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Evoluzione e prospettive in tema di micropermanenti

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Academic year: 2022

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Evoluzione e prospettive in tema di micropermanenti

Dr. Antonio Nannipieri*

Nel sistema tradizionale del risarcimento del danno a persona seguito prima delle innovazioni dovute al riconoscimento della tutela risarcitoria del danno alla salute, piccole invalidità o micropermanenti sono state considerate quelle modeste menomazioni relative a postumi valutati come incidenti invece che proporzionalmente sulla capacità lavorativa generica in ridotta misura percentuale (in genere inferiore al 10%-12%), suscettibili di recupero e di adattamento in ragione inversa all’età del soggetto ed alla loro gravità.

Anche se la percentualizzazione delle p.i. è stata ritenuta dalla dottrina medico-legale inadeguata (per il fatto “che è da dubitare spesso circa la loro permanenza, sia perché è ragionevole ritenere, nella maggior parte dei casi, che opereranno i meccanismi di compenso sia sotto il profilo funzionale diretto, sia sotto il profilo indiretto della risonanza psichica, degli effetti negativi globali sulla personalità del soggetto”) tale indicazione delimitativa è stata influenzata dal dato normativo costituito dall’art. 74 del d.p.r. 30 giugno 1965.

Tale disposizione prevede, infatti, che l’INAIL non è tenuta ad alcuna prestazione quando l’invalidità è inferiore all’11% nella considerazione che tale invalidità non ha alcuna influenza concreta sulla capacità di guadagno dell’infortunato.

Proprio per le peculiarità sopra descritte, per le liquidazioni delle micrpermanenti, solo eccezionalmente si era ritenuto applicabile il sistema integrale del calcolo tabellare e la giurisprudenza di merito si era orientata verso il criterio equitativo puro (comprensivo o meno di rivalutazione monetaria) o verso il criterio tabellare ridotto in via equitativa (di solito con abbattimento oscillante da ¼ ad ½ dell’importo totale, e ciò al fine di evitare liquidazioni ritenute ingiustificate ed eccessive).

Ma proprio per la considerazione che le piccole menomazioni non hanno di regola (ma solo in via eccezionale) alcuna incidenza sulla capacità reddituale del danneggiato e che, quindi, la loro liquidazione ha finito, in sostanza, per prescindere dal parametro del guadagno o reddito incompatibile con il contenuto proprio danno alla salute, le stesse micropermanenti hanno consentito di ridurre tali situazioni lesive nell’ambito equitativo differenziato dal valore del punto della giurisprudenza pisana e di essere qualificate “gli immediati precedenti giurisprudenziali del danno alla salute” (sent. 184/86 della Corte Cost.).

Pertanto non si può non rivelare che nella costruzione del nuovo modello risarcitorio il contributo non solo concettuale ma anche applicativo e operativo delle micropermanenti è stato fondamentale soprattutto in quella fase del “post-principio” in cui si incontravano difficoltà nella ricerca di un parametro liquidativo compatibile con il contenuto del danno alla salute che fu poi proposto dal gruppo pisano nel criterio equitativo differenziato del valore del punto; e proprio in virtù dell’analisi dei precedenti giurisprudenziali delle microlesioni non incidenti sul guadagno del leso che consentirono di determinare il valore del punto di invalidità tra £. 1.000.000 e £. 1.500.000 il quale, con i dovuti adeguamenti, attualmente costituisce il riferimento imprescindibile del nuovo sistema liquidativo del danno alla salute basato appunto (in via tabellare o in via extratabellare) sul valore di punto differenziato (cfr. di recente in parte motiva Cass. sez. III 9 gennaio 1998 n. 134 in Foro Ital. 1998 con nota Dr. Granieri).

Sotto altro profilo, che nell’ambito delle liquidazioni del danno permanente alla persona le piccole invalidità assumano un rilievo preminente anche dal punto di vista quantitativo e, quindi dei costi assicurativi, è un dato che trova conferma continua anche nel nuovo sistema risarcitorio tanto che in relazione ad attendibili studi ed indagini di fonte assicurativa si colloca la casistica delle

* Presidente II Sezione Civile Corte d’Appello, Firenze

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microlesioni mediamente nella percentuale del 70% rispetto al totale del contenzioso relativo a lesioni con postumi permanenti.

Proprio rendendosi conto delle peculiarità delle microinvalidità e per il timore di incorrere nel pericolo di duplicazione o eccessiva quantificazione cui ha fatto espresso riferimento anche la Corte Costituzionale, una parte della giurisprudenza di merito (compresa anche quella che diversamente dal Tribunale di Genova o di La Spezia non fa ricorso al parametro del triplo della pensione sociale o del reddito medio nazionale o ad altro parametro reddituale) è tuttora orientata ad operare un abbattimento sul risultato del calcolo tabellare o sui valori determinati con criteri equitativi per la liquidazione del danno alla salute secondo il calcolo a punto.

Ma il ricorso alla tecnica della riduzione o abbattimento sui valori tabellari (che non vengono, peraltro, praticati in percentuale fissa ma diversa) se, in un’ottica meramente reddituale, era coerente, giustificata dal sistema di liquidazione tradizionale basato sul parametro reddituale, non può ora essere condivisa perché la Corte di Cassazione ha ormai affermato con chiarezza che “le micropermanenti hanno rilevanza non già come menomata capacità di guadagno ma come menomazione della salute psicofisica della persona in sé e per sé considerata nel concetto di danno biologico e, pertanto, comportano il diritto al risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa, tenendo presente gli esiti invalidanti, e le limitazioni psicofisiche delle lesioni subite in relazione all’età dell’infortunato, al suo ambito sociale ed alla sua vita di relazione” (Cass. 8066/93; Cass.

4.3.1995 n. 2515; Cass. 15.10.1997 n. 10114).

Il problema, salvo casi eccezionali di cumulo tra danno alla salute, e danno alla capacità reddituale adeguatamente provato, deve essere allora impostato e risolto nell’ambito della soluzione liquidativa relativa al danno alla salute e cioè con “il criterio del valore del punto tabellare temperato dall'equità correttiva del singolo caso”.

Una volta, infatti, delimitata (sia pure in via puramente convenzionale) la fascia o soglia delle micropermanenti (10% secondo la dottrina medico legale e Cass. 4255/95, 6516/97, 9939/97; 5%

secondo una parte della giurisprudenza merito) si tratta, quindi, solo di stabilire il valore medio del punto tabellare per la fascia ricompresa nelle micropermanenti che, proprio in relazione alle caratteristiche proprie di tali situazioni lesive evidenziate dalla dottrina medico legale e considerate nelle tabelle valutative, dovrà riflettersi sulle quantificazioni tabellari e sull’andamento della curva alla fascia suindicata.

Posto nei termini sopra enunciati, il problema liquidativo delle p.i. (al di fuori delle ipotesi in cui si possa escludere il carattere permanente della menomazione, e quindi, si rientri nel caso di danno alla salute temporaneo) sembra allora risultare per il futuro correlato ad una corretta e adeguata valutazione medico legale del C.T.U. e dei C.T. di parte piuttosto che a liquidazione sproporzionale, eccessive e difformi da parte del giudice, situazioni sinora ricorrenti ed in presenza delle quali l’abbattimento troverebbe una sua giustificazione.

Se quindi si farà ricorso all’applicazione di una tabella indicativa nazionale in cui si tenga conto di una curva con andamento e valori differenziati per le microinvalidità, le eventuali difformità potranno riguardare solo lo spazio equitativo rimesso al giudice caso per caso, nel senso che potrà essere escluso o contenuto il residuo quantum equitativo quando, secondo una precisa motivazione del giudice, la piccola invalidità non incida o incida in maniera trascurabile sulla componente personalizzata del danno e cioè sulle singole condizioni di vita familiare, relazionale e sociale del leso.

In tale direzione è peraltro orientato il nuovo progetto di legge che sta elaborando la Commissione ISVAP il quale all’art. 3 (Valutazione del danno alla salute) dopo aver richiamato i criteri della Tabella Indicativa Nazionale (TIN), conferisce al giudice il potere di una correzione in aumento o in diminuzione contenuta entro una misura non superiore al terzo dell’ammontare determinato in via tabellare, “avuto riguardo a comprovate peculiarità oggettive e soggettive del caso concreto”.

E sempre a proposito della tesi del “non abbattimento” e di quanto sopra detto, è stato esattamente osservato (Arcieri “I criteri di risarcimento del Tribunale di Bologna” in Diritto ed

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Economia dell’Assicurazione” 1997, pag. 501) che una volta ricondotte le microperamenti nell’ambito del danno biologico” la scarsa entità negativa della lesione sull’apparato psicofisico è già stata presa in esame dal medico e tradotta nel basso punteggio percentuale attribuito, proprio in considerazione della modesta incidenza sull’efficienza psicofisica del soggetto” e non è giustificabile né un’attribuzione di punteggi differenziati a seconda del grado complessivo di invalidità, né il c.d. abbattimento equitativo del calcolo tabellare.

Naturalmente anche e soprattutto nel controllo esercitato dal giudice sugli elaborati peritali, si dovrà tener conto di quei “canoni di accertamento e di rigore” che soprattutto in presenza di piccole invalidità molto ricorrenti (colpo di frusta, contusioni o distorsioni nei principali distretti articolari ed in particolare del ginocchio) caratterizzate da disturbi soggettivi (alcune volte anche simulati) e da “un’inefficienza del solo esame clinico documentale” rendono necessaria un’indagine

“sull’esame della modalità lesiva che ha caratterizzato il fatto colposo in discussione e sulla compatibilità di essa nel generare le lesioni che vengono poi certificate”.

Ma anche sotto quest’ultimo profilo l’iniziativa assunta da alcuni Tribunali (tra cui Bologna) di coordinare e collegare i risultati della duplice C.T.U. (la prima di natura meccanica volta a determinare natura ed entità delle sollecitazioni subite dal corpo dell’infortunato, la seconda medica, con il quesito aggiuntivo per il medico legale di determinare il nesso causale sulla base anche delle risultanze della C.T.U. meccanica) ha offerto risposte di gran lunga inferiori alle aspettative, mettendo in evidenza che l’aspetto problematico rimane quello di dati certi ed oggettivi in ordine all’accertamento del nesso causale e la valutazione di conseguenze transitorie e soprattutto permanenti, tenuto conto che tutti i possibili accertamenti diagnostici espletati, l’esame analitico dei disturbi oggettivi lamentati dal leso e l’inevitabile ricorrenza di variabili di natura biochimica e biomeccanica, non sono spesso sufficienti a raggiungere conclusioni sicure e certe ma solo probabilistiche.

E del resto proprio le lacune o le difficoltà di verifiche cliniche su taluni aspetti contribuiscono addirittura a realizzare progetti truffaldini di notevole spessore, come è accaduto nell’inchiesta pilota aperta dalla Procura di Venezia.

Pur tenendo presenti le considerazioni sopra svolte a favore della tesi del non abbattimento, non si può trascurare che nella elaborazione della Tabella indicativa nazionale, ormai ritenuta quasi da tutti necessaria, si deve tener conto di alcuni fattori e della necessità di una loro concreta verifica da parte della giurisprudenza, fattori che fanno propendere per una autonoma peculiare ed equilibrata valutazione del valore del punto delle micropermanenti, ma anche per un inserimento armonico nella tabella con ipotesi di riduzione del valore del punto dal 10 all’1% in misura proporzionale e graduata e in una percentuale che può oscillare tra il 40% ed il 65% come è emerso dagli interessanti e recenti lavori della Commissione tabelle del Gruppo Pisano in conformità ai criteri sostanziali già delineati nel mio contributo sulla “Liquidazione del danno alla salute” (v. paragrafi 7 ed 11 in “La valutazione del danno alla salute”).

La soluzione suindicata che appare ad un primo esame in contraddizione con le riflessioni prima sviluppate in realtà trova, invece, un suo valido fondamento ove si tenga presente che , una volta scelto il sistema tabellare del valore differenziato del punto (il quale rimane pur sempre un sistema di natura equitativa) non si possa fare a meno di trascurare alcuni profili specifici e cioè:

a) che il valore del punto trasferito nel sistema risente ancora, dal punto di vista quantitativo, dei precedenti giurisprudenziali riferentesi a liquidazioni del danno alla salute operate con il parametro proprio di tale figura di danno e con criteri medico legali corretti (si pensi alle situazioni di accertamento di incapacità lavorativa generiva) e quindi, spesso maggiorate;

b) che in tali liquidazioni è stato spesso considerato nella sua pienezza non solo l’aspetto statico ma anche quello dinamico del danno alla salute,

c) che in molti casi il momento della liquidazione del danno non coincide e non può coincidere con una verifica positiva sul riassorbimento o compensazione anche parziali dell’entità della menomazione inizialmente accertata;

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d) che la rilevanza economica e sociale delle microinvalidità certamente non può essere slegata dal problema del miglior impiego delle risorse disponibili, quanto meno se non a livello giudiziale, a livello stragiudiziale e legislativo.

Ma una volta ricondotte le micropermanenti nell’ambito della componente prioritaria del danno alla salute o danno biologico, rimane ancora da esaminare il problema relativo al rapporto tra danno alla salute e lucro cessante da invalidità lavorativa e del relativo cumulo, problema che non può essere risolto con il ricorso ad una argomentazione presuntiva ad un conseguente automatismo risarcitorio come sembrerebbe ricavarsi da alcune sentenze della cassazione.

In tali pronunce si afferma, infatti, il principio che se i postumi derivanti dalle lesioni subite a causa di un incidente superano la percentuale del 10% non vi è micropermanente valutabile soltanto come danno biologico ma invalidità permanente di non modesta entità e, perciò, incidente sull’attività lavorativa del danneggiato, se studente, sulla sua capacità astratta di produrre reddito, da valutare secondo il suo orientamento al riguardo e sulla posizione economica e sociale della sua famiglia (Cass. 25.9.1997 n. 9399 in Gius. 2/98 pag. 245 che richiama Cass. 6516/97 e 535/97).

In realtà, come abbiamo avuto modo di sottolineare più volte, il danno da riduzione della capacità produttiva personale richiede pur sempre un concreto ed adeguato riscontro probatorio (in tal senso mi sia consentito rinviare al mio scritto “Il danno da riduzione della capacità produttivo”

in R.G.C.T. 1997 pag. 536 e idem 1998 pag. 825 in nota a Cass. 15.9.1997n. 9285) e pertanto ci sembra che l’orientamento della Cassazione non possa sul punto ancora considerarsi consolidato e, comunque, sia da condividere l’indirizzo minoritario della stessa Corte di Cassazione e quello di gran lunga prevalente della giurisprudenza di merito secondo il quale la “micropermanente, per sua natura, non è normalmente idonea a incidere sulla capacità reddituale del danneggiato, salva la prova di un danno concreto, in relazione ad una particolare situazione di fatto” (cfr. Cass. Sez. III 23.5.1997 n. 4609 in Guida al diritto dossier 1/98 pag. 60 e 70).

Tutto ciò consente di evitare duplicazioni risarcitorie spesso ingiustificate perché poco compatibili con il nuovo modello di sistema risarcitorio e spesso smentite dall’esito dell’accertamento medico legale disposto in base ad un quesito specifico e ad una valutazione personalizzata del danno.

Sempre in tema di micropermanenti, per quanto attiene al rapporto tra danno alla salute e danno morale, la tabellazione proposta deve, comunque, a mio avviso, essere riferita al solo danno alla salute e non può essere estesa al danno morale attraverso un meccanismo che (come quello adottato dal Tribunale di Milano ed in misura diversa da altri Tribunali) liquida il danno morale in una frazione che può oscillare da un terzo alla metà della somma liquidata a titolo di risarcimento per il danno biologico di natura permanente e in taluni casi anche il danno di natura temporanea.

In effetti tale estensione, se operata in maniera generalizzata ed automatica, anche se dettata dal condivisibile motivo di evitare che “la valutazione equitativa del danno non patrimoniale assuma connotazioni ogni volta diverse, imprevedibili e suscettibili da apparire arbitrarie anche in ragione della difficoltà di offrire appaganti e controllabili ragioni giustificative di una determinazione quantitativa che la funzione meramente surrogante e compensativa delle sofferenze indotte dal fatto lesivo costituente reato”, sembra difficilmente compatibile con la più volte richiamata autonomia definitoria e contenutistica del danno alla salute rispetto al danno morale e alla conseguente necessità di adottare parametri liquidativi diversi e conciliabili con tale autonomia.

In effetti, anche se esiste una parziale correlazione tra percentuale di invalidità e quantificazione del danno morale nel senso che ad una maggiore entità delle lesioni risponde, di regola, un maggiore gravità del reato di lesioni colpose, tale correlazione assume solo nell’ambito del parametro della gravità del fatto reato e deve accompagnarsi a tutti gli altri elementi peculiari della fattispecie concreta, con riferimento soprattutto all’altro parametro di costante riferimento giurisprudenziale e cioè all’entità o all’intensità del patema d’animo apprezzato con adeguata considerazione di tutte “le peculiarità del caso concreto”.

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E proprio in tale ottica si sembra debba essere letta la recente sentenza 9.1.1998 n. 134 della Corte di Cassazione (Foro Ital. 1998 I 409)la qual entro i limiti suindicati ha ritenuto legittimo il

“sempre, più diffuso criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale” in una frazione generalmente oscillante da un terzo alla metà dell’importo riconosciuto per il risarcimento del danno alla salute.

Fatta quindi salva l’esigenza di personalizzazione del danno nell’ambito della particolarità del caso concreto e ferma restando la rilevanza della correlazione sopra indicata, mi sembra che più che far coincidere in via spesso presuntiva e non sempre proporzionale l’entità delle lesioni e, quindi trasferire tale rapporto in un’indicazione tabellare, appare più coerente e corretto cercare di stabilire (in via giurisprudenziale ora ed in futuro in via legislativa) anche per il danno morale soggettivo, il valore medio del punto tratto dall’analisi dei precedenti giurisprudenziali specifici in modo da assicurare, anche per questa componente risarcitoria, una uniformità di base di contenuto omogeneo ed al tempo stesso articolato in classi secondo il nucleo portante del metodo seguito per la determinazione del “criterio del valore di punto differenziato” riguardo al danno alla salute.

In tal modo il dialogo tra la giurisprudenza di merito e la giurisprudenza di legittima può proseguire contribuendo a rafforzare anche sul tema specifico quel diritto vivente richiamato proprio a proposito delle micropermanenti della sentenza 184/86 della Corte Costituzionale.

Riferimenti

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