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LO PSICOTERAPEUTA NELLA VALUTAZIONE IN SEDE PERITALE DEL DANNO BIOLOGICO di Amalia Maria Montresor

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Academic year: 2022

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LO PSICOTERAPEUTA NELLA VALUTAZIONE IN SEDE PERITALE DEL DANNO BIOLOGICO

di

Amalia Maria Montresor*

Oggi si affronta il danno biologico da morte e siamo qui per capire quello che facciamo rispettivamente nelle nostre professioni nelle nostre competenze quando ci è chiesto di valutarlo nei familiari delle vittime.

Ieri si è affrontato il tema della sofferenza psichica, personalmente ho portato il mondo interno della persona che ha subito la perdita di una parte del proprio corpo.

Oggi porto il mondo interno di chi ha subito, incontrandosi con il mistero che la vita porta con se, la perdita di una parte dell'esperienza di sé.

Credo si sia concordi nell'affermare che la sofferenza psichica è del tutto connessa alla perdita, che si colloca nel mondo interno della persona che la vive, modificando il più delle volte l'equilibrio psichico precedentemente esistente.

Ed è la collocazione della perdita nel mondo interno, la conseguente rottura dell'equilibrio psichico esistente, che porta il legale a chiedere una Consulenza Tecnica per valutare l'entità del danno subito .

La persona che ha subito il danno diviene il “periziando” che voglio chiamare cliente per dargli una posizione di dignità e di centralità.

Chiediamoci chi è, cosa ci chiede, cosa si aspetta da noi.

E' una madre e un padre, una moglie o un marito, un figlio o una figlia che hanno subito un lutto e che spesso vengono da noi perchè inviati, non avendo un'idea chiara di ciò che possono chiedere e a chi lo devono chiedere.

Fanno colloqui, vengono interrogati, in un rapporto di uno a tre e non sempre sanno chi sono i tecnici che pongono le domande.

Sicuramente vengono con un problema che ha a che fare con un "danno" e con un

"risarcimento".

Un danno che è un lutto.

* Psicoterapeuta, Specialista in Criminologia Clinica

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Un risarcimento che viene interpretato da chi ascolta esclusivamente come economico.

Ma in realtà, il nostro cliente cosa chiede che venga risarcito? E qual'è il compito dei professionisti rispetto a questa richiesta?

La cosa più semplice è dire che vogliono un risarcimento economico e che su questo, per la mia esperienza clinica, si attivano i professionisti.

Non voglio negare che l'operazione si concluda con un risarcimento economico, ma voglio sottolineare che questo è solo l'aspetto emergente - e neanche sempre - di ciò che il cliente porta con sè e dentro di sè.

Ho constatato che l'attesa della richiesta di un risarcimento in denaro condiziona l'agire professionale degli esperti, che invece di interrogarsi sulla natura del risarcimento si chiedono l'entità o la capacità della simulazione del cliente.

Ma davvero pensiamo che una perdita di un figlio possa essere risarcita in denaro?

Davvero lo pensiamo?

Non credo.

Bisogna allora chiedersi cosa vuole il cliente quando viene da noi e considerare la persona, il motivo per cui siamo lì: iniziamo a farlo da oggi.

Siamo tutti d’accordo che la sofferenza è insita nel lutto; soffermiamoci su questo, prima di addentrarci nella possibilità di elaborare e non elaborare il medesimo.

Dobbiamo quindi pensare che quando il cliente entra per essere valutato porta con sé la sofferenza e forse con essa ha a che fare quel risarcimento di cui ho parlato prima.

Ho detto che il cliente entra per essere valutato.

La valutazione - in cui si pressupone che il cliente sia lì solo per un risarcimento economico - non ha spazio per l’accoglienza e tantomento per la sofferenza.

E se la sofferenza non è accolta sfugge alla valutazione complessiva di quel danno di cui, come ho già detto, vediamo solo la parte emergente.

In quella parte emergente viene indagata la capacità di simulare quasi ci fosse un’incapacità di indagare il mondo interno.

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Il non vedere il cliente nella sua dignità lo offende e lo umilia ponendolo in una condizione in cui si sente costretto a giustificarsi per il fatto di essere lì, e dimostare che il denaro non può stare al posto degli affetti.

Nella mia esperienza clinica ho potuto verificare che quando il C.T.U "che di norma è un medico legale" incontra non la simulazione a cui é preparato, ma una sofferenza intollerabile a cui non é preparato, propone al cliente di sottoporsi ad un ulteriore colloquio con lo psichiatra, inconsapevole dei danni che può produrre la riedizione del trauma.

A questo punto lo si verifica, che spesso il cliente interrompe l'operazione peritale, cioé nel momento in cui viene inviato da un altro tecnico col quale dovrebbe rivivere nuovamente l'esperienza traumatica nel dubbio che ancora una volta non venga accolta la sua sofferenza.

E' il caso di Giulia che ha perduto il figlio in seguito ad un incidente stradale dieci anni fa, che ha rifiutato la proposta del C.T.U di sottoporsi ad un ulteriore colloquio con lo psichiatra, a cui avrebbe dovuto raccontare e quindi rivivere nuovamente il suo trauma.

L'operazione peritale si é interrotta.

Giulia si é sentita offesa ed umiliata ed ha chiesto al suo Avvocato di porre fine ad un azione legale e peritale in cui non era rispettata ed accolta la sua sofferenza.

Giulia non ha potuto avere il riconoscimento della sua sofferenza avendo trovato la figura professionale in grado di coglierla, tenerla e valutarla.

Ciò non ha consentito la traduzione del danno psichico in danno biologico.

La figura professionale preposta all'ascolto del mondo interno, non può che essere lo psicoterapeuta o lo psichiatra, purchè terapeuta.

Senza di lui non può essere valutata quella parte sommersa ma preponderante che ha a che fare con il risarcimento del danno del mondo degli affetti.

Con questa affermazione rispondo alla domanda iniziale inerente il risarcimento richiesto dal cliente e al ruolo che ci compete rispetto a questa richiesta.

Pare chiaro che ciò che il cliente vuole è il riconoscimento della sua sofferenza; e questo può accadere solo se noi gli evitiamo la riedizione continua del trauma, inviandolo ad altre figure professionali.

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Ciò significa che ad ogni figura compete il proprio ambito.

Detto ciò possiamo affrontare il tema della sofferenza di chi non ha elaborato il lutto della perdita, perchè di questo noi ci occupiamo.

Iniziamo col chiederci cos'è il lutto.

Il lutto per Freud è "la reazione alla perdita di una persona amata, o di un'astrazione che ne ha preso il posto e che nonostante implichi gravi scostamenti rispetto al modo normale di atteggiarsi di fronte alla vita” non ci passa mai per la mente di considerarlo uno stato patologico edi affidare il soggetto che ne è affetto al trattamento del medico.

Confidiamo che il lutto verrà superato dopo un certo periodo di tempo e riteniamo inopportuna o addirittura dannosa qualsiasi interferenza.

Il lutto profondo, ossia la reazione alla perdita della persona amata, implica la perdita di interesse per il mondo esterno fintanto che esso non richiama alla memoria colui che non c'è più; la perdita della capacità di scegliere un qualsiasi nuovo oggetto d'amore ( che significherebbe rimpiazzare il nuovo defunto); l'avversione per ogni attività che non sí ponga ìn rapporto con la sua memoria.

Comprendiamo facilmente che questa inibizione e limitazione dell'Io esprime una dedizione esclusiva al lutto che non lascia spazi ad altri propositi ed interessi. Questo atteggiamento non ci appare patologico soltanto perchè lo sappiamo spiegare così bene.

Ora chiediamoci cosa consente alla persona di superare il lutto. La sua elaborazione che è affidata al lavoro del lutto.

In che cosa consiste il lavoro del lutto?

Nel disinvestire l'oggetto amato e perduto.

L'esame di realtà scrive Freud " ha dimostrato che l'oggetto amato non c'è più e comincia a esigere che tutta la libido sia ritirata da ciò che è connesso con tale oggetto.

Contro tale richiesta si leva un'avversione ben comprensibile, gli uomini non abbandonano mai volentieri una posizione libidica, neppure quando dispongono già di un sostituto che li inviti a farlo. Questa avversione può essere talmente intensa da sfociare in un estraniamento dalla realtà e in una pertinace adesione all'oggetto. Comunque una volta portato a termine il lavoro del lutto, l'Io ridiventa libero e disinibito”.

Chiediamoci ora quand'è che il lutto è inelaborato?

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Quando la persona che ha subito la perdita trascorso un periodo sufficientemente lungo - circa due anni - non ha compiuto il lavoro del lutto.

Cioé quando chi ha subito la perdita non può incontrarsi con il principio di realtà, che dimostra momento dopo momento, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, che la persona amata non c'è più.

Quando l'lo risulta ancora inibito e l'oggetto amato perduto é ancora libidicamente investito.

Accade che chi ha subito la perdita rifugga al principio di realtà e continui a vivere la vita negando mediante il suo comportamento la perdita del suo oggetto d'amore.

E' il caso di Franca che ha perduto la figlia Michela ventunenne, in seguito ad un incidente stradale, che si é difesa da una realtà per lei intollerabile negando la perdita e mantenendo in vita con -l'aderenza pertinace all'oggetto-, la figlia che non c'era più.

La negazione è comparsa immediatamente sul necrologio in cui si leggeva : " Michela arriva alle quattro".

E' ricomparsa nuovamente quando Franca ha distribuito e pubblicato il ringraziamento per la partecipazione alla funzione funebre in cui aveva scritto :" Michela ringrazia ".

Dopo aver accompagnato la figlia nel suo ultimo viaggio Franca è andata a casa, ha preparato la cena per il marito ed i figli, si è alzata il mattino successivo ed ha accudito come sempre la casa. Ed i giorni si sono susseguiti uguali uno dopo l'altro.

Anche Lorena che ha perduto il marito due anni or sono in un incidente sciistico, si difende dall'incontrare la realtà della perdita dentro e fuori di lei.

Per farlo usa la fantasia.

"Mantengo dice Lorena tutto a livello fantastico. Ai bambini dico il papà è in cielo, viene di notte e li coccola.

Vivo illudendomi che sia fuori per lavoro, pensando che non c'è perchè è impegnato.

Se passa una macchina simile alla sua è lui che rientra. Enzo non é morto. Non vado al cimitero perchè lui non è là”.

Anche per Franca Michela non è al cimitero.

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" Non la trovo lì la mia Michela adorata. Lei è qui a casa con me sempre. Nella sua camera, in bagno, nel basilico in terazza, nelle spezie in cucina, sul divano del soggiorno".

Una madre ed una moglie, due persone diverse, accomunate dal lutto e dalla necessità di negare la perdita dell'oggetto amato.

La negano perchè l'incontrarla le mette in contatto con una realtà che evidenza l'assenza del loro oggetto d'amore, una assenza che non possono reggere.

L'incontrarla prima fuori e poi dentro di sé può devastarle.

Cosa accade, qual'è la loro reazione emotivo- affettiva - comportamentale quando il principio di realtà inizia lentamente a dimostrare che l'oggetto amato non c'è più? Franca un mattino come tanti si alza ed anzichè accudire la casa, si siede in un angolo, si rannichia, ed inizia ad urlare il suo dolore, la sua sofferenza.

Una sofferenza inconsolabile, carica di rabbia che spaventa chi l'attornia, che non la fa vivere e che esprime alla figlia a cui scrive : " Dolore .... dolore..vendo dolore!!

Lei vuole comprare un pò di dolore?

Costa poco, niente. Signore, vuole un pò di dolore? Lei Signore? Non lo vuole?

Possiamo anche barattarlo se...

No, non vuole il baratto, in cambio di un pò d'amore e di serenità?

No - non vuole - allora posso regalarglielo, in cambio di niente, tanto io ne ho a non finire.

Come ? Lo fabbrico io, io nel mio cuore e ne ho piena la casa, i mobili i cassetti, lo tengo dappertutto, tanto che ora non mi stà più in casa e lo porto per le strade.

Lo vedo ammucchiato ai lati dei viali, quando passa qualche amica di Michela, oppure i posti nei quali lavorava, oppure quando vedo i genitori dei suoi amici, ..oppure quando vedo qualche piccola ragazza dai lunghi capelli castani come i suoi.... ci è sempre con me questo dolore, vorrei darlo via ed avere invece anche solo un pò di amore da dare a Franco ed Elena, che me lo chiedono insistentemente anche senza parole".

Lorena che ha solo trentaquattro anni ed ha continuato i progetti del marito, come se lui fosse assente per un viaggio, quando contatta la perdita e pensa che lui potrebbe

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realmente non ritornare più pensa a come potrebbe uccidere sè stessa e i suoi bambini senza farli soffrire.

" Penso a come fare.

L'incidente in auto, non dà sicurezza né sull'assenza di sofferenza, né sulla morte di tutti. Il gas, non fa soffrire, morìremo tutti, ma se qualcuno suona il campanello?".

Franca quando inizia a contattare la perdita ha il rifiuto della vita, del marito e degli altri due figli.

Trascorre le giornate urlando con il pianto la sua sofferenza, impedendo ai figli ed al marito di vivere la vita.

Si chiude in casa.

Nella solitudine compare forte il desiderio di vendetta, il desiderio di uccidere chi ha ucciso la figlia.

Cosa trattiene Franca e Lorena dall'agire ?

A trattenere Franca è il rapporto psicoterapico intrapreso in seguito all'insitenza del suo legale, mentre ciò che trattiene Lorena dall'agire è la fuga che compie dalla realtà mediante la fantasia .

Franca e Lorena non agiscono, ma nemmeno elaborano la perdita.

Cosa impedisce loro di elaborarla?

L'investimento fatto sull'oggetto perduto.

La possibilità di elaborare la perdita è infatti indirettamente proporzionale alla quantità d'investimento fatto sull'oggetto d'amore perduto da chi subisce la perdita .

Tanto più si investe tanto più e difficile elaborare la perdita.

Se la perdita non é elaborata la persona non può ritornare a vivere, continuerà ad estraniarsi dalla realtà aderendo pertinacemente all'oggetto perduto che continua così a vivere nel suo mondo interno.

Ciò significa che i ricordi e le aspettative inerenti l'oggetto investito libidicamente quand'era in vita continuano ad esserci. L'oggetto perduto è quindi tenuto in vita dall'investimento libidico effettuato, che non può essere ritirato.

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Non é infatti possibile disinvestire libidicamente l'oggetto d'amore perduto quando esso é una parte dell'esperienza di sé,quando su di esso sono riposte parti estremamente significative di sè.

Franca mette molte parti di sé su Michela che è la sua possibilità. E' colei che può realizzare ciò che ha sognato per sè. Lei era stata una ragazza molto sensibile e riconosceva nella figlia la sua stessa sensibilità.

La figlia era nel suo inconscio colei che poteva realizzare le sue parti.

Michela era lei e lei era Michela.

La morte di un figlio è sempre una grande e grave tragedia.

E' il dolore più grande che può colpire una madre ed un padre. Un dolore impossibile da elaborare se il genitore si identifica con il figlio.

Franca che ha investito molte parti di sé sulla figlia, ora vive per mantenere in vita chi non c'è più .

Anche Lorena ha investito molte parti di sé sul marito ed ora vive per mantenere in vita il suo oggetto d 'amore perduto.

Lorena e Franca sono due donne senza speranza, fissate nella perdita, private dal lutto della loro autonomia, di un loro progetto.

Sono due donne che disinvestono totalmente da sé per investire sempre più sull'oggetto perduto, che continua a vivere dentro di loro non come ricordo, ma come oggetto vivo.

Enzo, il marito di Lorena, vive dentro e fuori di lei in ogni momento della giornata, in ogni battaglia ingaggiata, in ogni insegnamento impartito ai figli.

In ogni suo gesto, in ogni suo pensiero, Lorena investe l'oggetto perduto.

Lo investe quando spinge i bambini a sciare, a fare ciò ch avrebbe desiderato, ciò che lui avrebbe voluto. Vive in relazione stretta con la perdita che è negata, contiene e dà senso all'intera esperienza che fa di sé. Ogni esperienza è risucchiata dal lutto, che è il solo ad è realmente investito e che si nutre di lei e dei suoi bambini.

La necessità di nutrirlo le impedisce di vedere le esigenze, i bisogni, le paure di Francesco, Nicola ed Anna.

Ciò determina la catastrofe psichica che mette a rischio lei ed i bambini.

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Questa si verifica quando il lutto produce la perdita della struttura psichica e diviene esso stesso struttura. Lorena come Franca investe ed alimenta l'oggetto perduto, disinvestendo da sé e da ciò che l'attornia.

Ed i figli di Franca e di Lorena sono figli compromessi poichè è compromessa la loro possibilità di crescere. Francesco che ha undici anni non ama svolgere giochi e attività in cui si compete. Ama i libri di cucina, da cui attinge ricette che esegue con grande abilità.

Non ha alcun ricordo del padre, con cui ha vissuto sino all'età di nove anni.

Non ricorda il padre e vive con una madre che perdendo il marito perde il maschile come parte viva.

Lorena non riesce più a definire gli uomini che ora le sembra facciano parte di altro pianeta.

E Francesco e Nicola ? Il loro processo d'identità?

Ed Elena la figlia di Franca - un adolescente - che ora incontra una madre che non si attiva per lei, una madre che se invece di perdere Michele avesse perduto lei, avrebbe potuto elaborare la perdita.

Elena sa che questo la madre lo ha pensato.

Il pensiero di Franca mette direttamente in contatto con l'investimento effettuato sugli oggetti d'amore.

E' vero che anche se i figli sono amati, sono investiti dai genitori in modo diverso.

Elena si è accorta di ciò e guarda alla vita senza ambizioni, accontentandosi di ciò che le é dato, senza proporsi. Lei vive la colpa di essere viva.

Come sarà la sua vita?

Come avrebbe potuto essere la sua e quella della madre?

Franca , Lorena e tutti coloro che ho incontrato nella loro sofferenza, che qui ricordo, dimostrano la realtà del danno biologico ai familiari delle vittime e di come sia necessario la presenza di un professionista in grado di “ascoltare” la loro sofferenza psichica.

Ma ascoltarla con quell'attenzione, quel rispetto, quella disponibilità che caratterizzano l'ascolto del terapeuta, che consente a chi soffre di non vedere più

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nell'altro l'estraneo, ma colui che può cogliere e tenere le sue parti ferite, lacerate, che costudisce gelosamente dentro di sé.

L ‘“Ascolto”( che come ho già detto è dello psicoterapeuta o dello psichiatra purchè terapeuta), consente di sentire il dolore, la sofferenza, la disperazione, la gravità del disagio, l'investimento f atto sull'oggetto perduto che continua ad essere vivo ed investito nel mondo interno di chi l'ha perduto.

Se si può ascoltare, tenere il dolore e la sofferenza di chi soffre, si può incontrare la parte profonda della struttura di personalità in cui il lutto si colloca, disorganizzandola.

La figura professionale del terepeuta a cui compete 1’Ascolto” del mondo interno, potrà consentire di superare al medico legale e alo psichiatra non terapeuta, l’impasse e il disagio in cui lo pone oggi “l’ascolto della sofferenza”, che limita le azioni positive che la loro professione esprime e nel contempo offende il cliente.

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