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IL TRIBUNALE DI ROMA SULL’UTILIZZO DELL’ATP IN RESPONSABILITA’ MEDICA

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TAGETE 2 - 2015 Year XXI

ISSN 2035 – 1046

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IL TRIBUNALE DI ROMA SULL’UTILIZZO DELL’ATP IN RESPONSABILITA’ MEDICA

Silvia Stefanelli 1

E’ fatto ormai acquisito che il sistema della responsabilità medica ed i conflitti ad essa collegati richiedono un intervento specifico del legislatore.

Prima si è provato con il decreto Balduzzi (che senza dubbio non brillava per chiarezza), oggi si discute in parlamento di varie ipotesi di legge, mentre la Commissione ministeriale presieduta dal prof. Alpa ha prodotto alla fine di luglio un documento che ha come obiettivo quello di suggerire possibili soluzioni all’intricata situazione creatasi.

In attesa che il legislatore – assente da anni in questa materia – prenda una posizione, la giurisprudenza continua a sforzarsi di dare indicazioni, questa volta sul corretto utilizzo degli strumenti processuali.

E’ il caso del tribunale di Roma che con la decisione del 26 marzo 2015 (apparsa però su internet in questi giorni) a firma del Giudice Moricone sembra voler fare piena chiarezza tra i diversi strumenti utilizzabili per risolvere una controversia in ambito di responsabilità medica.

Palesa infatti in decisione i limiti all’utilizzo della cd ATP (richiesta di accertamento tecnico preventivo) strumento fortemente “abusato” negli ultimi tempi (anche oltre i limiti posto dal nostro codice di procedura civile) per la sua celerità e – soprattutto - per la non necessità di preventiva mediazione.

1 Silvia Stefanelli - Avvocato Foro di Bologna, Mediatore, Responsabile Modulo Corso Alta Formazione

"Mediazione in responsabilità sanitaria" UNIBO

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Il caso è quello di una paziente che presenta domanda di accertamento tecnico preventivo ai fini conciliativi ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c., nei confronti di un medico (radiologo) ritenuto responsabile «di avere prescritto e consigliato una terapia (radioterapia) inadeguata e fuorviante». Con la medesima istanza, peraltro, i ricorrenti chiedono la valutazione dei danni anche non patrimoniali da essi subiti.

Il Tribunale di Roma esclude l’ammissibilità del ricorso ex art. 696 bis c.p.c., ritenendo

«le domande dei ricorrenti incompatibili logicamente e giuridicamente con il mezzo prescelto».

Secondo il giudice infatti vi sono due elementi che impediscono di ammettere l’ATP: il primo è la circostanza che la sussistenza della responsabilità appariva da subito molto controversa, negando in toto il radiologo di aver porto in essere l’attività contestata; la seconda è l’ampia e rilevante istruttoria necessaria per poter effettivamente accertare la responsabilità.

Secondo il Giudice Moricone infatti non è certamente “compatibile con il ricorso per accertamento tecnico preventivo lo svolgimento di una complessa istruttoria diversa dalla sola consulenza tecnica di ufficio.

Non è necessario per l'ammissibilità del mezzo in oggetto la certezza e la non contestazione dell'an, ma di certo non può ammettersene l'utilizzo nei casi in cui sussista un radicale e profondo contrasto fra le parti sulla esistenza stessa del credito, prima ancora che sulla sua quantificazione, e che tale accertamento richieda indagini complesse non solo in fatto ma anche in diritto, involgendo questioni la cui soluzione non è possibile demandare al consulente tecnico.

In altre parole, l'art.696 bis risulta ammissibile solo ove l'assegnazione dell'incarico peritale sia idoneo a risolvere la controversia sull'an e sul quantum, e ciò sia possibile in quanto gli accertamenti abbiano un elevato grado di fattualità.

Il ricorrente, tra l’altro chiedeva che

al C.T.U. si assegni, fra l'altro, il compito di valutare i danni NON patrimoniali che avrebbero subito sia la de cuius e sia in proprio i suoi eredi (i ricorrenti):

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valutazioni di formidabile complessità e difficoltà che è errato ritenere si possano demandare ad un consulente tecnico (si pensi alle ponderose riflessioni, sottili disquisizioni giuridiche e conclusioni che una giurisprudenza che non è riduttivo definire un work in progress va da tempo elaborando constantemente in materia di responsabilità medico-sanitaria e di danno biologico, tanatologico, catastrofale, morale etc., con profili e prospettive attinenti sia alla persona deceduta che ai suoi eredi, in proprio e nella qualità)

in sintesi il giudice ritiene che l’istituto possa essere applicato solo ove non sussista un radicale contrasto tra le parti e solo ove non siano necessarie indagini complesse, anche in punto di diritto, che non possono essere demandate al consulente tecnico.

La sentenza apre un tema interessante e che deve far riflettere: quello degli strumenti per la risoluzione delle controversie in ambito di responsabilità medica.

Ad oggi infatti da una parte vi sono gli strumenti dell’ATP e dell’ATP a fini conciliativi che vedono il Consulente Tecnico in un ruolo cardine, demandando allo stesso il solo accertamento (nel primo caso) e l’accertamento seguito da un tentativo di conciliazione (nel secondo caso); dall’altre si apre la strada della causa ordinaria che deve essere preceduta dalla mediazione obbligatoria affidata ad un Mediatore ex l.n.

28/2010 e poi, nel caso di insuccesso della mediazione, al Giudice Ordinario.

Ora, non si può non condividere la posizione assunta dal Giudice che peraltro riporta l’istituto nel suo corretto alveo.

Nello stesso tempo non si può non constatare che la gestione di questa tipologie di controversie, così delicate e così importanti per il cittadino che si ritiene leso, andrebbero forse trattate dal legislatore con maggior attenzione.

L’ATP infatti hanno il vantaggio che consente una fase di accertamento, che non può però trasformarsi una vera a propria istruttoria; l’ATP a fini conciliativi presenta analoghe problematiche ed è altresì lasciata a Consulente Tecnici che per lo più non hanno alcuna formazione in ambito di negoziazione e mediazione con la conseguenza che per lo più falliscono. La mediazione, a sua volta, (resa obbligatoria sin dal Dlgs 28/2010 in questa materia) presenta, anche ove gestita da un mediatore capace di rimettere in contatto le parti, indubbi limiti di istruttoria.

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Resta la causa ordinaria, dotata senza dubbio di ampi strumenti di accertamento ed indagine, ma che pecca di due vizi insormontabili: la lunghezza ormai proverbiale e la totale incapacità di riavvicinare le parti, aumentando quella frattura sociale tra cittadino e classe medica che sta ormai diventando un tema dominante della nostra sanità.

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