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L’ASCOLTO NELLA VALUTAZIONE DELLA SOFFERENZA PSICHICA IN SEDE PERITALE di Amalia Maria Montresor

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Academic year: 2022

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L’ASCOLTO NELLA VALUTAZIONE DELLA SOFFERENZA PSICHICA IN SEDE PERITALE

di

Amalia Maria Montresor*

L’anno scorso al Convegno su “Il prezzo dell’uomo” è stato detto:” C’è un fantasma presente tra noi che ci accompagna: è il fantasma psichico”.

Quest’anno gli autori delle “Nuove Frontiere del Diritto” hanno invitato il fantasma a partecipare.

Il fantasma ha così assunto una sembianza , una concretezza, perché concreta è la struttura psichica e la sofferenza da cui scaturisce.

Oggi il fantasma è qui per portare la sofferenza psichica di chi ha subito un danno o, meglio, una grave perdita in seguito ad un incidente.

E’ qui per essere riconosciuto, per esistere non come fantasma, ma come persona.

L’invitato di oggi è quindi la persona con la sua storia.

Una storia che investe il corpo, su cui si svolge e si scrive.

Una storia che spesso produce mutilazioni, perdite fisiche e psichiche.

La storia della persona che oggi è qui, con noi, inizia con un evento in grado di produtte discontinuità nella sua vita.

Nasce dall’incontro con l’individuo ed il mistero che la vita porta con sè.

Da questo incontro, spesso devastante, nasce un individuo nuovo, diverso nel fisico e nella psiche.

Egli ora è una persona che soffre per quello cha ha perso, per quello che era, per quello che ora è, per quello che non potrà più essere.

Per lui inizia una nuova fase di vita, caratterizzata dalla sofferenza psichica, compagna spesso inseparabile di chi ha incontrato l'evento.

lo sono una psicoterapeuta d'impostazione psicoanalitica, svolgo la mia attività a Vicenza ed oggi sono qui perchè da anni accolgo la sofferenza psichica presente nelle

* Psicoterapeuta, Specialista in Criminologia Clinica

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persone che hanno subito un danno, o meglio una grave perdita in seguito ad un incidente .

Il seguire - sia a fini diagnostici che terapeutici- chi si é incontrato con "l'evento" - fa sorgere in me il desiderio di dare a questo convegno il mio contributo, che nasce dall'esperienza clinica, dall'incontro con la psiche.

Oggi insieme a voi mi chiedo : cos'è la sofferenza psichica?

Quando si verifica?

A chi compete?

Iniziamo a rispondere.

Credo siamo tutti concordi nel sostenere che essa è uno stato inerente il mondo interno dell'individuo.

La sofferenza, scrive il Prof. Crocetti dell'Università la Sapienza, “è della psiche, è del tempo dell'esperienza di sé, si diversifica dal dolore fisico che è del corpo e del qui adesso, la cui diagnosi compete al medico ed ai suoi strumenti terapeutici'

Si verifica- sostiene- ogniqualvolta l'individuo subisce la perdita di una parte del proprio corpo, ogniqualvolta egli si sente minacciato dalla malattia prodotta nel caso specifico dall'evento- che minaccia la continuità di sé nel tempo e nello spazio fisico e mentale.

La sofferenza si radica " nella propria tradizione interna, compete allo psicologo ed in particolare allo psicoterapeuta", perchè per essere compresa, diagnosticata, riconosciuta da noi come danno biologico, necessita dell' "Ascolto", che avviene come insegna Crocetti "non solo con le strutture della mente razionale, non sempre capace di dialogare col paradosso, il mistero, ma con la presunzione empatica di chi si lascia usare dal bisogno- desiderio " di chi soffre.

L’”Ascolto” della sofferenza compete allo psicologo, allo psichiatra purchè terapeuta, poichè essa mette in rapporto con il "desiderio, la sua patologia, le sue aberrazioni;

dunque mette in rapporto con le relazioni significative interne ed esterne dell'individuo, con il destino degli affetti, per cui la stessa evoluzione della sofferenza è modulata dall'andamento dei legami significativi passati e recenti”.

Mette in rapporto con il mondo interno della persona che ha subito il danno.

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La sofferenza è quindi della psiche e necessita, per essere diagnosticata, dell'

"Ascolto" che è del terapeuta. Ho detto prima che il dolore fisico è del corpo e compete al medico ed ai suoi strumenti terapeutici.

Vi sono casi in cui il dolore fisico diviene sofferenza psichica.

Ciò accade quando si connota "come esperienza tragica, quando obbliga l'essere umano ad incontrare l'essenza stessa della sua realtà corporea, l'essenza della sua vicenda terrena. Quando chi lo sperimenta diventa consapevole del legame esistente tra il " bene "

fisico che è tolto dalla malattia ed il vuoto scavato nel senso psicofisico di sè, nella propria identità profonda e sostanziale.

Il dolore, infatti, si accompagna sempre ad una sensazione di perdita che diventa catastrofe di sé quando il dolore che si verifica è drammatico. Allora diventa smarrimento del senso stesso del proprio progetto, per il quale vivere è acquisire spazi di realizzazione personale.

Premesso ciò si può affermare che esiste una sofferenza psichica, che può considerarsi danno biologico, quando la persona sperimenta la perdita di una parte di un'esperienza di sé, morte di un figlio, una figlia, un marito, una moglie, un padre, una madre; ed una sofferenza psichica, che può considerarsi danno biologico legata alla perdita di una parte del proprio corpo e al dolore fisico.

Oggi ci occupiamo di quest'ultimo caso e vi porto a- titolo esemplificativo- due frammenti di perizie: la storia di Gloria e Francesca, due donne in cui il dolore fisico dovuto alla perdita di una parte di sé diventa sofferenza psichica poichè minaccia la continuità del sè nel tempo e nello spazio, fisico e mentale.

Una sofferenza psichica che va valutata non come danno morale- ma come danno biologico.

Gloria è una donna di sessantanni, che tre anni fa fu investita da un pulmino, mentre attraversava la strada sulle striscie pedonali.

Riportò numerose lesioni organiche.

Seguire i tratti salienti della sua storia, che si svolge sul suo corpo, consentono di capire come il dolore del corpo diventi sofferenza della psiche e danno biologico.

Successivamente agli interventi subiti Gloria accusa un forte dolore fisico alla gamba.

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E' un dolore che non cessa mai, che l'accompagna costantemente e che persiste tuttora. Inizialmente lo accetta, lo sopporta.

Si rivolge ai medici che l'hanno curata, che la rassicurano . Invece la gamba si gonfia.

Nuove operazioni, ingessature e ancora tanto dolore; un dolore dice Gloria" che non mi lascia mai, che è intollerabile". Gloria ha un viso giovane, che contrasta nettamente con il resto della struttura coporea.

Guardandola le si potrebbe dare due età: una inferiore alla età cronologica ed una decisamente superiore. La prima è data dal viso, dall'incarnato chiaro, dalla pelle ben curata, dagli occhi scuri un pò lucidi, dalle labbbra sottolineate nei contorni, valorizzate dal rossetto, che spiccano in un volto dolce e molto femminile.

L'altra è data dal suo corpo.

Un corpo tozzo, la mano sul bastone, l'incedere claudicante, il bisogno di sedersi, di riposarsi per aver camminato solo pochi metri .

L'accompagna il marito che è un uomo giovanile, vitale. Anche lei doveva esserlo prima dell'incidente.

Mi guarda un pò smarrita, quasi in imbarazzo per quella differenza che ora esiste tra loro, per quel suo corpo di donna invecchiato improvvisamente, per essere lei con i suoi problemi fisici l'altra parte della coppia.

Poi dice: " l'incidente ha cambiato molte cose nella mia persona, nel mio modo di essere.

Ho sempre un nodo in gola, un nodo che non va mai via.

Starei sempre chiusa in casa.

Quando passo davanti allo specchio dello studio vedo come cammino, come sono ridotta ....

Ero una donna molto attiva che lavorava sia in casa, sia in negozio. Ora non sono più in grado di svolgere le mie attività.

Un giorno, parlando con mio marito, per sentire la sua opinione, ho detto che dentro non mi sento gli anni che ho. Mi ha risposto che fuori li dimostro tutti.

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Si sta invecchiando, lo si deve accettare, ma lo si può fare se avviene naturalmente, se accade con il tempo.

Per me non é stato così perchè l'incidente ha spinto, ha accelerato.

Mi sento inutile...

Non ho più fatto acquisti, tanto ridotta così non esco. Anche la vita intima é cambiata.

Non ho più desiderio, nè voglia di avere rapporti sessuali. Ho dolore, mi fa male.

I rapporti sessuali li ho nonostante il dolore che provo, perchè non posso rifiutarmi, ho un marito che non sa che la vita intima per me ora è fonte di dolore.

Non ne parlo e non mi sottraggo ai rapporti intimi perché non voglio perderlo.

Da quando è accaduto l'incidente ho il problema dell'incontinenza. Sono costretta a mettermi i pannoloni, quelli appositi.

L'incontinenza è quasi una tragedia.."

Gloria è una donna costretta dall'incidente a compiere un balzo in avanti.

Il suo risveglio nella sala di rianimazione segna l'ingresso in una fase di vita che non le compete, che non le appartiene. L'incidente l’immette direttamente nella senescenza. E' un ingresso improvviso dovuto all'evento.

Ciò procura dolore e sofferenza. Un dolore fisico e psichico che si rinnova ogni giorno, che diviene sofferenza psichica quando constata la differenza di età che ora intercorre tra lei ed il marito che ora ha timore di perdere.

Un timore, una paura nuova , mai vissuta, mai sperimentata nei molti anni di vita vissuta e condivisa insieme.

Una paura che si presenta inaspettata, che la terorizza, che la induce ad accettare pur di non perderlo, una vita intima che ora è fonte di dolore e non di piacere.

Vive da sola la sua paura, il suo dolore, la sua sofferenza. Non vuole che il marito la veda e la senta più vecchia di quello che ora è nel fisico e nella psiche , per questo investe energia psichica in una battaglia che non potrà mai vincere. Sopporta il dolore, la sofferenza; due realtà che invadono la sua vita da cui cerca di difendersi inutilmente. Il dolore fisico di Gloria diventa sofferenza psichica e danno biologico perchè la perdita della sua funzionalità corporea interrompre, spezza, la realizzazione del suo progetto personale e dà origine alla castrofe di sè.

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Questa si verifica perchè noi "non abbiamo un corpo ma siamo il nostro corpo, ed il corpo è l'elemento che sostiene la continuità di sé nel tempo e nello spazio fisico e mentale".

La malattia minaccia questa continuità e produce oltre ai danni fisici evidenti sul corpo un danno psichico enorme, che determina la perdita del suo essere e la perdita del progetto di sé.

Altro esempio di sofferenza psichica e di danno biologico in chi ha subito direttamente un danno sul corpo, è dato da Francesca, una donna di cinquantasei anni, rimasta deturpata al viso, alle mani e ad altre parti del corpo meno visibili, dallo scoppio di gas con successivo incendio della sua abitazione.

La vedo su richiesta del suo legale, che la segue dal 1987 giorno in cui é accaduto l'incidente, poichè ha constatato con il passare del tempo, l'assunzione da parte della sua cliente di un atteggiamento e di un comportamento che può essere il segnale di una forte sofferenza psichica.

Francesca, il viso nascosto da grandi occhiali, porta negli incontri la proccupazione di non essere seguita in modo adeguato dal suo legale a cui la sorella - (coinvolta insieme a lei nell'incidente ) - ed il cognato avrebbero a suo avviso detto cose che l'hanno indotto a cambiare atteggiamento nei suoi confronti. Esprime la sua fatica del vivere attuale dovuto al cambiamento fisico e psichico prodottosi; per renderlo evidente riporto alcuni passaggi, tratti dalla perizia e dalle sedute: " Mio cognato ce l'ha con me e parla male di me.

Niente mi fa più effetto.

Prima passavo davanti ad una vetrina vedevo un bel vestito, lo comperavo, ora non accade più perchè penso che addosso a me non stia più bene niente.

Facevo la parrucchiera, non posso più farla perchè ho perduto completamente la sensibilità nelle mani. Ho avuto molto dolore. Un dolore che non mi consentiva di dormire; allora camminavo, camminavo molto. Uscivo di notte e camminavo. Mi sembrava che questo mi aiutasse.

I medici mi hanno dato la responsabilità, mi hanno sempre detto che solo io potevo curarmi.

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Ho portato la maschera al viso per due anni consecutivi, la portavo anche quando guidavo.”

Francesca piange.

Insieme alle guance bagnate dalle lacrime- che scendono copiose ed incontrollate- porta il suo mondo interno caratterizzato da una grande solitudine e da elementi persecutori.

Poi mi porge un piccolo raccoglitore di fotografie.

E' lei, con la maschera bianca che ha portato ininterottamente per due anni.

Una maschera che nasconde completamente il suo viso, le sue ferite.

Francesca è in quelle fotografie che mi porge con mano tremante, una persona senza volto, senza identità.

E' la maschera!

E' il fantasma che si aggira senza pace, di notte per le strade. Nelle sedute successive, avendo iniziato un rapporto psicoterapico porta il suo vissuto interno, l'investimento libidico legato al suo corpo, la sua difficoltà ad affrontare i rapporti oggettuali primari, il suo bisogno di fuggire da ciò che determina conflitto.

Ricorda le notti dopo l'incidente in cui camminava, camminava alla ricerca di qualcosa che aveva perso e che non ha più ritrovato: il suo corpo, la sua identità.

L'incidente cambia totalmente la vita di Francesca e crea uno spaccato netto nella sua immagine corporea poichè la donna bella, affascinante, corteggiata, che riusciva ad ottenere ciò che desiderava dagli altri per il suo fascino di cui si sentiva sicura, ora non c'è più.

C'è una donna incerta, debole, fragile, con una immagine corporea diversa da quella che lei conosce, ha curato, ed ha investito libidicamente, che cerca con molto coraggio di rimettere insieme i frammenti dell'immagine di sè, di ritrovare l'equilibrio psichico che è andato perduto insieme all'immagine corporea.

L'immagine corporea: la percezione che si ha di sé, con cui ci si propone agli altri.

Il corpo, il primo elemento di contatto con il mondo. Il bambino si propone al mondo come corpo, come corpo da accudire, da curare, da preservare, da celebrare.

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Sia la madre, sia il bambino nella fase iniziale della vita investono libidicamente sul corpo. Ciò consente al bambino di vivere la fase del narcisismo primario.

Il corpo quindi svolge fin dall'inizio della vita una funzione importante per lo sviluppo dell'equilibrio psichico.

La sua importanza può diventare enorme, fondamentale, se nell' età adulta la quantità di energia psichica spostata risulta irrilevante rispetto a quella mantenuta sul corpo, che rimane l'oggetto primario dell'investimento libidico, attorno a cui ruota l'intero equilibrio psichico del soggetto.

Il corpo è l'elemento di identità, di contatto con il mondo esterno l'oggetto privilegiato, usato per stabilire rapporti, che abbatte le difficoltà, crea possibilità, schiude nuovi orizzonti.

Francesca trae la sua identità dagli investimenti narcisistici effettuati sul corpo e l'incidente che lo devasta attacca direttamente il nucleo centrale della sua identità. Non ha più identità.

La sua perdita determina la rottura del suo equilibrio psichico e la comparsa di nuclei persecutori di tipo paranoico, che disturbano il suo equilibrio e le impediscono una gestione adeguata della sua realtà personale.

Ciò accade poichè l'incidente rompe l'equilibrio tra gli investimenti narcisistici e quelli oggettuali, che diventano persecutori. La rottura compromette il suo rapporto con il mondo esterno.

La difficoltà insorge quando incontra nel suo mondo interno, i rapporti oggettuali.

Dall'incontro scaturisce una forte esigenza di giustizia, una giustizia riparatrice dei torti subiti, che Francesca porta inconsciamente all'Avvocato, a cui chiede di svolgere una funzione che va al di là del suo ruolo.

Nel momento in cui egli cerca di ridarle il dato di realtà, legato al suo ruolo, alla sua mansione, diviene persecutorio. La deformazione del viso dà origine alla spersonalizzazione che secondo Paul Schildere è " il quadro caratteristico che si presenta quando l'individuo non osa collocare la libido né nel mondo esterno né nel proprio corpo...L'individuo si sente completamente mutato rispetto a ciò che era prima. Il

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cambiamento é presente tanto nell'Io che nel mondo esterno e l'individuo non riconosce più se stesso come persona".

La devastazione dell'immagine corporea, impedisce a Francesca di andare verso il futuro, verso una progettualità vera, reale, adeguata.

Il dolore del corpo è ancora una volta sofferenza della psiche e danno biologico.

Gloria e Francesca due esempi tra i molti che potrei citare, in cui il dolore del corpo diventa sofferenza psichica; quella sofferenza che necessita per essere compresa, diagnosticata, riconosciuta come danno biologico, dell"'Ascolto" terapeutico di cui ho parlato prima, che è tale solamente quando chi lo effettua può tollerare, tenere, la sofferenza portata dal paziente o contenere, ed incontrare la sofferenza portata dal paziente o dal periziando.

Quando chi é chiamato a valutare può incontrare dentro di sé i fantasmi che la devastazione, il dolore del corpo evocano in ciascuno di noi.

L'esperienza clinica sin quì condotta mi induce a chiedere come possa il medico- legale preparato a valutare, non la persona, ma il corpo,un corpo disgiunto dalla mente, palcoscenico passivo della tragedia che su di lui si compie riconoscere e diagnosticare la sofferenza psichica, che trae origine dal dolore del corpo.

Un corpo che in realtà è vissuto, investito e rappresentato nella mente del paziente, che non è un agglomerato di pezzi e di funzioni, ma un insieme d'investimenti libidici che rimandano l'uno all'altro.

Corpo e mente, soma e psiche sono le strutture che caratterizzano e sostengono l'uomo, l'individuo, la persona.

Pare non esistere quando si scende nel campo della valutazione del danno biologico.

Il tecnico che vi si approccia sembra dimenticare di trovarsi di fronte un individuo, forse non dimentica, ma si difende dall'incontrare la sofferenza che la persona devastata nel corpo porta nella psiche, oggettivizzandola con la metodologia adottata.

Talvolta mi è sembrato di assistere più che ad un incontro diagnostico ad

"interrogatori serrati" in cui il tecnico ha il compito di stabilire la verità, essendone il detentore. Da una parte il potere- sapere, la verità; dall'altro non più una persona, ma un

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oggetto, costretto a rispondere alle domande incalzanti, spesso irrispettose del tecnico, che non sa ascoltare, che non sa accogliere, che non sa tenere.

Del resto egli é chiamato a valutare non il corpo, non la persona, ma i pezzi che lo compongono.

L'accondiscendere al valutare del medico legale e dello psichiatra non terapeuta, chiamato il primo a quantificare, il secondo a catalogare ed inserire nelle categorie, impedisce l’approccio all'individuo che deve comunque esistere al di là delle specificità professionali di chi valuta.

La difficoltà conseguente date le richieste del Magistrato in sede peritale e l'impostazione professionale ad accedere all'individuo nella sua globalità e al suo mondo interno impedisce di effettuare quell'ascolto che consente di diagnosticare, comprendere e tollerare la sofferenza psichica, che la persona che ha subito il danno manifesta.

Se la diagnosi è affidata a chi non può ascoltare perchè non è preparato a farlo" e se chi sino ad ora ha assunto questo difficile e delicato compito continuerà ad assumerlo non riconoscendo i propri limiti, la sofferenza psichica che nasce dal dolore del corpo, devastato, mutilato dall'incidente subito, che è danno biologico, non potrà essere riconosciuta. La persona che ha subito il danno, sarà ulteriormente offesa da un sapere che salvaguarda un potere, che usa la conoscenza per ripartire, frazionare il corpo, distruggendo l'individuo già duramente colpito.

Da ciò scaturisce l'invito all'assunzione di un metodo comune per tutti i professionisti chiamati a fornire risposte sul dolore del corpo e circa la sofferenza della psiche.

Una metodologia che nasce dall'assunzione responsabile dei propri saperi professionali, che hanno in comune il vedere la persona nella propria interezza e nella propria dignità.

Ciò significa sottrarre il sapere al potere e restituirlo al servizio della sofferenza, di qualunque natura essa sia.

Riferimenti

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