonte: dunque, assume le sembianze di un reato comune “per sottrazione”.

(iii) Il precipitato più rilevante di una simile ricostruzione è che la condotta di mera messa a disposizione del provento nelle mani del terzo, perché la reimpie- ghi, sarà destinata a restare penalmente irrilevante (come lo era prima della novel- la). In una tale evenienza, infatti, sarà il terzo estraneo a realizzare compiutamen- te l’illecito, del quale risponderà a titolo di riciclaggio o di reimpiego.

4.2. Autoriciclaggio e responsabilità dell’ente: un irrimediabile corto circuito

L’introduzione del reato di autoriciclaggio ha trascinato con sé la previsione di una responsabilità dell’ente. Scorrendo i lavori parlamentari, non si fatica a scor- gere che si è trattato di una trascinamento ‘automatico’, effettuato alla stregua di una clausola di stile: prova ne sia che non sono rintracciabili emendamenti o se- gnali di riflessione in ordine a siffatta estensione della responsabilità della socie- tas. Eppure, proprio su questo terreno, la frettolosità della novella partorisce rag- guardevoli nodi problematici, che abbracciano la stessa struttura dell’illecito dell’ente. Nodi, peraltro, prontamente colti in sede di primo commento33, che ri- guardano essenzialmente due profili: (a) il novero dei reati-fonte (della successiva condotta di reimpiego) riferibili all’ente; (b) la trama delle relazioni tra il reato di autoriciclaggio, imperniato sulla coincidenza fisica del soggetto attivo del reato- fonte e del delitto di reimpiego, e il correlativo illecito amministrativo dell’ente.

(a)Con riguardo al profilo dei reati-fonte, si può prefigurare uno scenario gra- vido di importanti ripercussioni giuridiche.

(i) In una prima prospettiva, si potrebbe sostenere che l’ente risponda di auto- riciclaggio qualunque sia stato il reato-fonte commesso dalla persona fisica: in tal

32 STORTONI, Agevolazione e concorso di persone nel reato, Padova, 1981, 108.

33 Si allude al saggio di ROSSI, Note in prima lettura, cit., 10 ss.

(15)

caso, l’ente è punibile alla sola condizione che vi sia l’identità fisica dell’autore delle condotte illecite (quella a monte e quella, successiva, di reimpiego).

(ii) In un’ottica, invece, di riduzione dell’orbita dei reati-fonte riferibili all’ente, si potrebbe paventare l’ipotesi che, ferma l’identità dell’autore, l’ente ri- sponda solo quando il reato-fonte è stato commesso nel suo interesse o a sua

(iii) Alla stregua di una impostazione vantaggio, risultando, così, funzionalmen- te collegato all’attività dell’ente, anche se non figuri tra i reati-presupposto della sua responsabilità (si pensi ai reati tributari).ancora più restrittiva, si potrebbe ritenere che l’ente debba rispondere di autoriciclaggio solo se il reato-fonte figuri nel cata- logo dei reati-presupposto della responsabilità dell’ente e sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio.

Se si privilegiasse l’impostazione sub i), la capacità di prevenire la consumazio- ne del reato di autoriciclaggio, da parte dell’ente, rischierebbe di essere vanifica- ta. È di intuitiva evidenza che una efficace strategia preventiva non può che pas- sare, tra l’altro, per una riduzione del rischio di commissione dei reati-fonte della successiva condotta di reimpiego. Data l’ampiezza, difficilmente circoscrivibile, del numero di tali reati, l’ente si troverebbe nella sostanziale impossibilità di rea- lizzare un’efficace mappatura e la susseguente elaborazione di presidi cautelari. Si ripropone, in buona sostanza, lo stesso problema che grava sulla responsabilità dell’ente per i delitti di criminalità organizzata, rispetto al quale, tuttavia, è inter- venuta una pronuncia della Corte di Cassazione a circoscrivere l’orbita dei delitti- scopo a quelli che integrano la responsabilità amministrativa dell’ente34.

Proprio questa illuminata pronuncia della Cassazione suggerisce di privilegia- re quest’ultima ipotesi. Lo impone il rispetto del principio di tassatività degli ille- citi dell’ente: in caso contrario, si aprirebbe il campo ad un sistema punitivo dal doppio volto. Da una parte, il sistema ‘tipico’ (legale) delineato nella “parte spe- ciale” del d. lgs. 231/2001; dall’altra parte, un sistema-catalogo ‘informale’ (extra- legale) e “indeterminato”, destinato a riempirsi dei contenuti più vari.

(b) La complicata trama delle relazioni tra i due illeciti (quello della persona fisica e quello dell’ente), sul versante del soggetto attivo del reato di autoriciclag- gio, è suscettibile di ingenerare alcuni effetti autenticamente paradossali. Ancora

34 Cass., sez. VI pen., 20 dicembre 2013-24 gennaio 2014, n. 3635, Riva Fire s.p.a., in Riv. it. dir.

proc. pen., 2014, 988 ss. La Corte ha stabilito che «la contestazione del reato associativo, quale reato- presupposto della responsabilità dell’ente, avente ad oggetto delitti-scopo estranei al catalogo dei reati- presupposto, costituisce una violazione del principio di tassatività del sistema sanzionatorio contem- plato dal d.lgs. 231/2001: il reato associativo si trasformerebbe, infatti, in una disposizione “aperta”, dal contenuto elastico, potenzialmente idonea a ricomprendere nel novero dei reati-presupposto qual- siasi fattispecie di reato, con il pericolo di una ingiustificata dilatazione dell’area di potenziale respon- sabilità dell’ente collettivo, i cui organi direttivi sarebbero in tal modo costretti ad adottare, su basi di assoluta incertezza e nella totale assenza di criteri di riferimento, i modelli di organizzazione previsti dall’art. 6 d.lgs. cit., scomparendone di fatto ogni efficace in relazione agli auspicati fini preventivi».

(16)

una volta exempla docent. Si pensi all’autore del reato-fonte (un dirigente dell’area finanziaria di un ente), che commetta tale reato (una frode fiscale o un omesso versamento delle somme trattenute come sostituto di imposta) e, succes- sivamente, l’amministratore della stessa società, estraneo al reato-fonte, reimpie- ghi i proventi illeciti, sapendoli tali, in attività economiche nell’interesse o van- taggio dell’ente. L’amministratore sarebbe chiamato a rispondere di riciclaggio e così pure la società, benché entrambi i reati siano stati commessi nell’interesse della società e siano, dunque, a lei riferibili. La contestazione del reato di autori- ciclaggio non è prospettabile in ragione della diversità delle persone fisiche che hanno commesso il reato-fonte e quello, successivo, di reimpiego. Si staglia poi una ulteriore evenienza ‘singolare’. Potrebbe accadere che un soggetto commetta il reato di traffico di sostanze stupefacenti e che, dopo averne occultato i proven- ti, decida, dopo qualche anno, di impiegarli in una società all’uopo costituita. In questo caso, la società dovrebbe risponderebbe, ove si affermasse l’orientamento sub (i), di autoriciclaggio, stante la coincidenza fisica del soggetto attivo del reato- fonte e del successivo reimpiego. Se, però, si aderisce, come auspicato, all’impostazione più restrittiva, la società non potrebbe rispondere di autorici- claggio, perché il delitto-fonte non è stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio e neppure figura tra i reati-presupposto della responsabilità dell’ente.

In questo caso, e qui si radica la ‘singolarità’ della vicenda, la società non rispon- derebbe neppure di riciclaggio, perché quest’ultimo reato non è configurabile, in ragione della identità della persona fisica che ha commesso i due illeciti: ‘man- cando’ il reato-presupposto, l’ente non è perseguibile.

Gli esempi additati dimostrano come il riversare sic et simpliciter in capo all’ente la responsabilità per il reato di autoriciclaggio oscuri un profilo essenziale del paradigma imputativo dell’illecito all’ente. Il reato è ascrivibile all’ente alla condizione che un soggetto, inserito nella sua compagine, lo commetta nell’interesse o a vantaggio della societas: in tal caso, il fatto di reato della persona fisica integra, sul piano oggettivo, l’illecito dell’ente (detto in altri termini: è il fat- to di reato dell’ente). La teoria della identificazione possiede un’anima normativa:

non essendo l’ente naturalisticamente capace di azione, spetta al criterio normati- vo dell’interesse o del vantaggio colmare tale deficit; una volta rinvenuto, il fatto di reato coincide (si identifica, cioè) con l’illecito dell’ente35. Di questo meccani- smo imputativo, il legislatore pare non aver tenuto conto con riferimento all’autoriciclaggio, dove, sul terreno dell’Individualstrafrecht, è richiesta la coinci- denza fisica tra autore del reato fonte e autore del successivo reimpiego, tramite

35 Per un esame della teoria della identificazione, cfr. DE MAGLIE, L’etica e il mercato. La re- sponsabilità penale delle società, Milano, 2002, 12 ss.; DE SIMONE, Persone giuridiche e responsabilità da reato, Pisa, 2012, 48 ss.

(17)

lecito-vestizione. Sul distinto versante della responsabilità dell’ente, il rinvio alla mera coincidenza soggettiva è, come si è visto, foriero di esiti disfunzionali. Per evitarli, occorreva riflettere sulla circostanza che l’autoriciclaggio dell’ente postu- la l’identità non già della persona fisica autore del reato-fonte e di quello di reim- piego, bensì una coincidenza funzionale, normativa: è necessario e sufficiente che i due reati, che compongono la fattispecie complessa di autoriciclaggio, siano rife- ribili, in termini di interesse o vantaggio, all’ente, a nulla rilevando l’eventuale di- versa identità dei soggetti che lo hanno commesso. Ma una simile ricostruzione non pare trovare alcun ancoraggio nel testo della disposizione licenziata, sì che la norma andrebbe ‘ritoccata’ in direzione di una formulazione imperniata sull’esistenza di due condotte (quella del delitto-fonte e quella, successiva, di re- impiego) realizzate entrambe nell’interesse o a vantaggio dell’ente36. Un illecito amministrativo da reato contraddistinto dalla irrilevanza della identità fisica dell’autore, dunque: ciò che conta è l’identità del centro di interessi al quale sono riferibili i reati (quello fonte e il successivo reimpiego) che vengono commessi.

5. Conclusioni

L’indagine sulla struttura e la funzione del reato di autoriciclaggio, soprattutto sul terreno delle forme di realizzazione plurisoggettiva, conferma l’assunto di par- tenza: la rincorsa, bulimica, del legislatore al diritto penale partorisce un degrado che ne abbrutisce le fondamenta. La miscela è davvero esplosiva: si sfrutta la pre- venzione generale in funzione placativa (pur nella consapevolezza dei suoi sicuri insuccessi); si piega il topos, geneticamente garantista, del “bene giuridico” a strumento di criminalizzazione, smarrendone la funzione critica; si confezionano norme che rilasciano una strutturale precarietà descrittiva (si utilizzano le parole come materia plastica), destinata ad aumentare, politicamente, il ruolo del potere giudiziario nella risoluzione dei conflitti sociali sottesi alle fattispecie coinvolte. Si profila, così, l’immagine di un diritto penale come arnese da ‘lavorare’ e ‘sfrutta- re’ a piacimento, fino in fondo. Dinanzi ad un simile, pericoloso “gioco”, il ri- chiamo al rispetto dei principi potrebbe persino rivelarsi illusorio; osservare la

‘grammatica penalistica’ richiede idealità, un’anima, si potrebbe dire: idealità e anima che, in questa fase, il legislatore pare avere smarrite. Si potrebbe lanciare

36 In proposito, si rinvia alla formulazione della norma proposta da ROSSI, Note in prima lettu- ra, cit., 16, che recita: «Si applica la sanzione pecuniaria (…) alla persona giuridica che, avendo commesso o concorso a commettere un illecito derivante da reato-presupposto non colposo, impie- ga, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il dena- ro, i beni o la altre utilità provenienti dalla commissione di tale illecito, in modo da ostacolare con- cretamente l’identificazione della loro provenienza illecita (…)».

(18)

un suggerimento più modesto: dopo le fatiche di questo biennio, si goda il legi- slatore un salutare riposo; il sistema penale ne beneficerà, trovando il modo di tornare a respirare.

Riferimenti

Documenti correlati

Stante l’indiscussa natura di reato abituale della fattispecie di atti persecutori ci si è chiesti, inoltre, se sia sufficiente che l’agente si rappresenti e voglia la realizzazione

Il bene giuridico protetto e l'offensività, anche in rapporto ai reati- presupposto, di riciclaggio, di reimpiego e di

A questa duplice obiezione si è ritenuto di poter replicare, da un lato, facendo ap- pello alla teoria dell’immedesimazione organica, per la quale sarebbe possibile consi- derare

rispetto alla concorrenza di condotte colpose auto- nome: se la cooperazione colposa va considerata come un’ipotesi più grave (quantomeno a livello di disciplina, quella concorsuale),

sarebbe incostituzionale nella parte in cui non è applicabile al mu- tamento giurisprudenziale favorevole: precisamente «nella parte in cui non prevede l’ipotesi di revoca

Comitato scientifico: Paola Severino, Miriam Cugat Mauri, Luigi Foffani, Gumersindo Guinarte Cabada, Antonio Gullo, Vincenzo Mongillo, Inmaculada Valeije Álvarez,

In data 5 giugno 2017, la Sede di Moncalieri segnalava ulteriori guasti agli infissi dello stabile e, dopo l’autorizzazione dell’Ufficio scrivente, avviava indagine

La differenza tra i due tipi di fattispecie risiede nella circostanza che, mentre nei reati con evento naturalistico l’esistenza del nesso causale è richiesta