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Alle fonti del kafkiano. Lavoro e individualismo in Franz Kafka, di Luigi Ferrari, eds, Il Pavone, Piacenza, 2014.

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Giorgio Galli e postfazione di Renato Pozzi, Il Pavo- ne, Piacenza, 2014.

Giuseppe Licari (recensione)

Narrare i gruppi

Etnografia dell’interazione quotidiana

Prospettive cliniche e sociali, vol. 10, n° 2, Ottobre 2015

ISSN: 2281-8960

Rivista semestrale pubblicata on-line dal 2006 - website: www.narrareigruppi.it

Titolo completo del libro

Alle fonti del kafkiano. Lavoro e individualismo in Franz Kafka, di Luigi Ferrari, con Prefazio- ne di Giorgio Galli e postfazione di Renato Pozzi, Il Pavone, Piacenza, 2014.

Autore della recensione Ente di appartenenza

Giuseppe Licari Centro Studi e Ricerche Koisema, Cremona

To cite this article:

Licari G., (2015), (recensione), Alle fonti del kafkiano. Lavoro e individualismo in Franz Kafka, di Luigi Ferrari, con Prefazione di Giorgio Galli e postfazione di Renato Pozzi, Il Pavone, Piacenza, (2014), in Narrare i Gruppi, vol. 10, n° 2, Ottobre 2015, pp. 209 - 213 - website: www.narrareigruppi.it

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recensione

Alle fonti del kafkiano. Lavoro e individualismo in Franz Kafka, di Luigi Ferrari, con Prefazione di Giorgio Galli e postfazione di Re- nato Pozzi, Il Pavone, Piacenza, (2014), pp. 310, euro 21,00.

Ho letto questo lavoro mentre ero in vacanza al mare. Un momento particolare, dove mi potevo permettere di sostare a di riflettere sulle parole e sui contenuti del li- bro senza il pensiero d’impegni di lavoro. Ai tanti può sembrare indifferente dove si legge un libro. Io vi assicuro che non lo è.

Un conto è leggere un libro nei ritagli di tempo, magari la sera dopo una giornata di lavoro, un altro è leggerlo nei fine settimana. Una cosa ancora diversa è leggerlo in va- canza. E sarei tentato di dire che questo libro sarebbe meglio leggerlo mentre si è in vacanza.

Chiaramente, per dire che siamo di fronte a un testo scientifico che richiede la nostra riflessione mentre lo si leggi e, maggiormente, su passaggi estremamente interessanti, che a volte stanno a rappresentare ampie condensazioni di periodi storici che s’intrecciano con le opere di Kafka.

L’autore ripercorre e analizza, passo dopo passo, l’intera produzione artistica dello scrittore contestualizzandola con la vita di quest’ultimo. Un lavoro che a tratti possia- mo dire che ti assorbe, richiamando, in ognuno di noi ,ciò che sappiamo di Kafka e del kafkiano. Almeno così è stato per me.

Come suggerisce il titolo del libro, il lavoro di Ferrari ci accompagna lungo un percor- so dove man mano che si va avanti nel testo emerge sempre più chiara la nostra ade- sione al significato del termine kafkiano come un termine ormai di uso comune. Un termine che forse usiamo oltre il suo sapore di aggettivo, direi un aggettivo sostanti- vizzato, quasi a voler dire che se guardiamo bene esiste anche la cosa dell’aggettivo kafkiano.

Nel linguaggio comune questo sembra ormai quasi assodato; infatti, può capitare di sentire discorsi dove l’espressione kafkiano ha un preciso significato: sta per fantasia estrema e fuori dalla realtà.

Non so quanto pertinente possa essere inserire in questo testo momenti della mia let- tura, del lavoro di Ferrari, fatta durante le vacanze e le riflessioni mentre osservavo il mare e passeggiavo lungo la battigia, se l’etichetta di questo scritto riporta che si tratta di una recensione di un testo scientifico. Ma mentre scrivo sono sempre più convinto che non è secondario il luogo dove leggi un libro e, maggiormente, dove lo si rivivi ri- flettendoci su. Fermo restando, dunque, che il mio impegno qui è di scrivere una re- censione a un testo scientifico, inserirò ancora momenti della mia riflessione nell’interazione con il contesto dove essa avveniva perché, a mio avviso, apportano, a

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ciò che ritengo importante comunicare del libro, momenti immaginifici che vanno davvero in profondità e che, in questo momento, non saprei rendere diversamente.

Mentre ero in vacanza leggevo questo testo la mattina molto presto, e dopo, ancora di prima mattina, me ne andavo al mare con mia figlia dove, in tarda mattinata, incontra- vo molti amici. Arrivavamo presto al mare e quasi ogni mattina eravamo i primi. Que- sto comportava che mentre mia figlia faceva la sua solita colazione con granita e brio- che io passeggiavo sulla battigia rimescolando le 10 o 20 pagine che avevo letto la mat- tina presto.

I miei pensieri non li ricordo tutti, ma non sono molto lontano se vi dico che ogni giorno mentre passeggiavo su quella spiaggia quasi deserta (eravamo lì quasi da soli sempre tra le 09.00 e le 11.00, poi cominciava ad arrivare gente e l’atmosfera svaniva come neve al sole), mi sembrava di comprendere più a fondo un simbolismo che ero sicuro di avere già compreso in profondità.

Un autore che pensavo di conoscere per avere letto la Metamorfosi e il Processo. Con queste letture di certo non mi sarei mai sognato di dire che ero un esperto di Kafka, ma ero sicuro che non sarei passato per un ignorante in materia. E invece, leggendo questo testo, ogni giorno cresceva in me che sarei stato davvero fuori luogo se alla domanda avessi risposto, conosco di certo Kafka. Se poi la domanda me l’avesse posta Ferrari, avrebbe potuto sicuramente rilanciare dicendo, quale Kafka?

Scusi, ma quanti Kafka ci sono?

Almeno due. Lo scrittore e l’impiegato.

Nel testo di Ferrari vi leggevo un Kafka davvero insolito. Non immaginavo Kafka im- piegato, lo immaginavo uno scrittore e invece, per tutta la vita (lavorativa), Kafka fu, innanzitutto, un impiegato.

Kafka scrittore, invece, era il secondo personaggio che Franz era chiamato a gestire e con abbondante passione e altrettanta perplessità anche nei momenti di dichiarata fa- ma.

Osservare il mare, quest’anno un mare splendido, calmo, caldo e a tratti inebriante, la mattina presto, quando la linea di confine fra mare e cielo non è ancora visibile, con i pensieri a Kafka, può farti scivolare lentamente nel vissuto onirico, sicuramente in una rêverie, un sogno ad occhi aperti senza nemmeno accorgertene. Ma il Kafka di Ferrari era davvero insolito e mi ha fatto vivere, ma anche accettare con estrema naturalezza un sentimento che non avevo mai incontrato leggendo le opere di Kafka. Un senti- mento che man mano che leggevo il testo di Ferrari non mi faceva più pensare a Ka- fka come all’autore dell’estrema fantasia che a momenti ho sentito come molto vicino alla malattia. No. Ora sentivo un autore che si era battuto innanzitutto per la condi- zione assai misera degli operai del suo tempo, siamo agli inizi del Novecento. Che ha combattuto il suo conflitto con il padre in un periodo dove la figura paterna scricchio- lava sotto i piedi di tutti. Forse meno in Italia, e meno ancora al Sud Italia, dove que- sto movimento ci metterà ancora qualche decennio prima di affacciarsi nella realtà so- ciale. Gli inizi del Novecento non furono facili per i giovani appena ventenni che, in quell’epoca, erano già adulti e spesso già sposati con prole.

Gli imperi che avevano tenuto stabile la percezione di una organizzazione a piramide, nel secolo precedente, vacillavano, e da lì a qualche anno saremo immersi nella prima guerra mondiale.

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Non mi posso soffermare molto in questi primi trent’anni del Novecento, vissuti quasi per intero da Kafka, ma posso senz’altro rimandare il lettore alla bella prefazione di Giorgio Galli che tratta ampiamente questo periodo riportando parecchie citazioni di- rettamente dal testo di Ferrari.

Nelle poche righe a disposizione invito il lettore a spostarsi nell’ultima parte del libro, dove Ferrari parla di un testo di Kafka dal titolo “La tana” e del quale ignoravo l’esistenza. Credo che sia l’ultimo lavoro di Kafka, che purtroppo muore davvero gio- vanissimo a 41 anni e pieno di malattia. Una condizione claudicante che l’accompagna tutta la vita e che sicuramente ne condiziona l’evoluzione.

Tornando al testo “La tana”, mi rivolgo, come a fatto Renato Pozzi nella sua postfa- zione, agli studenti. Ai quali l’autore della postfazione suggerisce di chiedere ai profes- sori, e in questo caso credo che l’invito sia rivolto agli studenti di Ferrari, di proporre un seminario su quest’opera.

Perché mi sono chiesto?

La lettura di quest’ultima parte, pur essendo in vacanza, in località per eccellenza aper- ta, ha turbato un po’ le mie giornate al mare, maggiormente le mie nuotate in apnea.

Ho sentito addosso le pareti della tana per giorni; immedesimandomi nelle parole del testo ho visto e sentito che la luce poteva anche non essere il mio primo punto di rife- rimento. Ho sentito che avrei potuto (o dovuto) vivere senza gli occhi. Ma la cosa più perturbante è stata che ho sentito la vicinanza dell’altro contemporaneamente nella liberta e nella gabbia. Ho sentito l’angoscia nell’impossibilità di sfuggire alla relazione;

un valore nel quale avevo sempre fatto prevalere il lato positivo del contatto. Ma poi a lenire queste mie angosce ho ritrovato l’udito che mi cullava accordato alle onde del mare, l’olfatto che sembrava espandersi all’odore del pesce, della salsedine, del mare; e quasi nauseato dalla forte attivazione dell’olfatto ho sentito disgustato tanti odori arti- ficiali di creme e oli che, ormai a giornata inoltrata, inumidivano corpi che arredavano, deturpandola, la bellissima spiaggia naturale che la mattina presto, ogni giorno, incon- travo per un paio d’ore, quasi deserta.

Di certo leggendo il libro non troverete i miei richiami alle vacanze al mare, troverete un testo assai complesso e significativo che vi introdurrà e accompagnerà a conoscere un altro Kafka, come già accennato. E nelle pagine troverete un’analisi delle opere di Kafka sempre più accattivanti. Sempre più immerse a garantire al lettore che i testi di Kafka non sono solo testi del suo tempo. Che oramai sbiaditi possono essere utili per capire il momento storico nel quale l’autore è vissuto. Troverete un Kafka contempo- raneo che parla del vuoto mentale dell’operaio alienato. Dell’uomo incatenato nel suo tempo e dal quale può uscire solo con una operazione paradossale, come è riuscito a fare Kafka. Parlare del suo tempo senza descrivere i particolari del suo vissuto quoti- diano come, invece, nello stesso periodo storico, fecero i veristi. Un autore, che così facendo, suggerisce Ferrari, anticipa i tempi dell’epoca contemporanea, fino a toccare un punto assai vicino a noi, e del quale, paradossalmente, chi ne è travolto lo sente come fosse una sua responsabilità: il vuoto mentale degli esodati che in questo mo- mento vivono con noi l’esperienza della vacuità del nostro tempo, avvitato fino allo stremo da un individualismo e un capitalismo che, all’ultimo respiro, ancora ci coman- dano come se fossero una novità.

Suggerisco, vivamente, di leggere questo testo agli psicologi del lavoro e delle organiz- zazioni ai quali esplicitamente è rivolto, ma lo suggerisco anche alle persone comuni

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opere intrise di simbolismo estremo, fino a celarne, completamente, il significato indi- rizzato al lettore.

Suggerisco di leggere questo libro con una mentalità e un atteggiamento aperto, come è capitato a me aiutato da un luogo dove i confini fra razionale e fantasia spesso si me- scolavano. Con uno sguardo per quanto possibile libero dall’impegno di doverne ren- dere conto, in qualche modo, a qualcuno. Suggerisco di leggere questo lavoro, innanzi- tutto, per sé.

E forse quest’ultima frase la devo rendere all’autore del libro, che in una delle conver- sazioni, dopo avere letto il suo libro, credo mi abbia donato per poterla porgere, allo stesso modo, a tutti voi.

Buona lettura

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