• Non ci sono risultati.

IL METABOLISMO DEL FERRO IL METABOLISMO DEL FERRO IL METABOLISMO DEL FERRO IL METABOLISMO DEL FERRO

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "IL METABOLISMO DEL FERRO IL METABOLISMO DEL FERRO IL METABOLISMO DEL FERRO IL METABOLISMO DEL FERRO "

Copied!
148
0
0

Testo completo

(1)

INTRODUZIONE:

INTRODUZIONE:

INTRODUZIONE:

INTRODUZIONE:

Il termine microcitosi descrive un quadro ematico caratterizzato da un volume corpuscolare medio degli eritrociti (MCV) inferiore di due deviazioni standard dalla media normale (Lubas G., 2005).

Tale parametro è fornito da qualsiasi contaparticelle (cell counter) automatico (anche se in seguito vedremo il peso sull’attendibilità del tipo di determinazione di tale parametro da parte delle diverse macchine) ed è uno dei parametri di maggior interesse dell’emogramma;

basti pensare al suo impiego in uno tra i più usati metodi classificativi delle anemie, ovvero quello basato sugli indici corpuscolari medi (MCV ed MCH o MCHC) tra i quali è sicuramente quello con maggiore valore diagnostico (F. Di Gregorio et al., 1998).

La microcitosi è una caratteristica ematologia comune a diverse patologie ed allo scopo di chiarire a quali condizioni si può associare è molto utile prendere in esame la produzione degli eritrociti a livello midollare. Tutte quelle condizioni patologiche che sconvolgono in qualche modo l’iter maturativo della cellula eritroide portano alla formazione di globuli rossi anomali con eritropoiesi inefficace (F. Di Gregorio et al., 1998).

In medicina umana, innanzitutto, vi sono diverse condizioni genetiche che influenzano la maturazione dell’eritroide in modo da deviarla patologicamente verso una microcitosi. Tali condizioni possono essere riassunte come difetti della sintesi della globina (Sindromi talassemiche) o difetti della sintesi dell’eme (Anemie sideroblastiche). Vi sono poi i disordini acquisiti del metabolismo marziale (Erslev AJ., 1995; Pellò F., Camaschella C., Gromo G., Storti M., 2005).

Nel cane, al contrario non sembrano esistere emoglobinopatie ereditarie (Harvey JW., 2000 in Hematology Veterinary) e la microcitosi compare primariamente per disturbi al metabolismo marziale in corso di anemia ferrocarenziale (Ristic e Stidworthy 2002;

Watson e Canfield 2000; Furlanello e Lubas 1999; Marchetti et al., 2006) ed in corso di malattie croniche (Furlanello e Lubas, 1999; Marchetti et al., 2006). Entrambe sembrano trovare nella ridotta disponibilità di ferro per il midollo emopoietico un comune meccanismo patogenetico (Furlanello e Lubas, 1999; Dan, 2005; Marchetti et al., 2006).

Queste sono sicuramente le cause maggiori, ma vi sono altre situazioni in cui la microcitosi è spesso segnalata come ad esempio: la microcitosi nello shunt portosistemico, una microcitosi costituzionale in cani giapponesi di razza Akita e Shiba, oppure, nella carenza

(2)

di vit.B6 ed in rari casi di anemie emolitiche, sia immunomediate che microangiopatiche (Lubas G., 2005). Inoltre, sono potenziali cause di microcitosi: la deficienza di rame, le tossicosi da farmaci o chimici (come ad esempio il piombo), la diseritropiesi, l’ellissocitosi ereditaria (Harvey JW., 2000).

Molte di queste cause riconducono la loro patogenesi, seppur con meccanismi divesi, all’alterazione del metabolismo marziale, per altre i meccanismi sono ancora da accertare.

Questo lavoro retrospettivo si prefigge, oltre che di valutare l’incidenza della microcitosi nella specie canina attraverso un’ampia casistica (circa 2000 casi clinici), quello di estrapolare la popolazione accomunata da microcitosi e valutarla sotto diversi aspetti: la razza, il sesso, la condizione clinica, le correlazioni con altre alterazioni organiche e metabolismo del ferro.

(3)

CAPITOLO 1 :

IL METABOLISMO DEL FERRO IL METABOLISMO DEL FERRO IL METABOLISMO DEL FERRO IL METABOLISMO DEL FERRO

Il ferro è un elemento fondamentale per quasi tutte le forme di vita, siano piante o batteri oppure animali superiori. La sua importanza si esplica tramite le sue funzioni nei processi respiratori grazie alla sua attività di ossido-riduzione e la sua capacità di trasporto degli elettroni. Nell’organismo animale il ferro è presente soprattutto in forme complesse legato a proteine sottoforma di composti-eme (emoglobina e mioglobina), di enzimi-eme (citocromi mitocondriali e microsomiali, catalasi e per ossidasi) e di composti-non-eme (flavin-Fe enzima, transferrina e ferritina); solo quantità trascurabili di ferro inorganico libero sono state trovate nell’organismo animale (Swenson MJ., Reece WO., 2002), infatti la sua capacità ossido-riducente può portare alla formazione di radicali liberi in grado di danneggiare le strutture cellulari mediante le reazioni di Fenton e Haber-Weiss (Gomme e McCann, 2005). Il ferro libero è quindi tossico.

Vista l’importanza di questo elemento a livello midollare ed a livello degli eritrociti e per l’influenza che ha sui processi biologici che li riguardano è importante conoscerne il metabolismo di questo elemento. Questo è lo scopo del presente capitolo.

1.1. Cenni sull’omeostasi del ferro nell’organismo

Il ferro assume un significato biologico differente a seconda del complesso chimico a cui è legato ed a tale proposito, semplificando molto, si può parlare di ferro “attivo”, ferro di riserva e ferro di trasporto (Aguggini G., 1992).

Il 60-70% del ferro è legato alla molecola dell’emoglobina negli eritrociti e negli eritroblasti, circa il 3% è presente nel gruppo prostetico della mioglobina e circa lo 1,5-2%

si trova a livello dei vari catalizzatori cellulari. Queste sono le forma attive del ferro.

Il ferro di riserva si ritrova in diversi parenchimi (midollo osseo, fegato e milza in particolare) sottoforma di ferritina ed emosiderina e rappresenta circa il 20-30% del totale (Aguggini G., 1992).

Il ferro di trasporto è il compartimento sicuramente più ridotto essendo costituito da meno dell’1% del ferro totale, ma anche il più dinamico, poiché viene sottoposto a ricambio almeno dieci volte al giorno. E’ rappresentato dal ferro legato ad una glicoproteina

(4)

sintetizzata dal fegato, la transferrina (Tf), in grado di trasportare uno o due atomi di ferro ferrico (Fe3+) (Furlanello e Lubas, 1999).

1.2Assorbimento del ferro e sua regolazione

Gran parte dei processi implicati nel processo di assorbimento sono stati studiati in modelli di laboratorio, quali il topo o il ratto, e successivamente estesi all’uomo. Le conoscenze su altri modelli animali sono in parte incompleti ma si è dell’idea che molti fenomeni possano essere estese anche agli altri mammiferi, compreso il cane.

I meccanismi di regolazione e le molecole implicate nell’assorbimento sono molteplici e abbastanza complessi. Lo scopo di questa parte della tesi è di dare un cenno dei più importanti tra questi. Per semplificare la trattazione affronteremo l’argomento trattando prima le molecole ed i meccanismi dell’assorbimento e poi la loro regolazione, consapevoli che il tutto, è in verità, un sistema unico.

1.2.1 Assorbimento

Visto che non esiste un sistema di escrezione efficace per il ferro (le perdite in condizioni fisiologiche si hanno attraverso il sudore e con la desquamazione degli epiteli), l’assorbimento rimane l’unico modo di regolare il difetto o l’eccesso di tale elemento.

L’assorbimento del ferro avviene perlopiù a livello degli enterociti del duodeno e del digiuno e dipende da moli fattori, quali la forma chimica del ferro introdotto con la dieta, la secrezione acida gastrica e la presenza di alcuni acidi organici nel lume intestinale.

Il ferro alimentare assimilabile si presenta sotto due forme principali: quella eme-coniugata e quella non eme-coniugata. Il gruppo eme è costituito dal complesso Fe2+-protoporfirina IX e si trova associato a numerose classi di proteine, tra cui quelle adibite al trasporto (es.

emoglobina) e all’immagazzinamento (es. mioglobina) dell’ossigeno; il gruppo eme è presente anche in molti enzimi con la funzione di gruppo prostetico. Il ferro eme-coniugato è quindi contenuto in alte concentrazioni nelle diete a base di carne (Wells e Award, 1995).

Il ferro non eme coniugato è chiamato “ferro ionico”, o “ferro inorganico”, anche se quest’ultimo è un termine improprio perché si ritrova, sia in forma ferrica che ferrosa, legato ad acidi organici (come il citrato) o peptidi (ferritina ed albumina) (Frazer e Anderson, 2005). Nei mammiferi in genere il ferro eme é assorbito direttamente nella

(5)

quota del 30%, mentre quello non eme é scarsamente assorbito; meno del 10% nel cane (Furlanello e Lubas, 1999) circa il 5% di quello ingerito nell’uomo.

Trasporto dal lume intestinale al citoplasma dell’eterocita

a) Assorbimento del ferro eme

Paradossalmente il meccanismo di assorbimento del ferro eme è meno conosciuto di quello

“meno redditizio” dell’assorbimento del ferro non eme coniugato.

Il ferro eme alimentare è assorbito tramite uno o più trasportatori non ancora ben caratterizzati. I gruppi eme contenuti nella dieta sono liberati nel lume del piccolo intestino prossimale grazie alla digestione proteolitica dell’emoglobina, della mioglobina e delle altre molecole che lo contengono. Il gruppo è captato interamente a livello della membrana apicale dell’enterocita e subisce endocitosi. All’interno dell’endosoma il gruppo eme viene degradato a Fe2+ e bilirubina dall’enzima eme ossigenasi.

Secondo la maggior parte delle fonti non è stato ancora possibile stabilire né la natura del recettore/i con cui il gruppo eme aderisce all’orletto a spazzola, né le modalità con cui il ferro sia in grado di passare dall’endosoma al citosol.

Di recente è stato proposto un possibile candidato come recettore per l’endocitosi dell’eme, noto come heme carrier protein 1 (HCP1) (Shayeghi et al., 2005). Questa proteina di membrana svela un altissimo grado di omologia con i trasportatori batterici delle tetracicline e per questo è inclusa nella superfamiglia di molecole MFS (major facilitator superfamily); questa somiglianza con la proteina batterica potrebbe essere correlata con la similarità tra i substrati trasportati. Le notizie sull’HCP1 e sulla sua regolazione sono ancora in fase di studio. Alcuni esperimenti darebbero la sua regolazione in correlazione con l’ipossia e non con i livelli di ferro circolanti, altri studi mostrerebbero il contrario.

Inoltre il trasporto del ferro dall’endosoma al citosol è ancor oggi un argomento non indagato, nonostante molti autori sostengano che questo evento sia possibile grazie al DMT1 stesso (Mackenzie e Garrick, 2005).

(6)

b) Assorbimento del ferro non eme

Le cellule della mucosa duodenale e digiunale presentano sulla superficie luminale il trasportatore del ferro DMT1 (Divalent Metal Transport 1), che coopera con una ferro reduttasi della membrana, il citocromo duodenale DcytB, per recuperare dal lume il ferro ferrico trasformandolo in ferroso. Una volta nella cellula intestinale, il ferro va incontro a destinazioni diverse a seconda delle necessità. Una quota viene esportata ed entra in circolo legandosi alla transferrina circolante tramite un processo che richiede l’intervento di una proteina transmembrana denominata “ferroportina” e di un’ossidasi (efestina) che lo riossida a ferro ferrico; una quota viene depositata nelle cellule della mucosa sotto forma di ferritina e, come tale, verrà perduta nel lume intestinale; una quota, infine, viene direttamente utilizzata per le esigenze delle cellule epiteliali intestinali (Pellò F., 2005). Di seguito tratteremo in specifico tali argomenti.

Il trasportatore di metalli divalenti 1 (DMT1):

Come già accennato è importante ribadire che l’efficienza nel trasporto dello ione Fe2+

dipende essenzialmente da due condizioni: un’adeguata acidità a livello dell’orletto a spazzola e la presenza di determinati acidi organici nel lume intestinale, in primis la vitamina C (acido L-ascorbico). Questo riscontro è importante nel valutare l’eziologia di una eventuale carenza di ferro o nell’approntare alcune terapie.

Il prelievo del ferro ferroso (Fe2+) dal lume intestinale, il suo trasporto attraverso la membrana apicale e la sua immissione nel citosol dell’enterocita sono eventi mediati da una proteina trasportatrice ubicata nel contesto dell’orletto a spazzola, nota come trasportatore cationico divalente 1 (DCT1) o più comunemente trasportatore di metalli divalenti I (DMT 1). La sua esistenza è documentata non solo negli enterociti ma in molte altre cellule dell’organismo, suggerendo il loro coinvolgimento nella captazione del ferro anche negli altri tessuti. Una sua presenza funzionalmente importante è quella negli eritroblasti. La sua presenza sugli enterociti è documentata nel topo, nel ratto e nell’uomo (Gunshin et al., 1997; Garrick and Garrick, 2004), oltre che in alcune specie di lieviti (Tabuchi et al., 2002). Non esistono studi in merito nel cane e nel gatto, ma è fortemente probabile che questa molecola sia comune a tutti gli organismi eucarioti. Sono state identificate due isoforme del DMT1 biochimicamente distinte, differenziabili grazie alle loro diverse sequenze carbossi-terminali e grazie alla presenza (nel DMT1A) o assenza

(7)

(nel DMT1B) nei loro mRNA di elementi ferro responsivi (vedi paragrafo 1.2.2.3).

Ognuna delle due forme di DMT1 è espressa in differenti popolazioni cellulari: DMT1A è predominante nei tessuti epiteliali, mentre DMT1B nelle cellule della serie eritroide (Tabuchi et al, 2002).

Tale proteina è potenzialmente in grado di cotrasportare svariati ioni metallici divalenti insieme a ioni H+. Questo processo necessita quindi di un adeguato gradiente elettrochimico dovuto alle differenti concentrazioni dello ione H+ ai due lati della membrana plasmatica (Gunshin et al., 1997; Garrick and Garrick, 2004; MacKenzie and Hediger, 2004). DMT1 non è in grado di trasportare lo ione ferrico (Fe3+) (Gunshin et al., 1997). Studi in vitro hanno evidenziato la potenziale capacità di DMT1 di trasportare numerosi metalli in forma ionica (Cd, Zn, Mn, Cu, Co, Ni, Pb, Fe) (Gunshin et al., 1997).

Sicuramente in vivo vengono trasportati gli ioni Fe2+ e Mn2+ (Chua e Morgan, 1997;

Knopfel et al., 2005). DMT1 si ritrova anche sulla superficie delle goblet cells e associato alle mucine che ricoprono la mucosa. Le acquisizioni circa la sua funzione nel contesto delle cellule mucipare e del loro secreto non è del tutto chiara, anche se è noto che il film mucoso che riveste l’orletto a spazzola funge da fattore di adesione per il ferro all’epitelio (Furlanello e Lubas, 1999).

A proposito di quanto detto riguardo all’ambiente intestinale e alla sua influenza sul meccanismo di assorbimento e utile ricordare che la secrezione acida gastrica garantisce condizioni di pH tali da aumentare la solubilità di molti chelanti del ferro e fornisce un gradiente elettrochimico di membrana adeguato all’efficiente funzionamento del DMT1; la superficie dell’epitelio duodenale rimane infatti leggermente acida nonostante l’alcalinizzazione operata dal secreto pancreatico. Il microclima acido è inoltre mantenuto da opportuni sistemi di pompa presenti nel contesto dell’orletto a spazzola (Gunshin et al, 1997). E’ appunto questa acidità a permettere il trasporto del ferro (Mackenzie et al., 2006).

Alcuni studi confermerebbero che il cotrasporto è possibile per pH compresi tra 7,4 e 5,5 (valori inferiori denaturerebbero DMT1) (Mackenzie e Garrick, 2005).

La presenza di vitamina C nel duodeno, sia essa proveniente dai succhi biliari o dalla dieta, è in grado di ridurre in maniera efficiente gli ioni ferrici in ambiente acido. Inoltre, l’ascorbato forma complessi solubili di ferro ferrico e ferroso che ne facilitano l’assorbimento (Mackenzie e Garrick, 2005).

(8)

Il citocromo duodenale B (DcytB)

DMT1 è in grado di trasportare il ferro solo nella sua forma ferrosa (Fe2+), ma la gran parte del ferro non eme introdotto col pasto si trova in forma ossidata ferrica (Fe3+) (Mackenzie e Garrick, 2005). L’acido L-ascorbico non è in grado di ridurre da solo tutti gli ioni ferrici presenti nel materiale alimentare ed esiste infatti un altro agente riducente, è una ferrico- reduttasi di membrana, espressa sull’orletto a spazzola, nota come citocromo duodenale B (DcytB), individuata negli animali da laboratorio e ritenuta verosimilmente comune a tutti i mammiferi (Frazer e Anderson, 2005).

Tale molecola si trova generalmente accoppiata con DMT1 ed è sovraespressa in condizioni di privazione di ferro (Collins et al., 2005).

La molbiferrina

La capacità di assunzione del ferro ionico in topi knock-out privati di DMT1 non è nulla:

esiste un altro sistema di trasporto, ad oggi non ancora noto con certezza (Gunshin et al., 2005), ma secondo alcuni ricercatori è attribuibile alla captazione dello ione Fe3+ da parte della mobilferrina (Eggleton et al., 2003). La sua presenza è stata confermata da studi di immunofluorescenza e Western-blot condotti su campioni di mucosa duodenale di topo. Il suo coinvolgimento nel trasporto del ferro è documentato anche nei carnivori domestici (Furlanello e Lubas, 1999).

Il trasporto del ferro dagli enterociti al sangue portale.

L’assorbimento del ferro termina con la sua entrata nel sangue portale. Prima di arrivarci però deve attraversare tutta la cellula e la membrana basolaterale. Questo “percorso” non è ancora stato completamente delucidato ma sembra che a mediarlo sia una forma di DMT1 citosolica. In condizioni normali il carrier intracellulare delle cellule della mucosa intestinale è quasi saturato. Esso trasporta il ferro all’apoferritina (per formare la ferritina), ai mitocondri ed il resto verso il polo plasmatico per la cessione alla transferrina sierica (Sica V., 2005). Quest’ultima fase di efflusso attraverso la membrana plasmatica al sangue portale è mediato principalmente da due proteine: una di trasporto, la ferroportina 1, ed una ad attività ferrossidasica, la efestina. L’effettiva esistenza di queste molecole nel cane e nel gatto non è mai stata oggetto di studio. Tuttavia, la scoperta dell’esistenza del peptide

(9)

in questa specie, della ferroportina 1, dato che quest’ultima ne costituisce il recettore a livello duodenale.

L’efaestina ha un’azione rame dipendente ed è perciò che questo elemento è molto importante per l’assorbimento del ferro (Reeves e DeMars, 2004)

Gli ioni ferrosi verebbero così riconvertiti in ioni ferrici dalla efestina e trasportati nel sangue dallaferroportina per il legame con la transferrina circolante. Il ferro che non viene veicolato nel torrente ematico rimane immagazzinato negli enterociti, coniugato con l’apoferritina sottoforma di ferritina e viene perso con le feci quando l’intera cellula si stacca a livello della sommità del villo. Di contro la ferritina può cedere il ferro al trasportatore plasmatico in situazioni di carenza di assorbimento (Sica V., 2005).

Figura 1: Assorbimento del ferro. In Robbins.

1.2.2 La regolazione dell’assorbimento Preambolo sui meccanismi

E’ indubbio che il ferro sia un elemento di notevole importanza nell’organismo per la sua necessaria presenza in moltissimi sistemi enzimatici e nel gruppo eme dell’emoglobina. Si capisce quindi come sia altrettanto importante la regolazione del suo assorbimento a livello enterico sia negli stati di carenza che in quelli di abbondanza, visto che le riserve corporee sono controllate solo in fase di assorbimento.

Lo studio del metabolismo del ferro nei batteri e nei lieviti ha rivelato una sorprendente omologia di questi sistemi con quelli degli esseri superiori, permettendo l’identificazione

(10)

di nuove proteine coinvolte nell’omeostasi del ferro cellulare. Sono stati individuati i sensori del ferro e chiarito il meccanismo molecolare che permette il controllo del livello intracellulare del metallo, ottenuto attraverso la regolazione dell’espressione delle proteine ad esso correlate.

Inoltre tra le proteine circolanti, la novità più rilevante è la scoperta dell’epcidina, un peptide di 25 aminoacidi, prodotto dagli epatociti, che sembra svolgere il ruolo di mediatore dell’immunità naturale ed essere contemporaneamente l’ormone che regola il metabolismo del ferro. Esso è, infatti, l’inibitore dell’assorbimento del ferro a livello intestinale, del trasporto del metallo attraverso la placenta e del rilascio del ferro da parte dei macrofagi (Levi S., 2000).

1.2.2.1 Ipotesi delle cellule della cripta

Alcuni autori sostengono l’esistenza di un meccanismo per cui gli enterociti in differenziazione sarebbero già “programmati” ad assorbire più o meno ferro a seconda delle necessità corporee in quel momento. Le variazioni sarebbero abbastanza veloci se si pensa che nel nostro organismo le cellule enteriche sono tra quelle a più veloce turnover.

L’idea è suffragata dall’esistenza di un periodo di tempo che intercorre tra l’insorgenza del deficit di ferro e l’effettivo incremento compensativo della capacità di assorbimento intestinale. Tale periodo verrebbe attribuito al tempo impiegato dagli enterociti delle cripte nel raggiungimento della sua maturità funzionale, all’apice del villo: “ipotesi delle cellule della cripta” o della “mucosa intelligente”.

I meccanismi biochimici sarebbero da attribuirsi all’azione recettoriale di due molecole:

l’HFE e il recettore per la transferrina di tipo 1 (TfR1).

HFE è una proteina di membrana con analogie strutturali con il complesso maggiore di istocompatibilità di classe 1 (MCHC1) (Feder et Al., 1996).

La distribuzione tissutale di HFE è ubiquitaria ma è sicuramente maggiore a livello del fegato e del duodeno, in entrambi legato al recettore 1 per la transferrina (TfR1) (Waheed et Al., 1999).

Il complesso HFE-TfR1 situato a livello delle cellule della cripta sarebbe in grado di percepire le variazioni della concentrazione di ferro circolante, influenzando l’espressione degli mRNA di DMT1 e della ferroportina 1 nell’enterocita maturo, situato all’apice del

(11)

trovato giustificazioni funzionali soddisfacenti (Fleming e Britton, 2006). In medicina umana un elemento a favore di questa teoria è la constatazione che una sua mutazione è responsabile della più comune forma di emocromatosi. I pazienti affetti mostrano un assorbimento del ferro massimale nonostante gli adeguati o addirittura alti livelli di ferro corporei (Fleming et al., 2004).

1.2.2.2 L’epcidina

Recentemente uno dei principali regolatori del metabolismo del ferro è reputato un fattore umorale denominato epcidina, un peptide presente i forme diverse da 20, 22 e 25 aminoacidi. L’epcidina sembra assolvere al ruolo di regolatore ormonale “negativo”(De domenico I., Ward M. Kaplan J., 2007), ovvero un suo rilascio provoca diminuzione dell’assorbimento intestinale e del rilascio del ferro delle cellule del sistema mpnocito macrofgico. Dopo la sua scoperta non si intuì subito l’importanza del suo ruolo nel regolare il metabolismo del ferro, infatti le prime nozioni su di esso riguardavano la sua sintesi, che avviene a livello epatico, e la sua spiccata attività antimicrobica, questo è testimoniato dal primo nome che gli venne dato, LEAP 1 (liver-expressed antimicrobical peptide 1) ma anche dal nome epcidina, un acronimo che deriva da “hepathic bactericidal protein” (Rossi, 2005). Più recenti studi invece ne hanno inquadrato meglio il ruolo primario nel metabolismo del ferro e inoltre classificano l’epcidina come una tra le proteine di flogosi di fase acuta di tipo II e dimostrano la sua compartecipazione nella patogenesi dell’anemia da flogosi cronica (Nemeth et al., 2003). La sua esistenza è documentata anche nel cane ma non esistono pubblicazioni in merito sul gatto (Fry et al., 2004). Il lavoro sull’epcidina del cane è quindi molto recente ma sono stati fatti ottimi passi, a partire dall’ isolamento di DNA complementare (cDNA) a partire da RNA estratto da fegato tramite rtPCR (revers transcription polymerase chain reaction). Il cDNA isolato codifica per un peptide precursore di 84 aminoacidi. Un altro importante passo è sicuramente l’accertamento della somiglianza tra epcidina umana e canina, ma anche con quella di altre specie animali. La relazione filogenatica è sicuramente palese se si considera che in tutte queste specie è rispettata la presenza e la posizione di 8 residui cisteinici connessi da ponti disofuro (Cardarelli G. e Anatra GM., 2003).

(12)

Azione dell’epcidina sul metabolismo del ferro

Una volta secreto all’interno del torrente circolatorio, l’ormone agisce come inibitore dell’assorbimento duodenale del ferro e del suo rilascio dai macrofagi e da altre cellule che lo contengono (soprattutto epatociti) (Lanza F., 2005)

L’epcidina a livello delle cellule enteriche interagisce con la ferroportina 1 e questa interazione provoca l’internalizzazione e degradazione di questo complesso, diminuendo così il traporto del ferro nel sangue. Il ferro assorbito dal lume intestinale così si accumula negli enterociti e questo accumulo, come vedremo i seguito, sarà responsabile della minor espressione del DMT1 e della ferroportina 1 (IREG) e di una maggior espressione della ferritina, così che il ferro sia meno assorbito e quello ormai presente nella cellula venga immagazzinato come ferritina e poi perso a causa del turnover dell’epitelio (Nemeth et al., 2003).

Inoltre l’epcidina agisce a livello delle cellule del sistema monocito macrofagico con meccanismo analogo. Anche queste cellule infatti possiedono la ferroportina 1 ed il legame con l’epcidina, anche in questo caso impedirebbe il rilascio in circolo delle riserve di ferro che tali cellule possiedono in virtù della loro funzione eritrocateretica (vedi emocateresi).

Della patogenesi dell’anemia da malattia cronica si parlerà nel capitolo relativo, per ora si accenna che il meccanismo chiave sembra essere la diminuzione dell’apporto di ferro ai precursori eritroidi, nel quale gli eventi appena descritti, svolgono un ruolo primario.

Di seguito una figura che illustra il meccanismo di regolazione dell’assobimento del ferro a livello enterico mediante l’interazione epcidina- ferroportina 1.

(13)

Figura 2: Effetti dell’epcidina sull’assorbimento del ferro da parte degli enterociti. Da De domenico I et al., Hepcidin regulation : ironing out the details 2007

Regolazione della secrezione di epcidina

Come detto l’epcidina è prodotta dagli epatociti ed in minor misura, perlomeno nell’uomo, dal cuore e dal midollo spinale, viene poi eliminata da parte del rene con le urine (Cardarelli G. e Anatra GM., 2003).

La regolazione dell’espressione dell’epcidina sembra avvenire a livello della trascrizione.

Le citochine infiammatorie, soprattutto IL-6, inducono la trascrizione di HAMP negli epatociti. Questa induzione comporta l’attivazione di Stat-3 (Babitt JL et al, 2007) e il legame di Stat-3 all’elemento regolatore nel gene promotore di HAMP (Wrighting DM et al, 2006; Pietrangelo A et al, 2007; Verga Falzacappa MV et al, 2207).

Un secondo modo della regolazione dell’epcidina si attua attraverso la via di segnale BMP/Smad (bone morphogenetic protein/Smad). Le BMP sono citochine della famiglia TGF-β. Questi ligandi giocano un ruolo fondamentale nella regolazione della proliferazione cellulare, differenziazione, apoptosi e migrazione nei tessuti. In particolare, le BMP hanno un ruolo essenziale nella differenziazione cardiaca, neuronale e cartilaginea.

Tutte le BMP condividono una via di segnale comune, che comporta il legame di BMP ai recettori cellulari serin/treonin chinasi di tipo I e di tipo II, formando un complesso BMP-

(14)

recettore di tipo I e BMP-recettore di tipo II. Questo complesso determina la fosforilazione di una proteina intracellulare chiamata RSmad. La specificità delle risposte del ligando BMP è dovuta alla presenza di più di 20 forme di BMP, 7 tipi di recettori I, 5 di recettori II e 5 RSmad (Massague J et al, 2005). Le RSmad, però, si combinano con un unico, comune membro della famiglia Smad, Smad 4 (anche detto Co-Smad), e questo complesso trasloca nel nucleo ed attiva la trascrizione di alcuni geni. Wang et al hanno osservato che la delezione di Smad4 causa la morte dell’embrione, mentre che la delezione di Smad4 fegato-specifiche comporta la perdita della sintesi dell’epcidina e un accumulo di ferro, come nei topi knockout per il gene dell’epcidina (Wang RH et al, 2005). Babitt et al hanno anche dimostrato che topi che presentano una delezione nel gene Smad4 non sono in grado di sintetizzare l’epcidina in risposta agli stimoli infiammatori o all’accumulo di ferro.

Questo risultato è stato il primo a rivelare come la via di segnale BMP/Smad4 sia fondamentale per l’espressione dell’epcidina.

Babitt et al. hanno inoltre dimostrato che HJV agisce in vitro come un corecettore di BMP, che facilita l’attivazione del complesso BMP-recettore I/ BMP-recettore II (Babitt JL et al, 2006). HJV è una proteina di membrana legata al glicosilfosfatidil-inositolo, espressa perlopiù nel muscolo scheletrico e negli epatociti. La principale caratteristica strutturale di HJV consiste nella sua omologia con una piccola famiglia di proteine implicate nel controllo neurale. I membri di questa famiglia (RBMCA, RGMCB e DRAGON) legano le BMP e stimolano la via di segnale mediata da BMP (Papanikolaou G et al, 2004).

In questo studio, Babitt et al. hanno esteso le loro osservazioni al rapporto tra HJV e BMP per quanto riguarda l’espressione dell’epcidina (Babitt JL et al, 2007). Innanzitutto, hanno dimostrato che l’espressione del recettore BMP è selettiva per specifici membri della superfamiglia TGF-β e che non è attivata da TGF-β. In secondo luogo, hanno osservato che gli epatociti in vitro secernono BMP e che la repressione di RNA di specifiche BMP riduce l’espressione dell’epcidina. Quindi, le BMP sono dei regolatori autocrini. In terzo luogo, hanno anche visto come in vivo l’iniezione di BMP in topi “wild” aumenti l’espressione dell’epcidina e contemporaneamente diminuisca i livelli serici di ferro. Infine, hanno osservato come una forma solubile, ricombinante di HJV leghi le BMP ed agisca da antagonista di BMP, diminuendo l’espressione dell’epcidina. Babitt et al. sono stati i primi a dimostrare che HJV solubile inibisce l’espressione dell’epcidina in vivo. L’iniezione di HJV solubile per un certo periodo di settimane porta all’aumento dei livelli serici di ferro e

(15)

di ferro epatico. HJV solubile riduce la quantità di trascritti dell’epcidina nel fegato, diminuendo, quindi, anche la quantità di RSmad fosforilate. Questa osservazione è la prova che l’effetto di HJV solubile consiste nel ridurre gli eventi della via di segnale BMP. E’

stato anche visto come HJV solubile riduca l’espressione dell’epcidina in risposta a IL-6.

La dimostrazione che la somministrazione di HJV solubile determina l’aumento di ferro plasmatico ed epatico, ma diminuisce l’espressione dell’epcidina indica che la via di segnale BMP può modificare l’espressione dell’epcidina in risposta ad altri stimoli. Questi risultati sono allineati con le osservazioni di Wang et al che né il ferro, né l’IL-6 possono indurre l’espressione dell’epcidina in topi portatori di una delezione del gene per Smad4 specifiche del fegato (Wang RH et al, 2005).

Il fatto che HJV solubile alteri la produzione dell’epcidina e che sia rilasciata dal muscolo scheletrico in corso di carenza di ferro, spiega come la più alta espressione di HJV sia stata ritrovata nel muscolo scheletrico stesso e come questo tessuto svolga un ruolo critico nell’omeostasi del ferro (Zhang AS et al, 2007).

Figura 3 : Regolazione della trascrizione dell’epcidina nell’epatocita. Da De domenico I et al., Hepcidin regulation : ironing out the details 2007

(16)

La scoperta dell’epcidina ha ampliato e, secondo molte fonti, confutato l’ipotesi delle cellule della cripta.

Secondo alcuni Autori le due ipotesi non sarebbero mutuamente esclusive, in quanto l’azione dell’epcidina si estrinsecherebbe mediante la sua interazione con le cellule delle cripte duodenali.

L’epcidina si legherebbe con il complesso HFE-TfR1 espresso sulla membrana basolaterale delle cellule della cripta, modificando la loro futura capacità di assumere ferro, una volta completata la sua differenziazione all’apice del villo (Nicolas et al., 2001; Leong e Lonnerdal, 2004).

Recenti studi sul ratto (Nemeth et al, 2003; Frazer et al., 2004) gettano scetticismo sul coinvolgimento delle cellule della cripta, sottolineando invece che, in caso di stimolata eritropoiesi e aumento delle richieste di ferro, il periodo di ritardo nell’incremento di assunzione intestinale corrisponderebbe unicamente al tempo impiegato per modulare l’espressione e la secrezione di epcidina, e non al tempo richiesto per il differenziamento degli enterociti. Una volta che i livelli di epcidina si assestano sul nuovo valore, la variazione di assorbimento del ferro si verifica rapidamente. Infatti, la somministrazione endovenosa di epcidina nel ratto induce una diminuzione dei tassi di ferro entro 4 ore (Rivera et al., 2005). E’ stata anche dimostrata una relazione temporale ravvicinata tra l’espressione dell’epcidina e quella dei trasportatori di ferro duodenale nei ratti che avevano subito un cambiamento di dieta da una ricca di ferro ad una povera (Frazer et al., 2002).

1.2.2.3 Le proteine ferro regolatrici

Ai fini della modulazione dell’assorbimento del ferro dall’intestino assume un ruolo preminente la quantità di ferro presente nel citosol degli enterociti. Quindi l’assorbimento del ferro dal lume intestinale è anche dipendente dal processo di captazione, da parte degli enterociti, del ferro dal sangue

La regolare funzione dei TfR degli enterociti è, quindi, indispensabile ai fini della modulazione del normale assorbimento del ferro assunto con gli alimenti Il

(17)

meccanismo alla base di tali eventi è molto complesso perché entra in gioco una proteina citoplasmatica legante il ferro a funzione regolatoria, definita (IRP= Iron Regulatory Protein), la quale lega molto o poco ferro a seconda che la concentrazione del metallo nel citoplasma sia alta o bassa.

Queste molecole sono proteine in grado di legarsi a determinate sequenze ribonucleotidiche dette IRE (iron responsive elements), situate in alcune regioni non tradotte degli mRNA messaggeri, non solo degli enterociti ma di numerose popolazioni cellulari tra cui gli eritroblasti.

Le proteine IRP interagiscono con gli IRE (Iron Response Elements) degli RNA messaggeri per i TfR ed anche con quelli trascritti da geni che codificano per altre proteine trasportatrici del ferro, quali la DMT-1 (Divalent Metal Transporter), o la ferroportina e la ferritina. Le sequenze IRE sono caratterizzate dalla presenza di domini a forcina (in inglese “hairpin”), sensibili al legame con le IRP (Schranzhofer et al., 2006) La deficienza intracellulare di ferro incrementa la capacità delle IRP a legarsi agli IRE mentre l’aumento la riduce.

Il tipo di modulazione dipende anche dall’mRNA, infatti gli IRE sono esposti in alcuni mRNA, in riferimento ai geni codificanti, nella regione 5’ (upstream), in altri nella regione 3’ (downstream): questa diversa localizzazione è responsabile delle conseguenze che subentrano in seguito all’interazione con le proteine IRP, dato che con la stimolazione degli IRE presenti nella regione 3’ lo mRNA viene stabilizzato con conseguente incremento della traduzione, mentre con la stimolazione degli IRE presenti nella regione 5’ la traduzione viene bloccata con conseguente riduzione della traduzione del prodotto. E’, quindi, la regione degli mRNA in cui gli IRE sono esposti che diventa responsabile della loro modulazione funzionale che subentra in seguito all’interazione con le proteine IRP (Sica V., 2005).

Basti dire, come esempio, che gli mRNA trascritti dai geni che rispettivamente codificano per i TfR, per la DMT-1 e per la ferroportina esprimono i loro IRE nella regione 3’, mentre quello trascritto dal gene per la ferritina (proteina prevalentemente adibita al deposito di ferro) li espone nella regione 5’ (Sica V., 2005).

(18)

Figura 4: Proteine ferroregolatrici. Sica V., In Pontieri et al. Patologia generale (2005)

Gli eritroblasti pur avendo sia IRP che IRE dovrebbero però costituire una eccezione al meccanismo di regolazione sulla bese del ferro citosolico.

Anche una particolare forma dell’ALA sintasi, detta ALAS-E, presente negli eritroblasti ed indispensabile per le prime tappe della sintesi dell’eme, contiene uno specifico IRE a livello della estremità 5’ del suo mRNA, al pari della ferritina.

Così l’aumento della concentrazione di ferro nell’eritroblasto può incrementare la sintesi di protoporfirina IX. La co-regolazione che ne risulta tra TfR, ferritina e ALAS-E si applica bene alla fisiologia delle cellule midollari eritroidi fintanto che esse rimangono indifferenziate e che non accumulano emoglobina; una volta iniziata la differenziazione, però, applicando la teoria classica dei IRE/IRP si ottengono degli effetti che non vanno secondo logica. Infatti in presenza di sovrabbondanti concentrazioni di ferro citosoliche, quali sono quelle presenti nei precursori eritroidi, la cellula dovrebbe essere capace di mantenere alta l’espressione di TfR e ALAS-E e bassa quella della ferritina. Come visto, però, l’mRNA di TfR possiede una IRE a livello della 3’-UTR e, secondo la teoria

(19)

IRE/IRP, in condizioni di sovrabbondanza marziale la sua espressione dovrebbe essere inibita, mentre gli mRNA della ferritina e di ALAS-E lo possiedono a livello della 5’-UTR, con suo conseguente potenziamento in presenza di alte concentrazioni di ferro. A fronte di una compatibile aumentata azione dell’ALAS- E, si assisterebbe cioè ad un sequestro del ferro da parte della ferritina e ad una sua minore captazione dalla trasferrina circolante per sottoespressione del recettore. L’effetto netto sarebbe un minore apporto di ferro per la sintesi di emoglobina nell’eritroblasto maturo in pieno processo di emoglobinizzazione:

queste conclusioni risultano non plausibili.

Alcuni studi hanno infatti dimostrato che negli eritroblasti differenziati l’espressione dell’ALA-S e del TfR è potenziata, mentre quella della ferritina inibita. Secondo il medesimo studio, IRP1 e IRP2 sarebbero regolati dai livelli di ferro circolanti solo nelle cellule non differenziate che non accumulano emoglobina; negli eritroblasti già differenziati il ruolo regolatorio del ferro verrebbe meno (Schranzhofer et al., 2006).

Quindi riassumendo in tutte le cellule ad attività mitotica, con la probabile eccezione vista sopra, questo meccanismo postrascrizionale viene modulata la sintesi di TfR, di DMT-1, di ferroportina e di ferritina. Facendo riferimento a quanto detto, si comprende che il trasferimento intracellulare del ferro dal lume intestinale è possibile solo in presenza di adeguate quantità di proteine carrier la cui disponibilità è inversamente proporzionale alla quantità di ferro trasportato dalla transferrina plasmatica.

La captazione del ferro dal lume intestinale nella porzione apicale dei microvilli delle cellule duodenali è effettuata dalla proteina DMT-1, che funziona anche da carrier citoplasmatico, mentre poi il trasferimento del metallo alla transferrina del sangue portale attraverso la faccia basale delle cellule è effettuato dalla ferroportina.

Quando la quantità di ferro nel sangue portale è elevata, poche proteine trasportatrici di ferro sono presenti negli enterociti con la conseguenza che l’assorbimento del metallo dal lume intestinale si blocca (Sica V., 2005)

(20)

1.3 Il trasporto plasmatico del ferro e sue riserve tissutali

Dopo l’assorbimento, sia il ferro eme che quello non eme entrano in un pool comune nelle cellule della mucosa intestinale: la maggior parte viene depositata come ferritina, un’altra frazione è rapidamente trasportata alla transferrina plasmatica, che rappresenta il principale trasportatore del ferro alle cellule, inclusi i precursori eritroidi, dove questo metallo è necessario per la sintesi di emoglobina.

Il ferro libero è altamente tossico, e le riserve di ferro sono strettamente legate alla ferritina ed all’emosiderina.

1.3.1 La transferrina plasmatica

Tutte le cellule in accrescimento contengono sulla loro superficie recettori per la transferrina (TfRs) che, in condizioni di pH neutro, si legano con elevata affinità a questa proteina. La loro espressione è direttamente proporzionale alla capacità mitotica della cellula stessa; se ne conoscono almeno due isoforme (TfR1 e TfRf2). La prima è espressa sui globuli rossi e sui loro precursori midollari, sui monociti, nel contesto della barriera ematoencefalica, nell’intestino e nel fegato;

l’altra è espressa principalmente a livello epatico.

La transferrina (Tf) è una glicoproteina di sintesi epatica che migra elettroforeticamente nelle β1-golobuline (Furlanello e Lubas, 1999), costituita da un’unica catena polipeptidica di 679 aminoacidi con peso molecolare di circa 79kDa. Sebbene molti altri metalli si possano legare alla transferrina, la più alta affinità compete allo ione ferrico (Fe3+), mentre non viene legato lo ione ferroso (Fe2+).

L’importanza del legame del ferro alla transferrina deriva dal fatto che allo stato libero, nel plasma sanguigno, il ferro causerebbe la perossidazione dei lipidi mediante la conversione di idroperossidi in idroperossili e alcossili fortemente reattivi.

La forma senza ferro della transferrina, l’apotransferrina, si lega strettamente a due ioni Fe333+++ per formare la ferrotransferrina, la quale, a sua volta, subisce il

(21)

processo di endocitosi attraverso il quale viene internalizzata nella cellula bersaglio (vedere capitolo 2). La membrana degli endosomi esprime una pompa protonica ad attività ATP-asica che porta il pH all’interno dell’endosoma a valori prossimi a 5,5, promuovendo così il distacco del ferro dai suoi siti di legame, come detto in seguito.

Il legame di ciascun ione ferrico è assolutamente dipendente dal legame coordinato di un anione, che in condizioni fisiologiche è il carbonato:

1. Transferrina + Fe3+ + CO32- Transferrina-Fe3+- CO32-

2. Transferrina-Fe3+-CO32-

+ Fe3+ + CO32- Transferrina-2(Fe- CO32-

)

Sperimentalmente si è trovato che altri polianioni organici possono sostituire il carbonato. Le costanti di associazione per il legame dello ione ferrico a transferrine di differenti specie di mammiferi variano da 1019 a 1031 M-1. Ciò indica che in presenza di eccesso di transferrina praticamente non si hanno ioni ferrici liberi. In condizioni fisiologiche, tuttavia, circa un nono di tutte le molecole di transferrina circolante è saturato con il ferro in entrambi i siti di legame, quattro noni legano il ferro in uno dei due siti e i rimanenti quattro noni della transferrina circolante sono privi di ferro. In altre parole, circa un terzo dei siti di legame per il ferro sarebbero saturi (Wells e Award, 1995).

Le capacita della transferrina di legare il ferro a livello plasmatico, l’endocitosi della ferrotransferrina legata al suo recettore di membrana (TfR), il rilascio del ferro all’interno della cellula e la riesposizione del complesso TfR – Tf con successivo rilascio nel plasma della transferrina precedentemente captata, sono processi che verranno affrontati più avanti in questo capitolo.

1.3.2 Ferritina ed emosiderina

La maggior parte del ferro assorbita a livello intestinale viene depositata come ferritina, una parte per essere più lentamente trasferita alla transferrina plasmatica, una parte per essere perduta con la desquamazione delle cellule mucose. L’entità

(22)

in cui il ferro mucosale è distribuito tra queste svariate vie dipende dalla richiesta di ferro dell’organismo. Quando c’è un sovraccarico di ferro, la formazione di ferritina entro le cellule mucose è massima, mentre il trasporto nel plasma è aumentato nella carenza di ferro.

Il ferro plasmatico legato alla transferrina è trasportato primariamente al midollo, dove è trasferito ai globuli rossi in via di sviluppo e incorporato nell’emoglobina.

I globuli rossi maturi vengono rilasciati in circolo e, dopo un certo periodo, sono fagocitati dai macrofagi del Sistema Reticoloendoteliale (SRE), qui, il ferro viene estratto dall’emoglobina immagazzinato e/o reimmesso in circolo, completando il ciclo. Sia la ferritina che l’emosiderina rappresentano le forme di deposito del ferro, sono cioè delle riserve.

La ferritina è un complesso proteina-ferro (apoferritina + ferro) idrosolubile che si ritrova in tutti i tessuti ma soprattutto nel fegato, nella milza, nel midollo osseo e nei muscoli scheletrici. Nel fegato la maggior parte della ferritina è immagazzinata dentro le cellule parenchimali; negli altri tessuti, come milza e midollo osseo, è soprattutto nei fagociti mononucleati. Il ferro degli epatociti deriva dalla transferrina plasmatica, mentre il ferro di deposito nei fagociti mononucleati (cellule di Kupffer) deriva dalla rottura dei globuli rossi. La ferritina intracellulare è localizzata sia nel citosol che nei lisosomi, nei quali gli involucri di ferritina parzialmente degradati si aggregano in granuli di emosiderina. Con la colorazione ematossilina-eosina, l’emosiderina appare nelle cellule come granuli giallo-dorati. Il ferro nell’emosiderina è chimicamente reattivo e si colora in blu- nero quando esposto a ferrocianuro di potassio, che è la base del colorante blu di Prussia. Con normali riserve di ferro, nell’organismo sono presenti soltanto tracce di emosiderina, soprattutto nei fagociti mononucleati del midollo osseo, nella milza e nel fegato. Nelle cellule sovraccariche di ferro, la maggior parte di esso viene immagazzinato in emosiderina.

La ferritina è costituita da un guscio proteico cavo, la apoferritina, che può contenere fino a 4.000 atomi di ferro. Da questa sfera (che gode delle proprietà delle proteine perché il ferro non affiora alla superficie) gli atomi di ferro possono uscire (o entrare) tramite sei canali. I vari tessuti (quasi tutte le cellule sono capaci

(23)

di sintetizzare ferritina) contengono ferritine leggermente diverse (isoferritine) per la loro costituzione proteica, che è possibile distinguere con metodi immunologici (Lanza F, 2005). La ferritina intracellulare ha un peso molecolare di 500 kDa e la frazione proteica è costituita da 24 subunità rappresentate in rapporti diversi da catene H (heart, o heavy), dal peso di circa 21 kDa, e da catene L (liver, o light) di 19-20 kDa; l’associazione in differenti proporzioni delle due catene dà vita a numerose isoforme della proteina. Il rapporto ferro/polipeptide non è costante: la proteina, infatti, è in grado di lasciare e legare il ferro a seconda delle necessità fisiologiche. Le catene L e H vantano proprietà fisiologiche ed immunologiche diverse (Luzzago et al, 1986; Levi et al, 1988; Levi et al, 1989): la catena H è dotata di attività ferrossidasica (ossida gli ioni ferrosi a ioni ferrici), essenziale per l’incorporazione degli ioni ferro, mentre la catena L conferisce stabilità fisico chimica alla molecola ( Levi et al, 1988, 1989, 1992; Lawson et al, 1991; Harrison e Arosio, 1996). La diversa proporzione tra le subunità presenti è tipica di ogni tessuto. Le catene L sono abbondanti nella ferritina contenuta nel fegato e nella milza, mentre le catene H predominano nella ferritina cardiaca, degli elementi della serie eritroide e delle cellule HeLa (Arosio et al, 1978; Harrison eArosio, 1996; Wantanabe et al, 2000). L’accumulo e il rilascio di ferro è consentito da canali di comunicazione con la superficie della proteina.

Figura 5: Struttura della ferritina. Sito internet: hattp//www.ferritina.it

(24)

Dal 1942 (data dell’isolamento della ferritina epatica ad opera di Granick) al 1972 la ferritina è stata considerata come una proteina dei tessuti, contenuta soprattutto nelle cellule epatiche, spleniche e midollari: una proteina (deputata all’immagazzinamento del ferro) che non compariva in circolo se non in condizioni eccezionali, per esempio dopo necrosi epatica. Solo nel 1972 l’impiego di nuovi metodi di ricerca ha permesso di accertare come la ferritina sia un componente normale del circolo (Lanza F, 2005). Nell’uomo, nel cane, nel bovino e nel cavallo tale parametro è correlato positivamente con le riserve di ferro corporee (Addison et al, 1972; Walters et el, 1973; Smith et al, 1984; Miyata e Furugouri, 1987; Andrews et al, 1992).

La ferritina che si ritrova nel siero bovino fetale ha un contenuto di ferro di circa 0,2 µg per µg di proteina; è ricca di catene L e non contiene catene G (Kakuta et al, 1997), al contrario dell’uomo. La ferritina sierica del cane è ricca di catene H e dispone di alti contenuti di ferro (0,112 ± 0,017 µg di ferro per µg proteina);

anch’essa non contiene catene G (Wantanabe et al, 2000 a, b). La concentrazione sierica del ferro ferritina-coniugato è alta nel siero fetale bovino (da 160 a 190 ng mL-1 ) e nel siero canino (da 30 a 116 ng mL-1 ) (Kakuta et al, 1997; Wantanabe et al, 2000b).

La ferritina sierica nel cane ha un’emivita abbastanza breve (T1/2 <10 minuti) (Pollock et al, 1987); inoltre, nel siero canino (e in quello fetale bovino), è in grado di legare più di un migliaio di ioni ferro: in queste specie, tali risultati hanno suggerito un suo presunto ruolo nel trasporto ematico del ferro, dato che la transferrina è capace di legarne solo due (Orino et al, 2003).

La ferritina mitocondriale

Recentemente nell’uomo è stato identificato un nuovo tipo di ferritina, la ferritina mitocondriale che, a differenza delle ferritine citosoliche già descritte, si localizza nel mitocondrio. La forma matura della proteina, espressa in E. coli, ha caratteristiche strutturali e funzionali analoghe a quella della ferritina citosolica H, inclusa l’attività ferrossidasica. In cellule transfettate il precursore si localizza specificamente nei

(25)

mitocondri dove si assembla a formare una ferritina funzionalmente attiva nell’incorporare il ferro. La sua sovra-espressione altera la distribuzione del ferro intracellulare, producendo un fenotipo ferro-carente. La ferritina mitocondriale è espressa nei testicoli e nelle cellule eritroidi, particolarmente nei sideroblasti di soggetti con anemia sideroblastica caratterizzati da abnormi depositi di ferro nel mitocondrio. La localizzazione strategica di questa nuova ferritina, nell’organello potenzialmente più importante per il metabolismo del ferro e particolarmente soggetto al danno ossidativo, suggerisce che essa possa avere un ruolo biologico rilevante. Lo studio del ruolo fisiologico di queste proteine, tutt’ora in corso, e di altri nuovi geni non ancora identificati, è necessario per la conoscenza dei meccanismi che concorrono a mantenere l’omeostasi del ferro nel nostro organismo (Levi S., 2000).

1.4 Eritrocateresi

Poiché in condizioni normali poco ferro è assorbito con la dieta e la quantità eliminata attraverso le urine o in altro modo è piccola, il ferro dell’organismo possiede un sistema dinamico e continuo di ridistribuzione in parecchi circuiti metabolici. Così la maggior parte del ferro che entra nel plasma deriva, attraverso le cellule del sistema reticolo endoteliale, dagli eritrociti che hanno concluso il loro ciclo vitale ed è rimossa dal plasma soprattutto dal midollo osseo eritropoietico per la sintesi di nuovi eritrociti. Una parte, però, è trattenuta dalle cellule parenchimali del fegato e di altri tessuti (Sica V, 2005).

Comprendere l’eritrocateresi significa comprendere una parte fondamentale di questo meccanismo dinamico di ridistribuzione del ferro.

(26)

Figura 4: Proteine ferroregolatrici. Sica V., In Pontieri et al. Patologia generale (2005)

Gli eritrociti non possiedono nucleo, mitocondri, reticolo endoplasmatico o altri organuli necessari alla vita cellulare che, pertanto, è molto limitata. Con l’invecchiamento gli eritrociti modificano la loro membrana plasmatica e ciò li rende suscettibili di riconoscimento e ingestione da parte dei macrofagi della milza, del fegato e del midollo. La vita media degli eritrociti di cane ammonta a circa 100-120 giorni, mentre quelli del gatto vantano una minore longevità (60-80 giorni) (Facello e Guglielmino, 2002). L’1% della quota totale di globuli rossi va incontro quotidianamente ad eritrocateresi.

Uno dei meccanismi con cui l’eritrocita invecchiato viene riconosciuto ed eliminato è dovuto all’esposizione di residui di galattosio per la rimozione dell’acido sialico. Quest’ultimo costituisce i residui terminali di molte glicoproteine superficiali dei globuli rossi ed è in grado di mantenere una carica negativa sulla superficie di membrana plasmatica, che permette la normale repulsione tra gli eritrociti e ne previene l’agglutinazione. Quando l’acido sialico è rimosso, il globulo rosso viene trattenuto dalle cellule del sistema monocito macrofagico lienali, epatiche e midollari. E’ stato osservato che, rimuovendo sperimentalmente il galattosio dalla superficie, gli eritrociti rimangono in circolo, non venendo riconosciuti e fagocitati (Rosati et al., 2003).

(27)

Quando un globulo rosso è distrutto da un macrofago, l’emoglobina è degradata e importanti componenti della molecola sono riciclate all’interno dell’organismo.

Il catabolismo delle proteine contenenti eme ha due prerogative: primo, lo sviluppo di un meccanismo che trasformi i prodotti idrofobici che derivano dalla rottura dell’anello porfirinico; secondo, la ritenzione e la mobilizzazione del ferro, in modo che questo possa essere riutilizzato. La parte polipeptidica, la globina, è scissa in singoli amminoacidi, che possono essere riutilizzati da altre cellule per la sintesi proteica. L’eme della molecola è scisso in ferro ferrico (Fe3+) e in biliverdina, un pigmento verdastro, successivamente ridotto a bilirubina e liberato nel plasma. L’eme è degradato da un sistema enzimatico microsomiale, l’eme ossigenasi, che richiede ossigeno e NADPH, che è poi rigenerato principalmente dal citocromo c. L’eme ossigenasi è un enzima inducibile da parte del substrato e catalizza in modo specifico la rottura ossidativi del ponte α-metinico che lega i due residui pirrolici contenenti i sostituenti vinilici; il carbonio α-metinico è convertito in ossido di carbonio. L’eme ossigenasi usa esclusivamente l’eme come substrato e il ferro partecipa probabilmente al meccanismo di rottura del legame:

quindi, la protoporfirina IX libera non costituisce substrato. La biliverdina IX, composto tetrapirrolico lineare, è il prodotto che si forma per azione dell’eme ossigenasi. La biliverdina IX è ridotta dalla biliverdina redattasi a bilirubina IX.

Nel plasma la bilirubina si lega all’albumina, una proteina carrier, e viene trasportata al fegato mediante la circolazione portale (Wells MS. e Award WM., 1995). Le cellule epatiche assorbono la bilirubina, la coniugano all’acido glucuronico, e per escrezione liberano il complesso sotto forma di sale biliare nel sistema di dotti biliari che si aprono nel duodeno. I batteri intestinali convertono la bilirubina in urobilinogeno, la maggior parte del quale è eliminata con le feci sotto forma di stercobilina, un pigmento di colorito bruno che dà loro il colore. Una certa quantità di urobilinogeno è assorbita dall’intestino ed escreta dal rene con l’urina dove essa viene ossidata a urobilina che dà il colore ambrato all’urina stessa.

Gli ioni ferrosi sono riconvertiti a ioni ferrici e resi così disponibili per il legame con la transferrina circolante, rientrando così a far parte del pool di ferro

Riferimenti

Documenti correlati

Non svitate il tappo della caldaia né aggiungete acqua durante il funzionamento o quando l’apparecchio è collegato alla presa di corrente.. Prima di aprire la valvola, attendere

sia costante, perciò presuppone che il cemento lavori unicamente a pressione, oppure che, se in qualche parte lavora a tensione, questa non ar- rivi a kg. 12 al cm 2 , È facile con

• With the appliance completely cold, the plug disconnected from the electric socket, and buttons 2 and 3 both turned to “0”, twist the cap and fill the water tank using the

Da gennaio 2013 Cultore della materia per il corso di Psicologia dello Sviluppo Socio- Affettivo presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di

La ferritina è quindi il sistema biologico con il quale viene “stoccato” il ferro in eccesso all’in- terno della cellula per essere poi liberato nel cir- colo in base alle

Le linee tratteggiate corrispondono al campo di stabilità di Fe(OH). L’attività delle specie disciolte di Fe sono 10 -6 M.. L’attività delle specie disciolte di Fe sono 10 -6 M..

Per quanto riguarda la loro relazione con il ferro, il fenotipo macrofagico M1 è in grado di accumulare ferro intracellulare in relazione alla bassa espressione di ferro-

Supplemento per telaio e controtelaio per aletta schiacciata Controtelaio Tipo &#34;3&#34; RIDOTTO per porte standard a un anta Controtelaio Tipo &#34;3&#34; RIDOTTO fuori misura a