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IL DANNO MORALE: STORIA, EVOLUZIONE, PROSPETTIVE E NOVITÀ LEGISLATIVE E TABELLARI

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TAGETE 4-2009 Year XV

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THE MORAL DAMAGE: HISTORY, EVOLUTION, PERSPECTIVES AND LEGISLATIVE INNOVATIONS

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IL DANNO MORALE: STORIA, EVOLUZIONE, PROSPETTIVE E NOVITÀ LEGISLATIVE E TABELLARI

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Avv. Michele Liguori

1Relazione presentata al Congresso organizzato dall’Associazione Medico Giuridica Melchiorre Gioia, “Vulnera Mentis III. Risarcimento integrale del danno patrimoniale e non patrimoniale”, 22 e 23 maggio 2009, My Hotels Galilei, Pisa e tratta da M. LIGUORI, Commentario al Codice delle Assicurazioni. R.C.A. – Tutela legale, Collana Tribuna Major, La Tribuna, Piacenza, II ed., 2009, commento sub art. 140, par. V.3.2.4., 398 e segg.

Foro di Napoli

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867 ABSTRACT

The author gives a rapid survey of the historical evolutions of the moral damage and reminds its juridical assumptions. Moreover the author explains that these aspects, that exceed the biological damage, should be evaluated in the assessment of the right and entire compensation of the non patrimonial damage.

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La giurisprudenza, nella vigenza del codice civile del 1865 e dopo non pochi contrasti, ha affermato, con decisione a Sezioni Unite, l’irrisarcibilità dei danni morali. Gli interpreti, dopo tale decisione, hanno avvertito l’iniquità del principio affermato e, così, la giurisprudenza di merito ha iniziato ad aggirarlo ed ha operato un distinguo tra “danni morali diretti”, sempre irrisarcibili e

“danni morali indiretti” che, seppur colpivano beni insuscettibili di valutazione economica, incidevano negativamente anche sul patrimonio della vittima e, pertanto, erano risarcibili.

Il legislatore del 1942, allorché ha promulgato il nuovo codice civile, ha inteso porre fine ad ogni precedente contrasto insorto sulla distinzione tra “danni morali diretti” e “danni morali indiretti” e, con l’art. 2059 c.c., ha adottato la formula del “danno non patrimoniale” che, secondo le sue intenzioni, avrebbe dovuto riassorbire e conglobare il vecchio “danno morale”. La giurisprudenza successiva ha interpretato l’art. 2059 c.c. in modo restrittivo ed ha ritenuto che il “danno non patrimoniale” ivi previsto consisteva unicamente nel “danno morale”, che tale danno si identificava unicamente col patema d’animo transeunte che andava liquidato, per il rinvio operato dalla norma ai “casi determinati dalla legge” solo ed esclusivamente allorché il fatto illecito rivestiva anche le caratteristiche del reato penale.

La giurisprudenza di legittimità, soltanto all’inizio del secolo in corso, sotto la spinta rinnovatrice di poche voci dissonanti di dottrina e giurisprudenza, ha operato, in due fasi, un vero e proprio revirement in tema di risarcibilità del danno morale: in una prima fase, con la prima trilogia di sentenze fotocopia, ha ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale, ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p., anche in mancanza di accertamento della colpa in concreto dell’autore del danno e in ipotesi in cui la stessa debba ritenersi sussistente in base a una presunzione di legge; in una seconda fase, con la successiva coppia di sentenze fotocopia, ha fornito l’auspicata lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c..

Le Sezioni Unite, con un parto quadrigemino del dì 11/11/2008, hanno riportato il sistema della responsabilità civile nell’ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.). I postulati delle Sezioni Unite, non sempre lineari e, comunque, di non facile lettura, hanno portato alcuni interpreti e la maggior parte delle imprese di assicurazione, a ritenere ormai diritto vivente il sistema della globalizzazione del nuovo danno non patrimoniale del terzo millennio, in cui il danno biologico ha fagocitato il danno morale e, più precisamente, le tabelle del danno biologico hanno fagocitato le tabelle del danno morale.

L’autore, con il presente contributo, dopo aver ricordato che il fondamento normativo del danno morale è ravvisabile nella c.d. dignità della persona umana, offesa dal reato e, così, in norme di rango superiore, nazionali e comunitarie, ha spiegato le ragioni per le quali le tabelle del danno biologico non contengono il quantum risarcitorio del danno morale e, pertanto, i motivi per i quali il giudice e le imprese di assicurazione devono valutare nella loro effettiva consistenza sia le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, sia la violazione della sfera morale e della dignità della persona, onde pervenire alla liquidazione del nuovo danno non patrimoniale (biologico e morale) nella sua interezza.

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868 Sommario: 1. Il danno morale nel codice civile del 1865. - 2. Il danno morale nel codice civile del 1942. - 3. La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.: primi tentativi. - 4. La prima fase del revirement della S.C. in tema di risarcibilità del danno morale: anche a prescindere dal fatto-reato. - 5. La seconda fase del revirement della S.C. in tema di risarcibilità del danno morale: la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.. - 6. I criteri di liquidazione del danno morale (ante Sezioni Unite). - 7. Il recente dictum delle Sezioni Unite. - 8. L’interpretazione del dictum delle Sezioni Unite alla luce di una recente normativa (D.P.R.

3/3/2009 n. 37) e della giurisprudenza successiva della S.C.. - 9. La previsione e l’auspicio. – 10. Novità tabellari. - 11. L’occasione mancata.

1. Il danno morale nel codice civile del 1865

I danni non patrimoniali, nella vigenza del codice del 1865, venivano abitualmente definiti come “danni morali”, definizione mutuata dal modello letterale francese che li definiva dommage moral2.

Per pregiudizi morali si intendevano, all’epoca, non solo spavento, paura e turbamento dell’animo, ma anche la lesione, in sé e per sé considerata, a beni personali quali la vita, la salute, l’onore e la reputazione.

I danni morali sono stati pacificamente risarciti fino alla fine del XIX secolo finché una dotta dottrina ha messo in dubbio la risarcibilità di tali danni3.

Tale dottrina, in particolare, ha affermato che “il diritto ha (…) per sua natura ad oggetto sempre un oggetto esteriore e sensibile. Non hanno questa natura, e non si possono neppure propriamente dire diritti personali, né tampoco diritti, od elementi del patrimonio giuridico personale, gli oggetti dell’offesa e del danno morale, come p. es.

l’onore, la pudicizia. Essi sono bensì elementi integranti dell’umana personalità, e

2 BONILINI, Danno morale, Dig. civ., vol. V, Torino, 1989, 84.

3 GABBA, Nota a Cass. Palermo 23.2.1895, Foro it. 1896, I, 685 ed, in particolare, 701.

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869 intangibili e inviolabili come questa, ma appunto l’intangibilità e inviolabilità dell’umana persona non è per sé medesima un diritto civile o privato, perché non ha oggetto esteriore sensibile, non è pretensione di nessun atto o fatto esteriore determinato, che un’altra persona determinata debba porre in essere od evitare (…). E’ un diritto la cui tutela è prestata propriamente dal diritto pubblico penale. Or se i danni morali non sono veri danni in senso civile, cioè giuridico-privato, egli è chiaro che già per questo motivo essi non possono dar fondamento e materia a risarcimento in senso civile, o giuridico- privato, cioè pecuniario”4.

Insinuato, così, il seme della discordia (o del dubbio), da tale momento dottrina e giurisprudenza si sono divise sulla risarcibilità o meno di tali danni.

Le Sezioni Unite, dopo circa sei lustri di lancinanti contrasti, hanno risolto la diatriba ed hanno affermato l’irrisarcibilità dei danni morali5.

Gli interpreti, dopo tale decisione, hanno avvertito l’iniquità del principio affermato e, così, la giurisprudenza di merito ha iniziato ad aggirarlo operando un distinguo tra

“danni morali diretti” e “danni morali indiretti”.

Tale giurisprudenza, in particolare, ha ritenuto che:

- i “danni morali diretti” erano sempre irrisarcibili;

- i “danni morali indiretti”, invece, seppur colpivano beni insuscettibili di valutazione economica, incidevano negativamente anche sul patrimonio della vittima e, pertanto, erano risarcibili.

Con tale escamotage giurisprudenziale, pertanto, attraverso la figura di danni “morali indiretti” si risarcivano, praticamente, anche i danni morali veri e propri e, cioè, quelli diretti.

4 GABBA, Nota a Cass. Palermo 23.2.1895, Foro it. 1896, I, 701.

5 Cass. 20 ottobre 1924, Giur. it. 1924, I, 1, 952.

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870 2. Il danno morale nel codice civile del 1942

Il legislatore del 1942, allorché ha promulgato il nuovo codice civile, ha inteso porre fine ad ogni precedente contrasto insorto sulla distinzione tra “danni morali diretti” e

“danni morali indiretti” e, con l’art. 2059 c.c., ha adottato la formula del “danno non patrimoniale” che doveva riassorbire e conglobare il vecchio “danno morale”.

Nella relazione al codice civile del 1942, che assume valore sistematico di quale fosse, sul punto, l’intenzione del legislatore, si legge che “è più esatto il termine usato dal codice (danno non patrimoniale anziché danno morale) perché ci sono danni morali che sono contemporaneamente morali e materiali, così che, qualora la legge usasse la espressione "danno morale" potrebbe sorgere il dubbio, se per la risarcibilità del danno morale sia necessario che esso abbia anche dei riflessi patrimoniali. Nel sistema del codice, invece, il danno morale che si associa a detrimenti patrimoniali è risarcibile come danno patrimoniale, mentre il danno morale, che non riguarda in alcun modo il patrimonio, è risarcibile solo come tale, cioè come danno non patrimoniale. Si aggiunga che danno morale si contrappone piuttosto a danno fisico che a danno non patrimoniale, e il danno fisico può essere, a seconda dei casi, patrimoniale o non patrimoniale”6. La dottrina successiva si è divisa sulle definizioni di danno non patrimoniale e danno morale.

Una parte della dottrina ha ritenuto che la nozione di “danno non patrimoniale” fosse ampia, comprensiva di qualsiasi pregiudizio privo del carattere della patrimonialità, salvo discutere poi se “non patrimoniale” era il bene danneggiato o l’interesse leso7.

6 Relazione ministeriale al Re Imperatore, par. 92.

7 RAVAZZONI, La riparazione del danno non patrimoniale, Milano, 1962, 82.

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871 Un’altra parte della dottrina ha ritenuto che l’art. 2059 c.c. disciplinasse non già tutti i danni non patrimoniali, ma solo una ristretta cerchia di essi e, cioè, i danni “morali”, intesi quali pregiudizi “pertinenti alla sfera intima del danneggiato”8.

La giurisprudenza successiva ha interpretato l’art. 2059 c.c. in modo restrittivo ed ha ritenuto che il “danno non patrimoniale” ivi previsto consisteva unicamente nel “danno morale” e che tale danno si identificava unicamente col patema d’animo transeunte.

Secondo tale giurisprudenza, il rinvio operato dalla norma di cui all’art. 2059 c.c. ai

“casi determinati dalla legge” stabiliva limiti assai rigidi al risarcimento del danno morale e tali casi erano, all’epoca dell’emanazione del codice civile, solo ed esclusivamente quelli in cui il fatto illecito rivestiva anche le caratteristiche del reato penale, di qui il costante riferimento all’art. 185 c.p., che trovasi sotto il titolo delle

“sanzioni civili”, salvo casi particolari normativamente disciplinati negli anni seguenti.

Le Sezioni Unite hanno confermato tale interpretazione tradizionale assolutamente costante ed hanno affermato che “la risarcibilità del danno non patrimoniale, a norma dell’art. 2059 c.c., in relazione all’art. 185 c.p., non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, ed un reato punibile, per concorso di tutti gli elementi a tal fine rilevanti per la legge penale, essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come reato, e sia conseguentemente idoneo a ledere l’interesse tutelato dalla norma penale. Il suddetto danno non patrimoniale, pertanto, va riconosciuto anche con riguardo al fatto, configurabile astrattamente come reato (nella specie, omicidio

8 SCOGNAMIGLIO, Il danno morale (contributo alla teoria del danno extracontrattuale), Riv. dir. civ.

1957, 277.

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872 colposo), che sia stato commesso da un soggetto non imputabile secondo la legge penale perché minore degli anni quattordici”9.

Tale tesi ha trovato, successivamente, conferma sia nella giurisprudenza di legittimità che in quella della Consulta che hanno ammesso, verso la fine degli anni ‘80 del secolo scorso, l’autonoma risarcibilità del danno biologico.

Tale giurisprudenza, infatti, per conciliare la risarcibilità del danno biologico, anche in assenza di reato, con il limite risarcitorio di cui all’art. 2059 c.c., ha adottato la tesi secondo cui detta norma si riferiva esclusivamente al “danno morale soggettivo”, inteso quale patema d’animo, con esclusione degli altri pregiudizi non patrimoniali scaturenti dalla lesione di diritti fondamentali, come tali disciplinati dall’art. 2043 c.c..

Tale tesi, successivamente, ha trovato ulteriore conferma nell’ulteriore giurisprudenza di legittimità che, confermando la negazione dell’assimilazione tra danno morale (inteso quale patema d’animo) ed altri danni non patrimoniali, al fine di sottrarre questi ultimi al limite di cui all’art. 2059 c.c., ha affermato la risarcibilità dei danni non patrimoniali anche alle persone giuridiche e agli enti esponenziali professionali10.

3. La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.: primi tentativi

In questo contesto, una parte minoritaria della dottrina ed una parte minoritaria della giurisprudenza di legittimità, hanno lamentato la visione restrittiva dei giuristi italiani che

9 Sez. Un. 6/12/82 n. 6651, Arch. giur. circol. e sinistri 1983, 758, Foro It. 1983, I, 1631, Giust. Civ.

1983, 1161, Giust. Civ. 1984, 149, Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 12, Giur. it. 1984, I, 1, 150, Resp.

Civ. Prev. 1983, 633 e Riv. dir. comm. 1983, II, 217.

10 La prima decisione è Cass. 10/7/91 n. 7642; conf. Cass. 9/7/08 n. 18849; Cass. 2/7/08 n. 18153;

Cass. 4/6/07 n. 12929; Cass. 16/7/04 n. 13163; Cass. 3/3/00 n. 2367; Cass. 15/4/98 n. 3807, Mass. Foro it. 1998, 408; Cass. 5/12/92 n. 12951.

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873 interpretavano il rinvio operato dall’art. 2059 c.c., ai “casi determinati dalla legge”, quasi ed esclusivamente a quelli in cui il fatto illecito rivestiva anche le caratteristiche del reato penale ed hanno auspicato una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c..

Per quanto concerne la dottrina, le poche, dotte e lungimiranti voci difformi hanno affermato che:

- “il caso sottoposto all’esame della S.C. (Cass. 23/4/98 n. 4186) aveva tutti i requisiti per consentire alla stessa Corte di legittimità di aprire definitivamente l’art. 2059 c.c. ad una lettura costituzionale, rapportando anche questa norma ai principi costituzionali e a norme internazionali di rango superiore. Quella che è mancata, in definitiva, è stata quell’opera di costituzionalizzazione del sistema della responsabilità civile già più volte auspicata dalla Consulta…la S.C., nella sentenza in esame, ha riconosciuto sì la legittimazione attiva, iure proprio, dei genitori del minore macroleso ad ottenere il risarcimento del danno morale subiettivo, ma avrebbe potuto rapportare la posizione soggettiva violata ed offesa dall’illecito altrui, ai seguenti referenti normativi: artt. 2, 3, 10, 11, 13, 29, 30, 31 Cost., 8, 12 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e parte I, paragrafo 16, Carta Sociale Europea)…Quindi, in definitiva, con un’interpretazione estensiva, liberale e costituzionale dell’art. 2059 c.c., come norma generale, anche se tipicizzante, del danno non patrimoniale, la S.C. avrebbe potuto autorevolmente sostenere che i “casi determinati dalla legge”, previsti dalla predetta norma, ben potevano considerarsi non solo quelli previsti dall’ordinamento penale (art. 185 c.p.) ma anche quelli previsti dalla Costituzione italiana (i già richiamati artt. 2, 3, 10, 11, 13, 29, 30 e 31 Cost.) nonchè quelli previsti dalla Costituzione europea (i già richiamati artt. 8 e 12 Convenzione

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874 Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e parte I, paragrafo 16, Carta Sociale Europea)”11;

- “la soluzione di un ritorno sulla scure dell’art. 2059 c.c. è impraticabile, in quanto l’idea che ogni lesione di una civil right debba ricadere nello schema dell’art. 2043 c.c. è una conseguenza diretta del nostro sistema costituzionale, che tutela tutti i diritti inviolabili senza certo discriminare tra il diritto alla salute, di cui all’art. 32 Cost., e le altre posizioni soggettive individuate nella Costituzione”12;

- “se unico è il principio fondante la clausola generale di risarcimento (il “neminem laedere”) in Europa si concepisce tendenzialmente una dicotomia risarcitoria perfetta, sia del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale, che concorrono al risarcimento integrale del danno alla persona. E dunque, nella tendenza all’armonizzazione dei sistemi, è la visione italiana che appare inadeguata e che esige la riforma dell’art. 2059 e la costituzionalizzazione del sistema della responsabilità civile”13;

- “la attuale querelle circa la natura del danno biologico mette in evidenza, piuttosto, che la valutazione sociale tipica esige oggi un ampliamento dello spettro di rilevanza della situazione non patrimoniale da provvedere della tutela aquiliana. Riferita al nostro ordinamento, tale rilevazione dovrebbe condurre ad un’attenta revisione dell’art. 2059 c.c. sia sotto il profilo della fattispecie, che sotto quello dell’effetto risarcitorio; la prima schiodando dalla identificazione del danno non patrimoniale con il danno morale, il

11 M. LIGUORI, Il risarcimento dei danni morali subiettivi subiti dai congiunti del macroleso, Riv. Giur.

Circ. Trasp., 1999, 449 e Tagete 1999, 3, 23.

12 P.G. MONATERI, Alle soglie di una nuova categoria risarcitoria: il danno esistenziale, Danno e Resp.

1999, 5.

13 G.B. PETTI, Il risarcimento del danno biologico, UTET, 1997, 359.

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875 secondo disincagliando dalla più o meno corretta riduzione "dei casi" determinati dalla legge "alle ipotesi di reato"14.

Per quanto concerne la giurisprudenza, le poche voci difformi hanno affermato che:

- “in tema di danno morale da reato, non vi è dubbio che un disastro costituente fatto reato di enorme gravità, per il numero delle vittime e per le devastazioni ambientali dei centri storici determini, come fatto-evento, la lesione del diritto costituzionale dell’ente territoriale esponenziale (il Comune) alla sua identità storica, culturale, politica, economica costituzionalmente protetta; da ciò consegue che è insita la lesione della posizione soggettiva e che l’ente ha la legittimazione piena e titolo ad esigere il risarcimento del danno”15;

- “aderendo all’invito della Consulta questa Corte ritiene che l’ambito di operatività dell’art. 2059 c.c. debba essere considerato rapportando anche questa norma ai principi costituzionali, e così superando la inadeguata interpretazione tradizionale. Le ragioni della costituzionalizzazione del sistema della responsabilità civile (già auspicate dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 184 del 1986) derivano da precise esigenze di giustizia, accordando tutela diretta e giudiziaria, anche nel settore dei rapporti privati, alle posizioni soggettive ed ai beni giuridici costituzionalmente protetti. E’ questo il senso del raccordo tra gli artt. 2, 3, 32 della Costituzione, tra di loro correlati, e l’art. 2043 c.c., che ha condotto alla tutela risarcitoria del danno biologico, altrimenti esclusa da un sistema di responsabilità coerente a scelte precostituzionali discriminanti. Ora non vi è dubbio...che il risarcimento del danno morale da reato, non può considerarsi nell’ambito di una concezione marcatamente punitiva o consolatorio satifattiva, propria della teoria della difesa sociale, propugnata dalla scuola positiva italiana, ma dev’essere considerato

14 C. CASTRONOVO, Danno biologico senza limiti, La nuova responsabilità civile, Milano, 1991, 93.

15 Cass. 15/4/98 n. 3807, Mass. Foro It. 1998, 408.

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876 nella logica dei principi di centralità della persona umana, di solidarietà del suo soccorso, anche quando è lesa la sfera più interna ed intangibile, quella morale. Il danno morale si configura in questa nuova visione aperta ai valori costituzionali, come lesione della sfera morale della persona, di quel valore uomo che anche il danno biologico lede, come danno di quella qualità essenziale della persona che è la sua salute. Pari dignità di tutela per il danno alla salute (nel senso ampio previsto dall’art. 32 e dalle Carte internazionali recepite nel nostro ordinamento) e del danno alla dignitas personae, che il delitto ferisce nella sua integrità etica, e tanto più gravemente, quanto più intensi sono i valori umani menomati. E’ in questa direzione che può ricostruirsi la dicotomia perfetta tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, in un sistema coerente di responsabilità civile rispettosa dei diritti della persona. Sulle basi di queste considerazioni, il rapporto di risarcibilità del danno morale non è soltanto pecunia doloris, quanto pecunia lesae dignitatis, reintegrazione della dignità umana offesa dal delitto”16.

4. La prima fase del revirement della S.C. in tema di risarcibilità del danno morale: anche a prescindere dal fatto-reato

La giurisprudenza di legittimità, all’inizio del secolo in corso, sotto la spinta rinnovatrice di tali poche voci dissonanti di dottrina e giurisprudenza, ha operato un vero e proprio revirement in tema di risarcibilità del danno morale, che è stato ritenuto risarcibile anche in assenza di reato.

Tale revirement della S.C. è stato, sostanzialmente, attuato in due fasi.

16 Cass. 28/11/96 n. 10606, Resp. Civ. Prev. 1997, 393.

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877 La S.C., infatti, in una prima fase, con la prima trilogia di sentenze fotocopia, ha autorevolmente affermato che “alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell’autore del danno se essa, come nei casi di cui all’articolo 2054 c.c., debba ritenersi sussistente in base a una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato”17.

La S.C. ha, allo specifico riguardo, affermato che il precedente orientamento contrario era nato sotto la vigenza del vecchio codice di procedura penale e, quindi,

“caratterizzato dal rapporto di pregiudizialità necessaria tra giudizio penale e giudizio civile”.

La S.C. ha affermato che, mutati, ora, i rapporti tra processo civile e penale, l’orientamento deve essere rimeditato anche alla luce del nuovo atteggiamento assunto dal legislatore, che ha ampliato “i casi di espresso riconoscimento della riparazione del danno non patrimoniale, anche al di fuori delle ipotesi di reato” e precisamente nell’impiego illecito di dati personali18, nell’adozione di atti discriminatori per motivi

17 Cass. 12/5/03 n. 7283, Foro it. 2003, I, 2273, Guida al dir. 2003, 22, 40; Cass. 12/5/03 n. 7282, Resp. Civ. Prev. 2003, 676; Cass. 12/5/03 n. 7281, Foro it. 2003, I, 2274; conf. Cass. 20/1/09 n.

1343; Cass. 14/2/08 n. 3532, Diritto & Giustizia 2008; Cass. 24/8/07 n. 17986, Resp. e Risarc.

2007, 10, 72; Cass. 30/7/04 n. 14628, Guida al dir. 2004, 41, 46; Cass. 6/4/04 n. 6748, Guida al dir. 2004, 23, 70; Cass. 10/3/04 n. 4906, Guida al dir. 2004, 18, 66; Cass. 26/2/04 n. 3871, Guida al dir., 2004, 17, 70; conf., per quanto concerne la giurisprudenza di merito, App. Napoli, 4a sez. civ., pres. rel. dott. Schettino, sent. inedita 7 ottobre 2004, n. 3009; Trib. Napoli, 2a sez. civ., giud. unico dott. Canale, sent. inedita 9 dicembre 2003, n. 12291; App. Napoli, 4a sez. civ., rel. dott. Ferro, sent.

inedita 10 ottobre 2003, n. 2828, inedita; Trib. Napoli, 3a sez. civ., giud. unico dott. Tagliatatela, sent.

inedita 8 ottobre 2003, n. 10110; App. Napoli, 4a sez. civ., rel. dott. Ferro, sent. inedita 22 luglio 2003, n. 2433; Trib. Napoli, 11a sez. civ., giud. unico dott. Lupi, sent. inedita 15 luglio 2003, n. 8196;

Trib. Napoli, 4a sez. civ., giud. unico dott. Cataldi, sent. inedita 9 giugno 2003, n. 6657.

18 Art. 29, nono comma, L. n. 675/1996.

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878 razziali, etnici o religiosi19 e nel mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo20.

La S.C. ha ricordato che nello stesso senso si è mossa la giurisprudenza che, con l’individuazione del danno biologico, ha avvertito sempre di più l’esigenza “di garantire l’integrale riparazione del danno ingiustamente subito, non solo nel patrimonio inteso in senso strettamente economico, ma anche nei valori propri della persona, anche in riferimento all’art. 2 Cost.”.

La S.C., alla luce di queste considerazioni, ha affermato, ancora, che un determinato fatto, esclusivamente agli effetti civili, rimane lo stesso, “sia nel caso in cui le risultanze processuali siano tali da consentire il positivo accertamento della colpa, sia allorché la prova non sia raggiunta e tuttavia, in mancanza della prova liberatoria da offrirsi dall’autore del danno, essa debba essere presunta”.

La S.C., ha proseguito che appare incongruo ritenere che, in un contesto normativo connotato da un onere probatorio posto a carico del danneggiante, ove la prova liberatoria non sia data, la vittima dell’incidente “possa ottenere o no il risarcimento del danno non patrimoniale a seconda che abbia o meno dato la prova di un fatto (colpa) che non gli compete e la cui mancanza va invece provata dall’altra parte”, con la conseguenza che se il danneggiante non riesce a superare la presunzione prevista dall’articolo 2054 c.c. “la colpa agli effetti civili sussiste”.

La S.C. ha concluso che è chiaro che:

– vengono in considerazione solo gli effetti civili della condotta dell’autore del danno e non le conseguenze penali, le quali restano invece connesse all’effettivo accertamento

19 Art. 44, settimo comma, D.L.vo n. 286/1998.

20 Art. 2 L. n. 89/2001.

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879 della colpa, “essendo sconosciuto al sistema penale il meccanismo di una presunzione legale circa la sussistenza di un elemento del fatto”;

– proprio per questa insopprimibile diversità di ambiti “sembra del tutto improprio frustare gli scopi di una disposizione che non mira a punire il responsabile, ma a rendere possibile il risarcimento del danno anche se la prova della colpa sia raggiunta grazie a una presunzione legale”.

5. La seconda fase del revirement della S.C. in tema di risarcibilità del danno morale: la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.

La S.C., in una seconda fase, con la successiva coppia di sentenze fotocopia, è andata oltre, ha finalmente fornito l’auspicata lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. ed ha affermato che “il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente ne esige la tutela (...) l’art. 2 Cost. configura un caso (ex art. 2059 c.c.) determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale”21.

Tale complessivo e motivato“revirement” della S.C., in tema di risarcibilità del danno morale, è stato, successivamente, ratificato e confermato in toto dalla Consulta che,

21 Cass. 31/5/03 n. 8827, Foro it. 2003, I, 2273, Danno e resp. 2003, 819, Guida al dir. 2003, 25, 38 e Mass. Foro it. 2003, 801; Cass. 31/5/03 n. 8828, Foro it. 2003, I, 2273, Danno e resp. 2003, 816, Resp. Civ. Prev. 2003, 675, Guida al dir. 2003, 25, 49 e Mass. Foro it. 2003, 803; conf. Cass.

27/10/04 n. 20814, Guida al dir. 2004, 44, 20.

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880 investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c., in relazione all’art. 3 Cost.22, ha affermato che:

– “può dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall’art. 2059 cod. civ. si identificherebbe con il cosiddetto danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce (Cass., 31 maggio 2003, nn.

8827 e 8828), che hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti, prospettata, con ricchezza di argomentazioni - nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale - un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”;

– “l’art. 2059 c.c. deve essere interpretato nel senso che il danno non patrimoniale, in quanto riferito alla astratta fattispecie di reato, è risarcibile anche nell’ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell’autore del fatto risulti da una presunzione di legge”23.

La Consulta, pertanto, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c., in relazione all’art. 3 Cost.24.

22 Trib. Genova 14 gennaio 2003, Resp. Civ. Prev. 2003, 459 e Trib. Roma 20 maggio 2002, Danno e resp. 2002, 856.

23 Corte cost. 11/7/03 n. 233.

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881 La S.C., successivamente, sulla scorta di tale orientamento, ha affermato che “in ipotesi di responsabilità oggettiva e non di presunzione di colpa, al fine del risarcimento del danno non patrimoniale, sempre nei limiti di cui all’art. 2059 c.c. (e quindi dell’art. 185 c.p.), è necessario che sia provata, con qualunque mezzo di prova ammesso dal rito civile, l’elemento psicologico del conducente o del proprietario, salvo che si versi in ipotesi di danno da lesioni di valori costituzionalmente protetti (come nel caso di danno a persona), nel qual caso - venuta meno la limitazione posta dall’art. 2059 c.c. - la responsabilità oggettiva fonda non solo il risarcimento del danno patrimoniale ma anche di quello non patrimoniale”25.

Le Sezioni Unite, successivamente, hanno confermato il nuovo orientamento interpretativo dell’art. 2059 c.c. ed hanno affermato che “il danno non patrimoniale conseguente all’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p. e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo

24 Corte cost. 11/7/03 n. 233.

25 Cass. 1/6/04 n. 10482, Giust. civ. Mass. 2004, 6, Danno e resp. 2004, 953 e Foro it. 2005, I, 1487; conf. Cass. 27/10/04 n. 20814, Diritto & Giustizia 2004, 44, 24; conf., per quanto concerne la particolare ipotesi di responsabilità oggettiva di cui agli artt. 2049, 2051 e 2054, 4° comma, c.c., Cass.

14/10/08 n. 25157; conf., per quanto concerne la particolare ipotesi di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2050 c.c., Cass. 3/12/07 n. 25187, Resp. Civ. Prev., 2008, 5, 1077; conf., per quanto concerne la particolare ipotesi di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2054, 4° comma, c.c., Cass.

6/8/04 n. 15179, Giust. civ. Mass. 2004, 7-8.

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882 configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale”26.

Con tali decisioni, sia della S.C. che della Consulta, è stato abbattuto definitivamente il

“muro di sbarramento”, costituito dall’interpretazione restrittiva dell’art. 2059 c.c., è stato scritto dalla giurisprudenza il nuovo art. 2059 bis c.c. e, in caso di danno a persona e, cioè, di danno da lesioni di valori costituzionalmente protetti (art. 32 Cost.), è stata aperta definitivamente la strada al risarcimento del danno morale sia nell’ipotesi in cui la colpa del responsabile venga accertata in base ad una presunzione legale di colpa, sia nell’ipotesi in cui la colpa del responsabile venga accertata in base ad una presunzione legale di responsabilità, intesa come ipotesi di responsabilità oggettiva, sia nell’ipotesi di inadempimento contrattuale.

6. I criteri di liquidazione del danno morale (ante Sezioni Unite)

La S.C., per quanto concerne i criteri risarcitori del danno morale, ha costantemente affermato che:

- “l’unica possibile forma di liquidazione - per ogni danno che sia privo, come quello biologico e quello morale, delle caratteristiche della patrimonialità - è quella equitativa”27;

- “la conversione in termini pecuniari del pregiudizio non patrimoniale deve essere proporzionata alla gravità del reato e all’intensità delle sofferenze patite dalla vittima primaria o, in caso di sua uccisione, dai congiunti per modo che l’ammontare del danno

26 Sez. Un. 11/1/08 n. 584, Foro it. 2008, I, 451.

27 Cass. 15/7/09 n. 16448, in Diritto & Giustizia 2009, quotidiano del 23/7/2009.

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883 deve essere tanto più consistente quanto più grande, duraturo, e profondo risulta il dolore del soggetto offeso, in guisa da assicurare una razionale correlazione tra l’entità oggettiva del danno ed il suo equivalente pecuniario, sicché questo non rappresenti una mera parvenza di risarcimento; ne consegue che l’esercizio del potere discrezionale attribuito al riguardo al giudice di merito è censurabile ogni volta che la liquidazione appaia irrisoria o simbolica”28.

Il Tribunale di Milano, fin dalle sue prime tabelle di liquidazione del danno a persona redatte nel lontano 1994, ha indicato, come criterio di risarcimento del danno morale, quello di determinarlo in una frazione, oscillante da 1/4 a 1/2, dell’importo riconosciuto a titolo di danno biologico da I.T. e da I.P.

Tale criterio, nel tempo, è stato fatto proprio anche dagli altri Tribunali, nelle varie tabelle di liquidazione del danno a persona successivamente nate come funghi, ed è stato utilizzato sia dalle corti di merito, sia dalle imprese di assicurazione, in sede stragiudiziale.

Tale criterio di liquidazione del danno morale, in una frazione del danno biologico, da un lato è stato garanzia di una certa uniformità di liquidazioni, ma dall’altro ha portato ad un’evidente sottovalutazione del danno morale29.

28 Cass. 2/3/98 n. 2272, Mass. Foro it. 1998, 243; conf. Cass. 4/3/08 n. 5795, Diritto & Giustizia 2008; Cass. 11/1/07 n. 394, Guida al dir. 2007, 6, 22; Cass. 19/8/03 n.12613, Guida al dir. 2003, 40, 45; Cass. 25/10/02 n. 15102, Guida al dir. 2003, 2, 68; Cass. 21/5/96 n. 4671, Mass. Foro it.

1996, 5, 438; Cass. 6/10/94 n. 8177, Riv. Giur. Circ. Trasp. 1995, 169; Cass. 18/12/87 n. 9430, Giust civ. mass. 1987, 12.

29 M. LIGUORI, Il macroleso: la valutazione del grado di compromissione delle attività quotidiane e la quantificazione delle spese di assistenza, Resp. Civ. 2008, 12, 1025 ss.; M. LIGUORI, La nuova proposta per la valutazione del grado di compromissione delle attività quotidiane del macroleso e la quantificazione delle necessarie spese di assistenza futura, Tagete 2008, 4 e www.melchiorregioia.it.; M.

LIGUORI, Il macroleso, la tabella di riferimento per la valutazione del grado di compromissione delle attività quotidiane e la relativa tavola di conversione, www.altalex.com del 22 luglio 2008 e www.unarca.it del 15 luglio 2008; G.B. PETTI, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale

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884 La S.C., infatti, in tema di quantificazione del danno morale, ha autorevolmente affermato che:

– “nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona (la sua integrità morale:

art. 2 della Costituzione in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza, che il Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190, collocando la dignità umana come la massima espressione della sua integrità morale e biologica) deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute”30;

– il danno morale subito da un soggetto gravemente leso “è certamente di una entità superiore a quella delle stesse menomazioni fisiche e si tratta di danno morale da reato di lesioni colpose, non valutabile in automatico con calcoli tabellari, posto che la Costituzione non svaluta la integrità morale della persona (art. 2) rispetto a quella fisica (art. 32)”31;

– il danno morale “in relazione alla rilevante entità della lesione conserva un’autonomia ontologica di valutazione e pertanto non può essere liquidato pro quota in relazione al danno biologico in quanto la costituzione italiana non stabilisce il minor valore del danno morale rispetto alla valutazione del danno alla salute”32;

della persona, Torino, 1999, 271 ss.; G.B. PETTI, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della persona, Torino, 1999, 271 ss..

30 Cass. 12/12/08 n. 29191, Resp. Civ. Prev. 2009, 4, 811.

31 Cass. 25/7/08 n. 20438.

32 Cass. 6/6/08 n. 15029.

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885 – “il risarcimento integrale del danno morale, dopo la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 del codice civile, è pur sempre un risarcimento integrale, che tende a reintegrare la lesione della sfera morale della persona in relazione a patimenti e sofferenze che non sono necessariamente fisici o transeunti. Inoltre è dato rilevare che la sfera della integrità morale (art. 2 e 3 della Costituzione come dignità e pari dignità) è ontologicamente diversa dalla sfera individuale della salute (art. 32 Cost.), ma non è di minor valore risarcitorio (inteso da alcuni giudici del merito come valore quota, per agevolare la rapidità dei calcoli), posto che la Costituzione non prevede il maggior valore della salute rispetto alla menomazione della sfera morale”33;

– “nel caso di accertamento di un danno biologico di rilevante entità e di duratura permanenza, il danno morale, come lesione della integrità morale della persona (art. 2 e 3 della Costituzione in relazione al valore della dignità anche sociale, ed in correlazione alla salute come valore della identità biologica e genetica) non può essere liquidato in automatico e pro quota come una lesione di minor conto. Il danno morale è ingiusto così come il danno biologico, e nessuna norma costituzionale consente al giudice di stabilire che l’integrità morale valga la metà di quella fisica”34;

– “il danno morale, che attiene alla lesione dell’integralità morale della persona umana, è ontologicamente autonomo rispetto al danno biologico, e pertanto non può essere considerato come un minus rispetto ad esso, con la conseguenza che la quantificazione automatica del danno morale come quota del danno biologico al quale il primo si accompagna è illogica e potenzialmente riduttiva”35.

33 Cass. 10/3/08 n. 6288, Resp. Civ. Prev. 2008, 6, 1311.

34 Cass. 4/3/08 n. 5795, in Resp. Civ. Prev., 7-8, 2008, 1548.

35 Cass. 23/5/03 n. 8169, in Mass. Foro It., 2003, 742; conf. Cass. 14/7/03 n. 10995, in Mass. Foro It., 2003, 1003

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886 7. Il recente dictum delle Sezioni Unite

In questo contesto, dottrinale e giurisprudenziale, le Sezioni Unite, di recente, con un parto quadrigemino, seppur hanno confermato la rilettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, hanno riportato il sistema della responsabilità aquiliana nell’ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) ed hanno affermato, al punto 2.10 delle ormai note decisioni fotocopia, che “Nell’ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.u. n. 6651/1982) come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sent. n. 4186/1998; S.u. n.

9556/2002), nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

La limitazione alla tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio, poiché né l’art. 2059 c.c.

né l’art. 185 c.p. parlano di danno morale, e tantomeno lo dicono rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela, poiché la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l’effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (lo riconosceva quella giurisprudenza che, nel caso di morte del soggetto danneggiato nel corso del processo, commisurava il risarcimento sia del danno biologico che di quello morale, postulandone la permanenza, al tempo di vita effettiva: n. 19057/2003; n. 3806/2004; n. 21683/2005).

Va conseguentemente affermato che, nell’ambito della categoria generale del danno

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887 non patrimoniale, la formula “danno morale” non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento.

In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come avverrà, nel caso del reato di lesioni colpose, ove si configuri danno biologico per la vittima, o nel caso di uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale), ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all’ordinamento (secondo il criterio dell’ingiustizia ex art. 2043 c.c.), poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell’interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato. Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza dell’interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale”36.

Le Sezioni Unite, hanno affermato, ancora, al punto 4.9 delle decisioni fotocopia, che

“Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale.

36 Sez. Un. 11/11/08 n. 26972, Diritto & Giustizia 2008, Guida al dir. 2008, 47, 18, Il civilista 2009, 1, 29, Red. Giust. civ. Mass. 2008, 11 e Resp. civ. e prev. 2009, 1, 38; conf. Sez. Un. 11/11/08 n.

26973, Arch. giur. circol. e sinistri 2009, 1, 25 e Foro it. 2009, I, 1 120; Sez. Un. 11/11/08 n. 26974;

Sez. Un. 11/11/08 n. 26975.

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888 Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.

Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.

Possono costituire solo “voci” del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione.

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889 Certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell’integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo (diversamente da quanto affermato dalla sentenza n. 2311/2007, che lo eleva a danno esistenziale autonomo).

Ed egualmente si avrebbe duplicazione nel caso in cui il pregiudizio consistente nella alterazione fisica di tipo estetico fosse liquidato separatamente e non come “voce” del danno biologico, che il c.d. danno estetico pacificamente incorpora.

Il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (sent. n. 1704/1997 e successive conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent.

n. 6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione”37.

37 Sez. Un. 11/11/08 n. 26972, Diritto & Giustizia 2008, Guida al dir. 2008, 47, 18, Il civilista 2009, 1, 29, Red. Giust. civ. Mass. 2008, 11 e Resp. civ. e prev. 2009, 1, 38; conf. Sez. Un. 11/11/08 n.

26973, Arch. giur. circol. e sinistri 2009, 1, 25 e Foro it. 2009, I, 1 120; Sez. Un. 11/11/08 n. 26974;

Sez. Un. 11/11/08 n. 26975.

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890 8. L’interpretazione del dictum delle Sezioni Unite alla luce di una recente normativa (D.P.R. 3/3/2009 n. 37) e della giurisprudenza successiva della S.C.

I postulati delle Sezioni Unite, non sempre lineari e, comunque, di non facile lettura, hanno portato alcuni interpreti e la maggior parte delle imprese di assicurazione, a ritenere ormai diritto vivente il sistema della globalizzazione del nuovo danno non patrimoniale del terzo millennio, in cui il danno biologico ha fagocitato il danno morale e, più precisamente, le tabelle del danno biologico hanno fagocitato le tabelle del danno morale38.

38 Tra i tanti commenti al parto quadrigemino delle Sezioni Unite si segnalano: N. DE STROBEL, Prime decisioni dopo il riordino del danno non patrimoniale operato dalle sezioni unite, in corso di pubblicazione su Diritto ed Economia dell’Assicurazione, 2009; F. BILOTTA, Danno morale, da evitare l’ossessione del risarcimento unitario, in Resp. e risarc., 2009, 7-8, 1; G. BUFFONE, I limiti legali al risarcimento del danno alla salute dopo le sezioni unite del 2008, in Resp. civ. prev., 2009, 7-8, 1644;

G. PONZANELLI, Conferme ed incertezze della Cassazione dopo le Sezioni Unite, in Danno e Resp., 2009, 7, 768; G. FORTUNATO, Duplicazioni, automatismi e semplificazioni nella nuova sistematica del danno non patrimoniale, in Danno e Resp., 2009, 7, 797; M. LIGUORI, Il danno morale del terzo millennio: storia, evoluzione e prospettive, in Resp. civ., 2009, 6, 548; A. PALMIERI, La rifondazione del danno non patrimoniale, all’insegna della tipicità dell’interesse leso (con qualche attenuazione) e dell’unitarietà, in Foro It., 2009, 1, I, 123; R. PARDOLESI e R. SIMONE, Danno esistenziale (e sistema fragile): die hard, in Foro It., 2009, 1, I, 128; G. PONZANELLI, Sezioni Unite: il nuovo statuto del danno non patrimoniale, in Foro It., 2009, 1, I, 134; VETTORI, Danno non patrimoniale e diritti inviolabili, in Obbligazioni e Contratti, 2009, 2; E. NAVARRETTA, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la sostanza dei danni non patrimoniali, in Foro It., 2009, 1, I, 139; C. CASTRONOVO, Danno esistenziale: il lungo addio, in Danno e Resp., 2009, 1, 6; M. FRANZONI, I diritti della personalità, il danno esistenziale e la funzione della responsabilità civile, in Contratto e Impr., 2009, 1; M. FRANZONI, Il danno non patrimoniale del diritto vivente, in Il Corriere Giuridico, 2009, 1; L. VIOLA, Danni da morte e da lesioni alla persona, Cedam, 2009; M. LIGUORI, Commentario al Codice delle Assicurazioni.

R.C.A. – Tutela legale, Collana Tribuna Major, La Tribuna, Piacenza, II ed., 2009, commento sub art.

140, par. V.3.2.4., 398; F. BILOTTA, I pregiudizi esistenziali: il cuore del danno non patrimoniale dopo le S.U. del 2008, in La Responsabilità Civile, 2009, 1; D. BUSNELLI, Le sezioni unite e il danno non patrimoniale, in Riv. Dir. Civ., 2009, 1; P. CENDON, Danno esistenziale e Sezioni Unite: “Ha da passà

‘a nuttata”, in www.personaedanno.it/cns/data/articoli/012254.aspx; M. HAZAN, E alla fine decise Occam : la regola del rasoio nel nuovo danno non patrimoniale, in www.melchiorregioia.it, forum sul danno esistenziale; M. LIGUORI, Il danno morale da sofferenza, dopo il parto quadrigemino delle Sezioni Unite, resta assorbito nel danno biologico ed è (già) compreso negli importi indicati dalle relative

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891 Tale sistema della globalizzazione del danno non patrimoniale era stato già propugnato, in precedenza, dalla S.C., con una delle note sentenze gemelle del 2003, nella parte in cui ha affermato che “nell’ottica della concezione unitaria della persona (…) la valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali possa anche essere unica, senza una distinzione - bensì opportuna, ma non sempre indispensabile - tra quanto va riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica, ovvero quanto deve essere liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico in senso stretto (se una lesione dell’integrità psico-fisica sia riscontrata) e quanto per il ristoro dei pregiudizi in parola; ovvero, ancora, che la liquidazione del danno biologico, di quello morale soggettivo e degli ulteriori pregiudizi risarcibili sia espressa da un’unica somma di denaro, per la cui determinazione si sia tuttavia tenuto conto di tutte le proiezioni dannose del fatto lesivo”39.

Ma tale criterio di liquidazione, cumulativo ed indistinto, del danno non patrimoniale, da un lato è stato fortemente criticato da una dotta dottrina40 e, dall’altro, è stato completamente ignorato dalla giurisprudenza successiva, in quanto non consente né di individuare l’esatto ammontare di ciascuna posta risarcitoria, né di controllare vuoi l’operato del giudice, vuoi la congruità della liquidazione e la conseguente integralità del risarcimento.

tabelle di liquidazione?, in www.melchiorregioia.it, forum sul danno esistenziale; F. GAZZONI, Il danno esistenziale, cacciato, come meritava, dalla porta, rientrerà dalla finestra in www.iudicium.it; M. BONA, Danno biologico e pregiudizi morali nelle sentenze delle Sezioni Unite: un deciso “no” alla reductio ad unum, in www.altalex.it del 27/11/2008.

39 Cass. 31/5/03 n. 8827, Foro it. 2003, I, 2273, Danno e resp. 2003, 819, Guida al dir. 2003, 25, 38 e Mass. Foro it. 2003, 801.

40 D. BUSNELLI, Chiaroscuri d’estate. La Corte di cassazione e il danno a persona, Danno e resp. 2003, 828.

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892 Le affermazioni delle Sezioni Unite non vanno, comunque, interpretate nel senso che il danno morale non vada più liquidato e/o che il danno biologico (sia da invalidità permanente che da invalidità temporanea) sia omnicomprensivo, ma soltanto che il danno morale (analogamente al danno da perdita del rapporto parentale) è una categoria descrittiva del più generale danno non patrimoniale.

Invero, le stesse Sezioni Unite hanno chiarito che:

– “In presenza di reato, superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d’animo transeunte, ed affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile”;

– “La tutela risarcitoria sarà riconosciuta se il pregiudizio sia conseguenza della lesione almeno di un interesse giuridicamente protetto, desunto dall’ordinamento positivo, ivi comprese le convenzioni internazionali (come la già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ratificata con la legge n. 88 del 1955), e cioè purché sussista il requisito dell’ingiustizia generica secondo l’art. 2043 c.c. E la previsione della tutela penale costituisce sicuro indice della rilevanza dell’interesse leso”41.

Ne consegue che il danno non patrimoniale, secondo il pensiero delle Sezioni Unite, va liquidato in tre ipotesi:

- in caso di fatto illecito astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di

41 Sez. Un. 11/11/08 n. 26972, Diritto & Giustizia 2008, Guida al dir. 2008, 47, 18, Il civilista 2009, 1, 29, Red. Giust. civ. Mass. 2008, 11 e Resp. civ. e prev. 2009, 1, 38; conf. Sez. Un. 11/11/08 n.

26973, Arch. giur. circol. e sinistri 2009, 1, 25 e Foro it. 2009, I, 1 120; Sez. Un. 11/11/08 n. 26974;

Sez. Un. 11/11/08 n. 26975.

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893 qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale, in quanto in tal caso va “…affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile”;

- nei casi determinati dalla legge; in tal caso la selezione degli interessi è già compiuta a monte dal legislatore e la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento;

- fuori dei casi determinati dalla legge, quando il fatto illecito abbia provocato la lesione di un valore/interesse giuridicamente protetto, desunto dall’ordinamento positivo, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. ed in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali (nazionali e comunitari) inviolabili; in quest’ultimo caso, la tutela minima risarcitoria spetta in tre casi:

- l’interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale42, in quanto altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile;

- la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza);

42 conf. Sez. Un. 15/1/09 n. 794, in Foro It., 2009, 3, I, 718.

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894 - il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità43.

In caso di danno a persona spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, anche in presenza di un fatto anche astrattamente qualificabile come reato, da intendersi non solo quale sofferenza soggettiva causata dal reato e/o dall’illecito civile e turbamento dello stato d’animo ma anche e soprattutto quale violazione della sfera morale e della dignità della persona umana (e quindi quale danno da violazione della sfera morale e della dignità della persona umana, offesa dal reato e/o dall’illecito civile).

Il danno morale, infatti, non è solo sofferenza soggettiva causata dal reato e/o dall’illecito civile e turbamento dello stato d’animo, come affermato dalle Sezioni Unite nel parto quadrigemino e, quindi, non è solo sofferenza fisica e morale (la sofferenza che soffre l’individuo in carne ed ossa e la sofferenza della persona, appunto la sofferenza morale) e, cioè, non è solo sofferenza empirica e sofferenza trascendentale44, ma è anche violazione della sfera morale e della dignità della persona umana45 offesa dal reato e/o dall’illecito civile.

La conferma di tale complessivo assunto, la fornisce lo stesso legislatore e la si rinviene sia nello stesso fondamento normativo del danno morale, sia nella stessa giurisprudenza della S.C., successiva alle su indicate decisioni a Sezioni Unite.

43 conf. Cass. 9/4/09 n. 8703.

44 A. BIANCHI, Le avventure della sofferenza, in corso di pubblicazione su Danno e resp. 2009, 8-9.

45 Cass. 12/12/08 n. 29191, Diritto & Giustizia 2009; Cass. 10/3/08 n. 6288, Resp. Civ. Prev. 2008, 6, 1311; Cass. 12/5/06 n. 11039, Giust. civ. Mass. 2006, 5; Cass. 14/7/03 n. 10995, Giust. civ.

Mass. 2003, 7-8; Cass. 2/4/01 n. 4783, Danno e resp. 2001, 820 e Dir. & Formazione 2001, 653.

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