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NEI PIÙ RECENTI ORIENTAMENTI DELLA COE

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Academic year: 2022

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NEI PIÙ RECENTI ORIENTAMENTI DELLA

CO E

Dr. Gianfranco Iadecola

1. Una rapida rassegna della giurisprudenza penale della Cassazione degli ultimi anni, evidenzia come i “capitoli” più ricorrenti della responsabilità professionale medica riguardino il tema del consenso del paziente, l’addebito di colpa nell’attività individuale o in “équipe”, ed il problema dell’accertamento del nesso di causalità – rispetto al pregiudizio subìto dal malato - in caso di omissione da parte del medico della condotta adeguata e doverosa.

Esaminiamo, sia pure per sintesi, le proposizioni più significative poste dalle sentenze del giudice di legittimità riguardo a tali aspetti.

2. In tema di consenso “informato” (la cui necessità di acquisizione da parte del sanitario, al di fuori dei soli casi di situazione di urgenza in cui esista il rischio di un grave danno alla salute del malato o addirittura di morte, costituisce ormai un principio indiscusso nella giurisprudenza) possono essere in particolare segnalate due importanti decisioni relative alla responsabilità penale del medico che intervenga consapevolmente al di fuori del consenso del paziente.

La Suprema Corte (Sez. IV, 9.3.2001), superando una posizione precedente, e peraltro legata ad una vicenda del tutto particolare, nota come “caso Massimo” (in cui il medico aveva eseguito, del tutto arbitrariamente e senza necessità, un intervento diverso da quello consentito da cui era poi derivata la morte della paziente: la Cassazione – Sez. V^, 13.5.1992- aveva

LA RESPONSABILITÀ MEDICA RTE DI CASSAZION

Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, Roma

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2 qualificato il fatto come omicidio preterintenzionale), ha stabilito che intervenire chirurgicamente su di un paziente, in assenza del consenso, per rimuovere una patologia, non integri, in caso di morte, il delitto di omicidio preterintenzionale e ciò anche se si è al di fuori della urgenza terapeutica o vi siano stati errori di valutazione nell’apprezzamento di questa. E ciò perché in tale ipotesi comunque difetta ogni intenzionalità lesiva nella condotta del medico, che è pur sempre diretta a tutelare la salute del paziente. Nel caso di specie si era trattato, più precisamente, dell’esecuzione di un intervento diverso da quello consentito, decisa dal chirurgo, nel corso dell’intervento programmato, per l’asportazione –non necessaria- di una massa tumorale in zona sottoperitoneale, durante la quale era avvenuta la completa sezione dei vasi iliaci esterni: veniva ritenuta la responsabilità del medico per omicidio colposo, legata all’imperizia grave accertata.

Ricollegandosi idealmente a tale precedente decisione e completandone lo sviluppo, la Cassazione (Sez. IV, 23.3.2001) ha in seguito affermato che, peraltro, nel caso in cui il medico intervenga –in assenza di situazioni di pericolo di morte o di danno grave non altrimenti riparabile – non semplicemente in mancanza di un consenso che non sia stato dal malato manifestato, bensì contro l’esplicito dissenso, esplicitato e conclamato, dello stesso, che si sia opposto espressamente alla prestazione, si configuri una condotta del sanitario penalmente rilevante come delitto contro la libertà dell’autodeterminazione della persona (violenza privata) e come lesione personale dolosa (e, in caso di conseguente morte, di omicidio preterintenzionale). Rimanendo perciò ribadita la regola secondo cui sono soltanto le situazioni di urgenza terapeutica (che configurano lo stato di necessità giustificante di cui all’art. 54 del codice penale), che abilitano il medico a prescindere, lecitamente, dalla volontà del paziente (sia non manifestata, sia apertamente dissenziente).

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3 In tema di conseguenze penali connesse alla violazione della regola del consenso, le posizioni più recenti della Cassazione appartengono alla sentenza della Sez. I (PG Torino c. Volterrani) del 29.5.2002, la quale giunge ad escludere nella materialità del gesto del medico-chirurgo eseguito senza il consenso del malato, ma secondo le leggi dell’arte, lo stesso ”fatto tipico”

della lesione personale volontaria, configurabile solo nel caso fantasioso di un chirurgo che causasse lesioni al malato per malvagità od odio personale. Ed infatti, l’atto medico- chirurgico è sempre intrinsecamente vantaggioso ed utile, e tende alla rimozione di una patologia: e dunque, ove correttamente compiuto, non può essere assoggettato a sanzione penale come se fosse il gesto di un qualsiasi accoltellatore, e prescindendosi dalla sua specifica natura ed essenza; e questo, neppure in caso di esito infausto (che rappresenta il rischio connesso, in modo più o meno intenso, ad ogni tipo di intervento medico-chirurgico).

Sempre sulla tematica del consenso va ricordata la decisione (Sez. IV, 24.5.2001) che, andando contro un precedente indirizzo della Cassazione civile che aveva fatto molto discutere (Sez. III^, 16.5.2000), afferma l’insussistenza dell’obbligo da parte del sanitario in servizio presso un pubblico ospedale di informare i pazienti circa le carenze strutturali o di mezzi dell’ospedale stesso (aggiungendosi, inoltre,che,in via di principio, non possano addebitarsi a colpa del medesimo le insufficienze in questione).

3. In materia di colpa medica –che rimane il settore più frequentemente investito da pronunce del giudice penale- la Cassazione da un lato ha ribadito posizioni già acquisite (così sul concetto stesso di colpa), dall’altro ha puntualizzato aspetti meno frequentemente analizzati in passato (come in ordine alla responsabilità nelle prestazioni in “équipe”).

Sulle valutazioni della colpa, l’orientamento della Suprema Corte, ormai abbandonati i giudizi pregiudizialmente benevoli e comprensivi, durati sino agli inizi degli anni settanta, per cui il

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4 medico avrebbe dovuto rispondere,sempre, solo in caso di colpa grave, appare attualmente ispirato al criterio più ragionevole ed equanime di distinguere tra i tipi di colpa: se si tratta di negligenza o di imprudenza (che evocano, la prima, superficialità, indolenza, trascuratezza o scarsa attenzione,e, la seconda, eccessiva precipitazione, ingiustificata fretta o temerarietà) occorre dare rilievo, come d’ordinario avviene quando si valuta la responsabilità penale per danni alla persona di qualsiasi cittadino, a qualsiasi grado, anche lieve, di colpa; e lo stesso deve accadere anche ove si tratti di imperizia, a meno che la prestazione richiesta al medico non risulti assai complessa e difficile, in tale caso soltanto essendo giustificato un margine valutativo più ampio, che costituisca in colpa del medico solo quando l’errore risulti grossolano e non giustificabile. In questa ultima ipotesi l’errore del medesimo deve ricevere un trattamento giuridico particolare, in forza del quale potrà parlarsi di colpa inescusabile solo quando il sanitario dimostri di non possedere le cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione, o di difettare di quel minimo di abilità e di perizia tecnica che qualsiasi altro medico sarebbe stato in grado di applicare nella prestazione eseguita (Sez. IV^, 30 ottobre 1998; Sez. IV^, n.57/1999). Dovendosi precisare che il parametro di riferimento va individuato in concreto ed in relazione al livello di professionalità appartenente al medico la cui condotta viene valutata, sicché esso non potrebbe essere lo stesso per il medico generico e per lo specialista, per quest’ultimo dovendosi tenere presente lo “standard” medio di preparazione e di conoscenza esigibile dal suo livello di specializzazione professionale (Sez.

IV^, 21 novembre 1996; Sez. IV^, 1° luglio 1992) .

Quanto alla attività in équipe, la Cassazione ha sostanzialmente ribadito posizioni ormai tradizionali come la specifica posizione di garanzia riservata al primario o comunque al soggetto apicale, titolare di doveri di organizzazione, coordinamento e sorveglianza sull’attività dei collaboratori e la correlativa responsabilità penale ogni volta in cui possa

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5 essergli mosso un rimprovero per carenze al riguardo che si traducano in condotte lesive dell’incolumità fisica del paziente, anche ove ascrivibili ai collaboratori medesimi. Può essere ricordata, tra le altre, la sentenza della Sez. V^, n.1230/1999, che ha affermato essere in colpa, per le conseguenze della dimenticanza di una garza, un chirurgo che aveva delegato ad una infermiera ferrista la conta delle garze stesse e che era stata dalla stessa rassicurato, a fine intervento, circa l’avvenuto conteggio: si tratta, si dice in sentenza, di una negligenza non riconducibile alla specialità di altro medico partecipe all’intervento, ma riguardante una attività tipica del chirurgo che opera. Egli poteva si delegarla ad altri, come anche altre operazioni, ma ogni attività delegata doveva poi svolgersi sotto la sua “continua sorveglianza e penetrante controllo”: sicché, anche se è possibile ravvisare la colpa concorrente di altri componenti dell’équipe negli adempimenti delegati, questo nulla toglie alla sua responsabilità.

Particolarmente incisive e con evidenti profili di novità risultano,sempre in materia di colpa

“in équipe”, le diverse pronunce della Cassazione (Sez. IV^: n.556/2000;

1031/2001;1736/2000, fra le altre) che hanno sottolineato come, all’interno della gerarchia ospedaliera, il medico in posizione “subordinata” non sia un mero esecutore di ordini,ma goda di una sua autonomia, sia pure vincolata alle direttive ricevute, per cui egli può, ed anzi deve, manifestare al sanitario “sovraordinato” le proprie riserve e, se occorre, il proprio dissenso, rispetto a scelte o prestazioni terapeutiche che non ritenga di condividere. Sicché, o il medico in posizione superiore avoca a sé il caso, in questo caso assumendo la responsabilità esclusiva della gestione, ovvero, se questo non avviene, il medico in sottordine, che giudichi erronei gli apprezzamenti diagnostici o gli approcci terapeutici formulati o eseguiti, deve esplicitamente esprimere il suo dissenso rispetto ad essi, altrimenti potrà essere ritenuto responsabile degli

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6 esiti pregiudizievoli che ne derivino al paziente, non avendo compiuto quanto era in suo dovere per impedire il verificarsi del danno all’incolumità o alla vita del malato.

E’ interessante osservare che un diritto-dovere di dissenso –e dunque un limite al dovere di

“obbedienza al superiore” - è stato anche affermato dalla Cassazione in capo al medico specializzando, il quale, assumendo,in forza dell’incarico ricevuto dal docente di eseguire una determinata prestazione,la diretta responsabilità della stessa nei confronti del paziente, ha a sua volta il dovere di declinare l’investitura ricevuta quando avverta di essere inadeguato, per il livello di esperienza e di abilità tecnica raggiunto, rispetto alla complessità dell’intervento demandatogli (Sez. IV^, 6 ottobre 1999, n.2453).

4. E’ riguardo al profilo dell’accertamento del nesso causale tra la omissione della prestazione medica dovuta e l’esito lesivo ai danni del malato, che può dirsi siano intervenute le novità più significative della giurisprudenza di legittimità.

Si sa di come tradizionalmente la Cassazione manifestasse grande severità nella verifica del nesso in questione (giustificata con riferimento all’esigenza di tutela del bene della vita che qui è in gioco), per cui si ritenevano sufficienti probabilità di salvezza anche non assai elevate, ma solo “serie ed apprezzabili” o “rilevanti” o, talvolta anche, “poche” (quantificate nel 30 % in una nota decisione del 1991) o genericamente “elevate”, per affermare la sussistenza del rapporto causale.

Siffatto orientamento, giustamente ritenuto discriminatorio per il medico (sottoposto ad un criterio di valutazione della causalità più rigoroso di quello applicato agli altri cittadini), è stato, poi, contraddetto da diverse pronunce (Sez. IV^: 28.9.2000, Baltrocchi; 29.11.2000, Musto; 30.10.2001, Ciavola), le quali hanno viceversa stabilito che intanto può affermarsi la esistenza del nesso di causalità tra un comportamento omissivo del medico e le conseguenze

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7 lesive subite dal paziente, in quanto il giudice abbia accertato, impiegando leggi statistiche in grado di esprimere probabilità vicine alla certezza, e, più precisamente, prossime a cento, che quelle conseguenze sarebbero state evitate ove il medico avesse osservato una condotta adeguata e corretta.

Si è così determinato, all’interno della stessa Cassazione, un evidente contrasto di interpretazione, cui sono state chiamate a porre rimedio le Sezioni Unite presso la stessa Corte. Queste ultime, pronunciandosi con sentenza del 10.7.2002, si sono discostate sia dall’orientamento più rigoroso e gravatorio (per il medico) del passato, sia dalla posizioni nettamente “garantiste” più recenti, stabilendo che il nesso di causalità nella omissione debba essere accertato impiegando non solo le leggi statistiche (di cui peraltro si deve tenere conto allorché esprimano percentuali probabilistiche medio-basse, come del resto normalmente accade in medicina), bensì ogni altro elemento del caso concreto e la stessa prova logica, secondo gli ordinari criteri probatori normalmente applicati dal giudice in sede di processo penale. A tale stregua, il nesso può ritenersi accertato quando, esclusa la riconducibilità dell’evento a processi causali alternativi, si possa affermare in termini di certezza processuale, ossia in termini di elevata credibilità razionale o probabilità logica, che l’azione doverosa

mes dal pedito il pregiudizio subito dal paziente.

o sa medico avrebbe im

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