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Capitolo 1 Introduzione

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Academic year: 2021

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Introduzione

Capitolo 1

Introduzione

1. La Post – genomica e l’ identificazione delle funzioni geniche

I progressi in corso nell’ambito del sequenziamento di molti genomi di specie vegetali di interesse scientifico e agrario hanno contribuito a fornire alla comunità scientifica una grande quantità di informazioni, rivoluzionando così il modo di fare ricerca nel campo della biologia e delle biotecnologie vegetali. Il sequenziamento del genoma di Arabidopsis thaliana è stato completato nel 2000 (AGI, 2000), nel 2004 quello di riso. Ciò ha spinto i ricercatori ad accogliere una nuova sfida, quella di scoprire le funzioni biologiche di ogni gene. Allo stato attuale è possibile, partendo da sequenze geniche note, studiare fenomeni di carattere

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espressione e di individuare il suo prodotto all’interno di tessuti, organi o a livello subcellulare creando fusioni con proteine fluorescenti o luminescenti. Tutto ciò nel tentativo di identificare la funzione del gene in esame, con lo scopo di chiarire e fornire una giustificabile interpretazione che stia a monte del fenotipo osservato in uno specifico individuo mutante.

1.1 La genomica funzionale ed il "Gene tagging”

Il settore della genomica funzionale ha lo scopo di individuare la funzione dei geni scoperti con il sequenziamento del genoma. In contrasto con il precedente approccio gene per gene, i metodi che si sono affermati negli ultimi anni si basano principalmente su analisi di espressione e sulla raccolta e identificazione di mutanti. L’approccio sperimentale è di conseguenza cambiato da una procedura guidata da un’ipotesi all’indiscriminata collezione di dati e creazione di banche dati dalle quali raccogliere le informazioni da elaborare successivamente con strumenti bioinformatici. La genomica funzionale è quindi passata da un approccio “forward”, vale a dire dalla scoperta di un mutante all’identificazione del gene mutato, ad un approccio “reverse”, cioè dal gene alla funzione genica o al mutante.

Il tradizionale approccio genetico di tipo forward ha lo scopo di clonare i geni che si sono individuati grazie ad una funzione od ad un fenotipo mutato. I mutanti possono essere isolati tramite etichettatura casuale, ovvero isolando piante con fenotipo alterato da progenie ottenute con autoimpollinazione o da linee portanti elementi trasponibili. Oppure possono essere ottenuti tramite etichettatura diretta, incrociando quindi individui omozigoti per una mutazione stabile recessiva di interesse con

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una linea portante un alto numero di elementi trasponibili, ed isolando i pochi individui col fenotipo mutato dalla popolazione F1. L’approccio forward si è dimostrato vincente soprattutto con linee eterologhe portanti un basso numero di copie dell’inserzione (Maes et al., 1999).

Al contrario la genetica “reverse” ha lo scopo di determinare la funzione di un gene di sequenza nota, generando ed analizzando il fenotipo del mutante knockout corrispondente.

Il miglior mezzo per ottenere mutanti knockout è quello di smembrare il gene d’interesse: in questo modo sarà possibile attribuire una funzione biologica alle numerose “open reading frames” non ancora caratterizzate ma individuate tramite sequenziamento. Esistono molte strategie per causare rotture geniche o per semplificare l’identificazione di individui caratterizzati dalla presenza di rotture geniche. L’uso di trasposoni o la mutagenesi inserzionale via T-DNA sembrano essere i migliori metodi a supporto della genomica funzionale nelle piante (Azpiroz-Leenan e Feldman, 1997). Popolazioni sature di mutanti inserzionali possono essere ottenute e analizzate utilizzando come marcatori le sequenze di DNA inserite in maniera casuale. Le piante caratterizzate da mutazione inserzionale possono essere individuate utilizzando la reazione a catena della polimerasi (PCR). Creando il primer specifico per la sequenza genica di interesse, combinato con il primer specifico per la sequenza border del mutageno inserzionale, il T-DNA per esempio, solo le linee contenenti la mutazione nel gene o nelle sue vicinanze genereranno un amplificato.

Le tecniche di “gene tagging” sono attualmente sfruttate nella genetica reverse, anche se nessuna di esse è stata appositamente sviluppata per la

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Esistono diverse strategie di tagging al servizio della genomica funzionale: T-DNA tagging, elementi trasponibili endogeni ed elementi trasponibili ingegnerizzati.

T-DNA-tagging: il T-DNA è un segmento del plasmide Ti di Agrobacterium thumefaciens (Azpiroz-Leenan e Feldman, 1997). La trasformazione attraverso T-DNA è un metodo comune per generare piante transgeniche. In piante dove l’efficienza di trasformazione è ragionevolmente alta, l’uso di T-DNA permette di realizzare in maniera veloce ampie collezioni di inserzioni indipendenti. Poichè i T-DNA non possiedono specificità d’inserzione, dovrebbe quindi essere possibile saturare il genoma con inserzioni di T-DNA. E’ comunque significativo sottolineare che spesso si verificano inserzioni multiple di T-DNA in una singola pianta, sia in copie multiple per locus che in più loci (Bechtold et al, 1993; Lindsey et al., 1993)

Elementi trasponibili endogeni (Trasposoni): sono elementi di DNA capaci di inserirsi casualmente all’interno del cromosoma (Sundaresan et al., 1995; Martiessen, 1998). L’uso di questi elementi è molto frequente in mais e petunia e risulta vantaggioso perché è un sistema semplice e veloce ed inoltre garantisce un’alta probabilità che gli elementi trasponibili si inseriscano in ogni gene. Per contro tuttavia il rischio che tali elementi si inseriscano in regioni non codificanti è piuttosto alto, inoltre non è così semplice distinguere le mutazioni knockout dal resto delle mutazioni inserzionali. Questo tipo di mutanti inserzionali inoltre è spesso legato al numero di elementi inseriti e la stabilizzazione della mutazione potrebbe richiedere anche numerose generazioni per realizzarsi.

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Elementi trasponibili ingegnerizzati (T-DNA con trasposoni): La mutagenesi inserzionale con questo tipo di elementi si rende necessaria nel caso in cui la pianta in esame non possieda trasposoni endogeni (Osborne et al., 1991). Nonostante la realizzazione e l’analisi di popolazioni di individui recanti elementi trasponibili artificiali sia decisamente laboriosa, risulta tuttavia importante valutare tutte le opportunità che questo sistema offre rispetto all’utilizzo di elementi trasponibili naturali. Utilizzando questi elementi è possibile controllare excisione e reinserzione e rendere casuali le posizioni di ogni inserzione per ottenere mutanti inserzionali per ogni gene del genoma (Sundersan, 1995).

1.2 “ Gene trapping”: strumento a supporto della genetica reverse

I vettori “gene trap” sono stati sviluppati per individuare l’inserzione di sequenze di DNA all’interno di un gene. Lo scopo di questo metodo è di fare sì che l’espressione di un gene marcatore, inserito all’interno del vettore di tagging (trasposone o T-DNA), sia legata alla sua inserzione all’interno di un altro gene. I geni in questione, definiti reporter, possono essere utilizzati in tre modi diversi: “enhancer trap”, “promoter trap” e “gene trap”. Nel primo caso il gene reporter è fuso con un promotore contenente solo il sito di inizio della trascrizione: in questo modo il gene reporter sarà espresso unicamente se andrà ad inserirsi nelle vicinanze di un elemento “enhancer”. Negli altri due casi, invece, entrambi i geni reporter sono privi di promotore, perciò l’espressione avverrà unicamente se l’elemento d’inserzione andrà a collocarsi con il corretto orientamento nelle vicinanze di una unità di trascrizione. La differenza

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collochi all’interno di un esone. Il vantaggio del sistema di “gene trap” è che l’identificazione dell’inserzione non richiede la presenza di un fenotipo alterato. In questo modo è possibile individuare geni che sono ridondanti o che acquisiscono funzionalità solo in specifici stadi di sviluppo, cioè geni non sempre strettamente legati ad un evidente carattere fenotipico (Springer, 2000).

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2. Il Gene trapping in campo vegetale

I primi sistemi di gene trap nelle piante furono realizzati per determinare con che frequenza le inserzioni di T-DNA si integrassero all’interno dei geni. I primi esperimenti furono messi a punto trasformando protoplasti di tabacco con T-DNA fuso con un gene per la resistenza ad un antibiotico privo di promotore (André et al., 1986; Teeri et al., 1986). Le piante trasformate ottenute venivano discriminate perché recanti resistenza all’antibiotico scelto. Tuttavia questo approccio era limitato all’identificazione di fusioni geniche i cui prodotti erano espressi nei tessuti vegetali rigeneranti. Ulteriori migliorie a questo sistema sperimentale furono applicate incorporando nel T-DNA un secondo marcatore, in questo modo le piante trasformate potevano essere rigenerate e successivamente isolate grazie alla resistenza all’antibiotico (Koncz et al., 1989; Herman et al., 1990). Il passo successivo fu quello di includere geni reporter per la β - glucuronidasi (gusA o uidA) che potevano essere visualizzati facilmente tramite colorazione istochimica (Fobert et al., 1991; Kertbundit et al. , 1991; Topping et al., 1991). Con questi metodi fu possibile visualizzare e localizzare nel tempo e nello spazio i “pattern” di espressione. A questo fine si usarono costrutti recanti il gene gusA privo di promotore o con un promotore parzialmente funzionale.

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2.1 La scelta del gene reporter

Nel caso in cui si voglia investigare la funzione di elementi di regolazione che impartiscono una espressione specifica per tessuto o stadio di sviluppo, al trasgene, è possibile utilizzare vettori di T-DNA realizzati appositamente per individuare queste sequenze di regolazione. In linea generale verrà costruita una gene trap con un gene reporter che si possa attivare ed esprimere se inserito nelle vicinanze di un attivatore trascrizionale. In particolare possono essere scelti diversi geni reporter a seconda delle esigenze.

β - glucuronidasi: il gene batterico gusA è un gene comunemente usato come reporter nelle piante. La proteina GUS è piuttosto stabile, e mantiene la propria attività anche quando fusa con altre proteine (Jefferson et al., 1987). L’attività della GUS può essere stimata tramite colorazione istochimica utilizzando una varietà di substrati facilmente reperibili il commercio. Tuttavia molti di essi sono piuttosto costosi; inoltre le colorazioni istochimiche sono distruttive per la cellula: per questo le colorazioni GUS non possono essere applicate su tessuti viventi. La visualizzazione dell’attività della GUS è tuttavia molto sensibile (Jefferson et al., 1987; Lindsey et al., 1993) e può essere riscontrata anche in cellule singole. I costi di questo sistema rendono proibitivo il suo utilizzo per screening su larga scala. In Arabidopsis, comunque, questo metodo è applicabile per la possibilità di utilizzare piccoli volumi di substrato.

Green fluorescent protein: la proteina fluorescente verde (GFP) ottenuta dalla medusa Aequorea victoria viene utilizzata nei sistemi vegetali, anche se ha richiesto una serie di modificazioni per poter funzionare

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efficientemente in Arabidopsis (Haseloff and Amos, 1995; Siemering et al., 1996; Haseloff et al., 1997). Poiché la GFP è fluorescente può essere visualizzata tramite illuminazione; non è richiesto nessun substrato ed è perciò relativamente economica, una volta appurata la disponibilità di un idoneo sistema di illuminazione. La visualizzazione della GFP non provoca danni alla pianta e può quindi essere effettuata in qualsiasi momento su tessuti viventi.

Luciferasi: la luciferasi prodotta dalla lucciola ha assunto una particolare importanza come gene reporter a causa della facilità con cui effettuare i saggi di luminescenza. Attualmente è utilizzata in un ampio spettro di applicazioni sperimentali, da colture cellulari sia procariotiche che eucaristiche, a piante ed animali transgenici fino ad arrivare al suo apprezzamento nei sistemi di espressione a livello cellulare. L’enzima proviene da una lucciola originaria del Nord Amrica, la Photinus piralis, ed è una proteina monomerica che crea luminescenza attraverso l’ossigenazione di un substrato, la luciferina.

L’uso come marcatore dovrà perciò avvenire attraverso una reazione enzimatica fra le cellule contenenti il gene per la luciferasi e il substrato, dopo la reazione è possibile misurare immediatamente la luminescenza. Essendo un’enzima di origine animale adattato quindi a particolari condizioni la rende poco adattabile a procedure sperimentali nella sua forma nativa. A questo proposito esiste una forma modificata del gene della luciferasi chiamata luc + (Bruce and Wood, Promega Corp., 1994). Lo scopo della realizzazione di questo gene è quello di minimizzare le potenziali interferenze biologiche che potrebbero complicare

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2.2 Arabidopsis thaliana, pianta modello per la genomica funzionale

La genomica vegetale fonda le sue radici nella caratterizzazione di piante modello come Arabidopsis.

Arabidopsis thaliana è una pianta erbacea annuale che cresce in tutto il mondo, il suo vantaggio principale dal punto di vista genetico è che possiede un genoma estremamente ridotto (140 milioni di paia di basi), è semplice da allevare, trasformare ed ideale per applicazioni sperimentali. Il fatto che vi sia una grande similarità fra questa pianta e le altre crucifere (Gale e Devos, 1998) rende possibile la correlazione del suo genoma con quelli di altre piante dicotiledoni di interesse agrario.

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3. La mutagenesi inserzionale in Arabidopsis

Tra le tecniche a supporto della genomica funzionale è sicuramente il T-DNA tagging quella più utilizzata per clonare geni, promotori, attivatori e altre sequenze regolatrici in Arabidopsis. Questo sistema di mutagenesi inserzionale viene sfruttata soprattutto per indurre mutazioni “loss of function” nella pianta e reca una serie di vantaggi. In particolare il frammento non traspone in maniera sequenziale al sito d’inserzione e resta stabile sia chimicamente che fisicamente anche attraverso più generazioni. Inoltre il T-DNA non ha il solo effetto di frammentare il gene all’interno del quale s’inserisce, ma agisce anche da marcatore permettendo la successiva identificazione della mutazione.

Considerando che il genoma di Arabidopsis contiene introni molti brevi e poco materiale intergenico, sarà probabile ottenere l’alterazione di una funzione genica inducendo l’inserzione di un T-DNA della lunghezza di 5-25 kb. Perciò realizzando una popolazione sufficientemente numerosa di mutanti inserzionali, si avranno buone possibilità di ottenere almeno un individuo mutato per ogni gene d’interesse. Il basso numero di copie e la natura casuale delle inserzioni è considerato un aspetto positivo per questo approccio di mutagenesi.

La possibilità di effettuare un lavoro massiccio nel campo del T-DNA tagging di Arabidopsis è garantita anche dai progressi raggiunti nell’ambito della trasformazione via Agrobacterium tumefaciens. In particolare la tecnica basata sull’immersione dell’interna porzione epigea

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variabilità somaclonale associata al processo di coltura in vitro e di rigenerazione (Clough and Bent, 1998).

3.1 Linee inserzionali di T-DNA. Supporto per la genetica ‘forward’ e ‘reverse’

Il vantaggio apportato dal T-DNA, a differenza dei classici agenti mutageni, è che le sequenze geniche fiancheggianti l’inserzione possono essere isolate facilmente. Ciò risulta importante nell’identificazione dei geni responsabili di una mutazione, soprattutto per il fatto che non tutti i fenotipi alterati presenti in una popolazione di mutanti inserzionali possono essere dovuti alla presenza del T-DNA e, viceversa, non tutte le inserzioni di T-DNA danno luogo ad un’alterazione fenotipica. E’ perciò cruciale poter determinare il collegamento presente fra fenotipo mutato ed elemento d’inserzione, anche se, pur appurando la presenza del collegamento, è sempre possibile che il fenotipo si sia alterato ad opera di una mutazione indipendente.

Un valido ed indispensabile metodo per identificare il gene mutato è quello di effettuare test di complementazione del fenotipo mutante in piante transgeniche per il gene wild type. In alternativa è possibile confermare la mutazione provocando una mutazione indipendente nel gene d’interesse ed osservare se l’individuo risultante mostra lo stesso fenotipo osservato nel mutante inserzionale.

La procedura per ottenere mutanti di geni identificati con il sequenziamento si avvantaggia della disponibilità di ampie collezioni di piante mutate da un elemento di inserzione. Questa procedura sfrutta la sensibilità della reazione di PCR per verificare le inserzioni presenti all’interno di siti d’interesse a partire da un alto numero di individui in una popolazione di mutanti inserzionali (Young et al. 2001). In questo

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modo è possibile individuare anche una sola pianta recante l’inserzione d’interesse (Bouchez e Hofte, 1998). La pianta mutante viene poi analizzata in relazione al fenotipo che si prevede di ottenere tramite la mutazione loss-of-function del gene d’interesse. Un esempio di isolamento di linee mutanti viene dal lavoro di Winkler et al. (1998) che attraverso un sistema di “pooling” ed ibridizzazione ha permesso di isolare linee di Arabidopsis mutate per il gene del citocromo P450.

Feldman (1991), dopo analisi di segregazione su un alto numero di piante di Arabidopsis trasformate, ha concluso che il numero medio di inserzioni indipendenti per genoma diploide è di 1,5, con il 57% di trasformati contenenti singole inserzioni e il 25% doppie. Inoltre nell’ambito dei geni target, l’inserzione sembrava essere casuale, con T-DNA rilevato in esoni, introni e nelle regioni fiancheggianti il 3’ e 5’UTR dei circa 30 geni caratterizzati. In più, dopo lo screening dei primi 14000 trasformati, non erano stati individuati siti di inserzione preferenziali (Azpiroz-Leehan and Feldman, 1997). Comunque, un’ampia analisi genomica della distribuzione dei siti d’inserzione condotta da Alonso et al. (2003) ha dimostrato l’esistenza di una discriminazione nella “scelta” del sito d’inserzione sia a livello cromosomico che a livello genico. Con questo studio si è determinato che il numero di inserzioni diminuiva drasticamente passando dai bracci del cromosoma, ricchi di geni, alle zone centromeriche. Inoltre a livello genico si è osservata una preferenza nei confronti delle regioni UTR e dei promotori.

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tale promotore (Weigel et al. 2000). Poiché gli enhancers mantengono la loro funzionalità anche se distanziati dalle regioni codificanti, essi possono provocare l’attivazione trascrizionale dei geni vicini, realizzando in questo modo una mutazione “gain of function”. Questo tipo di attivazione genica può dare luogo a nuovi fenotipi i cui geni responsabili possono essere membri ridondanti di una famiglia genica, oppure essere necessari per la sopravvivenza. La strategia di activation tagging, sviluppata da Walden et al. (1994) è stata utilizzata per generare collezioni di mutanti che hanno portato al clonaggio di geni corrispondenti a diverse caratteristiche morfologiche. Nonostante la pubblicazione del 1994 sia stata in più parti rivista e ritrattata, la procedura di base dell’activation tagging resta un tecnica valida per ottenere mutazioni gain-of-function, in particolare relative a fenotipi correlati a meccanismi di difesa della pianta (Weigel et al. 2000).

3.3 Lo screening di popolazioni di mutanti inserzionali

La presenza di una inserzione all’interno di un gene può essere individuata con facilità con un’appropriata strategia di amplificazione PCR. Se si mette a punto una PCR utilizzando un primer specifico per il gene ed un primer specifico per il T-DNA, il prodotto di PCR si avrà solo se l’inserzione è avvenuta all’interno o nelle vicinanze del gene d’interesse. Questa strategia dovrà però essere intrapresa se l’intenzione è quella di isolare sequenze mutate di geni noti. Nel caso in cui si vogliano invece individuare mutanti inserzionali in maniera casuale è necessario procedere con amplificazioni che vadano ad identificare sequenze fiancheggianti l’inserzione, usando cioè primer specifici per il T-DNA inserito.

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Lo screening di un alto numero di individui trasformati può essere effettuato partendo dalla realizzazione di pool (McKinney et al., 1995; Krisan et al., 1996). Essendo necessario eseguire screening di centinaia di migliaia di linee trasformate, ogni strategia di pooling dovrà porsi come limite fondamentale la dimensione di ogni pool. Un esempio di pooling viene citato da Azpiroz-Leehan et al. (1997): la procedura permette di identificare una linea mutante da ogni gruppo di 1000 trasformati dopo solo 30 reazioni di PCR. Nello specifico, 100 sotto-pool da 10 linee trasformate sono ordinati in 10 righe e 10 colonne e sottoposti ad analisi in entrambe le dimensioni. Una volta individuato un sub-pool positivo sia nella riga che nella colonna questo viene sottoposto a PCR per identificare quale linea sia positiva.

Ovviamente questa è solo la tecnica di base, ma possono essere organizzati pool contenenti fino a 60480 linee inserzionali analizzabili con 120 reazioni di PCR (Krysan et al., 1996). Una volta isolata la linea di interesse è necessario procedere alla sua caratterizzazione.

3.4 Problemi associati all’analisi delle linee inserzionali

Le difficoltà che possono essere incontrate soprattutto al momento del clonaggio dei geni d’interesse sono di varia natura. In molti casi si è riscontrata la presenza nelle linee transgeniche di due o più T-DNA ripetuti (De Buck et al. 1999); inoltre sono state individuate inserzioni anche da parte di porzioni del vettore plasmidico: anche l’integrazione di queste sequenze esogene nel genoma può essere responsabile delle mutazioni presenti nelle linee inserzionali (Radhamony et al., 2005). Ciò è

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Nelle linee inserzionali possono inoltre verificarsi con frequenza piuttosto alta duplicazioni o riarrangiamenti cromosomici e questo fenomeno può pregiudicare le analisi deputate alla caratterizzazione delle basi molecolari del fenotipo mutante (Nacry et al., 1998; Ray et al., 1997; Tax e Vernon, 2001).

3.5 Caratterizzazione del fenotipo

L’identificazione di mutanti knockout costituisce il primo passo per descrivere la funzione di un gene. Dopo l’isolamento della linea mutante, piante omozigoti per la mutazione possono essere identificate, incrociate ed analizzate per accertare la presenza di una sola inserzione di T-DNA. Una volta confermato il mutante, il passo successivo è quello di determinare le conseguenze della mutazione sulla crescita e sullo sviluppo in relazione al wild type. Tuttavia è stato confermato che molti mutanti knockout non presentano un fenotipo apparente (Krysan et al., 1999). Questo problema è piuttosto marcato nei sistemi eucariotici a causa dell’esistenza di molti geni presenti in più copie, molto simili fra loro sia nelle loro regioni codificanti che a livello di regolazione e di regioni non codificanti. Una seconda classe di geni difficile da individuare tramite mutazione loss-of-function è quella importante per lo sviluppo della pianta e la cui perdita di funzionalità provocherebbe una mutazione letale.

Geni di questo tipo possono essere studiati attraverso il sistema di activation tagging (Weigel et al., 2000) che genera mutazioni di tipo gain-of-function. Questo sistema, consentendo l’overespressione del gene target posto sotto il controllo di un promotore costitutivo, consente al prodotto genico d’interesse di essere espresso sempre nella pianta, ed a

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livelli talmente alti da rendere il problema della ridondanza del tutto marginale.

Il passo successivo è quello di procedere alla complementazione della mutazione. Questa procedura prevede di isolare il gene mutato ed inserirlo in piante wild type, o, in alternativa, trasformare piante del mutante d’interesse con il corrispondente gene wild type. In questo modo è possibile confermare o scartare l’ipotesi per cui il gene mutato sia direttamente responsabile del fenotipo osservato. Infatti se si osserva un fenotipo simile a quello del mutante anche nelle piante trasformate è possibile confermare che l’alterazione sia legata all’inserzione di T-DNA. La realizzazione di costrutti genici overesprimenti geni target prevede l’inserzione del gene clonato all’interno di una cassetta d’espressione sotto il controllo del promotore 35S (Odell et al., 1985). Tale costrutto verrà inserito in un plasmide binario con il quale sarà trasformato il batterio Agrobacterium tumefaciens e, utilizzando tale batterio come veicolo d’infezione, si procederà alla trasformazione di piante di Arabidopsis thaliana.

3.6 La trasformazione di Arabidopsis con Agrobacterium tumefaciens

Il metodo che ad oggi sembra rispondere alla necessità di ottenere un alto numero di trasformati in maniera semplice e veloce è denominato ‘floral dip’ e consiste nell’immersione di piante WT di Arabidopsis in una coltura di Agrobacterium tumefaciens trasformato con il vettore binario contenente il gene di interesse (Fig. 1A). Tale metodo, elaborato da S.J. Clough e A. F. Bent (Clough et al.,1998; Bent, 2000 ), ha ormai preso il

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con Agrobatterio, perciò per ottenere piante trasformate bastava attendere la produzione dei semi e verificare l’avvenuta trasformazione. Ciò costituiva una notevole innovazione rispetto ai normali metodi di trasformazione in cui era previsto l’intervento su cellule o tessuti della pianta, la selezione di linee trasformate e la rigenerazione della pianta modificata. L’eliminazione di colture tissutali e della rigenerazione permetteva di ridurre fortemente la manodopera, e si rendeva accessibile anche ai meno esperti. Inoltre col metodo di infiltrazione era possibile raggiungere un alto numero di trasformati, motivo che lo ha reso utile non solo per mutagenesi mirate ma anche casuali.

Uno studio più approfondito sul metodo di infiltrazione a vuoto ha portato Clough e Bent ad individuare le principali caratteristiche che possono facilitare la trasformazione. I parametri più importanti che sono coinvolti nel meccanismo sono:

1. Stadio di sviluppo della pianta: la più alta frequenza di trasformazione si ha quando l’infiorescenza è ben sviluppata e le gemme sono evidenti. Ulteriori test sui vari stadi di sviluppo sottoposti a trasformazione hanno dimostrato che la percentuale di trasformazione più alta si ha con piante le cui infiorescenze primarie sono state tagliate e quelle secondarie presentano una lunghezza variabile fra i 2 e i 10 cm; queste piante presentano molte gemme immature al momento del trattamento.

2. Mezzo di inoculazione: i batteri devono essere sospesi in un mezzo contenente saccarosio o glucosio, e fondamentale è soprattutto la presenza di un tensioattivo, nello specifico Silwet L – 77.

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In particolare è stato osservato che la presenza del tensioattivo può limitare il meccanismo di inoculazione alla semplice immersione della pianta nella soluzione batterica, senza l’uso del vuoto quindi. Una concentrazione di Silwet L – 77 pari allo 0,02 – 0,1 % permette una buona resa nella trasformazione, ma l’uso di concentrazioni troppo alte di tensioattivo sono sconsigliate poiché possono provocare necrosi nella pianta.

E’ inoltre consigliabile la ripetizione del trattamento che non deve però avvenire ad intervalli minori di quattro giorni; trattamenti troppo frequenti possono infatti danneggiare seriamente la pianta ripercuotendosi così sulla produzione dei semi.

La densità ottica della soluzione batterica non è sembrata decisiva per la resa finale, l’efficienza massima è data da una OD600= 0,8, ma valori

inferiori non hanno ripercussioni sostanziali sulla percentuale di trasformazione.

Una buona soluzione per ottenere una resa soddisfacente è coprire le piante con involucri di plastica: ciò permette di mantenere sulla superficie vegetale un velo di acqua che facilita la mobilità del batterio e rende i tessuti dell’ ospite più accessibili ad esso (Fig. 1B).

Il metodo ‘floral dip’ è efficace anche perché applicabile sulla maggior parte delle varietà di Arabidopsis; alcune difficoltà si sono incontrate sulla varietà Ler 0, ma in tutti gli altri casi, in particolare per la varietà Col 0, la resa è particolarmente soddisfacente e si aggira intorno ad una percentuale pari all’ 1%.

Di facile applicazione è anche il metodo di screening delle piante infiltrate che avviene seminando i semi ottenuti dopo l’infiltrazione in

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binario) (Fig 1C): in sostanza le piante putative transgeniche risultano resistenti e crescono in presenza del mezzo selettivo.

Interessanti esperimenti sono stati realizzati con l’intento di individuare i meccanismi che stanno alla base dell’efficienza del metodo di trasformazione ‘floral dip’. Poiché era stato osservato che i trasformati in prima generazione erano tipicamente eterozigoti, il carattere doveva essere presente in uno solo dei due gameti. Tale fenomeno suggeriva che la trasformazione potesse avvenire durante lo sviluppo della linea germinale, dopo la separazione delle linee cellulari gametiche, o forse subito dopo la fertilizzazione dell’embrione di prima generazione (Clough et al.,1998).

Il successo di un metodo come il ‘floral dip’ inoltre poteva far pensare che i target cellulari di Agrobatterio fossero presenti sulla superficie della pianta. Applicando il metodo di trasformazione su piante di linea maschile incrociate con femmine WT era stata osservata la totale assenza di trasformati in prima generazione, mentre la soluzione contraria, femmine trasformate x maschi WT, portava a trasformati in prima generazione. Mediante trattamenti con agrobatterio portante il carattere GUS, nelle piante trasformate si osservava colorazione negli ovari in via di sviluppo, mentre non si rilevava nessuna colorazione nel polline o nei pistilli. Poiché l’ovario è sembrato essere il principale sito di trasformazione, restano da chiarire le modalità di penetrazione di Agrobatterio all’interno della pianta. Esse sono strettamente legate alla morfologia del fiore di Arabidopsis, caratterizzato nei primi stadi di sviluppo da un gineceo che si accresce come una struttura aperta simile ad una vaso, ed è proprio in queste condizioni di sviluppo che l’infiltrazione è maggiormente proficua: ciò ha potato a considerare le condizioni di sviluppo della pianta come fondamentali per la buona riuscita della trasformazione (Desfeux et al., 2000).

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Introduzione SOLUZIONE SACCAROSIO 5% + A. TUMEFACIENS OD600=0,8 + SILWET L – 77 0,05% Arabidopsis thaliana WT Copertura con involucro di plastica Raccolta e

screening dei semi

A

B

SEMI MS + KAN MS + KAN MS + KAN

C

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4. Metodi di clonaggio per la realizzazione di costrutti genici

La realizzazione di costrutti genici permette di effettuare gli studi di caratterizzazione di una mutazione d’interesse attraverso complementazioni o generazione di mutanti gain o loss-of function. Il clonaggio implica l’inserimento di un frammento di DNA in una molecola autoreplicante di DNA e la duplicazione della molecola ricombinante ottenuta in un’appropriata cellula ospite. Il modo più semplice per costruire una molecola di DNA ricombinante consiste nell’inserire sequenze di DNA all’interno di un plasmide o nel cromosoma di un batteriofago (vettori di clonaggio). La sequenza che viene inserita nel vettore può provenire da qualsiasi organismo e può essere isolata direttamente dal genoma, da mRNA oppure da frammenti di DNA precedentemente clonati. Inoltre può essere inserito nel vettore anche DNA di sintesi.

Esistono due metodologie per ottenere vettori ricombinanti: una, che sarà definita “tradizionale”, è quella che viene comunemente utilizzata da quando esistono le tecniche di DNA ricombinate; l’altra, in uso solo da pochi anni, è la tecnologia “Gateway®

”.

4.1 La Tecnica Tradizionale

In sostanza questa tecnica si snoda in una serie di passaggi:

1. Purificazione del plasmide ricevente e del plasmide donatore (nel caso in cui il frammento sia già contenuto in un vettore ricombinante, si parla di Subclonaggio)

2. Taglio con enzimi di restrizione: linearizzazione del ricevente e excisione del frammento dal plasmide donatore.

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3. Preparazione del frammento da clonare: verifica della lunghezza tramite elettroforesi e quantificazione

4. Preparazione del plasmide ricevente: verifica dell’effettiva linearizzazione e quantificazione

5. Ligation plasmide/frammento: il frammento deve essere in eccesso rispetto al plasmide per evitare la formazione di plasmidi rilegati senza inserto.

6. Trasformazione di Escherichia coli

La parte cruciale e più problematica di questa procedura è quella legata al taglio con enzimi di restrizione, infatti questo passaggio determinerà l’efficienza della reazione di ligation e la correttezza dell’inserzione del frammento.

Esistono varie possibilità di taglio, ognuna generante una differente modalità di siti di inserzione.

· Clonaggio con estremità coesive ed omologhe: Questo tipo di clonaggio

prevede l’inserzione di un frammento di DNA, ottenuto usando un enzima che generi estremità coesive. La fonte principale di background (molecole indesiderate) è data dalla presenza di vettori non tagliati o richiusi senza frammento. La concentrazione del frammento da clonare deve essere relativamente elevata per facilitare la ligation nel vettore. Inoltre anche il frammento può contribuire al background legandosi a se stesso specialmente quando è difficile estrarlo dal vettore originale. Inoltre essendo le estremità del frammento identiche esso può inserirsi in entrambi

(24)

Introduzione

multipla non è frequente a meno che le concentrazioni di DNA non siano molto elevate. (Fig. 2)

· Clonaggio con estremità eterologhe: Questo è il metodo di clonaggio

più efficiente e deve essere usato ogni qualvolta sia possibile. Il frammento ed il vettore di clonaggio sono entrambi ottenuti mediante taglio con due diversi enzimi di restrizione. In questo modo entrambi i segmenti di DNA teoricamente non possono richiudersi su se stessi poiché le estremità non sono complementari. Quindi quasi tutte le cellule trasformate conterranno le molecole ricombinanti nelle quali la copia del frammento di inserzione è orientata in una direzione definita rispetto al vettore. (Fig. 3)

· Clonaggio con estremità piatte: l’unione di frammenti con estremità piatte ha un’efficienza estremamente ridotta in confronto all’unione di un frammento con estremità coesive. Questo tipo di clonaggio viene facilitato utilizzando alte concentrazioni di inserto rispetto al vettore. Tuttavia con questo sistema è possibile effettuare ligation con frammenti e vettori preparati anche mediante taglio con enzimi incompatibili. (Fig. 4)

· Ligation con linker oligonucleotidici: questo sistema permette di

ottenere estremità piatte contenenti siti di restrizione che si adattino al vettore. Questo sistema permette di facilitare qualsiasi tipo di clonaggio, ma in particolare di evitare il clonaggio con estremità piatte. (Fig. 5)

4.2 La tecnologia “Gateway®

La tecnologia Gateway® (Invitrogen, Carlsbad, CA) è un metodo

universale di clonaggio basato sulle proprietà di ricombinazione sito-specifiche del batteriofago lambda. Questo sistema garantisce una

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Introduzione

maniera rapida ed altamente efficiente di spostare sequenze di DNA in sistemi multipli di vettori per analisi funzionali e di espressione. (Fig.6) L’utilizzo della tecnologia Gateway® possiede una serie di vantaggi:

· Permette di inserire le sequenze sempre nel giusto orientamento · Possono essere utilizzati inserti di varia natura (prodotti di PCR,

cloni di cDNA, frammenti di restrizione)

· Un ampio numero di frammenti può essere trasferito facilmente in

più vettori di destinazione

· Ogni vettore può essere convertito in un vettore Gateway®

Questa tecnologia è basata sul sistema di ricombinazione sito-specifica del batteriofago lambda che facilita la sua integrazione nel cromosoma di E. coli e il passaggio da ciclo litico a lisogenico (Ptashne, 1992). Nella tecnologia Gateway® le componenti del sistema di ricombinazione

lambda sono modificate per migliorare la specificità e l’efficienza del processo (Bushman et al., 1985).

La ricombinazione lambda coinvolge due componenti principali:

· le sequenze di ricombinazione del DNA (siti att)

· le proteine che mediano la reazione di ricombinazione

La tecnologia Gateway® sfrutta il sistema di ricombinazione lambda per

facilitare il trasferimento di sequenze eterologhe di DNA (fiancheggiate da siti att) all’interno di vettori (Hartley et al., 2000). La base di questa tecnologia è rappresentata da due reazioni di ricombinazione:

· Reazione BP: permette la ricombinazione di un substrato attB

(prodotto di PCR attB o un clone attB linearizzato) con un substrato attP (vettore donatore) per creare un clone ‘entry’ attL (Fig. 7)

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Introduzione

La tecnologia Gateway® mette a disposizione un’ampia gamma di vettori

di destinazione adattati per la loro replicazione sia in E. coli che in Agrobatterio (VIB, Gent, Belgium, Karimi et al., 2002). Esistono varie tipologie di vettori tutti caratterizzati da piccole dimensioni per garantire un’alta efficienza di trasformazione:

· Vettori per overespressione o antisenso di un gene

· Vettori per l’overespressione di un gene assieme ad un marcatore

visibile

· Vettori per RNA doppia elica

· Vettori per la fusione C-terminale o N-terminale con GFP · Vettori per l’analisi dei promotori, con fusione gus-GFP

· Vettori per trasformazione o complementazione con sequenze

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Introduzione

Fig.2: Esempio di clonaggio con estremità coesive ed omologhe.

Fig.3: Esempio di clonaggio con estremità eterologhe.

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Introduzione

Fig.4: Esempio di clonaggio con estremità piatte.

Fig. 5: Esempio di inserzione di linker oligonucleotidici.

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Introduzione

(30)

Introduzione

Fig. 7: Reazione di ricombinazione BP nel protocollo di trasformazione Gateway®

Fig. 8: Reazione di ricombinazione LR nel protocollo di trasformazione Gateway®

(31)

Introduzione

5. Scopo del Lavoro.

Lo scopo di questo lavoro è stato quello di studiare e mettere in atto tutta una serie di strategie di clonaggio e trasformazione genica per poter caratterizzare da un punto di vista genotipico e biologico-molecolare due diverse linee di mutanti inserzionali di A.thaliana mostranti fenotipi di interesse.

Sono state prese in esame due linee di mutanti scelte per le loro evidenti caratteristiche fenotipiche, la linea “tin” e la linea “now”.

La caratterizzazione è stata intrapresa seguendo un approccio reverse, quindi a partire dai geni mutati isolati dai singoli mutanti, di cui è stata valutata la funzione e la correlazione con il fenotipo alterato osservato. I due geni putativi responsabili sono stati clonati e con essi sono stati realizzati dei costrutti genici con i quali sono stati trasformati vari ecotipi di A. thaliana. Sulle linee transgeniche ottenute sono state effettuate analisi fenotipiche e biologico-molecolari al fine di verificare se i geni isolati siano effettivamente gli unici responsabili della mutazione.

Questo lavoro si propone di mostrare tutti i passaggi che devono essere intrapresi nella caratterizzazione genotipica di una mutazione inserzionale, in particolare sfruttando le tecniche di trasformazione genetica, ponendo una particolare attenzione sulle metodologie adottate.

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Materiali e Metodi

Capitolo 2

Materiali e Metodi

Materiale Vegetale.

Negli esperimenti effettuati sono stati utilizzati i seguenti ecotipi di Arabidopsis thaliana: Columbia 0, Columbia gl1.

Le piante sono state allevate con diverse modalità a seconda delle finalità dei loro impieghi. In particolare è stato effettuato allevamento in vaso per il prelievo del materiale vegetale ai fini dell’estrazione degli acidi nucleici, per l’ottenimento di piante idonee all’infiltrazione e per la raccolta dei semi. Per lo screening su mezzo selettivo è stata utilizzata la modalità di allevamento in capsula petri e mezzo colturale agarizzato. Per l’estrazione degli acidi nucleici sono state utilizzate piante allo stadio di rosetta di circa 3 - 4 settimane, mentre per l’infiltrazione sono state impiegate piante in fioritura di circa 7 – 8 settimane.

Le piante allevate in vaso sono state fatte crescere in camere di crescita a fotoperiodo 14/10 h con intensità luminosa 150 µmol fotoni m -2 sec -1,

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Materiali e Metodi

temperatura 23° C e umidità 50 %. Le piante seminate in capsula petri hanno invece subito iter di allevamento che prevedevano un periodo di incubazione di 3 - 4 giorni in camera fredda a 4° al buio e periodi variabili a luce continua.

Preparazione di Cellule Batteriche Competenti di Escherichia coli. La procedura seguita per preparare cellule competenti di E. coli è stata quella del Rubidium Protocol, che prevede i seguenti passaggi:

· Crescita di colonie singole in 5 ml di LB a 37°C overnight fino a

raggiungere una Densità Ottica (550 nm ) pari a circa 0,3

· Trasferimento della coltura batterica in 100 ml di LB

preriscaldato a 37°C e ulteriore crescita a 37°C fino a raggiungere una O.D. 550 pari a 0,5. La coltura liquida deve essere messa in

incubazione garantendo una buona aerazione ( per es. in agitazione )

· Raffreddamento delle cellule in ghiaccio e trasferimento in tubi

sterili da 50 ml

· Centrifugazione a 4°C per 15 minuti a 4000 rpm

Da questo punto in poi le cellule devono essere mantenute ad una temperatura di pochi gradi.

· Eliminazione del sovranatante e risospensione delle cellule in 30

ml di Trasformation Buffer I ( 30 mM K-Acetato, 50 mM MnCl2 ,

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Materiali e Metodi

· Preparazione di aliquote da 100 µl in microtubi sterili e

refrigerati. Congelamento in azoto liquido e conservazione ad un massimo di – 70 ° C.

Amplificazione PCR per l’inserzione di idonei siti di restrizione.

Per la realizzazione dei costrutti genici di interesse è stato necessario sfruttare la reazione a catena della polimerasi al fine di modificare le sequenze da inserire nei vettori con i siti di restrizione più idonei. Ciò è stato fatto costruendo appositamente coppie di primer che si appaiassero a monte e a valle della sequenza genica da amplificare e vi aggiungessero i nucleotidi necessari per creare i sito di reazione della endonucleasi di restrizione prescelta.

La reazione di PCR è stata realizzata utilizzando il kit AccuTaq LA DNA polymerase (Sigma-aldrich), con la seguente reazione:

· PCR buffer 10X: 2 µl · dNTP ( 10 mM): 1 µl · DMSO: 0,4 µl

· Primer forward (20 pmole/µl): 0,5 µl · Primer riverse (20 pmole/µl): 0,5 µl

· AccuTaq LA DNA polymerase 100X: 0,2 µl · Campione (40 ng/µl): 4 µl

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Materiali e Metodi

Primers oligonucleotidici utilizzati.

BamGFP: CCCGGATCCATGGCTAGCAAAGGAGAA GFPBam: GGATCCTCAGTTGTACAGTTCATCCAT 03270gf25: CACCATGGGAAAGGCACGTACGGTG 03270gr26: AGCCCATAAATTTCTATCATGAAGGA 35S2: CAGAGTCTCTTACGACTCAATGACA TRONC R.: CCCGGATCCAAACGACGTCGTGGTGGTCTC 20830F375: AATGGTAATTTCACTCTTGAGCTTG 20830R981: GTTTAATGTTGAGTCCTTGTTGCTT

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Materiali e Metodi

Elettroforesi di DNA su gel.

Tutte le elettroforesi di DNA sono state effettuate su gel di agarosio all’1% contenente il colorante fluorescente bromuro di etidio (0,5 µg/ml) in tampone TAE (Tris-acetato 2M, Na2EDTA 100 mM, acqua distillata),

impiegando il gel – loading buffer 6X, tipo IV [blu di bromofenolo 0,25%, saccarosio 40% (w/v) in acqua]. Al termine di ogni corsa elettroforetica il gel veniva fotografato sotto luce ultravioletta.

La lunghezza dei frammenti di DNA colorati su gel è stata determinata sulla base di un marker molecolare. I markers utilizzati sono stati DNA ladder MIII e DNA ladder 100 bp. Il marker Gene Ruler MIII (Lambda DNA / Eco RI – Hind III)(Fermentas) presenta 12 frammenti di DNA di lunghezza nota ed espressa in kb. Il marker Gene Ruler 100 bp (Fermentas) contiene 12 frammenti con un range che va da 100 bp a 1000 bp.In ogni corsa elettroforetica vengono caricati 500 ng di marker.

Reazione di ligation plasmide/inserto.

Allo scopo di inserire le sequenze geniche di interesse all’interno di un vettore plasmidico sono state effettuate delle ligazioni sfruttando l’enzima T4 DNA ligasi. Le reazioni di ligation sono state condotte prendendo in considerazione idonei rapporti molari plasmide/inserto; che potevano variare, a seconda dei casi da 1: 1 fino ad arrivare ad 1: 20. Le quantità di inserto da utilizzare in ogni reazione sono state determinate prima effettuando un calcolo tramite confronto visivo fra le bande dei campioni visualizzate in elettroforesi e le corrispondenti bande dei marker utilizzati durante la corsa, così da determinare la

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Materiali e Metodi

concentrazione dell’inserto, e quindi calcolandone i ng necessari (e quindi i µl necessari) in base alla formula:

(50 ng vettore* Kb inserto)/Kb vettore

Una reazione di ligation tipo si svolgerà col seguente protocollo:

· Ligation buffer 10X · Plasmide (50ng)

· Inserto: valore determinato dal rapporto molare · T4 DNA ligasi 1 µl

Incubazione a 4°C overnight

Gene – Clean.

Tale operazione è stata realizzata utilizzando kit Promega “ Wizard ® SV

Gel and PCR Clean – Up System”. Esso consiste in primo luogo nel prelievo, tramite taglio dal gel di elettroforesi, delle bande di DNA di interesse. Le bande vengono raccolte in un microtubo da 1,5 ml e pesate. Secondo il protocollo per ogni 10 mg di gel prelevato è necessaria l’aggiunta di 10 µl di “Membrane Binding Solution”.

Una volta aggiunta la soluzione il campione deve essere omogeneizzato con un vortex e posto ad incubare a 50 – 65° C fino al completo scioglimento del gel.

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Materiali e Metodi

Al termine dell’ incubazione il campione viene centrifugato a 10000 x g per 1 minuto. Dopo la centrifugazione si elimina il filtrato conservando la colonnina che deve essere reinserita nel microtubo per effettuare un primo lavaggio con 700 µl di “Membrane Wash Solution”. Dopo una ulteriore centrifugazione a 10000 x g per un minuto si elimina nuovamente il filtrato conservando e reinserendo la colonnina per un secondo lavaggio con 500 µl della stessa soluzione di lavaggio indicata sopra. La centrifugazione da effettuare a questo punto durerà 5 minuti a 10000 x g.

Al termine della centrifugazione la colonnina viene trasferita in un nuovo microtubo per effettuare l’eluizione finale del DNA con 50 µl di H2O

priva di nucleasi. Dopo una incubazione di 1 minuto a temperatura ambiente si procede ad una centrifugazione a 10000 x g per 1 minuto. A questo punto si ottiene il DNA nel microtubo che può essere conservato a 4°C o a -20°C.

Trasformazione di E. coli con vettori portanti i costrutti genici di interesse.

Aliquote da 100 µl di cellule competenti di E. coli vengono incubate in presenza di idonee quantità di plasmide binario (10-50 ng) in ghiaccio per 20 minuti. Successivamente i batteri vengono sottoposti ad uno shock termico a 42°C per 90 secondi seguito da una nuova incubazione in ghiaccio per 2 minuti. Dopo la trasformazione si vanno a far crescere le colonie in 500 µl di LB + glucosio 20 mM, ponendole in incubazione a 37°C a bagnomaria in agitazione per circa un’ora e mezza.

Dopo l’incubazione si procede ad una centrifugazione per ottenere un sedimento batterico, dopodiché si elimina il sovranatante e si risospende

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Materiali e Metodi

il sedimento in 100 µl di LB + glucosio 20 mM. La sospensione batterica così ottenuta viene quindi piastrata su mezzo selettivo (LB + antibiotico) agarizzato e incubata a 37°C O.N.

Miniprep di DNA plasmidico.

La miniprep è stata eseguita utilizzando il kit SIGMA GenEluteTM

Plasmid Miniprep Kit e seguendone il relativo protocollo. Colture batteriche in LB del volume di 5 ml sono state sottoposte ai seguenti passaggi:

· Precipitazione della coltura batterica dalla fase liquida tramite

centrifugazione a massima velocità (14.000 rpm) per un minuto

· Aspirazione del sovranatante

· Risospensione del precipitato batterico in 200 µl di Soluzione di

Risospensione contenente RNasi A.

· Lisi con 200 µl di soluzione di lisi. Le componenti sono state

miscelate invertendo delicatamente il tubo per cinque – sei volte. La reazione di lisi non deve superare i cinque minuti di posa.

· Aggiunta di 350 µl di soluzione di neutralizzazione, invertendo

poi il tubo per 4 – 5 volte.

· Precipitazione del lisato tramite centrifugazione a massima

velocità per 10 minuti.

· Preparazione della colonnina di separazione con aggiunta di 500

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Materiali e Metodi

· Lavaggio della colonnina con 750 µl di Soluzione di lavaggio,

centrifugazione a massima velocità per un minuto ed eliminazione del filtrato

· Eluizione del DNA: la colonnina è stata inserita in un tubo

nuovo e l’eluizione è stata effettuata utilizzando 100 µl di acqua priva di DNasi.

Quantificazione del materiale genetico ottenuto dalla miniprep.

Una volta ottenuto il prodotto della miniprep, è stata necessaria una quantificazione del materiale genetico tramite lettura spettrofotometrica; le quantità utilizzate sono state di 10 µl di soluzione contenente il plasmide diluiti in 400 µl di H2O.

Per ottenere la quantità idonea alla trasformazione di Agrobatterio è necessario calcolare, in base alle assorbanze (WL) ricavate dalla lettura, una quantità in µl che corrisponda ad 1 µg di plasmide. Il calcolo della concentrazione del DNA, espressa come µg/ml, è stato eseguito in base alla seguente formula: [ (WL 1 + WL 2) / 2 ] * 50 * 41, dove 50 rappresenta la densità ottica del DNA e 41 è il coefficiente di diluizione.

Preparazione di cellule competenti di Agrobatterio.

La procedura seguita per preparare le cellule competenti di Agrobacterium tumefaciens è stata quella del “Freeze – thaw Method”, che prevede i seguenti passaggi:

· Crescita di colonie di A. tumefaciens contenenti un appropriato

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Materiali e Metodi

· Aggiunta di 2 ml di coltura a 50 ml di LB in beute da 250 ml, in

agitazione a 28° fino a raggiungere una OD600 pari a 0,5 – 1.

· Raffreddamento delle colture in ghiaccio. Centrifugazione della

sospensione cellulare a 3000 g per 5 min. a 4° C

· Eliminazione del sovranatante e risospensione delle cellule in 1 ml

di soluzione di CaCl2 20 mM fredda

· Preparazione di aliquote da 0,1 ml in microtubi prerefrigerati.

Congelamento in azoto liquido e conservazione a –80°C.

Protocollo Gateway®

per la realizzazione di costrutti genici.

Reazione di ricombinazione BP: le seguenti componenti saranno aggiunte in una eppendorf da 1,5 ml, mescolate e mantenute a temperatura ambiente.

· Prodotto di PCR con estremità attB o clone di espressione attB

linearizzato (66-165 ng): 1-10 µl

· Vettore pDONR (150 ng/µl): 2 µl · 5X BP Clonase Reaction Buffer: 4 µl

· TE Buffer, pH 8.0 : q.b per portare a volume totale di 16 µl

A questo punto nella eppendorf verranno aggiunti 4 µl dell’enzima BP Clonase enzyme mix, precedentemente scongelato e mescolato tramite vortex.

La reazione sarà fatta incubare per un ora a 25°C.

Al termine dell’ incubazione saranno aggiunti al campione 2 µl di Proteinase K solution, la reazione varrà fatta nuovamente incubare per 10 minuti a 37°C.

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Materiali e Metodi

Reazione di ricombinazione LR: le seguenti componenti saranno aggiunte in una eppendorf da 1,5 ml, mescolate e mantenute a temperatura ambiente.

· Clone Entry (100-300 ng): 1-10 µl · Destination vector (300 ng): 2 µl · 5X LR Clonase Reaction Buffer: 4 µl

· TE Buffer, pH 8.0: q.b per portare al volume totale di 16 µl

Da questo punto in poi il protocollo è lo stesso seguito per la ricombinazione BP.

Trasformazione di Agrobatterio.

La trasformazione di cellule competenti di A. tumefaciens è stata effettuata utilizzando 1 µg di vettore binario. Un’aliquota di cellule competenti di Agrobatterio è stata incubata in presenza di 1 µg di vettore binario per 5 minuti a 37°C. Al termine dell’incubazione le cellule sono state messe a crescere in 1 ml di LB + glucosio 20 mM in agitazione a bagnomaria per 5 ore a 28°C.

Dopo questo periodo di incubazione si è proceduto ad una centrifugazione a 10.000 x g per 1 minuto, al fine di raccogliere il precipitato batterico ed eliminare il sovranatante.

Il precipitato è stato poi risospeso in 100 µl di LB + glucosio 20 mM e piastrato in capsula petri contenente mezzo selettivo (LB-agar + antibiotici). La piastra è stata infine messa ad incubare per circa 3 giorni a 28°C.

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Materiali e Metodi

Messa a coltura delle colonie batteriche trasformate.

Le colonie di Agrobatterio trasformate sono state prelevate dalle piastre e messe a crescere in mezzo liquido, costituito da 5 ml di LB + antibiotici (kanamicina, streptomicina e rifampicina, 50 µg/ml ciascuno). Le colture sono state poi messe in agitazione a 28° C per circa due giorni.

Dal volume totale di ogni sospensione batterica liquida sono stati prelevati circa 4 ml per le miniprep, mentre il resto è stato utilizzato per realizzare uno stock batterico su piastra.

Trasformazione di E.coli col prodotto ottenuto da miniprep di Agrobatterio.

Poiché la crescita dei trasformanti di Agrobatterio è piuttosto bassa, per verificare l’effettiva presenza del plasmide binario nelle miniprep si procede trasformando nuovamente E.coli.

A questo proposito da ogni campione di miniprep sono stati prelevati 5 ul di prodotto per la trasformazione di cellule competenti di E.coli DH5α. La trasformazione è stata effettuata secondo la procedura sopra descritta. Le colonie risultate trasformate sono state poi sottoposte a miniprep con lo stesso procedimento sopra descritto.

Verifica della presenza dei geni di interesse attraverso opportuni enzimi di restrizione.

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Materiali e Metodi

Una tipica reazione di restrizione veniva condotta in un volume finale di 15 µl incubando 0,1-0,5 µg di DNA in presenza di 1,5 µl di tampone 10X specifico dell’enzima di restrizione e di 1-2 unità di endonucleasi di restrizione alla temperatura richiesta dall’enzima stesso (tipicamente 37°C) per circa 2 ore.

Al termine della restrizione, il campione, dopo l’aggiunta di gel-loading buffer, veniva sottoposto ad elettroforesi su gel di agarosio all’1%.

Coltura liquida di Agrobatterio per infiltrazione.

Dagli stock in piastra conservati a 4°C sono state prelevate alcune colonie di Agrobatteri portanti i vettori binari di interesse. Queste sono state prima fatte crescere in tubi contenenti 5 ml di LB + antibiotici (kanamicina, streptomicina e rifampicina alla concentrazione di 50 µg/ml ciascuno) e quindi, dopo due giorni di incubazione in agitatore a 28°C, in beute contenenti 100 ml di LB + antibiotici. Le beute sono state poi messe in agitazione a bagnomaria a 28°C per 24 ore.

Trasformazione di piante wild – type di Arabidopsis tramite infiltrazione.

Le piante di Arabidopsis sono state trasformate utilizzando il protocollo “Floral Dip ” (Clough e Bent, 1998). I batteri fatti crescere nelle beute sono stati fatti precipitare tramite centrifugazione a freddo e quindi risospesi in un idoneo volume di soluzione di infiltrazione (soluzione contenente saccarosio al 5%) tale da raggiungere una densità ottica a 595 nm di circa 0,8. Nella soluzione così ottenuta è stata quindi aggiunta una

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Materiali e Metodi

quantità di tensioattivo Silwet L-77 pari ad una concentrazione finale dello 0,025%.

Contemporaneamente sono state scelte piante di Arabipopsis WT che avessero una quantità di infiorescenze e fiori piuttosto alta, avendo cura di recidere precedentemente all’infiltrazione le silique già presenti sulla pianta.

A questo punto l’infiltrazione è stata realizzata immergendo l’intera pianta fino al colletto nella soluzione batterica, dopo aver ricoperto prima il vaso con della pellicola trasparente al fine di evitare la contaminazione della sospensione batterica con la terra.

Durante il tempo di immersione, circa 15 – 20 secondi, si è inoltre avuta cura di ruotare e muovere la pianta in maniera da permettere che l’intera superficie fosse bagnata dalla sospensione batterica.

Dopo l’infiltrazione le piante sono state ricoperte con sacchetti di plastica forati e poste in camera di crescita lontane da luce diretta; i sacchetti sono stati mantenuti per circa 24 h, dopodiché le piante sono state sottoposte alle normali condizioni di allevamento.

Lo stesso procedimento di infiltrazione è stato ripetuto sulle stesse piante a distanza di una settimana.

Raccolta dei semi.

Dopo circa 15 giorni-1 mese dall’infiltrazione è stato possibile procedere alla raccolta dei semi, i quali sono stati separati dai residui delle silique e conservati in microtubi forati sul coperchio.

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Materiali e Metodi

Sterilizzazione dei semi.

Il protocollo di sterilizzazione consiste nei seguenti passaggi:

· Primo lavaggio con soluzione di acqua sterile e sodio ipoclorito

al 20% nelle proporzioni di 1:1, 7 minuti di agitazione, breve centrifugazione ed aspirazione del liquido

· Sei lavaggi con acqua sterile, seguiti ogni volta da breve

centrifugazione ed aspirazione del liquido

· Settimo lavaggio con MS e PPM al 4 % · Agitazione in camera fredda a 4°C overnight · Centrifugazione ed aspirazione del liquido · Tre lavaggi con acqua sterile, come sopra

Semina su piastra.

La semina è stata realizzata con una media di circa 800 – 1000 semi per capsula petri su mezzo di coltura selettivo agarizzato contenente MS 0,5X e kanamicina alla concentrazione di 50µg/ml. Le piastre sono state poste in camera fredda al buio per 48 ore, dopodiché messe a temperatura ambiente e a luce continua.

Prelievo e crescita delle piante trasformate.

Le piante risultate resistenti al mezzo selettivo sono state prelevate e messe a crescere in capsule petri su MS 0,5X e saccarosio all’1%, e quindi, una volta irrobustite (soprattutto a livello radicale ), trasferite su terriccio in vaso.

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Materiali e Metodi

Analisi e rilevazione della presenza della sequenza genica di interesse mediante estrazione ed amplificazione del DNA delle piante trasformate.

Per estrarre il DNA da ogni pianta trasformata si è utilizzato il kit Sigma “Extract – N – Amp” che prevede una estrazione molto rapida per ottenere una quantità di DNA idonea all’amplificazione PCR. Tale protocollo prevede:

· Prelievo di una fogliolina di diametro max 0.8 mm

· Immersione della fogliolina in 100 µl di tampone di estrazione · Incubazione a 95 ° per 10 minuti

· Aggiunta di 100 µl di tampone di diluizione · Conservazione del materiale estratto a 4° C

Il DNA così ottenuto è stato poi sottoposto ad analisi PCR con primers differenziati che potessero rilevare la presenza delle diverse sequenze di interesse presenti nel costrutto genico. I controlli utilizzati sono stati DNA estratto da piante WT e DNA plasmidico portante il relativo costrutto.

L’ amplificazione è stata condotta seguendo il protocollo del kit SIGMA “Extract – N – Amp” il quale prevede le seguenti quantità di componenti:

· Extract – N – Amp PCR Reaction mix 2X: 10 µl · Primer senso 20 µM: 0,5 µl

· Primer antisenso 20 µM: 0,5 µl · DNA estratto: 4 µl

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Materiali e Metodi

40 Cicli : Denaturazione 94° per 1 minuto

Appaiamento 45° – 68° per 1 minuto Estensione 72° per 1 minuto

1 Ciclo : Estensione finale a 72° per 10 minuti

Estrazione dell’ RNA totale.

L’ estrazione dell’ RNA è stata fatta a partire dalle piante trasformate e già risultate positive all’analisi PCR.

Per ottenere RNA purificato è stato impiegato il kit Ambion “RNAqueous MINI KIT”, secondo i seguenti passaggi:

· Polverizzazione di 100 mg materiale vegetale in mortaio con

azoto liquido

· Aggiunta di 100 µl di soluzione “Plant aid” · Aggiunta di 800 µl di soluzione di lisi

· Trasferimento del composto in tubo da 1,5 ml · Centrifugazione a 10.000 x g per 5 minuti · Raccolta del supernatante in un nuovo tubo

· Aggiunta di un volume di etanolo 64% e breve agitazione · Trasferimento del composto in colonnina con membrana · Centrifugazione per 30 secondi a max velocità

· Eliminazione del filtrato

· Lavaggio della colonnina con 700 µl di soluzione di lavaggio 1 e

centrifugazione per 30 sec. a max velocità. Eliminazione del filtrato

· Ripetizione dei passaggi sopradescritti per altre due volte con

500 µl di soluzione di lavaggio 2

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Materiali e Metodi

· Eluizione dell’RNA tramite 60 µl di soluzione di eluizione

preriscaldata a 95° C ed incubazione per 1 minuto

· Centrifugazione a max velocità per 30 sec

Trattamento dell’RNA estratto con DNasi.

Il trattamento con DNasi dell’RNA totale estratto è stato effettuato utilizzando il kit Ambion “TURBO DNase I Kit ”.

Mix di reazione:

· 50 µl di RNA estratto · 5,7 µl di Buffer 10x · 1 µl di TURBO DNase I

· Incubazione a 37° C per 30 minuti

· Aggiunta di 5 µl di Inactivation reagent 10x

· Incubazione a temperatura ambiente in agitazione per 2 minuti · Centrifugazione per 2 minuti a 10000 x g

· Recupero del sovranatante contenente l’RNA trattato

Analisi del livello di espressione del transgene mediante Real Time RT-PCR.

· RETROTRASCRIZIONE

La reazione di retrotrascrizione è stata effettuata utilizzando il kit Applied Biosystems “ High capacity cDNA archive kit” in un

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Materiali e Metodi · 5 µl RT Buffer 10x · 5 µl Random Primer 10x · 2 µl dNTP 25x · 2,5 µl Reverse Trascriptase · 10,5 µl di Rnase free H2O

Il mix di reazione è stato quindi inserito in un termociclizzatore impostato in base ai seguenti parametri:

10 minuti a 25° C 2 ore a 37° C

· REAL-TIME PCR

L’amplificazione Real-Time PCR è stata eseguita in triplicato con un volume pari a 5 µl di cDNA per ogni campione analizzato. Sono state utilizzate in reazioni distinte due coppie di primers e due sonde Taqman fluorescenti, una per il gene di interesse ed una per il gene housekeeping codificante per l’ubiquitina.

Le sequenze dei primer e delle sonde impiegate sono le seguenti:

UBQ10-F: CGTTAAGACGTTGACTGGGAAAACT

UBQ10-R: GCTTTCACGTTATCAATGGTGTCA UBQ10 SONDA: CTCTCCACCTCCAAAGTG TIN-F: GCAGAAACGTCGTAAAATCTCCATT TIN-R: CACCTTCTCTTCCTCTTGACAATCTT TIN SONDA: CAACCATCAACTAGAGATGTT NOW-F: CATACCCGCAAAATCCTCTTCGA

NOW-R: GCAAGTCCATACTGTTTAGACAAATTAACC NOW SONDA: CCGGTTCACCGCTAATT

(51)

Materiali e Metodi

La soluzione di reazione prevede l’utilizzazione dei seguenti reagenti:

Universal Master Mix 2x: 12, 5 µl AbD (Mix Primers + Sonda ): 1,25 µl H2O : 6,25 µl

cDNA: 5 µl

Le reazioni, il cui volume totale è pari a 25 µl, vengono condotte in triplicato in una piastra da 96 pozzetti.

La quantificazione relativa del gene di interesse viene effettuata con il metodo “CT comparativo”. Tutti i calcoli e le analisi statistiche

sono effettuati come descritto in “ABI PRISM 7700 Sequence Detection System User Bullettin #2” (Applied Biosystems, USA).

Prove di tolleranza al turanosio.

I test per la resistenza al turanosio delle piante trasformate e per l’analisi delle loro caratteristiche fenotipiche (lunghezza radice, lunghezza ipocotile) sono stati effettuati piastrando un’aliquota di semi raccolti da ciascuna delle piante trasformanti su mezzo MS 0,5X e su MS 0,5X + Turanosio 3%. Come controlli sono stati impiegati semi del mutante tin e semi WT.

Dopo la sterilizzazione dei semi, effettuata con il protocollo standard, si è proceduto al piastramento in capsula petri su mezzo agarizzato in ambiente sterile. Una volta piastrati, i semi sono stati posti al buio a 4°C

(52)

Materiali e Metodi

inoltre effettuate le misurazioni delle lunghezze di radici ed ipocotili delle plantule germinate mediante l’ausilio di carta millimetrata e microscopio stereo. Di ogni piastra sono state misurate 20 piante prelevate a caso, con eccezione delle linee trasformate dalle cui piastre sono state prelevate 40 plantule per le misurazioni .

I mutanti risultati più interessanti sono stati isolati e posti a crescere su mezzo ricco di saccarosio, per essere poi trasferiti su terreno e portati a seme.

Trasformazione Transiente.

Il vettore plasmidico di interesse viene veicolato in foglie di 3 settimane di età, attraverso metodo biolistico utilizzando PDS-1000/He particle gun (Bio-Rad, Hercules, CA, USA). Dopo il bombardamento le foglie sono state incubate su piastre di MS/Agar (7 g/L) per 24 ore. La visualizzazione della fluorescenza è stata effettuata utilizzando un microscopio confocale a scansione laser.

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Casi di studio

Capitolo 3

Casi di studio

1. La mutazione “tin”: stato dell’arte

Il turanosio è un disaccaride non metabolizzabile analogo strutturale del saccarosio (Loreti et al., 2000). La sua presenza nel mezzo colturale è capace di influenzare profondamente lo sviluppo di plantule di Arabidopsis thaliana inibendo sia la crescita dell’ipocotile che quella radicale. Sfruttando tale effetto morfologico è stata sviluppata una nuova metodologia di analisi presso il laboratorio della Sezione di Fisiologia Vegetale del Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie. Alcune centinaia di linee di mutanti inserzionali di Arabidopsis, caratterizzate dalla presenza di inserzioni casuali di T–DNA nel loro genoma, sono state fatte germinare su terreni contenenti turanosio al 3%; fra tali linee

Figura

Fig. 5: Esempio di inserzione di linker  oligonucleotidici.
Fig. 6: Il sistema di clonaggio Gateway ®
Fig. 7: Reazione di ricombinazione BP nel protocollo  di trasformazione Gateway ®
Fig  9.  Plantule  WT  e  tin,  germinate  e  cresciute  al  buio  per  5  giorni  su  MS  con  e  senza turanosio al   3 %      WT    WT      TIN   TIN       ms    tur 3%   ms     tur 3%  TIN  WT  Fig
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Riferimenti

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