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Il contributo degli attuari nella gestione dei rischi del welfare Massimo De Felice, presidente dell

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1 Convegno organizzato dall’Ordine Nazionale degli Attuari e dal Consiglio Nazionale degli Attuari Roma, 26 ottobre 2015 – Sala Auditorium dell’Inail

Il contributo degli attuari nella gestione dei rischi del welfare

Massimo De Felice, presidente dell’Inail

È utile per l’Inail ospitare – in questo momento – questa riunione della professione attuariale dedicata alla “gestione dei rischi del welfare”. Sollecita riflessioni che possono risultare preziose per il piano di riorganizzazione interna del nostro Istituto e, più in generale, per il dibattito sulle forme di attuazione della riforma della pubblica amministrazione.

Sono convinto che un forte radicamento della cultura e della tecnica statistico-attuariale sia essenziale per la gestione, per la pianificazione e la verifica delle attività, per la comunicazione delle informazioni. Il grande progetto di “Solvency II” sta cambiando la fisionomia delle assicurazioni private: ma proprio sulla gestione, sulla pianificazione e il controllo, sulla comunicazione può fornire direttive utili da considerare anche a un’istituzione sociale – ben più complessa di una “semplice” assicurazione – com’è l’Inail (e in generale ad altre istituzioni della pubblica amministrazione).

Bisogna affrontare temi complessi. Sono elencati nelle relazioni annuali del presidente (cito dall’ultima1): calcolo delle riserve tecniche; aggiornamento delle tariffe dei premi e contributi;

controllo della solvibilità; redazione del bilancio attuariale; comunicazione diffusa di informazioni, all’interno e verso l’esterno. Le etichette tradizionali con cui i temi sono individuati non debbono funzionare da tranquillante, illudendo che si tratta di “già fatto”, di cose che si è in grado di fare semplicemente replicando il modo in cui si facevano (se si facevano).

Le etichette tradizionali offuscano nuove esigenze. Realizzare il calcolo delle riserve tecniche non significa più semplicemente “far di conto”: è necessario progettare un processo formalizzato (gestito da un work-flow) e rigorosamente documentato, che verifichi la qualità dell’input, isoli i motori di calcolo (per consentire controlli dei risultati parziali), definisca schemi di analisi dell’output.

La redazione del bilancio attuariale non ha soltanto ruolo documentale: deve poter utilizzare anch’essa un processo di elaborazione formalizzato che sia di sostegno alla verifica periodica delle tariffe e al controllo della solvibilità; verifica e controllo richiedono programmazione strutturata che consenta la rappresentazione parametrica delle ipotesi sugli andamenti delle grandezze gestionali, per studiarne l’effetto sul bilancio (con la logica del what-if).

La comunicazione diffusa delle informazioni (all’interno e verso l’esterno) può sfruttare le tecniche dell’open data; si deve possedere consapevolezza profonda dei processi di amministrazione, per trasformare coerentemente i dati amministrativi in dati statistici; si deve poter curare il collegamento efficace tra data base (magari realizzando “grappoli” di open data); bisogna dominare le logiche dei vocabolari e delle ontologie; avere immaginazione per anticipare le elaborazioni esterne e partecipare – qualificandolo – al dibattito pubblico sui dati; saper utilizzare le informazioni per sostenere i piani di attività e valutarne con l’analisi statistica gli esiti.

Come si vede le intersezioni disciplinari (tra culture) sono numerose e profonde. C’è bisogno di un cambiamento radicale di mentalità e di regolamenti. Le conoscenze tecniche particolari debbono essere continuamente aggiornate e sperimentate, ma da sole non bastano. Il tecnico statistico-

1 Inail, Relazione Annuale 2014 del presidente, Roma, luglio 2015, pagine 4-5.

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2 attuariale (oggi più di prima) deve dominare le logiche dell’architettura informatica, portare sensibilità quantitativa negli schemi di pianificazione e di controllo; ma soprattutto deve essere un grande conoscitore del contesto amministrativo (dell’intima connotazione dei problemi). Per cambiare deve vivere la problematicità delle linee operative.

L’isolamento nel recinto della “sezione” professionale è un grave limite alla professionalità, e alla crescita della professione. Sarebbe un grande progresso abolire i recinti (retaggio d’altra epoca, quando i problemi erano più semplici da risolvere); portare la tecnica più qualificata nelle Direzioni amministrative. Da attuario, credo che gli attuari vadano profondamente contaminati con le altre culture (amministrativa, informatica, manageriale) se vogliono difendere il loro ruolo prezioso;

credo che le altre culture, che sostengono l’amministrazione, vadano aggiornate con lo spirito quantitativo delle tecniche statistico-attuariali.

Restano da segnalare due temi. Il primo riguarda la “struttura per età” dei tecnici e la formazione. Il blocco delle assunzioni di cui soffre la pubblica amministrazione ha prodotto invecchiamento delle strutture e “frattura generazionale” (l’attuariato dell’Inail ha età media 46 anni, età minima 40 anni).

Pochi inserimenti giovani e qualificati potrebbero dare una scossa provvidenziale alla cultura tecnica delle istituzioni. Un modo nuovo di progettare i corsi di formazione potrebbe agevolare la contaminazione delle culture, e rompere anche nella sostanza gli steccati.

Per questo fine non sono adatti i corsi “fuori azienda”. La formazione va fondata sul principio del

“fare e formare”, dell’“imparare facendo”, dell’“insegnamento per problemi”: definito il problema da affrontare, va individuato il gruppo di lavoro, organizzato un corso interno (con docenti esterni qualificati) che, partendo dal problema, ricostruisca teoria tecniche metodi processi necessari a risolverlo (anche di questo auspicavamo nella Relazione Annuale 2014).

Il secondo tema riguarda la garanzia di “indipendenza”. Non bisogna credere (ingenuamente) che è necessario appartenere a un “corpo separato” per avere “indipendenza”. L’“indipendenza” del giudizio statistico-attuariale non va protetta con i recinti professionali. Abbiamo imparato (da Solvency II, ma già prima lo diceva la dottrina) che l’indipendenza di giudizio e di controllo va garantita con forme adeguate di governance.

Chiarisco il punto con l’esempio. L’“ufficio audit” dell’Inail (istituito con la riorganizzazione) in staff alla Presidenza può tutelare con l’indipendenza dalla tecnostruttura la qualità del controllo esercitato dai presidî organizzativi “di linea” (controllo di gestione, audit informatico, servizio ispettorato e sicurezza).

Spero che l’auspicio all’integrazione – rompendo i recinti professionali – sia colto da chi sta lavorando su come attuare la riforma della pubblica amministrazione.

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